CAPITOLO I. LE BASI DELLA TEORIA.

Per ben comprendere nel suo vero significato e nel suo intrinseco valore la dottrina darwiniana dell’origine dell’uomo, fa d’uopo anzitutto riflettere che detta dottrina s’attacca e, per così esprimerci, s’innesta al grande albero del trasformismo biologico, vogliamo dire della teoria della trasformazione della specie.

Còmpito nostro in questo capitolo è di riassumere nelle sue linee generali tale teoria in quanto possiamo considerarla la base su cui l’ipotesi dell’origine naturale dell’uomo si erige naturalmente.

Il lettore sa benissimo che è gloria imperitura di Carlo Darwin l’aver formulato pel primo, in forma decisa e scientifica, il concetto di variabilità della specie contro l’opinione tradizionale, suffragata dall’autorità di naturalisti quali Linneo, Buffon e Cuvier, che faceva della specie altrettante cristallizzazioni, insomma altrettanti tipi astratti e immutabili. Non si addice certo all’indole di queste pagine rilevare, comunque di sfuggita, lo stretto vincolo in cui questo, chiamiamolo così, concetto immobilitario della specie, stava col pregiudizio teologico di un archetipo divino, o, che fa lo stesso, di un piano prestabilito ab eterno nella mente del Creatore, piano secondo il quale l’Universo sarebbe uscito dal Nulla con l’infinita varietà di oggetti e di specie che lo popolano...

Ci basterà per avventura soggiungere come l’influenza di un tal pregiudizio sia stata tanto grande da tagliare la strada per molti e molti anni a ogni progresso delle idee trasformiste. La petulanza teologica vi ebbe senza dubbio la sua parte.

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Quali sono i capisaldi fondamentali del trasformismo? Diciamone brevissimamente qualche cosa.

E in primo luogo tenga presente il lettore come il darwinismo, fedele al metodo induttivo, prenda le mosse non già da ipotetici presupposti, nè tampoco da teologiche chimere, ma dai fatti, e precisamente dai fatti osservabili nelle razze animali domestiche.

«Il darwinismo, scrive G. Canestrini, prende la sua mossa dall’elezione artificiale, i cui effetti possono essere esattamente dimostrati, perchè in parte avvennero nel tempo storico e sotto i nostri occhi, e perchè noi possiamo confrontare i prodotti domestici coi rispettivi stipiti selvaggi...»

Esempî: nelle vacche e nelle capre lattifere vediamo modificarsi le mammelle; in altre capre e pecore la finezza del vello; quale differenza, scrive Darwin, tra il cavallo da corsa inglese, allungatissimo, fine, sottile, muscoloso, velocissimo e il tarchiatello e piccolissimo poney, o, peggio, il pesante cavallo da carretta! Nessuno ignora quante varietà gli allevatori riescono a ottenere dal majale e dai conigli. Non parliamo delle varietà ottenute allevando galline, tacchini, quaglie, ecc. Ve n’ha persino di quelle col piumaggio a rovescio, come v’hanno pecore, capre e bovini senza corna, cani senza coda, piccioni con coda da pavone, con becco di falco, ecc.

«Come uno scultore si plasma l’argilla, a poco a poco l’uomo si modella la forma animale e se la foggia a suo piacimento» (Darwin).

Che insegnano questi esempî?

La risposta è facile: che le specie non sono quei tipi immutabili che ci aveva rappresentato la vecchia biologia, che possono modificarsi, anzi che sono suscettibili di essere modificate artificialmente.

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Fu appunto meditando a tali fatti che il genio di C. Darwin, sulle traccie delle divinazioni di valorosi naturalisti (Erasmo Darwin, Gœthe, Oken, Saint-Hilaire, G. Lamarck) formulò la teoria trasformista, trasportando, per così esprimerci, il concetto di variabilità (di elezione) dalla ristretta cerchia delle specie domestiche a quella più vasta delle specie in genere senza distinzioni. E fu per tal modo, diciamo, che Darwin pervenne alla conclusione che quelle modificazioni le quali, sotto l’azione di agenti promossi dall’uomo, si verificarono in pochi anni nelle specie domestiche, avevano dovuto, benchè in forme infinitamente diverse, verificarsi in lunga serie di secoli nelle specie selvaggie sotto l’azione di agenti affatto naturali.

Ma quali furono questi agenti?

Evidentemente non bastava formulare l’ipotesi; bisognava anche suffragarla con larga messe di argomenti e di fatti e sopratutto bisognava inquadrarla in uno schema definito di leggi fondamentali.

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Si sa in qual modo abbia corrisposto Darwin a tali esigenze. Chi ha letto la sua Origine delle Specie non ignora l’immane congerie di osservazioni e di fatti allineati dal Darwin in appoggio alla sua teoria. Rilevate infatti nel primo lungo capitolo «Le variazioni delle specie allo stato domestico», il Darwin affronta nel secondo la questione delle variazioni delle specie allo stato di natura, notando come fra tutte, quelle che hanno espansione in vaste plaghe di territorio sono le più variabili (§ V). Il pernio, stiamo per dire, intorno a cui s’aggira il trasformismo darwiniano consiste, non pertanto, nella legge della Lotta per l’esistenza (concorrenza vitale), che Darwin illustra nel capitolo III. La lotta per l’esistenza costituisce la vera legge di bronzo, la quale s’impone a tutte, indistintamente, le creature, vegetali e animali. È noto come Darwin sia stato indotto a meditarvi dalla lettura del celebre libro di Malthus sulla popolazione.

Secondo Malthus, mentre la popolazione tende a crescere in ragione geometrica 2, 4, 8, 16, 32, ecc., i mezzi di sussistenza non crescono che in proporzione aritmetica 2, 3, 4, 5, 6, ecc.

Da ciò l’esquilibrio, la lotta; da ciò – conseguenza inevitabile e salutare – la sopravvivenza dei più adatti, vale a dire dei più forti, dei meglio dotati, sui deboli...

L’occhio di Darwin abbraccia lo spettacolo tragico di questa lotta sino agli ultimi confini del regno animale.

Egli osserva come gli effetti di questa lotta – la soppressione dei deboli, dei non adatti – sia in fondo provvidenziale, e perchè, come spiega innanzi, favorisce il progresso delle specie, e perchè paralizza gli effetti altrimenti disastrosi della eccessiva propagazione delle creature.

Invero, come dimostra Darwin al § III del capitolo che riassumiamo, le specie tendono a riprodursi secondo una progressione geometrica.

Per citare un esempio, la specie umana, che pure si propaga con tanta lentezza, può raddoppiare il numero de’ suoi individui nel breve intervallo di 25 anni...

Secondo Linneo una pianta annua, la quale producesse soltanto due semi all’anno, posto che questi due semi generassero ciascuno di anno in anno altri due semi, e così via, in soli 20 anni darebbe vita a un milione di individui.

Secondo Darwin in solo 500 anni una sola coppia di elefanti potrebbe generare 15 milioni di individui. Considerando ciò e i moltissimi altri esempî consimili, fa d’uopo riconoscere con Darwin la necessità che questa tendenza alla riproduzione in ragione geometrica, che presentano tutti gli esseri organizzati, sia paralizzata ne’ suoi effetti da cause distruttrici... Prima, nell’ordine di queste cause, viene la Lotta per l’esistenza.

«Quando noi pensiamo con tristezza a questa lotta, così scrive Darwin, possiamo consolarci con la piena convinzione che la guerra della natura non è continua, che lo scoraggiamento ne è bandito, che la morte è in generale assai pronta, e che sono gli esseri più vigorosi, più sani e più abili che sopravvivono e si moltiplicano.»

Ma quali sono le conseguenze di cui la legge della Concorrenza vitale palesasi suscettibile in merito alla tesi del trasformismo?

Il quesito è stato affrontato da Darwin, sia, incidentalmente, nel capitolo III or ora riassunto, sia nei capitoli IV e V (Selezione Naturale, Leggi della Variabilità).

Evidentemente, dice Darwin, la lotta per l’esistenza mentre affina gli organi della difesa e dell’offesa, ne favorisce le variazioni utili. È questo un fatto incontestabile. Or dunque avranno maggior probabilità di vittoria e quindi di sopravvivenza quegli individui i quali presentano in maggior numero le variazioni cennate. Ma questi stessi individui, dice Darwin, si accoppiano, si riproducono, e per ciò trasmettono i loro caratteri superiori alla prole che pertanto nasce idonea alla lotta per l’esistenza.

È questa la nota legge dell’Ereditarietà che possiamo considerare come il correlativo logico necessario della legge di Elezione naturale, della legge darwiniana, in forza della quale, assicurati il perfezionamento e la sopravvivenza dei più adatti, vien favorita l’elevazione e trasformazione delle specie.

La brevità dello spazio non mi permette di diffondermi oltre certi limiti. Com’è noto, alla elezione naturale Darwin associa l’elezione sessuale. Non solo gli esseri organizzati lottano pel nutrimento, ma anche, e non meno accanitamente, per il possesso della femmina, lotta la quale concorre a favorire la sopravvivenza dei migliori.

«L’elezione sessuale, scrive Canestrini, riposa su osservazioni esatte. La lotta cruenta tra i maschi di molte specie è un fatto positivo. La concorrenza tra i maschi col mezzo degli atteggiamenti, mettendo in mostra la bellezza e facendo sentire il canto, non può del pari essere posta in dubbio; nè alcuno può negare che certi apparati coi quali il maschio tiene la femmina durante la copula, siano utili.»

L’elezione naturale e l’elezione sessuale costituiscono pertanto, con la legge dell’ereditarietà e di variabilità, con l’azione dell’ambiente, ecc., i due più efficaci fattori dell’evoluzione e trasformazione della specie. Lasciamo la parola allo stesso Darwin:

«L’elezione naturale conduce alle divergenze di caratteri e alle molte estinzioni delle forme di vita meno perfette e intermedie

E più innanzi, dopo aver rilevato l’incremento che gli organi hanno dall’uso, mentre il non uso genera l’atrofia, scrive:

«Qualunque sia la cagione di ogni piccola differenza nella prole rispetto ai progenitori, può affermarsi che la continua accumulazione di queste differenze per mezzo dell’elezione naturale, quando sia vantaggiosa all’individuo, dà origine a tutte le importanti modificazioni di struttura, per le quali gli esseri innumerevoli esistenti sulla superficie della terra divengono più atti a sostenere la lotta scambievole, e meglio disposti a sopravvivere.

«La estinzione di forme antiche è la conseguenza inevitabile della produzione di nuove forme...»

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Non dirò degli appunti fatti al trasformismo darwiniano. Teologi e naturalisti della scuola tradizionale gridarono allo scandalo; ma naturalmente non arrestarono d’un passo la marcia trionfale della teoria. E quel che urge rilevare, nell’atto stesso che veniva attaccato dagli avversarî, il trasformismo riceveva nuove conferme dalle scoperte della geologia. La distribuzione geologica degli esseri organici (cap. X), come anche la loro distribuzione geografica (cap. XI e XII) concorrono infatti, a suffragare l’ipotesi darwiniana.

«Se si considerano degli intervalli di tempo abbastanza lunghi, la geologia espressamente attesta che tutte le specie si sono modificate lentamente e gradatamente. Questo fatto risulta ad evidenza dall’osservazione che gli avanzi fossili delle formazioni consecutive sono invariabilmente assai più affini tra loro, di quelle delle formazioni separate da un lungo periodo» (Darwin).

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Vedremo nei capitoli seguenti come il trasformismo darwiniano sia applicabile eziandio alla specie umana.

«Malgrado l’opposizione di qualche autore, scrive il Canestrini, le moderne idee sulla origine della specie umana sono ben accolte dal mondo scientifico, e i filosofi stessi incominciano a seguire i concetti della maggior parte dei naturalisti»

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