CAPITOLO IV. LE PROVE EMBRIOLOGICHE.

(LA LEGGE DI HÄCKEL.)

Quella del resto, fra le discipline biologiche, la quale ha portato il maggior contributo alla questione dell’origine dell’uomo e che, come tale, ha dato, si può dire, il colpo di grazia alle opinioni tradizionali, è senza dubbio l’Embriologia .

Che cosa ha messo in luce, che cosa ha dunque portato di decisivo sulla bilancia l’embriologia? Lo esprimono con molta chiarezza, concisamente, queste parole del chiarissimo prof. Cattaneo: «Le forme per cui passa l’individuo dallo stadio di uovo allo stadio di neonato, si succedono con lo stesso ordine cronologico che le forme che si trovano negli strati terrestri, dai più antichi venendo ai più recenti, ossia si succedono con lo stesso ordine che le forme per cui è presumibile che passassero lentamente gli antenati dell’individuo stesso, dalla forma plastidulare o monerica all’attuale

Ma veniamo al concreto.

La forma primordiale che assume qualunque organismo all’esordio della sua formazione è qualche cosa di indistinto, di rudimentale ed assai differente dalla forma che lo stesso organismo dovrà poi assumere giunto che sia al proprio completo sviluppo. Gli è partendo da questo punto iniziale, traverso una serie di successive modificazioni – oggidì ben conosciute dagli scienziati – che gli organismi si formano e nascono con la particolare fisonomia e coi particolari caratteri della loro specie. Orbene, per tutti gli esseri viventi, piante o animali, alquanto elevati nella serie, «il primo stadio consiste nella formazione di un uovo o cellula germinale», uovo il quale «ne’ suoi caratteri essenziali è uguale a tutto quanto il mondo organico, talchè vi si può notare qualche leggiera differenza nella forma, grandezza, colore, ecc.»

Com’è noto, fino a Wolf si credeva che l’uovo contenesse un essere organizzato, benchè microscopico, nondimeno rappresentante a perfezione la forma del futuro animale; quest’opinione dominò molto tempo e data, si può dire, da jeri, per merito principalmente di Oken, Meckel, Baer, Häckel, Büchner, se, sfatata nel campo scientifico, è stata sostituita dalla teoria dello sviluppo evolutivo dell’embrione, il quale riassume, per così esprimerci, gli stadi di sviluppo della specie a cui appartiene (Legge di Häckel). Invero, se gettiamo uno sguardo agli embrioni di diversi gruppi di mammiferi – l’uomo incluso – noi restiamo meravigliati di constatare come non soltanto all’esordio, ma fino a un periodo inoltrato della vita embrionaria, il processo di formazione sia quasi identico per tutti. In ogni loro parte i feti presentano rimarchevoli analogie non pur nelle forme esterne ma – che più interessa – negli organi principali, qualunque debba essere la forma definitiva di ciascuno. Gli è infatti a misura che il feto s’avvicina al tipo della propria specie, alla nascita, che si accentuano le divergenze, e, cosa degna di nota, scrive Büchner, «quanto più gli animali dovranno rassomigliarsi nell’età adulta, tanto meglio persiste la loro analogia...» Al contrario «le forme embrionarie più prestamente differiscono quanto più le forme future alle quali esse preludiano dovranno essere differenti». Per chiarirci con qualche esempio, «gli embrioni del serpente e della lucertola, specie che sono relativamente vicine, si rassomigliano per un tempo maggiore di quello in cui perdura la rassomiglianza di un serpente o di un uccello, i cui tipi sono molto più lontani tra di loro. Nella stessa guisa e per le medesime cause, gli embrioni di un cane e di un gatto maggiormente perdurano nella loro analogia, di quelli di un cane e di un uccello, o di un cane e di un marsupiale, ecc.» Notevole a questo proposito il caso toccato al celebre embriologo, prof. Agassiz, il quale, avendo un giorno dimenticato di porre il polizzino sopra un embrione, fu poi incapace di dire se esso fosse di mammifero, di uccello o di rettile... All’inizio della loro formazione gli embrioni si rassomigliano, come addietro dicemmo, straordinariamente, al punto che spesse volte la differenza di volume costituisce l’unico carattere per cui possonsi distinguere...

Che cosa domandano dunque di più gli spiritualisti per convenire col darvinismo allorchè questo afferma l’identità di origine e formazione, e sovratutto la stretta parentela di tutti gli animali? E poichè l’uomo non nasce con un processo essenzialmente diverso da quello che si osserva negli animali inferiori, il cane, la rana, il pesce, si dovrà nondimeno ostinatamente negare l’affinità d’origine e di natura onde, come il darwinismo sostiene, è legato agli animali inferiori?

Io non mi indugierò a illustrare ne’ suoi particolari le fasi dello sviluppo embrionale umano, il quale ripete per tanta parte le fasi dello sviluppo embrionale degli animali. Torna qui opportuna l’osservazione di Giebel: «Al principio della vita embrionaria, quando l’embrione d’altro ancora non si compone che del solco primitivo e della corda dorsale, nessuna osservazione, per quanto sia accurata, può far distinguere l’embrione umano da quello di un vertebrato qualsiasi, fosse questo di mammifero, di uccello, lucertola o carpione.» È tanta l’analogia che gli embrioni presentano non solo nei primi giorni, ma altresì nelle prime settimane del loro sviluppo, che il naturalista trovasi imbarazzato a discernere la mano dell’uomo dalla zampa del cane o dall’ala della gallina... Lo stesso accade per la gamba dell’uomo e la zampa dell’uccello, i membri anteriori del cane e quelli della tartaruga. E che dire della presenza della coda nei primissimi stadî del periodo embrionario dell’uomo, e della sua progressiva riduzione verso la sesta o settima settimana, sino a che scompare del tutto, o meglio si atrofizza per persistere sotto forma di vertebre caudali, a testimoniare si direbbe quasi la tanto combattuta e spregiata origine animalesca dell’uomo?. Secondo Häckel questa coda umana atrofizzata costituisce «una testimonianza inconfutabile, la quale attesta che l’uomo discende da antenati provvisti di coda».

Come ben scrive il prof. G. Cattaneo nel giovanile, brillante volume addietro citato, «lo schema dello sviluppo è per tutti uguale; si passa da uno stadio più semplice a uno più complesso, precisamente come nella classificazione ascendente, o nella successione paleontologica. Alcuni, i superiori, arrivano fino a un certo stadio, altri si fermano prima, e così quelle forme che sono permanenti negli animali più semplici, sono invece transitorie nei più complessi...» È così che si spiega come nello sviluppo embrionale, poniamo di un mammifero, «lo stadio di gashula precede quello di verme, e questo quello di pesce, e questo quello di amniota, precisamente come nella serie paleontologica». Si ripete, insomma, nel breve periodo di nove mesi nell’alveo materno tutta la serie delle grandi fasi evolutive della vita animale, per le quali, via via elevandosi, gli organismi sono saliti al grado della umana specie. Nello sviluppo embrionale si ripete in breve quell’evoluzione di forme che si compì sulla terra sotto l’azione delle cause naturali durante molti secoli...

Se ciò è, come non vedervi una prova della verità del darvinismo? «Che cosa vogliono dire infatti, si domanda acutamente Enrico Morselli, queste rassomiglianze temporanee e di più in più ristrette, se non una parentela primordiale e una differenziazione progressiva di tutti gli organismi? La subordinazione delle specie, dei generi, degli ordini e delle classi non è se non un risultato della comunità primitiva della natura, della divergenza e ridivergenza continua degli embrioni.» Come spiegare infatti se non con la dottrina evoluzionista, non dico l’identità primordiale degli embrioni rivelata da Baer, ma, limitandoci all’embrione umano, la costui primitiva differenziazione dagli embrioni vegetali, poscia dagli embrioni invertebrati, a misura che assume i caratteri dei mammiferi, in seguito dei mammiferi placentati, e da ultimo, solo da ultimo, quelli proprî della specie umana? Di guisa che quello sviluppo embriologico, il quale non offre nessun interesse al naturalista empirico, quello sviluppo embriologico, diciamo, che, o lascia indifferente, o imbarazza e perciò infastidisce lo spiritualista e il teologo, assume invece agli occhi del naturalista darwiniano, tutta l’importanza che gli è propria e sto per dire tutta la solennità di una storia della specie. Come scrive G. Cattaneo, con le cui brillanti parole amo chiudere questo capitolo, «il biologo può, nell’intima compagine anatomica, leggere la storia di un organismo, non meno che il geologo possa leggere negli strati terrestri... la storia della terra...»

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