Capitolo II. La negazione della Finalità.

Una delle illazioni più immediate, più logiche della negazione della Causa Prima, con la quale il Materialismo esordisce il suo programma filosofico, è quella evidentemente per cui nega la possibilità di uno scopo qualsiasi – di una Finalità all’Universo.

«La scienza naturale dei nostri giorni – scrive al riguardo Luigi Büchner – si è emancipata da tali chimeriche idee della ideologia, dedotte da una superficiale osservazione delle cose, ed ora abbandona questi innocenti studî a coloro che preferiscono considerar la natura cogli occhi del sentimento, piuttosto che con quelli della ragione.»

Si capisce che il teista non possa fare a meno dall’assegnare uno scopo all’esistenza. Siamo tutti così abituati a valutar le azioni in rapporto ai determinati fini, pei quali crediamo di compierle, che una volta ammessa per indiscutibile la realtà di una Intelligenza Creatrice, riuscirebbe impossibile supporre che questa intelligenza avesse creato il mondo senza uno scopo qualsiasi. Se l’uomo più mediocre non cessa mai nelle azioni della sua vita dal proporsi una meta, cattiva o buona ch’essa sia, potrebbe un Dio aver agito e agire senza una direttiva finale prestabilita? Fa duopo riconoscere che il ragionamento teistico, mentre si rivela di primo acchito intinto di antropomorfismo (il punto di partenza è anche qui, come sempre, l’uomo, e direi quasi che si procede per analogia), non presenta – ben s’intende per chi ne accetti la premessa – una sola grinza.

Se la Causa Prima, il Creatore, è un essere intelligente, è manifesto ch’egli non potè creare il mondo alla cieca, senza una precisa idea di quel che faceva, senza un piano prestabilito.

L’armonia, l’ordine, l’equilibrio, i quali d’altra parte ovunque scorgiamo nell’Universo – sia che col telescopio interroghiamo i cieli o che attraverso il microscopio scrutiamo il mistero degli esseri impercettibili – non sono d’altra parte la prova più irrefragabile che l’Universo è l’attuazione di un piano preconcetto del Creatore?

Ecco appunto quanto ammettono i teisti: Dio esiste dall’eternità, Dio è sempre esistito, ma il mondo ha dovuto necessariamente essere creato da un atto della divina volontà che lo trasse dal nulla e ne dispose le forme infinite secondo un piano prestabilito e conformemente a uno scopo (Finalità) determinato. Qui ci sarebbe da riempire chi sa quante pagine soltanto esponendo le controversie e le questioni, cui tale versione archetipa finalistica della creazione ha dato luogo nel campo filosofico. Qualcuno – i petulanti, gli incontentabili, i seccatori ad ogni costo non mancano neppure tra i filosofi – azzardò la domanda se Dio era libero di creare il mondo o di non crearlo!? Si capisce che i teisti optarono per la libertà. Ma perchè – viene qui spontaneo di chiedere – perchè il Creatore si è deciso proprio in un certo momento e non prima? quali motivi lo hanno indotto a deliberare per la creazione piuttosto che per l’inazione, di cui sino allora si era beato? E non avrebbe potuto il Creatore dar vita all’Universo, secondo le linee di un piano preconcetto al tutto opposto a quello che invece attuò? E se questo piano attuato è perfetto in ogni sua parte, sarebbe stato imperfetto un altro piano che alla Causa Prima fosse piaciuto di sperimentare?

Senza dubbio tutta la nostra grande ammirazione per il così detto ordine, per la così detta armonia dell’Universo, in cui ci pare che ogni atomo corrisponda alle esigenze di un archetipo preconcetto, ha una tinta di esagerato e di primitivo. C’è in essa qualche residuale particella di quell’inconscio stupore del selvaggio, che crea le superstizioni e le teologie! Gli è in questo senso che bisogna intendere le parole di Kant: «il nostro spirito ammira un miracolo da lui stesso prodotto....» Noi parliamo dell’armonia prestabilita, dell’ordine inalterabile della natura e della conformità allo scopo d’ogni essere, non conoscendo gli esseri che nella sola, unica forma, in cui li vediamo, e non avendo alcun presentimento di ciò che potrebbero essere, quando ci apparissero sotto altra forma. Su questo terreno le scienze biologiche hanno certamente chiarito molti dubbî – specialmente facendoci toccar con mano quale infinità di forme la natura racchiuda nel suo seno e che pur raggiungeranno o no l’esistenza, a seconda che potranno verificarsi determinate condizioni.

Si sa che Darwin ha dimostrato la grande, sovrana e quasi diremo, decisiva azione dell’ambiente! – Il finalismo ne ebbe un colpo terribile! Come? quegli organi, ch’egli trovandoli in perfetta consonanza con le esigenze dell’ambiente, attribuiva alla divina saggezza, sono invece la risultante dell’azione dello stesso ambiente?

Era naturale come, anche per l’imbarazzo in cui il darvinismo metteva i filosofi, su questo punto sia stato dai filosofi osteggiato e condannato.

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«Le cose sono tali come sono; se esse fossero divenute altre, o in altri termini, se fosse stato possibile che esse venissero cambiate, noi non le troveremmo perciò meno conformi a uno scopo.» Ma chi s’è mai chiesto «quanti non saranno stati gli infelici tentativi delle forze della natura nel loro mutuo incontro e nelle più varie circostanze per creare delle forme qualunque di esseri o di fenomeni naturali, e nelle quali esse fallirono completamente per non avere trovato le condizioni necessarie alla esistenza?» In effetto tutto ciò che oggi esiste nel mondo non è che il risultato di tentativi infiniti. – Chi è ignaro di geologia, chi in merito alla storia del globo, che abitiamo, si contenta delle nozioni esposte nella Genesi mosaica, non può farsi un’idea neppure approssimativa dei periodi millenarî, traverso i quali la terra dallo stato di massa incandescente pervenne a poco a poco allo stato attuale. Qui naturalmente il materialista ha buon giuoco e domanda: – se lo scopo del Creatore era, quale gli attribuisce la Sacra Scrittura – quello di preparare un soggiorno all’uomo, a quale scopo questa successione di periodi, che durarono milioni di anni, e ad ognuno dei quali si accompagnarono forme più o meno imperfette? Ha forse duopo una forza creatrice di tali stadî per raggiungere i suoi fini e non può piuttosto ex abructo dar vita a ciò che vuole?

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Il materialista trova poi in copia argomenti contro la dottrina della finalità sullo stesso terreno della teologia dogmatica e dello spiritualismo tradizionale.

Egli comincia infatti col porre in rilievo la esistenza di esseri «assai male prestabiliti», e la frequenza con cui, ammettendo per un momento l’esistenza di una forza creatrice, quest’ultima cade in errori ed assurdità d’ogni specie. – A quale scopo creare, ad esempio, gli animali nocivi? I teologi si sono indarno tormentati il cervello in cerca di una risposta soddisfacente e dissero, credendo di superare tutte le objezioni, che i rettili nocivi e gli insetti velenosi sono l’effetto della maledizione scagliata da Dio alla terra e a’ suoi abitatori, dopo la caduta di Adamo. Una spiegazione così singolare è sostenuta fra gli altri dagli illustri teologi Meyer e Stilling nel Giornale delle Verità Superiori, ma l’artificio è troppo evidente perchè, anche senza essere materialisti dichiarati, si possa attribuirle un qualunque valore scientifico. Ma procediamo con qualche altro esempio. Parecchie specie di animali utili, quale, per citarne uno, il cervo gigantesco, si sono estinte nei tempi storici; altre che ancora sopravvivono, vanno però di anno in anno diminuendo con evidente progresso verso la estinzione; per contro le cavallette, i colombi migratori, i topi campestri, ecc. si moltiplicano con incredibile fecondità. – Qual teologo potrebbe spiegare il verme solitario? si domanda Giebel. Tutta l’attività di questo animale consiste nel produrre delle uova, la quasi totalità delle quali perisce; e quello che si dice del verme solitario può ripetersi per infiniti altri animali. Dove trovare una ragione plausibile e uno scopo moralmente lodevole in quel numero infinito di sopraffazioni, di crudeltà, di atrocità, che accompagnano la lotta per l’esistenza, che si combatte tra le creature?

Ma v’ha dell’altro. – Studiando la struttura degli organismi, l’anatomia comparata ci rivela in ciascuno una quantità di organi (i così detti organi rudimentali) affatto inutili: il coccige dell’uomo, l’osso clavicolare del gatto, le ali di certi uccelli inetti al volo, i denti della balena e simili. – Come conciliare col principio di una finalità razionale, l’ermafroditismo di certi animali? E mentre alcuni sono ermafroditi, altri sono dotati di una fecondità talmente eccezionale che, qualora la morte non si incaricasse di sopprimere a miliardi i nati, ne sarebbero riempiti in pochi anni i mari e la terra ne sarebbe coperta alla altezza delle case. – Vi sono animali che non nuotano mai, quantunque provvisti di membrane natatorie, e per contro esistono uccelli acquatici, a malapena forniti di una strettissima membrana tra le zampe. Chiuderò questo paragrafo con una citazione ricavata dal Tuttle: «Il disegno dell’onipotente creatore, dice Tuttle, dovrebbe lasciarsi sempre interpretare in modo razionale; e se così fosse darebbe egli agli animali degli organi inutili? A quale scopo servono le forme transitorie del feto, nelle quali i mammiferi si assomigliano ora ai pesci, ora ai rettili, prima di raggiungere la loro forma compiuta? A che servono nel feto umano gli archi bronchiali colle loro aperture, ed ai mammiferi gli organi rudimentali, che sono sviluppati soltanto nei rettili?»

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I sostenitori dell’armonia prestabilita, i propugnatori ortodossi dell’idea che tutto nell’Universo sia coordinato dal Creatore a uno scopo, esaltano, come un argomento insuperabile, la relazione che passa fra il così detto regno vegetale e l’animale. – Nel concetto finalistico, che è proprio dei teologi, Iddio avrebbe creato le famiglie delle piante per il nutrimento degli animali erbivori delle cui carni alla loro volta si cibano i carnivori. Ma che v’ha in ciò – oppone il materialista – di provvidenziale? E come non vedere in fondo a questo argomento l’atavico pregiudizio, per cui l’uomo riguarda sè stesso siccome lo scopo ultimo, il vertice della creazione? E nondimeno quanto tempo non ha esistito il nostro pianeta senza di lui! E a quali impercettibili proporzioni si riduce la durata della sua esistenza in rapporto alla durata del mondo! E contro quali difficoltà non deve tuttavia lottare l’uomo per rendere la terra – che i finalisti vogliono creata apposta per lui – un soggiorno omogeneo e abitabile! Tanto la natura è lontana dall’idea di attuare un piano che gli soddisfaccia interamente!

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