CAPITOLO III Irradiazione e costituzione del sole

Per l’addietro e anche in questi ultimi secoli fu vivamente discussa la questione, fino a qual punto sia assicurata la posizione della terra entro il sistema solare. Si potrebbe da un lato imaginare che la distanza della terra dal sole aumenti o diminuisca; o d’altro lato che cessi la rotazione attorno al suo asse; giungesse una di queste eventualità ad un grado un po’ più alto, e l’esistenza della vita sulla terra sarebbe minacciata. Il problema della stabilità del sistema solare fu discusso dagli astronomi; i loro mecenati assegnarono alti premi per una felice soluzione della questione. Se il sistema solare consistesse soltanto del sole e della terra, la sua durata sarebbe assicurata all’infinito. Ma gli altri pianeti esercitano una, per quanto debole, azione sul movimento della terra. Che questa azione sia così insignificante, risulta da ciò che la massa totale dei pianeti costituisce soltanto 1/750 di quella del sole, e anche da ciò che essi si muovono attorno al sole, come centro, seguendo orbite pressochè circolari, e quindi non possono mai avvicinarsi troppo l’un l’altro. I calcoli degli astronomi mostrano che le perturbazioni sono anche solo periodiche e con lunghi periodi da 50000 a 2000000 di anni, sicchè l’azione totale si limita ad una oscillazione insignificante delle orbite dei pianeti attorno ad una posizione media.

A questo riguardo dunque tutto va per la meglio. Ma ci sono altri corpi celesti, le cui orbite attorno al sole sono in gran parte sconosciute, ma certo non sono circolari, e sono le comete. La paura di una collisione con uno di questi corpi occupò anche vivamente i pensatori del secolo scorso . Frattanto la pratica dimostrò che collisioni tra la terra e le comete non hanno conseguenze gravi. La terra fu attraversata parecchie volte, come nel 1819 e nel 1861, da code di comete, senza che questo fosse notato altro che pei calcoli degli astronomi. Una volta in una tale circostanza si credette di osservare una luce simile all’aurora boreale. Quando la terra si avvicinò alle parti più dense di una cometa, queste piovvero giù sulla terra sotto forma di stelle filanti, senza causare danni degni di nota. Questo proviene dalla debole massa delle comete, che non può turbare il cammino dei pianeti in modo percettibile.

Per quanto infine concerne la rotazione della terra attorno al suo asse, essa verrebbe lentamente diminuita per la marea, poichè questa agisce sulla superficie terrestre come un freno. Quest’azione è però così debole, che gli astronomi non poterono nel tempo storico constatarla. Il lento restringimento della terra agisce anche un poco contro ad essa. Laplace credette di poter dedurre dalle osservazioni antiche sulle eclissi solari, che la lunghezza del giorno dall’anno 729 avanti Cristo non variò di un centesimo di secondo.

Noi sappiamo poi che il sole, accompagnato dai suoi pianeti, si muove nello spazio celeste verso la costellazione della Lira, con la velocità vertiginosa per le nostre idee terrestri di 20 km. al secondo. In questa marcia i corpi celesti del sistema solare potrebbero urtare contro un corpo celeste a noi sconosciuto. Ma poichè i corpi celesti sono disseminati a grandi distanze, noi possiamo arguire che passeranno molti bilioni di anni, prima che succeda una catastrofe simile.

Nei rapporti meccanici sembra, per quanto concerne il nostro pianeta, tutto ben disposto. Ma dacchè la moderna teoria del calore fece il suo ingresso trionfale nelle scienze naturali, lo stato delle cose non fu più così. Si capì che ogni forma di vita e ogni movimento sulla terra dipendono dalla radiazione solare. Soltanto il movimento ondulatorio della marea costituisce una eccezione d’assai scarsa importanza. Si può dunque domandare: la provvista d’energia del sole che non va puramente ai pianeti, ma in molto maggior parte va dissipata in regioni sconosciute dello spazio freddo, avrà essa una fine, e con essa finiranno ogni gioia e ogni pena della vita terrestre? Lo stato delle cose pare tanto più disperato, che su 2300 milioni di partidella radiazione solare soltanto una parte va a profitto della terra, e dieci volte tanto a profitto di tutto il sistema planetario con le sue lune. La radiazione solare è così intensa, che ogni grammo della massa solare perde due calorie all’anno. Se quindi il sole avesse un calore specifico alto come quello dell’acqua, che è molto superiore alla maggior parte dei corpi, la temperatura del sole calerebbe ogni anno di due gradi. Poichè la temperatura del sole (nelle sue parti esterne) fu valutata a 6000-7000°, esso avrebbe dovuto già raffreddarsi nel tempo storico completamente. Anche se l’interno del sole probabilmente ha una temperatura molto maggiore delle parti esterne da noi osservate, si potrebbe nondimeno aspettarsi che la sua temperatura e la sua irradiazione avessero notevolmente diminuito nel tempo storico. Ma pare che tutti i documenti dell’antica Babilonia e dell’Egitto provino che il clima al principio dei tempi storici fosse in quei paesi press’a poco come ora, e che quindi il sole risplendesse sopra i più antichi uomini colti nello stesso modo, come ora manda i suoi raggi sui loro successori.

Perciò si suppone spesso che il sole non abbia soltanto nel suo bilancio una pagina delle uscite, ma anche una pagina delle entrata quasidi altrettanta entità. Il medicotedesco Mayer, cui spetta il merito immortale di avere espresso per primo l’idea della dipendenza tra il calore e il lavoro meccanico, rivolse la sua attenzione anche alla economia termica del sole. Egli suppose che sciami di meteoriti, precipitando sul sole con enorme velocità (oltre 600 km. al secondo), si fermino, producendo calore (circa 45 milioni di calorie per ogni grammo di meteoriti). Un po’ per volta verrebbe il momento anche dei pianeti, che col sacrificio della loro esistenza conserverebbero ancora per qualche tempo la scintilla spegnentesi del sole. Il sole dunque, come dice la leggenda di Saturno, divorerebbe i suoi figli per sostentare la propria vita. Quanto piccolo sarebbe il vantaggio così guadagnato, risulta da ciò che la caduta della terra sul sole non potrebbe conservare l’emissione di calore per un secolo intero. Di più i meteoriti che volerebbero sul sole da tutte le parti quasi uniformemente, avrebbero posto fine già da lungo tempo alla rotazione del sole attorno al suo asse. Inoltre in conseguenza dell’aumento della massa e conseguente aumento dell’attrazione solare , la lunghezza dell’anno dovrebbe diminuire di circa 2,8 secondi per anno, ciò che contraddice completamente alle osservazioni degli astronomi. Inoltre secondo l’ipotesi di Mayer una corrispondente quantità di meteoriti dovrebbe cadere anche sulla terra, e conservare la sua superficie ad una temperatura di circa 800° (secondo dati che sono riportati nel quarto capitolo). Quest’opinione è dunque errata.

Bisogna trovare un’altra via d’uscita. Helmholtz, come Mayer uno dei più eminenti investigatori nel campo della teoria meccanica del calore, pensò che, invece di meteoriti estranei, le parti stesse del sole s’assumano di cadere verso il centro, o in altre parole che il sole si contragga e che se ne sviluppi una grande quantità di calore, per l’alto valore della gravitazione (27,4 volte più grande chealla superficie de lla terra). Helmholtz calcolò che per coprire il dispendio di calore del sole sarebbe necessario un accorciamento di 60 m. all’anno nel suo diametro. Se il diametro solare si accorciasse di un centesimo per cento, ciò che noi non potremmo affatto constatare, la perdita di calore ne sarebbe coperta per più di 2000 anni. Ciò sembra assai soddisfacente. Ma se si procede ulteriormente nel calcolo, si trova che, se il sole perde annualmente nel corso di 17 milioni di anni tanto calore quanto ne perde ora, esso in questo tempo dovrebbe restringersi ad un quarto del suo attuale volume, per cui acquisterebbe circa la stessa densità della terra. Molto prima la radiazione solare dovrebbe scemare tanto fortemente, che non potrebbe conservare la superficie terrestre sopra la temperatura di 0°. Helmholtz abbassò quindi la durata ulteriore della vita terrestre in cifra tonda a sei milioni di anni. Quest’è meno soddisfacente. Ma non sappiamo nulla dell’avvenire e dobbiamo accontentarci di possibilità. Però c’è dell’altro, se continuiamo il calcolo aiutandoci con l’ipotesi in parola. Secondo Helmholtz, e secondo i dati usati da esso, uno stato di cose come l’attuale non può aver esistito più a lungo di circa dieci milioni d’anni. Ora poichè i geologi vengono alla conclusione che gli strati terrestri contenenti fossili abbisognarono di almeno cento milioni, e probabilmente di mille milioni d’anni per formarsi, e poichè probabilmente le formazioni ancora più antiche (le così dette precambriche) furono deposte in periodi di tempo altrettanto se non più lunghi ancora, così vediamo quanto poco soddisfacente sia l’ipotesi di Helmholtz.

Alcuni investigatori credono d’aver trovata una via d’uscita assai naturale da questo dilemma. Si sa che un grammo della meravigliosa sostanza che si chiama radio cede circa 120 calorie all’ora, o in un anno in cifra tonda un milione di calorie. Quest’emissione pare rimanga invariata per molti anni. Se si suppone che ogni chilogrammo della massa solare contenga solo due milligrammi di radio, questo basta per coprire in eterno il dispendio termico del sole. Senza ulteriori ipotesi ausiliarie, possiamo scartare una simile opinione. Essa presuppone che il calore sia creato dal nulla. Alcuni credono nondimeno che il radio, in una maniera a noi sconosciuta, assorba una radiazione proveniente dallo spazio e poi la trasformi in calore. Ma prima d’impegnarsi seriamente nella discussione di una tale spiegazione, bisogna rispondere alla domanda da dove provenga questa radiazione, e dove prenda la sua provvista d’energia.

Dobbiamo quindi ricercare un’altra sorgente per coprire il dispendio termico del sole. Ma prima che possiamo trovarla, dobbiamo studiare un poco il sole stesso.

Tutti vanno d’accordo su ciò che il sole è fatto come le migliaia di stelle luminose che osserviamo in cielo. Secondo il colore della luce emessa, esse si distinguono in stelle bianche, gialle, rosse. La differenza nella loro luce spicca ancor più distintamente, se si esaminano allo spettroscopio. Le stelle bianche contengono in modo del tutto preponderante elio o idrogeno, (le stelle contenenti elio contengono anche ossigeno); i metalli vi si trovano in quantità relativamente scarsa, ma esercitano in contraccambio una parte principale negli spettri delle stelle gialle, in cui anche sono visibili alcune bande spettrali. Negli spettri delle stelle rosse si trovano molte bande spettrali, che significano che nelle loro parti esteriori si trovano dei composti chimici. Come tutti sanno, un filo di platino o il filamento di carbone di una lampada a incandescenza che vien reso incandescente mediante la corrente elettrica, diventa dapprima per una corrente debole rosso, poi per una corrente più intensa giallastro, e infine, se l’intensità cresce, sempre più bianco. Contemporaneamente anche la temperatura viene accresciuta. Con l’aiuto quindi del colore d’incandescenza si può assegnare la temperatura. Così si conosce la lunghezza d’onda della luce pel colore che ha la più intensa azione termica nello spettro (propriamente nello spettro normale) della stella, è facile calcolare la temperatura della stella seguendo una legge posta da Wien. Basta dividere il numero 2,89 per la detta lunghezza d’onda espressa in millimetri, e si ottiene la temperatura assoluta della stella; se poi se ne sottrae 273°, si ottiene la temperatura espressa alla maniera consueta in gradi Celsius. Per il sole il massimo potere calorifico si trova ad una lunghezza d’onda di 0,00055 (nel giallo verdastro). Quindi si calcola la temperatura assoluta dello strato solare irraggiante, della così detta fotosfera, a 5255 gradi, corrispondenti a circa 5000° C. Però l’atmosfera terrestre ha un’azione di indebolimento sulla luce solare, e cagiona anche una deviazione nella posizione del massimo nello spettro. Lo stesso vale per l’atmosfera propria del sole, sicchè la temperatura è più alta di 5000°. Dalla irradiazione solare con l’aiuto della legge di Stefan si calcolò la temperatura del sole a circa 6200°, corrispondenti ad una lunghezza d’onda di circa 0,00045 mm. La correzione, come si vede, è assai rilevante. Circa la metà proviene dall’atmosfera del sole, il resto da quella della terra. Un astronomo Ungherese, Harkányi, determinò in questo modo la temperatura di parecchie stello bianche (Vega e Sirio), e la trovò superiore di circa 1000° a quella del sole; la stella rossa Betelgosa, la più luminosa nella costellazione di Orione, deve avere per contro una temperatura inferiore a quella del sole di 2500° circa.

Si deve espressamente notare, che, nel fare questa valutazione, per temperatura di una stella in questo caso si intende la temperatura di un corpo raggiante, che mandi altrettanta luce di quella che viene a noi dalla stella. Ma la luce stellare subisce forti variazioni prima di giungeresulla terra. Come si è osservato per stelle nuove, una stella può essere attorniata da una nube di polvere cosmica, che assorbe i raggi azzurri, mentre lascia passare i rossi. La stella quindi pare abbia una luce meno candida che se la nube non esistesse. Ne segue che la temperatura viene valutata più bassa, di quello che non sia in realtà. Per le stelle rosse si osservò anche il presentarsi di bande nel loro spettro, che indicano la presenza di combinazioni chimiche. Le più interessanti fra queste sono le combinazioni di cianogeno e carbonio con — probabilmente — idrogeno, analoghe a quelle che compaiono nello spettro delle fiamme a gas osservate da Swan e chiamate col suo nome. Si credette un tempo che la presenza di questi composti significhi temperature più basse, ma, come vedremo più sotto, ciò non è affatto sicuro. Hale osservò, in eclissi solari, che proprio le stesse combinazioni si trovano immediatamente sopra le nubi luminose del sole; probabilmente sono in maggior quantità al di sotto delle nubi, ove la temperatura senza dubbio è più alta, che al di sopra.

Come anche può essere, abbiamo ragione di credere che il sole, ora giallo, una volta fosse una stella bianca, come Sirio; che si raffreddò un po’ per volta fino ad acquistare il suo aspetto attuale, e un tempo rilucerà di luce rossa, come Betelgosa. Esso irraggerà solo un settimo del calore, che ora manda nello spazio, ed è molto probabile che la terra molto tempo prima si sarà trasformata in un deserto di ghiaccio.

Come dicemmo sopra, tanto l’atmosfera terrestre che la solare esercitano un forte assorbimento sopra i raggi solari, e specialmente sulle parti azzurre e violette della luce solare. Ne proviene che la luce solare di sera pare più rossa che a mezzogiorno, perchè nel primo caso deve attraversare uno spesso strato d’aria, che assorbe la luce azzurra. Per la stessa ragione ad un esame spettroscopico il lembo appare più rosso che il centro del sole. Questo indebolimento di luce proviene dalla sottile polvere delle due atmosfere. Se forti eruzioni vulcaniche, come quelle del Krakatoa nel 1883 e del Monte Pélée nel 1902, riempiono l’atmosfera di una sottile polvere vulcanica, la luce solare quando il sole è basso viene fortemente arrossata, ciò che provoca la così detta «luce rossa».

Se esaminiamo una imagine solare che sia formata sopra uno schermo per mezzo d’una lente o d’un sistema di lenti, troviamo spesso sopra il disco solare luminoso un cumulo di macchie caratteristiche. Queste macchie eccitarono già l’attenzione di Galileo, e furono contemporaneamente scoperte da lui, da Fabricius e da Scheiner (1610-1611). Esse formano da quel tempo il soggetto più osservato sul sole; si misurarono accuratamente il loro numero e la loro grandezza, e si combinarono queste due quantità nei così detti numeri delle macchie solari. Questi numeri mutano d’anno in anno assai irregolarmente con periodi lunghi in media anni 11,1. Le macchie appaiono in due fascie sul sole, e si muovono nel corso di circa 13-14 giorni sul disco solare. Talvolta appaiono di nuovo dopo 13-14 giorni. Si suppone quindi che esse giacciano relativamente ferme sulla superficie solare, e che il sole ruoti in circa 27 giorni attorno al suo asse (sicchè dopo questo tempo, detto periodo sinodico, gli stessi punti vengono a ritrovarsi di fronte alla terra). Il grande interesse che noi nutriamo per le macchie solari proviene da ciò che contemporaneamente ad esse variano diversi fenomeni terrestri, che raggiungono i loro massimi contemporaneamente ad esso; e sono in primo luogo le aurore polari e le variazioni magnetiche: in minor misura le nubi cirrose e le variazioni di temperatura, come parecchi altri fenomeni meteorologici (cfr. cap. V).

Attorno alle macchie si scorgono le così dette facole, parti che sono molto più splendenti delle regioni vicine. Se si esamina accuratamente una imagine fortemente ingrandita del sole, si trova che ha un aspetto granuloso (fig. 18 [pag. 90]); Langley lo paragona ad un panno grigio biancastro ricoperto di fiocchi di neve. Le parti meno luminose sono chiamate «pori», le più lucenti «granuli». Tutti sono d’accordo su ciò che i granuli corrispondano a nubi, che si formano come le nubi della atmosfera terrestre alla sommità di correnti convettive ascendenti. Mentre le nubi terrestri sono formate di gocce d’acqua o di cristalli di ghiaccio, i «granuli»constano probabilmente di fuliggine, cioè di carbonio condensato, e di gocce di metalli, p. es. di ferro. Il più piccolo granulo che si può vedere,ha un diametro di circa 200 km.

Le facole consistono di masse di nubi straordinariamente grandi, sostenute da forti correnti ascendenti ampiamente estese, che corrispondono ai cicloni terrestri. Le macchie invece corrispondono a masse gassose discendenti con temperature crescenti, che quindi sono «secche», e non contengono affatto nubi, proprio come gli anticicloni terrestri. Mediante questi fori nelle pareti nuvolose del sole si può penetrare con lo sguardo un po’ piùaddentro nella gigantesca massa gassosa, e si ha un’idea della situazione nelle parti più profonde del sole. Però naturalmente la profondità della parete di nubi non è molto grande di fronte al raggio solare.

La migliore nozione sulla natura delle diverse parti del sole si ha mediante lo studio dei loro spettri. Questi ci insegnano non solo di quali elementi esse sono composte, ma anche con quale velocità si spostano. A questo modo si apprese che sopra le nubi solari luminose, che irraggiano verso di noi, si trovano delle grandi masse gassose che contengono la massima parte degli elementi della terra. Specialmente vi si trovano ferro, magnesio, calcio, sodio, elio e idrogeno. Questi ultimi elementi, che sono i più leggeri, si presentano specialmente negli strati più esterni dell’atmosfera. Questa atmosfera solare diventa visibile quando nelle eclissi solari il disco lunare arrivi a coprire le nubi fortemente luminose nella così detta fotosfera. In causa del suo forte contenuto d’idrogeno, l’atmosfera risplende di solito del colore purpureo caratteristico di questo elemento. Per ciò questo strato gassoso è chiamato cromosfera (dal greco χρϖμα– colore) ed ha da 7000 a 9000 km. di spessore. Sopra ad essa salgono tutt’attorno raggi di fuoco, come da prati steli d’erba, con cui fu paragonato il loro aspetto (fig. 20-23[pagg. 93 e95]).

Se queste fiamme salgono più alte, sopra i 15000 km., si chiamano protuberanze. La loro quantità, comela loro altezza, cresce col numero delle macchie solari. Esse si distinguono in protuberanze metalliche e tranquille. Le prime si distinguono per movimenti straordinariamente impetuosi, come appare dalle figure 20 e 21 [pag. 93], e contengono gran di quantità d i vapori metallici. Esse si presentano soltanto nelle fascie di macchie solari, che sono specialmente accentuate a 20° circa di distanza dall’equatore solare. Il loro movimento è così impetuoso, che spesso raggiunge parecchie centinaia di km. al secondo. L’Ungherese Fényi osservò anzi il 15 luglio 1895 una protuberanza, la cui massima velocità lungo il raggio visuale (misurata spettroscopicamente) ascendeva a 860 km., e la cui massima velocità in direzione perpendicolare raggiungeva gli 840 km. al secondo. Questa velocità colossale contrassegna le parti più alte, mentre le parti più basse, che sono le più dense e contengono in massima parte vapori metallici, sono meno mobili, com’è naturale. La loro altezza sulla superficie del sole può raggiungere valori grandissimi; la stessa cosa vale anche per le protuberanze tranquille. La protuberanza sopraccennata del 15 luglio 1895 raggiunse 500000 km. di altezza, e Langley ne osservò (7 ottobre 1880) una dell’altezza di 560000 km., la cui sommitàdunque raggiungeva press’a poco l’altezza d’un raggio del sole (690000 km.) sopra l’orlo della fotosfera. La loro altezza media è di circa 40000 km. Il fatto che si possiede una statistica così ricca delle protuberanze, proviene da ciò che, mentre dalla scoperta fatta da Lector Vassenius di Gothenburg (1733) fino all’anno 1868 essi si potevano osservare soltanto nelle eclissi totali di sole, nel detto anno si imparò ad osservarle con l’aiuto dello spettroscopio in piena luce solare (Lockyer e Janssen).

Le protuberanze tranquille constano quasi esclusivamente di idrogeno ed elio; talvolta contengono traccie di gas metallici. Assomigliano di solito a nubi librantisi tranquillamente nell’atmosfera solare, o a masse di fumo, uscenti da un fumaiolo. Esse possono presentarsi ovunque sul sole, e la loro stabilità è tale, che si possono osservare talvolta durante un’intera rotazione solare (circa 40 giorni) purchè si trovino in vicinanza ai poli, sicchè si possono osservare continuamente al di fuori del lembo del sole. Le figure 22-23 [pag. 95] mostranoalcune di queste protuberanze secondo Young.

Talvolta nelle protuberanze si vede la materia ricadere sulla superficie del sole, tra le fiamme più piccole paragonate a fili d’erba (fig. 21 [pag. 93]); manella massima parte dei casi sembra che si dissolvano; per la forte irradiazione perdono il loro splendore e non possono più essere osservate. Le protuberanze tranquille, che sembra si librino a 50000 km. e ad altezza ancor superiore, si trovano in uno spazio quasi privo d’aria. Le loro particelle non possono quindi, come gocce d’acqua delle nubi terrestri, essere sostenute dai gas circostanti. Perchè possano conservarsi sospese, devono essere dunque respinte dal sole mediante una forza particolare (pressione di radiazione).

Si possono studiare le facole allo stesso modo come le protuberanze, e ultimamente Deslandres e Hale in particolare si servirono di uno strumento, l’eliografo, costruito espressamente a questo scopo (fig. 26-29 [pag. da 100 a104]). Se le facole si avvicinano al lembo del sole, esse appaiono in relazione ai dintorni particolarmente luminose, ciò che significa che giacciono a grande distanza, e che la loro luce perciò non può essere indebolita dallo strato di vapore sovrapposto. Se raggiungono il lembo del sole, appaiono spesso come innalzamenti della fotosfera. Le nubi che formano queste facole sono sostenute da forti correnti gassose ascendenti, che si estendono all’insù per la diminuzione della pressione gassosa.

Le macchie mostrano molte singolarità nel loro spettro (vedi fig. 24 e 25 [pagg. 98 e99]). Vi si vede in modo particolarmente chiaro la linea dell’elio. Così pure le linee oscure del sodio, che sono molto estese e mostrano nel loro mezzo una linea luminosa (la così detta inversione delle linee). Questo significa che il metallo è distribuito in uno strato profondo. Nella parte rossa dello spettro si trovano delle bande spettrali, proprio come negli spettri delle stelle rosse; queste bande, che con l’aiuto di forti strumenti vengono analizzate in una grande quantità di linee, indicano la presenza di composti chimici. Siccome la macchia è relativamente poco luminosa, il suo spettro appare come un nastro meno chiaro sullo sfondo dello spettro della fotosfera più luminosa. Specialmente la parte violetta dello spettro della macchia è indebolita. Quantunque la macchia appaia manifestamente come un infossamento della fotosfera, e, quando sta all’orlo del sole, sembri spesso formarvi un taglio, si osservò che essa non appare più oscura del margine del sole. Ciò indica che la luce irradiata dalla macchia proviene in massima parte dalle sue parti superiori fredde.

La luce proveniente dalle parti più basse viene evidentemente ed in massima parte assorbita dagli strati sovrapposti. Lemacchie si restringono verso il basso per la compressione dei gas, e si possono quindi osservare le loro pareti nuvolose imbutiformi come «penombre», che appaiono più oscure delle parti circostanti, ma più chiare del così detto nucleo maculare (fig. 25[pag. 99]). L’indebolimento della parte violetta dello spettro dipende probabilmente dalla presenza di sottili particelle di polvere nei gas solari, allo stesso modo del corrispondente indebolimento della parte violetta dello spettro del lembo solare.

Le bande nella parte rossa dello spettro delle macchie provengono probabilmente dalle parti più profonde della macchia, poichè tutte le parti più alte dell’atmosfera solare dànno nello spettro delle linee semplici e sottili. Le bande indicano che alla pressione superiore che domina nelle parti più profonde del sole possono sussistere delle combinazioni chimiche, che invece nelle parti esterne del sole vengono scomposte, e quindi dànno delle linee spettrali, come elementi chimici.

Un gran tratto fuori nell’atmosfera del sole si estende l’enigmatica corona, consistente di raggi che possono estendersi per la lunghezza di parecchi diametri solari all’infuori del disco solare. Non si può osservarla che nelle eclissi totali di sole. Le figure30-32 [pagg. da 105 a108]dànno un’idea di questo meraviglioso fenomeno.

Quando il numero delle macchie solari èdebole, i raggi della corona si estendono come grandi scope dalle parti equatoriali, e i deboli raggi ai poli del sole sono ritorti verso l’equatore, proprio come le linee di forza attorno ai poli di un magnete (fig. 30 [pag. 105]).

Per questa ragione si suppone che il sole agisca come un forte magnete, i cui poli si trovino vicino al poli geografici. Negli anni ricchi di macchie solari la distribuzione dei raggi della corona è più regolare(fig. 31 [pag. 107]).

Per una quantità moderata di macchie solari sembra che un gran numero di raggi provengano dalla vicinanza della fascia massima delle macchie solari, per cui lacorona assume spesso una forma quadrangolare (cfr. fig. 32[pag. 108]).

Ciò vale per la «corona esterna», mentre la parte interna, la così detta «corona interna» diffonde una luce più simmetrica. L’esame spettroscopico mostra che questa viene emanata specialmente da idrogeno o da un gas sconosciuto detto coronio, che si presenta specialmente nelle parti più alte della corona interna. La corona esteriore a raggi dà invece il così detto spettro continuo, ciò che prova che essa emana da particelle solide o liquide. Nello spettro della parte estrema dei raggi della corona si credette di trovare qua e là delle linee oscure, su fondo chiaro, proprio come nello spettro della fotosfera. Si suppone quindi che questa luce sia luce solare riflessa dalla corona esterna, risultante di particelle solide o liquide. Che essa sia riflessa risulta anche dalla circostanza che è parzialmente polarizzata. La disposizione raggiata della corona esterna accenna alla presenza d’una forza (la pressione della radiazione), che respinge le piccole particelle dal centro del sole.

Per quanto concerne la temperatura del sole, abbiamo già visto che i due metodi usati per la sua determinazione fornirono risultati alquanto differenti. Dalla intensità della radiazione Christiansen e poi Warburg calcolarono la temperatura a circa 6000°; Wilson e Gray trovarono pel centro del sole 6200°, che più tardi corressero in 8000°. Per l’assorbimento dell’atmosfera solare (eterrestre) si trovano sempre valori troppo bassi. È questo il caso ancora più per i calcoli eseguiti con l’altro metodo, con impiego di quelle lunghezze d’onda per cui la radiazione termica nello spettro solare è più intensa. Le Chatelier confrontò l’intensità della luce solare filtrata attraverso un vetro rosso, con l’intensità della luce (trattata egualmente) di diverse sorgenti termiche terrestri con temperaturain qualche modo conosciuta. Egli valutò così la temperatura del sole a 7600°. Ipiù vanno d’accordo nel calcolare con 6500 gradi di temperatura assoluta, pari a circa 6200°. È questa quella che si chiama la «temperatura effettiva» del sole. Se la radiazione solare non fosse assorbita, questa temperatura corrisponderebbe a quella delle nubi della fotosfera. Poichè la luce rossa viene assorbita relativamente poco, il valore di Le Chatelier di 7600° e quello quasi coincidente di Wilson e Gray di 8000° dovrebbero fornire press’a poco la temperatura media delle parti esterne delle nubi della fotosfera. La temperatura più alta delle facole è manifesta dalla loro maggiore intensità luminosa, che però in parte dipende dalla loro maggiore altezza. Carrington e Hodgson il 1.° settembre 1859 videro prorompere dal margine di una macchia solare due facole. Il loro splendore era cinque o sei volte maggiore di quello delle parti circostanti della fotosfera. Ciò corrisponde ad una temperatura di circa 10000-12000°. Quindi èchiaro che gli strati solari più profondi, che con ciò proruppero, avevano una temperatura più alta, cosa che del resto potrebbe essere abbastanza evidente, poichè il sole verso l’esterno perde calore.

È noto che la temperatura dell’aria atmosferica con l’altezza diminuisce, pel movimento dell’aria. Una massa d’aria discendente è compressa dalla pressione aumentata a cui viene esposta, e la sua temperatura quindi sale, proprio come la temperatura nell’acciarino pneumatico, se il pistone viene compresso. Se l’aria fosse asciutta e in forte movimento, la sua temperatura varierebbe di 10° per km.; se stesse ferma, prenderebbe invece una temperatura quasi uniforme, cioè la temperatura verso l’alto non decrescerebbe. In realtà si trova un valore che giace quasi in mezzo a questi due estremi. Poichè la gravitazione nella fotosfera del sole è 27,4 volte maggiore che alla superficie terrestre, così si può calcolare che, se l’aria sul sole fosse altrettanto densa che sulla terra, la temperatura con l’altezza varierebbe lì 27,4 volte di più che sulla terra, cioè di 270° circa per km., se si trovasse in forte movimento. Ora la parte esterna dell’atmosfera solare è realmente in violento movimento, sicchè quest’ultima ipotesi potrebbe essere giusta. Ma questa parte consiste principalmente di idrogeno, che è 29 volte più leggero dell’aria terrestre. Noi dobbiamo quindi impiccolire di 29 volte il valore or ora calcolato. In altre parole, l’abbassamento per km. ammonterebbe a 9° circa. Però la radiazione è assai forte e tende ad eguagliare le condizioni, sicchè 9° per km. è senza dubbio un valore troppo alto. Di più entro al sole i gas sono molto più pesanti, ma già ad una piccola profondità sono così fortemente compressi dagli strati sovrapposti, che la loro comprimibilità è molto debole, e così il calcolo or ora esposto perde il suo valore. In ogni modo la temperatura nel sole cresce sempre più, quanto più ci si avvicini al centro. Supponiamo l’aumento di temperatura per km. eguale al valore sopra calcolato, cioè a circa 9° per km. — nella crosta terrestre solida esso è tre volte più grande — otterremo pel centro del sole una temperatura superiore ai sei milioni di gradi.

Tutti i corpi fondono e vengono ridotti allo stato aeriforme, se la temperatura viene innalzata. Se questo innalzamento va oltre una certa temperatura, la così detta temperatura critica, non si può più condensare il corpo allo stato liquido, per quanto alta pressione si adoperi, ed esso esiste solo allo stato gassoso. Questa temperatura, calcolata da – 273°, è alta quasi una volta e mezzo la temperatura di ebollizione del corpo alla pressione atmosferica. Per quanto si può giudicare secondo la nostra esperienza terrestre, non è probabile che la temperatura critica di un corpo qualunque raggiunga valori più alti di circa 10000-12000°, cioè di quei valori massimi che furono calcolati per le facole solari. Le parti interne del sole devono essere quindi allo stato di gas, e il sole intero dev’essere una massa di gas fortemente compressa d’una temperatura elevatissima, la quale per l’altezza della pressione ha un peso specifico 1.4 volte più grande che l’acqua, e quindi sotto certi aspetti assomiglia ad un liquido. È per esempio assai vischiosa, e da ciò dipende la stabilità relativamente grande delle macchie solari. (Una macchia si conservò un anno e mezzo, 1840-1841). Il sole è dunque una sfera di gas, nelle cui parti esterne vengono formate alcune condensazioni a guisa di nubi, per l’irradiazione e pei movimenti ascendenti delle masse gassose. Si calcolò la pressione nella fotosfera, cioè dove queste nubi stanno sospese, a 5-6 atmosfere in media, che, data la grande forza di gravitazione, corrisponde ad uno strato gassoso sovrapposto che non supera il quinto dell’atmosfera terrestre. Press’a poco ed altezza corrispondente (11500 m.) stanno sospesi nell’atmosfera terrestre i più alti cirri, con cui si possono confrontare sotto molti rispetti le nubi della fotosfera solare.

Ritorniamo ora alla questione rimasta insoluta, da dove il sole prenda il compenso per l’energia irraggiata continuamente nello spazio. Le più forti sorgenti di calore che conosciamo sono le trasformazioni chimiche; quella che si usa di più nella vita quotidiana è la combustione del carbone. Se si abbrucia un grammo di carbonio, esso fornisce circa 800 calorie. Se il sole quindi consistesse di carbonio puro, che fosse bruciato, la sua energia non arriverebbe più in là di circa 4000 anni. Non è da meravigliarsi se i più, per questo risultato, rinunziarono alla speranza di risolvere il problema per questa strada. Il noto astronomo francese Faye volle spiegare il compenso delle perdite per radiazione del sole con una ipotesi, in cui prese in aiuto il calore di combinazione degli elementi costitutivi del sole. Egli disse: nell’interno del sole domina una temperatura così alta, che ivi tutto si sfascia nei componenti elementari. Se gli atomi salgono poi negli strati esterni, essi si combinano fra loro e forniscono molto calore. Faye imaginò che sempre nuove quantità di atomi potessero salire dall’interno del sole e formare alla superficie dei composti chimici. Ma se delle nuove masse devono salire alla superficie, quelle che c’erano prima devono ritornare verso l’interno, per esser ivi per l’alta temperatura chimicamente scomposte. E con ciò sarebbe consumato pressochè altrettanto calore, quanto ne è guadagnato col sollevamento delle masse stesse alla superficie. Questa convenzione quindi contribuisce solo a trasportar su alla superficie la provvista di calore. In questo modo la quantità di calore totale del sole, se si valuta la temperatura media a sei milioni di gradi, coprirebbe il dispendio termico per circa tre milioni di anni.

Abbiamo visto sopra che gli strati più alti del sole sono contrassegnati da spettri a righe che corrispondono ad elementi chimici, mentre in fondo alle macchie solari si presentano dei composti chimici, che dànno degli spettri a bande. È assolutamente falso supporre che un’alta temperatura scomponga nei suoi elementi ogni combinazione chimica. La teoria meccanica del calore ci insegna solo che, col crescere della temperatura, si formano dei prodotti, la cui formazione va d’accordo con un assorbimento di calore. Così ad alta temperatura si forma dall’ossigeno ozono, quantunque l’ozono sia d’una composizione più complicata dell’ossigeno; sono consumate 750 calorie perchè un grammo d’ossigeno si trasformi in un grammo di ozono. Poi sappiamo che nell’arco voltaico (circa 3000°) si combinano con consumo di calore l’ossigeno e l’azoto dell’aria; dalla stessa circostanza dipende il nuovo metodo per trarre acido nitrico dall’aria. Ancora con consumo di calore sono formati dai loro elementi, carbonio e idrogeno, i ben noti composti benzolo ed acetilene. Tutti questi corpi solo ad alta temperatura possono essere formati dai loro elementi. Sappiamo poi dalla esperienza che, in generale, quanto più alta è la temperatura a cui avviene un processo, tanto maggiore quantità di calore viene in esso consumata.

Una legge simile vale per l’azione della pressione. Lapressione aumenta, ed alcuni processi che forniscono prodotti con volume minore sono favoriti. Se noi imaginiamo che una massa di gas precipiti dagli strati più alti del sole a profondità sempre maggiori del corpo solare, come fanno i gas in una macchia solare, per l’aumentata pressione — questa cresce straordinariamente nell’interno del sole, circa 3500 atmosfere per km. — questa massa di gas formerà composti più complicati. I gas che per la bassa pressione e l’alta temperatura erano scomposti in atomi nello strato più esterno del sole (sopra le nubi della fotosfera), in fondo alle macchie formano dei composti chimici, come dimostra l’analisi spettrale. Per l’alta temperatura questi composti consumano delle enormi quantità di calore per la loro formazione, e queste quantità di calore stanno a quelle consumate nei processi chimici sulla terra, pressochè come la temperatura del sole sta a quella in cui si svolge sulla terra il processo chimico. Questi gas penetrano sempre più nel sole, e pressione e temperatura crescono sempre più. Si formeranno prodotti sempre più ricchi d’energia e sempre meno voluminosi. Noi dobbiamo quindi imaginare che nell’interno del sole si trovino dei corpi che, portati alla superficie, si scomporrebbero con enorme sviluppo di calore e aumento di volume. Sono quindi da considerarsi come i più potenti esplosivi, a paragone dei quali la dinamite e la polvere pirica appaiono dei balocchi. Quest’è anche convalidato pel fatto che dei gas, quando penetrano attraverso alle nubi della fotosfera, possono scagliar fuori protuberanze con una velocità che raggiunge parecchie centinaia di km. al secondo; velocità che supera circa mille volte quella dei nostri proiettili più veloci. Agli esplosivi che si presentano nell’interno del sole si deve dunque attribuire un’energia, che dev’essere più d’un milione di volte maggiore di quella dei nostri esplosivi. (L’energia cresce come il quadrato della velocità). Eppure questi esplosivi solari hanno ceduto già gran parte della loro energia nel passaggio dall’interno del sole. Quindi ci riesce comprensibile che l’energia solare, invece di arrivare a 4000 anni, ciò che corrisponderebbe alla combustione di un sole di carbonio, possa bastare per 4000 milioni d’anni o anche di più, probabilmente fino a parecchi bilioni di anni.

Che ci siano combinazioni così ricche d’energia, fu dimostrato della scoperta dello sviluppo di calore del radio. Secondo Rutherford il radio si scompone a metà in un periodo di circa 1300 anni. E poichè viene sviluppata una quantità di calore di circa un milione di calorie per un grammo e per anno, così troviamo che la scomposizione del radio nei suoi prodotti finali è accompagnata da uno sviluppo di calore di alcuni miliardi di calorie per grammo, pressochè 250000 volte di più di quello che fornirebbe la combustione d’un grammo di carbonio.

Anche nel campo della chimica la terra è un pigmeo di fronte al sole, e noi abbiamo tutti i motivi per supporre che l’energia chimica del sole fu ed è sufficiente per fornire il calore solare durante molti miliardi e probabilmente bilioni di anni.

Share on Twitter Share on Facebook