CAPITOLO II. LE SCOPERTE DELLA PALEONTOLOGIA.

Nel concetto tradizionale, che è come dire nel concetto biblico o religioso, l’uomo non sarebbe che l’opera di un Dio creatore, il quale l’avrebbe tratto dal nulla a sua imagine e somiglianza per farne da una parte il re della terra, anzi dell’universo, dall’altra un proprio adoratore.

«E il Signore formò l’uomo dalla polvere della terra e gli alitò nelle nari un fiato vitale; e l’uomo fu fatto anima vivente.»

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«E il Signore Iddio fece cadere un profondo sonno sopra Adamo, ond’egli si addormentò; e Iddio prese una delle coste di esso, e saldò la carne nel luogo di quella.»

«E il Signore Iddio fabbricò una donna dalla costa ch’egli aveva tolta ad Adamo, e la menò ad Adamo».

Tale la dottrina fino, si può dire, a pochi anni fa accettata senza esame ed ammessa dagli scienziati e naturalisti. L’infantile racconto biblico fu riconosciuto per vero e intangibile durante molti secoli.

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Se non che, a parte le osservazioni esposte addietro e quelle altresì molteplici che formeranno materia dei seguenti capitoli, una scienza, la Paleontologia, veniva nello scorso secolo a disturbare il magnifico idillio della ebraica leggenda dell’origine divina dell’uomo, nello stesso modo che un’altra scienza, la Geologia, aveva scomposto le variopinte scene della più vasta leggenda della creazione del mondo, in cui quella di Adamo necessariamente s’integra. E come le scoperte della geologia rovinavano tutto, dalle fondamenta, l’edificio delle successive, chiamiamole così, fatiche divine, dimostrando a luce meridiana quanto fosse assurdo ammettere con la Bibbia che avessero avuto vita in sei giorni quelle formazioni per le quali, al contrario, occorsero migliaja e migliaja d’anni, così, dico, la paleontologia chiariva dal lato proprio la inanità del mito di Adamo, dimostrando come la comparsa dell’uomo sulla terra preceda – e come! – in ordine di tempo la leggendaria creazione del compagno di Eva...

In altre parole: l’uomo è un essere ben più antico di quanto non se lo rappresentano le Sacre Scritture

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Disgraziatamente la fede cieca dei volghi nel carattere divino dei documenti biblici, l’intolleranza ecclesiastica, la misera condizione in cui per lunga età si trovarono, impotenti a uscirne, le scienze naturali, hanno contribuito ad accrescere autorità alla Bibbia, tanto, ahimè! da farne per più secoli l’arbitra suprema della verità e dell’errore; tanto, ripeto, da reputare e far reputare empia e sacrilega qualunque proposizione la quale solo sembrasse contraddirne la parola... Ebbene: tutto ciò è, come per incanto, sfumato al sole della libertà o al contatto della critica scientifica. Quest’ultima, infatti, ha provato come la pretesa paternità divina vantata dalla Bibbia ebraica, sia una colossale illusione, un vero nonsenso. Lunge dall’essere opera di un Dio, nella stessa guisa che i libri sacri degli altri popoli, la Bibbia è opera eminentemente ed essenzialmente umana, pensata, scritta, tramandata di generazione in generazione da uomini in carne e ossa nè più nè meno di noi. È una raccolta – nè per avventura la migliore fra le congeneri – di leggende orientali, leggende ciascuna delle quali porta la fisionomia, la marca di fabbrica, mi si permetta la frase. della propria origine.

C’è infatti nella compagine biblica disparità di materiali e di epoche; una disparità la quale dimostra una corrispondente divergenza di fonti e di compilatori. Potrebbesi, senza peccar di irriverenza, supporre che un libro così formato sia l’opera di Dio? Che se, prescindendo da ciò, ci facciamo un momento solo a considerare con occhio spassionato quella che potrebbe definirsi la psicologia dei Libri sacri, noi siamo irresistibilmente tratti a escludere a priori i caratteri di autenticità divina sin qui loro attribuiti, per riconoscerne, conformemente agli studî e alle conclusioni della critica, l’origine e la formazione affatto umane...

Questo «Dio delle battaglie», che spesso infliggeva severe punizioni all’insubordinazione, era manifestamente, scrive H. Spencer, un Dio locale. Lo dimostra, fra l’altro, la rozzezza affatto antropomorfica della sua concezione. Egli viene personificato e gli vengono attribuite virtù e debolezze al tutto umane. L’autorità sua appare spesso limitata di estensione e di grado. Avviene così che il Dio onnisciente e onnipotente prende talora dei granchi, ad es. là ove tenta invano di uccidere Mosè, o là ove trascina sul capo degli Israeliti, i quali combattono per suo consiglio, l’onta della disfatta. In qualche punto della Bibbia, come nei Giudici, 1, 19, si leggono delle curiose espressioni: «Non potè cacciare gli abitanti della valle perchè essi avevano carri da ferro

Altrove il Dio ebraico si descrive da sè come geloso, vendicativo, implacabile sterminatore di nemici. Nemmeno sdegna, se appena gli torna comodo, di ricorrere alla malizia, alla frode. «Egli indurisce i cuori degli uomini per poterli poi punire delle loro colpe, come quando eccitò David a fare il censimento degli Israeliti, inventando una supposta colpa per poi punire quelli che non l’hanno commessa....» Nè gli basta essere vendicativo. Al pari e più degli dèi greci è capriccioso nelle sue vendette.

Se non che non entra nelle vedute di questo fascicolo il dilungarci a far della critica biblica. Allo scopo del presente paragrafo e più ancora delle conclusioni che in merito al preconcetto dell’origine divina dell’uomo, qual’è esposta e consacrata nel racconto ebraico, deve cavarne chi legge, le cose brevemente riassunte possono, credo, bastare. Aggiungerò solo come fra tutte le meravigliose scoperte ed applicazioni del metodo scientifico del secolo XIX, questa della umanità, della storicità delle Sacre Scritture (Antico e Nuovo Testamento) – intorno a cui può dirsi fiorita in Inghilterra, Germania, Francia e Italia tutta una letteratura – costituisce una delle scoperte ed applicazioni più grandi e feconde di risultati. Non qui io debbo, anche di sfuggita, indugiarmi a lumeggiarne la portata. Evidentemente se la Bibbia potè per parecchi secoli dominare sovrana e ostruire il passo a ogni progresso scientifico, ciò avvenne in quanto attribuivansi ad essa i caratteri di un libro soprannaturale. Tornava infatti inutile, per non dir anzi coi cattolici assurdo e peccacaminoso, sottoporre all’indagine scientifica dei problemi, come ad es. l’origine del mondo, l’origine dell’uomo, la cui soluzione potevasi leggere da chiunque, già bell’e fatta e inconfutabile, nelle pagine della divina Rivelazione. Che cosa aggiungere, o peggio, che cosa togliere al racconto di un Dio, alle parole del Creatore, il quale, molte migliaja d’anni fa, prevenendo commosso la curiosità degli uomini, s’era preso la briga di esporre con la sua propria bocca come e quando e perchè dagli ozî eterni onde riposava, aveva finalmente risolto di trarre dal Nulla cielo e terra, e per ultimo di comporre con argilla il primo uomo, Adamo, per dargli poscia una compagna nei deliziosi giardini d’Eden? Come, dico, non deporre qualunque pensiero di ricerca autonoma di fronte a un racconto così ben architettato e così commovente? Con qual animo uno studioso si sarebbe mai dichiarato insoddisfatto d’una Rivelazione del Creatore supremo? Per contrario, sfrondato l’albero biblico dei variopinti fiori divini, ridotte le scritture al vero loro carattere umano e storico, chiarita al duplice lume dell’analisi storica e psicologica l’inanità della Rivelazione, niente di più logico che la Genesi, perdendo il tradizionale prestigio, chiarisse agli occhi dei più timorati la primitiva infantilità della sua teoria soprannaturale.

Cadeva l’autorità della Bibbia come opera di Dio, e sulle rovine dell’autorità biblica sorgeva maestosa e granitica la colonna della Scienza del Vero, faro luminoso, guida e meta degli umani..

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Ma veniamo direttamente all’argomento.

Noi abbiamo esordito rilevando come, parallelamente alle smentite della geologia sul terreno delle epoche creative, dirò meglio, dell’età del globo, il racconto ebraico patisse altre smentite dalla paleontologia sul terreno della creazione dell’uomo, o, per meglio dire, dell’età dell’uomo.

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Che cosa ha dunque provato la paleontologia?

La versione biblica fa risalire, com’è noto, a poco più che seimila anni la comparsa dell’uomo... Ebbene, ciò non è esatto. La nascita dell’uomo risale a un’antichità ben più remota.

Così, ad esempio, il prof. Canestrini dell’Università di Padova, basandosi sui dati cumulativamente offerti dagli studî dei dotti di tutta Europa, esprime l’opinione che l’età dell’uomo non sia inferiore ai 240 mila anni, e soggiunge chiaro e tondo come con tale cifra egli intenda di voler esprimere il minimum della sua antichità.

È ormai entrato nel dominio pubblico che i nostri lontanissimi antenati furono contemporanei degli animali antidiluviani, del mastodontico mammout e dell’orso delle caverne, dai quali probabilmente dovette difendersi... Emessa da prima quasi timidamente dal Lyell e dal Vogt l’ipotesi di umane vestigia durante il vetustissimo periodo miocenico, veniva poi suffragata da larga messe di fatti. Alle scoperte di Desnoyers seguivano quelle di Bourgeois e del Mortillet. Quest’ultimo, ha poi titoli speciali di benemerenza per gli studî originali che ha fatto sui cranî preistorici. Secondo il Mortillet l’uomo miocenico non può essere classificato nella medesima specie dell’uomo odierno. I pochi avanzi pervenuti sino a noi lasciano apparire manifesti caratteri di inferiorità. Da ciò il Mortillet è tratto a catalogare l’uomo miocenico in un genere speciale, il genere dell’uomo scimia.

Le conclusioni del geniale naturalista furono, lo si capisce, esca a studî ulteriori. Non solo si sottoposero a esatte misurazioni i cranî primitivi, e nella sproporzione di sviluppo fra la parte occipitale, accentuatissima, e la frontale, ultra depressa, si notarono le stigme dell’inferiorità sopra cennate; ma gli stessi crani si sottoposero all’analisi chimica, provandosi per tal modo l’identità di composizione organica fra le ossa fossili umane e le ossa fossili animali. Tornando all’opinione addietro riferita del prof. Canestrini che la comparsa dell’uomo risalga a poco meno che 240 mila anni, essa costituisce, ormai, un dato positivamente stabilito nella moderna Paleontologia.

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Qui non tornano forse inopportune le seguenti poche considerazioni.

Se il racconto biblico rispondesse in tutto o anche solo in parte alla verità, sarebbe egli suscettibile di tali smentite? Qual mai Rivelazione divina può dunque invocare il compilatore della Genesi, dal momento che si hanno prove irrefutabili per dimostrare l’assurdità, la falsità delle sue asserzioni?

La portata immensa di questi punti interrogativi fu sentita, com’è noto (per avventura furono anzi i primi a sentirla), dai teologi cattolici, i quali profusero fiumi d’inchiostro allo scopo di conciliare con speciosi argomenti le più radicali conclusioni della scienza coi postulati della infantile tradizione ebraica.

Ma inutilmente; chè, come bene osserva l’Huxley, le parole devono avere il loro significato anche nella lingua ebraica, nè può darsi un idioma tanto pieghevole da ammettere interpretazioni così differenti.

Perchè infatti tradurre epoche là ove si dice giorni, e perchè tradurre in tal modo proprio oggi, quando cioè la geologia, interrogando gli strati del sottosuolo, ha chiarito l’età millenaria del pianeta? Se è vero che la scienza dei teologi cattolici gode il dono di essere messa a parte dei divini segreti, perchè mai allora fino a jeri ha permesso che la parola giorni – che dovrebbe essere un errore di chi scrisse la Genesi sotto dettatura di Dio – seguitasse a generare l’equivoco, e perchè, dico, oculati come sempre, non hanno i teologi cattolici data, fin dal principio, l’interpretazione «scientifica» che ne danno oggi? E d’altra parte, come può concepirsi una Rivelazione, nel senso in cui l’intendono i cattolici, la quale ha bisogno di tempo in tempo di rattoppamenti e compromessi per sostenersi? Si vorrà dai cattolici ammettere che Dio abbia deliberatamente, ad arte, sparso un pizzico di inverosimiglianza nei particolari del racconto biblico, per averne pretesto di provocare l’umana incredulità, e così, com’è suo piacevole costume, «indurire il cuore degli uomini» e inviarli a casa del diavolo? Perchè (il lettore non lo ignora) ben altre impossibilità, dopo quella addietro confutata dell’età dell’uomo, sono consacrate nel racconto ebraico.

È possibile infatti quel che il compilatore della Genesi dà per frumento secco, che cioè le piante siano state create nel terzo giorno, vale a dire prima del sole, della luna e delle stelle, le quali apparvero nel quarto?

A tale proposito le smentite dei naturalisti sono addirittura categoriche. Il lettore sa benissimo come vi siano molte piante le quali non danno semi senza l’intervento degli insetti.

Ciò premesso, come non si sarebbero estinte dette piante se la Genesi fa creare gli insetti nel quinto o sesto giorno? Altro esempio: noi sappiamo che gli animali domestici discesero da forme selvaggie. Ebbene: a stare alla lettera della Genesi, detti animali costituiscono una creazione diretta.

Nel sesto giorno «Iddio fece le fiere della terra, secondo le loro specie; e gli animali domestici secondo le loro specie».

E come d’altra parte potevano esservi sulla terra animali domestici, se l’uomo che li ha addomesticati era ancora in mente Dei? E che dire della precedenza che la Genesi accorda alla comparsa degli uccelli su quella dei rettili e delle balene considerate come pesci?

Talchè, concludendo con le parole di un nostro insigne naturalista e filosofo, le idee esposte nella Genesi «appariscono l’espressione naturale del nostro meccanismo psicologico». È nella natura umana «di personificare le cause ignote e di attribuire l’origine delle cose a degli esseri divini».

La teoria della Creazione, nel modo che abbiamo rilevato altrove, non spiega, «taglia il nodo anzi che scioglierlo. Se noi domandassimo a un fisico una spiegazione sull’origine del lampo, ed egli ci dicesse che Dio lo produce, ben pochi potrebbero astenersi dal sorridere a tale risposta; nè i fisiologi si arrestano alla mistica credenza di Avicenna, secondo cui il parto avviene a tempo stabilito per la grazia di Dio; ma studiano, osservano e fanno esperimenti per trovare la causa del parto, ed in mancanza di risultati certi, mettono innanzi delle ipotesi più o meno plausibili, come fecero il Brown-Séquard, il dott. Tommaso May e più recentemente il dott. Marcellino Maggia» (Canestrini)

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