CAPITOLO IV La pressione della radiazione

Con i primi rudimenti di geometria, e d’aritmetica appare l’astronomia la scienza più antica. Che il sole sia la fonte di ogni forma di vita e di movimento, fu messo pienamente in evidenza soltanto dalla metà del secolo scorso; ma un sentore dell’enorme importanza del sole si ebbe già nei più antichi tempi primitivi. Si portò ben tosto una parte dell’adorazione pel sole alla luna con la sua dolce luce e alle luci celesti minori. Si osservò di fatto che la loro posizione nel cielo variava sempre contemporaneamente con le variazioni annuali del tempo, la cui azione si faceva profondamente sentire in tutte le imprese umane. Perciò si attribuì alla luna e alle stelle, quantunque, come sappiamo, senza alcuna giustificazione, la proprietà di dominare sopra il tempo e quindi sopra i destini degli uomini. Prima di qualunque intrapresa, si cercava di accertare che la posizione degli astri fosse favorevole. In questo modo giànei tempi più antichi gli astrologi guadagnarono una straordinaria influenza, sopra la folla ignorante e superstiziosa.

Questa superstizione era ancora profondamente radicata, quando Newton riuscì a provare (1686) che il movimento delle così dette stelle erranti o pianeti e dei loro satelliti poteva essere calcolato con l’aiuto della legge estremamente semplice, che tutti questi corpi celesti sono attratti dal sole o dai loro più prossimi corpi centrali con una forza, che è proporzionale alle masse di essi e del corpo centrale, ed inversamente proporzionale al quadrato della loro distanza dal corpo centrale. Halley, contemporaneo di Newton, applicò la teoria anche alle enigmatiche comete, e a partire da quel tempo l’astronomia nei suoi calcoli si appoggia su questa solida legge, a cui non fu trovata eccezione alcuna. Ilmondo fu così tutto d’un tratto liberato dalla paralizzante superstizione, che si era congiunta all’idea del dominio misterioso delle stelle. E tanto i contemporanei di Newton quanto i posteri apprezzarono questa scoperta più altamente di qualunque delle meravigliose gesta scientifiche, che quest’eroe eseguì a vantaggio dell’umanità. Secondo la legge di Newton tutte le masse materiali tenderebbero ad essere un po’ per volta fra loro congiunte, e lo sviluppo del mondo mirerebbe ad un succhiamento dei corpi cosmici più piccoli, per esempio dei meteoriti, da parte dei corpi più grandi.

Si deve però osservare che il grande precursore di Newton, Kepler, osservò nel 1618 che la materia delle comete viene respinta dal sole. Egli, come più tardi Newton, credette che la luce provenga da ciò che dal sole e dagli altri corpi emettenti luce vengano scagliati in tutte le direzioni dei corpuscoli luminosi. Se ora questi urtano contro le particelle di polvere nelle code delle comete, queste particelle sono respinte, ed è quindi comprensibile la loro repulsione dal sole. Ècaratteristico che Newton non voleva far valer questa spiegazione, quantunque egli condividesse l’opinione di Kepler sulla natura della luce. Secondo Newton l’anomalia delle code delle comete dalla sua legge dell’attrazione universale era solo apparente; esse, secondo Newton, si comportano come una colonna di fumo che salga da un fumaiuolo, la quale, quantunque i fumi sieno attratti dalla terra, sale, perchè è più leggera dell’aria circostante. Questo concetto, che è caratterizzato così da Newcomb «non può più esser preso seriamente in considerazione», mostra la forte tendenza di Newton a spiegar tutto con l’aiuto della sua legge.

Gli astronomi camminarono fedelmente sulle traccie dell’insuporabile maestro Newton, e lasciarono da parte tutti i fenomeni che non si adattavano rigorosamente al suo sistema. Fece eccezione il famoso Euler che nel 1746 espresse la congettura, che le onde luminose esercitassero una pressione sui corpi su cui cadono. Quest’opinione non potè però prevalere contro le critiche, specialmente quella di De Mairan. Ma che Euler avesse ragione fu dimostrato da un famoso lavoro teorico di Maxwell sulla natura dell’elettricità, nel 1873. Egli mostrò che dei raggi termici — e la cosa stessa vale del resto per radiazioni di ogni specie, come dimostrò Bartoli nel 1876 — esercitano una pressione che è tanto grande, quanto la somma d’energia contenuta nella unità di volume in causa della radiazione. Maxwell calcolò la grandezza di questa pressione, e la trovò tanto debole che si poteva appena misurarla con i mezzi di quel tempo. Più tardi questa dimostrazione fu eseguita, con misure nello spazio rarefatto, dal russo Lebedeff e dagli americani Nichols e Hull (1900, 1901). Essi trovarono che questa pressione, la cosidetta pressione di radiazione, è grande esattamente quanto Maxwell aveva predetto.

Nonostante la straordinaria autorità di Maxwell, gli astronomi avevano trascurata la sua importante legge. Lebedeff tentò bene d’applicarla in un lavoro del 1892 sulle code delle comete che egli suppose allo stato gassoso; ma in questo caso la legge di Maxwell non è applicabile. Soltanto nel 1900, poco prima che Lebedeff eseguisse la prova sperimentale della esattezza della legge, io provai a dimostrare la sua grande importanza per la intelligenza di parecchi fenomeni celesti. La grandezza della pressione di radiazione alla superficie solare, se i raggi cadono verticalmente sopra un corpo nero di 1 cmq. di superficie, è di 2,75 mg. Io quindi calcolai quanto grande dovrebbe essere una goccia dello stesso peso specifico dell’acqua, perchè in vicinanza al sole la pressione di radiazione equilibrasse l’attrazione solare. Risultò che questo succederebbe se il diametro della goccia fosse di mm. 0,0015. Una correzione fatta da Schwarzschild mostrò che il calcolo è giusto soltanto se la goccia riflette completamente tutti i raggi incidenti. Il diametro della goccia è più piccolo: e la pressione di radiazione supera l’attrazione, e la goccia viene quindi respinta dal sole. Secondo Schwarzschild però questo succede a cagione della rifrazione della luce, soltanto se la circonferenza della goccia è maggiore di 0,3 volte la lunghezza d’onda della radiazione incidente. Se la goccia è ancora più piccola, predomina di nuovo la gravitazione. Le gocce la cui grandezza sta fra questi due valori vengono respinte. Da ciò risulta che le molecole, che hanno dimensioni molto minori delle suddette, per la pressione dì radiazione non sono respinte, e che quindi la legge di Maxwell per i gas non è valida. Se la circonferenza della goccia è esattamente eguale alla lunghezza d’onda della radiazione, la pressione della radiazione esercita la sua massima azione, e supera la gravità non meno di diciannove volte. Questi calcoli valgono tutti per gocce riflettenti completamente e del peso specifico dell’acqua, e per una radiazione ed attrazione corrispondenti a quelle emananti dal sole. Poichè la luce solare non è omogenea, l’azione massima viene un po’ diminuita ed è circa eguale al decuplo dello gravità per gocce di circa 0,00016 mm. di diametro.

Prima che si introducesse la pressione di radiazione per spiegare i fenomeni di repulsione, quali si osservano nelle comete, si supponeva di solito con Zöllner che la repulsione dipendesse da forze elettriche. Senza dubbio, come vedremo più tardi, in questo caso l’elettricità sostiene una parte importante. Ne dà la spiegazione una scoperta di C. T. R. Wilson (1899). Per parecchie influenze esterne dei gas possono essere trasformati in modo da condurre l’elettricità. Allora i gas si chiamano ionizzati, cioè contengono degli ioni liberi, o, in altre parole, delle particelle estremamente piccole cariche di elettricità positiva o negativa. Così dei gas possono essere ionizzati mediante irradiazione di raggi Roentgen, catodici o ultravioletti, come mediante un forte riscaldamento. Ora, poichè i raggi solari contengono moltissima luce ultravioletta, così è fuori di dubbio che le masse gassose in vicinanza al sole (forse in comete che si avvicinano al sole) sono parzialmente ionizzate, e quindi contengono ioni tanto positivi che negativi. I gas ionizzati posseggono una rimarcabile attitudine a condensar vapori. Wilson mostrò che questa proprietà spetta agli ioni negativi in grado più alto che ai positivi (condensazione del vapor d’acqua). Se quindi si trovano dei vapori in vicinanza al sole che vengano raffreddati e condensati, le gocce d’acqua ivi formatesi si precipitano anzitutto sugli ioni negativi. Se quindi le gocce sono spinte via dalla pressione di radiazione e cadono giù per la gravità, come le gocce di pioggia nell’atmosfera terrestre, esso portano seco la carica degli ioni negativi, mentre la corrispondente elettricità positiva rimane nel gas (o nell’aria). A questo modo le cariche negative e positive sono separate, e ne possono derivare delle scariche elettriche, se sono disgiunte quantità di elettricità sufficientemente grandi. In seguito a queste scariche, i gas attraverso ai quali esse passano diventano luminosi, quantunque la loro temperatura possa essere molto bassa. Stark mostrò anzi che una temperatura bassa è favorevole alla produzione di una forte luminosità nelle scariche elettriche.

Come abbiamo detto, Kepler già sul principio del XVIIsecolo pervenne al concetto che le code delle comete fossero respinte dal sole. Newton mostrò come si possa calcolare dalla forma delle code delle comete la loro velocità. Nondimeno il miglior modo è quello di determinare questa velocità direttamente. Le code delle comete di fatto non sono uniformi come per lo più sono rappresentate nei disegni, ma contengono spesso parecchi nuclei luminosi (fig. 33 [pag. 123]), ilcui movimento si può osservare direttamente.

Dai suoi studii sul movimento delle code delle comete Olbers concluse, nel principio del secolo scorso, che la loro repulsione dal sole è inversamente proporzionale al quadrato della distanza, cioè la forza di repulsione varia allo stesso modo della forza di gravitazione. Si può quindi esprimere la forza di repulsione prendendo come unità la gravitazione verso il sole, e questo metodo fu generalmente accettato. Che la pressione di radiazione varii in questo modo con la distanza è anche naturale, poichè la radiazione verso la medesima superficie è pure inversamente proporzionale al quadrato della distanza dal corpo raggiante, qui dal sole.

Nell’ultima parte del secolo scorso l’astronomo russo Bredichin eseguì una gran quantità di misure sulla grandezza della forza, con cui le code delle comete sono respinte dal sole. Egli credette, fondandosi su queste misure, di poterle dividere in classi. Nella prima classe la repulsione era 19 volte maggiore della gravitazione, nella seconda circa 3,2-1,5 volte, e nella terza da 1,3 a 1 volta la gravità. Per diverse comete però si trovarono valori anche maggiori; così Hussey trovò per la cometa del 1893 (cometa di Roerdam, 1893, II) una repulsione 37 volte maggiore della gravitazione, e la cometa di Swift (1892, I) presenta il numero ancora più alto 40,5 (fig. 34 [pag. 124]). Alcune comete mostrano delle code di varia specie, come la celebre cometa di Donati (fig. 35 [pag. 125]). Lesue due code quasi diritte appartengono alla prima classe di Bredichin, la terza intensa e fortemente ricurva alla seconda classe.

Come fu accennato sopra, Schwarzschild calcolò che delle piccole gocce perfettamente riflettenti e del peso specifico dell’acqua possono essere respinte dal sole con una forza, che arriva al decuplo del loro peso. Per una goccia completamente assorbente questo valore discende a metà. Ora lo particelle delle comete che, secondo osservazioni spettroscopiche, probabilmente consistono di idrocarburi, non sono completamente assorbenti, ma lasciano passare in parte la radiazione solare. Un calcolo più esatto mostra che si possono raggiungere in questo caso delle forze circa 3,5 volte la forza di gravità.

Gocce più grandi mostrano valori più piccoli; dunque i gruppi 2 o 3 di Bredichin si piegano benissimo ai requisiti che corrispondono alla ipotesi della pressione di radiazione.

Sembra più difficile spiegare come possano prodursi forze di repulsione così grandi come spettano al primo gruppo di Bredichin, o alle comete speciali di Swift e di Roerdam. Se una goccia di un idrocarburo viene esposta ad una forte radiazione, viene scaldata i nfine così fortemente, che ne è carbonizzata. Si forma così, in causa dei gas che si svolgono (specialmente idrogeno), un carbone spugnoso, che potrebbe accostarsi molto nella sua struttura ai granelli di carbone, che talvolta cadono giù dal fumo dei nostri battelli a vapore, e poi galleggiano sull’acqua. È facile concepire che queste sferette di carbone possano avere un peso specifico di 0,1, se si tien conto dei gas racchiusi in esse (cfr. pag. 101 [pag 129 dell’edizioneManuzio]). Una goccia assorbente di questo peso specifico 0,1 può, nel più favorevole dei casi, sostenere una repulsione, che supera di 40 volte l’azione di gravità del sole. A questo modo si può procurarsi una idea della possibilità delle maggiori forze repulsive osservate.

Gli spettri delle comete convalidano in tutto le conclusioni a cui la teoria della pressione di radiazione conduce. Esse dànno un debole spettro continuo, che probabilmente proviene da luce solare riflessa dalle piccole particelle. Inoltre si osservò, come fu ricordato poc’anzi, uno spettro di idrocarburi gassosi e di cianogeno. Questi spettri a bande dipendono da scariche elettriche, poichè si osservano in comete, la cui distanza dal sole è tale che esse non possono essere luminose per l’altezza della loro temperatura. Nella coda della cometa di Swift si osservarono delle bande spettrali in parti che erano distanti fino a 5000000 di km. circa del nucleo. Le scariche elettriche devono provenire principalmente dalle parti esterne della coda, ove, secondo le leggi dell’elettricità, le forze elettriche sono massime. Per questo le maggiori code di comete appaiono avviluppate da mantelli di luce più luminosi.

Se le comete vanno più vicine al sole, anche altri corpi meno volatili incominciano a evaporare sensibilmente; si osservano così nello spettro delle comete le linee del sodio, e, quando esse si avvicinano assai al sole, anche le linee del ferro. Queste linee provengono manifestamente da materiale evaporato dal nucleo delle comete che, come i meteoriti cadenti sulla terra, consta fondamentalmente di silicati, tra cui quelli di sodio o di ferro.

Sì può facilmente imaginare come le code delle comete cambino d’aspetto. Se una cometa si avvicina al sole, si osserva che della materia della faccia del nucleo rivolta verso il sole viene respinta. Ciò corrisponde completamente alla formazione di nubi nell’atmosfera terrestre, in una calda giornata d’estate. La formazione di nubi cagiona la così detta cuffia, che si adagia quasi come un sottile involucro emisferico sulla parte del nucleo rivolta al sole. Talora si osservano due o più cuffie, corrispondenti ai vari strati di nubi dell’atmosfera terrestre. Dal di dietro della cuffia, la materia della cometa scorre via dal sole. Le code delle comete sono di solito più fortemente sviluppate quando si avvicinano al sole, che quando se ne allontanano. Questo proviene probabilmente, come da lungo tempo si suppose, da ciò che gli idrocarburi, durante il passaggio accanto al sole, sono in gran parte consumati. Si credette ancora di osservare che le così dette comete periodiche, che ritornano al sole ad intervalli regolari, ad ogni ritorno palesassero una coda più debole. Le comete presentano anche la loro massima intensità luminosa in periodi di forte attività di macchie solari. Si può dunque supporre che in tali circostanze i dintorni del sole sieno in grado relativamente elevato riempiti di fina polvere, che può servire da nucleo di condensazione per la materia delle code delle comete. È anche probabile che, in tali circostanze, per il contemporaneo predominio di facole, la radiazione ionizzante del sole sia più forte che di consueto.

Nichols e Hull tentarono di imitare una coda di cometa. Scaldarono le spore del «L ycoperdon bovista», che sono quasi sferiche e di circa 0,002 mm. di diametro, fino al rosso, e ottennero così delle sferette spugnose di carbone con una densità media di circa 0,1. Queste erano introdotte, insieme con un po’ di polvere da smeriglio, in un recipiente fatto come un orologio a sabbia (fig. 36 [pag. 126]), da cui si toglieva l’aria con una pompa, quanto più era possibile. Quindi si lasciava cader giù la polvere nella parte sottostante del vaso in un sottile fascio, e contemporaneamente lo si illuminava da un lato con la luce d’un arco voltaico, concentrata con una lente. Lo smeriglio cadeva giù a piombo, mentre le sferette di carbone erano spinte da un lato dalla pressione di radiazione della luce.

Anche nei dintorni più prossimi del sole troviamo gli effetti della pressione di radiazione. La propagazione rettilinea dei raggi della corona fino ad una distanza che talvolta supera il diametro solare 6 volte (circa 8000000 km.) accenna a forze repulsive che operano sulla polvere sottile. Si confrontò la corona solare a lungo con la coda delle comete, e Dobitsch la porrebbe tra le code del secondo tipo di Bredichin. Èpossibile calcolare la massa della corona, fondandosi sulla radiazione termica e luminosa di essa. La prima fu misurata da Abbot. Ad una distanza di 30000 km. dalla fotosfera la corona irraggiava solo tanto calore quanto un corpo alla temperatura di – 55°. Ciò proviene da questo che essa consiste d’una nebbia estremamente sottile, di cui la temperatura reale, secondo la legge di Stefan, può calcolarsi di 4350°. La corona è dunque così sottile che copre soltanto 1/190000 del campo celeste dietro ad essa. Allo stesso risaltato si arriva mediante il calcolo della radiazione luminosa della corona, che è circa eguale a quella della luna piena, talvolta un po’ più debole, e talvolta più grande fino a raggiungerne il doppio. Le osservazioni suddette valgono per la parte più interna della corona, la così detta «corona interna». Secondo Turner la sua intensità luminosa verso l’esterno decresce in ragione inversa della sesta potenza della distanza dal centro del sole. Alla distanza d’un raggio solare (690000 km.) l’intensità luminosa sommerebbe dunque solo a 1,6 % di quella che si ha vicino alla superficie del sole.

Supponiamo che la materia della corona consista di particelle che siano appunto tanto grandi, che la pressione di radiazione eguagli il loro peso — altre particelle sarebbero allontanate dalla corona interna —, e troveremo che il peso della corona intera non supera 12 milioni circa di tonnellate. Questo non supera il peso di 400 dei nostri maggiori transoceanici (Oceanic), ed è solo altrettanto della quantità di carbone consumata sulla terra in una settimana.

Che la materia della corona sia molto tenue si è già concluso dalla circostanza che delle comete hanno vagato attraverso ad essa, senza essere visibilmente frenate nel loro movimento. Nel 1843 una cometa passò davanti al sole ad una distanza dalla superficie di solo ¼ di raggio solare, senz’essere disturbata nel suo movimento. Moulton calcolò che la grande cometa del 1881, che si avvicinò al sole fino a ½raggio solare, non trovò una resistenza superiore ad 1/50000 del suo peso, e che il nucleo della cometa era almeno 5000000 di volte più denso della materia della corona. Newcomb forse esagerò alquanto l’alto grado di sottigliezza della corona, quando disse che forse contiene soltanto un grano di polvere per ogni chilometro cubico.

Ma per quanto piccola possa essere la quantità di materia della corona, e qualunque frazione insignificante di essa possa passare nei raggi della corona, è nondimeno certo che dal sole ha luogo una continua perdita di materia finamente suddivisa. Però questa non supera l’aumento (vedi sotto), cioè circa 300 miliardi di tonnellate all’anno, sicchè durante un bilione d’anni non viene disseminato nello spazio neanche 1/6000 della massa del sole (2 × 1027tonnellate). Tuttavia questo numero è molto incerto. Noi sappiamo di fatto che molti meteoriti cadono sulla terra, parte in forma compatta e parte anche sotto forma di polvere fina nelle stelle cadenti, che nell’atmosfera terrestre divampano e si spengono: la loro massa può esser valutata a circa 20000 tonnellate per anno. Da questo calcolo si può valutare che la pioggia di meteoriti sul sole raggiunge annualmente trecento miliardi di tonnellate. Da epoche infinite tutti i soli cedettero materia allo spazio, e quindi si capisce che molti soli ora non esisterebbero più, se non avesse avuto luogo sopra ad essi alcun trasporto di materia, a compenso della perdita. I soli freddi hanno una perdita relativamente debole, ma raccolgono altrettanta materia nuova che i caldi. Ora, poichè il nostro sole appartiene ai corpi celesti più freddi, cosi probabilmente la quantità della materia ceduta dal sole venne valutata un po’ troppo alta, quando la si suppose alta come la quantità della materia acquistata.

Donde vengono, ora, i meteoriti? Se essi non fossero di continuo nuovamente formati, il loro numero dovrebbe andar diminuendo poichè con l’andar del tempo sarebbero arrestati dai maggiori corpi celesti. Non è assolutamente improbabile, che essi si formino pel congiungimento di piccole particelle, che sono respinte dal sole dalla pressione di radiazione. Icosì detti condri caratteristici nei meteoriti hanno una struttura, come se si fossero uniti insieme da una quantità di grani estremamente sottili (fig. 37 [pag. 132]).Nordenskiöld dice: «La massima parte del ferro meteorico consiste di un tessuto estremamente tenue di diverse leghe metalliche. La massa del ferro meteorico è sovente così porosa, che si ossida all’aria come ferro spugnoso. La pallasite mostra, se si taglia la massa ferrosa, questa proprietà tanto spiacevole pel raccoglitore; altrettanto dicasi per il ferro di Cranbourne, Toluca, ecc., e quasi tutti i meteoriti con pochissime eccezioni. Tutto indica che queste masse ferrose cosmiche si formarono in modo nell’universo che s’ammucchiò atomo sopra atomo di ferro, nickel, fosforo, ecc., pressochè come atomo metallico si unisce con atomo metallico in un precipitato metallico ottenuto da una soluzione per via galvanica. Analogamente si comportano la massima parte dei meteoriti rocciosi. La roccia spesso è, fino alla crosta di scorie della superficie, così porosa e sconnessa che potrebbe servire come materiale da filtro e che si può facilmente ridurla in minuzzoli fra le dita». Se i nuclei di polvere carichi d’elettricità si ammucchiano insieme, la loro debole tensione elettrica (ca. 0,02 Volta) può crescere rilevantemente. Per azione della luce ultravioletta queste masse meteoriche si scaricano, se si avvicinano al sole, come dimostrò il Lenard. La loro carica negativa sfugge sotto forma dei così detti elettroni.

Ora poichè il sole per i raggi della corona perde una grande quantità di particelle, e queste, secondo esperienze di Wilson, probabilmente portano elettricità negativa, deve rimanere una carica positiva nello strato da cui i raggi della corona provengono, e quindi sul sole stesso. Se questa carica fosse abbastanza forte, potrebbe impedire alle particelle cariche negativamente nei raggi della corona di sfuggire dal sole, e cesserebbero tutti i fenomeni di radiazione. Giovandomi dei risultali della moderna teoria degli elettroni, io calcolai quanto grande può essere il massimo di carica del sole, senza che cessino questi fenomeni. La carica solare sarebbe di 250 miliardi di Coulomb, cioè una quantità di elettricità non assolutamente enorme, poichè sarebbe sufficiente solo a scomporre 24 tonnellate d’acqua.

Mediante questa carica positiva il sole esercita un’attrazione enorme su tutte le particelle cariche negativamente che gli si avvicinano. Come si osservò sopra, per azione della luce ultravioletta i nuclei di polvere solare accumulati nei meteoriti perdono la loro carica sotto forma di elettroni negativi, particelle estremamente piccole, mille circa delle quali pesano come un atomo d’idrogeno (un grammo d’idrogeno contiene 1024atomi circa, corrispondenti a 1027elettroni). Questi elettroni errano attorno nello spazio. Se arrivano presso un corpo celeste carico positivamente , vengono attratti da esso con grande forza. Se gli elettroni si movessero con una velocità di 300 km. al secondo (come nelle esperienze di Lenard) e se il sole avesse un decimo della carica massima prima calcolata, esso potrebbe attrarre tutti gli elettroni, i cui cammini rettilinei, finchè non sono incurvati dall’attrazione del sole, si troverebbero ad una distanza dal sole 125 volte maggiore della distanza tra il sole e il suo pianeta più lontano, Nettuno, e 3800 volte maggiore di quella tra il sole e la terra, ma soltanto un sessantesimo di quella delle stelle fisse più vicine. Il sole drena, per così dire, i suoi dintorni rispetto all’elettricità negativa, e questo drenaggio arreca al sole, come si può provare facilmente, una quantità di elettricità che sta in rapporto diretto con la carica solare. Dunque nel rispetto dell’elettricità è provvisto molto bene all’equilibrio fra quella ricevuta e quella spesa.

Se una particella elettrica entra in un campo magnetico, essa descrive una spirale attorno alle così dette linee di forza magnetiche. A distanza maggiore pare che la particella si muova nella direzione delle linee di forza. I raggi della corona uscenti dai poli del sole mostrano chiaramente una incurvatura, che ricorda molto quella delle linee di forza attorno ad un magnete; in base a questo si è supposto che il sole si comporti come un grande magnete, i cui poli magnetici cadano vicini ai poli geografici. Anche i raggi della corona più vicini all’equatore mostrano questa incurvatura (cfr. fi g. 30[pag. 105]). La forza repulsiva della pressione di radiazione però è diretta ivi normalmente alle linee di forza ed è molto maggiore della forza magnetica sicchè ì raggi della corona sono forzati a formare due grandi ciuffi dileguantisi in direzione equatoriale. Questo spicca specialmente nelle epoche dei minimi di macchie solari. Durante i massimi sembra che predominino così fortemente la forza della pressione di radiazione e la velocità iniziale dei nuclei di polvere, che la forza magnetica prende relativamente poco piede.

Gli astronomi ci dicono che il sole è soltanto una stella di debole intensità luminosa, a paragone con le stelle prominenti, che muovono la nostra ammirazione. Ilsole appartiene ad un gruppo di stelle relativamente fredde. Si può quindi imaginare che la pressione di radiazione, in vicinanza a queste grandi stelle, possa muovere quantità di materia di gran lunga superiori, che nel nostro sistema solare. Quindi, se mai le varie stelle furono fatte di elementi chimici differenti, questa divergenza dev’essere stata appianata con l’andar del tempo. I meteoriti possono essere considerati come campioni di materie raccolte a qualunque distanza possibile nello spazio. Quali corpi troviamo dunque in essi?

Nelle comete (cfr pag. 100 [pag 128 dell’edizioneManuzio]) hanno la massimaparte ferro, sodio, carbonio, idrogeno e azoto (nel cianogeno). Ormai sappiamo, specialmente per le ricerche di Schiaparelli, che i meteoriti sono spesso frammenti di comete e quindi devono essere affini ad esse. Così per esempio la cometa di Biela, che aveva un periodo di 6,6 anni, disparve fin dal 1852 — già nel 1845 si era divisa in due —. e fu ritrovata in uno sciame di meteoriti dello stesso periodo che il 27 novembre si avvicina all’orbita terrestre. Analoghe relazioni furono constatate per alcuni altri sciami di meteoriti. Noi sappiamo ancora che le sostanze sopra nominate, che furono constatate nelle comete con l’aiuto dell’analisi spettrale, formano i principalissimi elementi dei meteoriti, che inoltre contengono i metalli calcio, magnesio, alluminio, nickel, cobalto e cromo, come i metalloidi ossigeno, silicio, solfo, fosforo, cloro, arsenico, argon ed elio. La loro composizione ricorda vivamente i prodotti vulcanici di natura così detta basica, cioè che contengono quantità relativamente grandi di ossidi metallici, e sono considerati por buone ragioni come oriundi dagli strati più profondi dell’interno della terra. Lockyer arroventò delle pietre meteoriche nell’arco voltaico e trovò il loro spettro molto simile allo spettro solare.

Ne deduciamo che questi messaggi di altri sistemi solari, che ci portano campioni dei loro elementi chimici, mostrano una strettissima affinità tra il nostro sole e l’interno della nostra terra. Che altre stelle (e comete) sieno composte essenzialmente delle stesse sostanze del nostro sole e della nostra terra, ci fu già mostrato del resto dall’analisi spettrale. Ma diversi metalloidi, come cloro, bromo, solfo, fosforo e arsenico, che hanno una parte importante nella composizione della terra, non possono essere constatati negli spettri dei corpi celesti (neanche in quello del sole). Per contro si trovano nei meteoriti, e non c’è il menomo dubbio che essi vanno anche annoverati fra gli elementi essenziali del sole e degli altri corpi celesti. Ma questi metalloidi dànno solo difficilmente spettri, e questa è manifestamente la ragione, perchè non si è ancora riusciti a constatare la loro presenza nei corpi celesti, con l’aiuto dell’analisi spettrale. Per quanto concerne i gas recentemente scoperti, i così detti gas nobili, elio, argon, neon, cripton e xenon, si constatarono nella cromosfera mediante il suo spettro, preso nelle eclissi solari (Stassano). Però, secondo Mitchell, questi dati sono ancora un po’ incerti per il cripton e il xenon.

Le piccole particelle di polvere che sono portate nello spazio ad ogni distanza possibile dal sole e dalle stelle per la pressione di radiazione, possono incontrarsi l’un l’altra e riunirsi in aggregati maggiori o minori, sotto forma di polvere cosmica o di pietre meteoriche. Questi aggregati cadono in parte su altre stelle, pianeti, comete, o satelliti, e in parte - e veramente in quantità molto maggiore - si librano qua e là nello spazio. Qui essi formano, accanto a maggiori corpi celesti oscuri, una specie di nebula, che talvolta ci sottrae la luce di corpi celesti distanti. Quindi noi non vediamo il cielo intero ricoperto di stelle luminose, come sarebbe se (per ipotesi) le stelle fossero distribuite pressochè uniformemente nell’intero spazio infinito dell’universo, e nessun impedimento potesse nasconderci la loro luce. Ma, se non ci fossero altri corpi celesti di temperatura molto più bassa e di maggior estensione che assorbono il calore dei soli luminosi, i corpi celesti oscuri, i meteoriti e la polvere cosmica oscura sarebbero molto presto riscaldati, in modo che sarebbero portati ad incandescenza; e l’intera vôlta celeste ci apparirebbe come un’unica vôlta arroventata, la cui radiazione ardente incenerirebbe bentosto sulla terra ogni forma vivente.

Questi altri corpi celesti freddi che assorbono i raggi solari, senza esserne riscaldati, sono le così dette nebulose o stelle nebulose. Recenti ricerche mostrano che questi meravigliosi corpi celesti si trovano, per dirla in breve, dovunque nella vôlta celeste. Il meraviglioso meccanismo, che rende possibile che assorbano calore, senza che la loro temperatura cresca, dev’essere toccato più tardi più da vicino (cfr. Cap. VII). Poichè queste nebulose fredde occupano la massima parte dello spazio celeste, anche la massima parte della polvere cosmica, nella sua migrazione attraverso gli spazi smisurati deve precipitare sopra ad esso. Qui la polvere cosmica urta delle masse gassose, che impediscono la penetrazione dei piccoli corpi. Poichè la polvere contiene delle cariche elettriche, specialmente negative, anche queste vengono accumulate negli strati esterni delle nebulose. Questo dura fino a che la tensione elettrica è così forte, che incomincia la scarica mediante emissione di elettroni. Per ciò i gas circostanti, quantunque la loro temperatura sia superiore di poco, forse di circa 50°, allo zero assoluto (– 273°), sono resi luminosi, e in questo modo noi prendiamo conoscenza della esistenza delle nebulose. Poichè la massima quantità delle particelle vengono fermate prima che abbiano avuto il tempo di penetrare un po’ addentro, sono in sostanza le parti esterne del mondo nebulare, che ci mandano la loro luce. Questo corrisponde alla descrizione di Herschel delle nebule planetarie, che nel loro mezzo non mostrano alcuna intensità luminosa maggiore, ma che splendono, come se formassero «una coppa sferica cava» di materia nebulare. Èfacile provare che soltanto le sostanze più difficilmente condensabili, come l’elio e l’idrogeno, possono esistere a questa bassa temperatura, in quantità notevoli, sotto forma di gas. Per questo le nebulose risplendono quasi esclusivamente nei colori di questi gas. Inoltre vi si trova una sostanza misteriosa, «nebulium», lo spettro della quale non si ritrova sulla terra o sugli altri corpi celesti. Si tentò per l’addietro di spiegar ciò supponendo che nelle nebulose non si trovino altri corpi all’infuori di quelli nominati, o che gli altri elementi in esse sieno scomposti in idrogeno — l’elio allora non si conosceva. La semplice spiegazione è che risplendono soltanto i gas dello strato nebulare esterno; come sia composto il loro interno, noi non ne sappiamo nulla.

Si oppose a questa spiegazione, che secondo essa l’intera vôltaceleste dovrebbe risp le ndere di luce nebulare ed anche l’atmosfera terrestre esteriore dovrebbe mostrare questa luce. Ora idrogeno ed elio si presentano soltanto scarsamente nell’atmosfera terrestre; invece questa dà un’altra luce, la così detta linea aurorale, che probabilmente proviene da cripton. Dovunque si rivolga verso il cielo lo spettroscopio in una notte serena, specialmente nei tropici, si osserva questa particolare linea verde. Si credeva per l’addietro che essa fosse propria della luce zodiacale, ma con ricerche più esatte la si trovò dappertutto nella vôltaceleste, anche ove non si può osservare la luce zodiacale. U na delle obbiezioni sollevate contro l’opinione sopra esposta è dunque infondata, poichè la ricerca più esatta mostra che l’opinione stessa è pienamente d’accordo con l’esperienza.

Per quanto concernel’altra obbiezione, si deve osservare che, se una luce dev’essere da noi osservata, la sua intensità deve superare un certo valore minimo. Possono esserci delle nebulose, e probabilmente costituiscono la maggioranza, che noi non possiamo osservare, perchè il numero delle particelle cariche che precipitano su di esse è troppo insignificante. Una conferma di questa idea fu fornita dal rilucere della nuova stella in Perseus, il 21-22 febbraio 1901. Da questa stella furono respinte due diverse specie di particelle, una delle quali si moveva con velocità pressochè doppia dell’altra. Questi ammassi di polvere formarono due involucri sferici attorno alla nuova stella. Essi corrispondevano sotto tutti i rapporti alle due specie di code (del primo e del secondo ordine di Bredichin), che talvolta furono osservate sulla stessa cometa (fig. 35 [pag. 125]). Come queste particelle di polvere urtavano contro le masse nebulari giacenti nel loro cammino, queste ultime diventavano luminose, e noi in questo modo prendemmo conoscenza di grandi nebulose, della cui esistenza non avevamo prima la menoma idea. Dello stesso genere sono senza dubbio le condizioni anche nelle altre regioni del cielo, dove fino ad oggi non furono scoperte nebulose; e crediamo in causa della quantità troppo piccola di particelle vaganti. Allo stesso modo si spiega la instabilità di alcune nebulose, che per l’addietro appariva singolarmente enigmatica.

Share on Twitter Share on Facebook