CAPITOLO II I corpi celesti, in particolare la terra, come sede della materia vivente

Non si ha facilmente una impressione più solenne di quando si contempli in una notte serena la volta celeste con le sue migliaia di stelle. Se si manda il pensiero fino a quelle luci risplendenti ad infinite distanze, si offre involontariamente la questionese non vi si trovino anche dei pianeti come il nostro, che servano di residenza alla vita organica. Quale piccolo interesse ha per noi un’isola deserta delle regioni artiche, che non produce la più piccola pianta, di fronte ad un’altra dei tropici, su cui si sviluppa la vita nelle sue meravigliose varietà! Così anche i mondi sconosciuti esercitano sui nostri pensieri un’attrazione del tutto diversa, se noi possiamo pensarli animati, che se dobbiamo raffigurarceli come masse morte librantisi nello spazio.

Anche relativamente al nostro piccolo pianeta, la terra, noi dobbiamo porci domande analoghe. Fu esso sempre ricoperto da un verde abito di piante, o fu una volta sterile e deserto? E se è così, quali sono le condizioni per la sua alta missione attuale, di essere portatore della materia vivente? Che la terra da principio fosse «deserta e vuota» è fuori di dubbio; noi possiamo supporre o che fosse del tutto un fluido infuocato, ciò che è il più probabile, o che come pensano Lockyer e Moulton, essa si sia formata da un ammassamento di meteoriti, che, arre stati nel loro movimento, diventarono incandescenti.

Come dicevamo sopra, la terra consta probabilmente di una massa gassosa, che è circondata da un involucro esternamente solido e internamente vischioso. Si ha buona ragione di credere, che la terra intera originariamente fu una sfera gassosa staccatasi dal sole — che trovasi ancora in tale condizione. Per irradiazione nello spazio freddo la sfera gassosa, che si comportava in sostanza circa come il nostro sole attuale, perdette poco a poco la sua alta temperatura, e alla fine si formò alla sua superficie una crosta solida. Lord Kelvin calcolò che non erano passati più di circa 100 anni, che la temperatura della crosta terrestre si era abbassata a 100°. Anche se il calcolo di Lord Kelvin non dovesse essere del tutto esatto, pure possiamo affermare che, dal momento in cui la terra ebbe la sua prima corteccia solida (alla temperatura di circa 1000°), non passarono molte migliaia d’anni fino a che questa temperatura discese sotto 100°. Materia, vivente non può sicuramente sussistere a questa temperatura, perchè l’albumina delle cellule ad una temperatura così alta si coagula immediatamente, come l’albume in un uovo. Peròsi dice che nelle sorgenti calde della Nuova Zelanda si trovano delle alghe ad una temperatura di più di 80°. In una visita a Yellowstone-Park, cercai di convincermi della esattezza di questo ragguaglio, ma trovai che esistono alghe soltanto sul bordo dello sorgenti calde dove la temperatura si può stimare al massimo di 60°.Il famoso fisiologo americano Loeb dichiara che non si trovano più alghe nelle sorgenti calde ad una temperatura superiore a 55°.

Poichè la temperatura della crosta terrestre discese da 100° a 55° anche molto più presto che da 1000° a 100°, così possiamo dire che la formazione della prima crosta e il raffreddamento fino ad una temperatura favorevole alla conservazione della vita, trascorsero solo poche migliaia di anni. Da allora, secondo ogni probabilità, la temperatura non diminuì mai tanto, che la massima parte della superficie terrestre non potesse portare organismi, quantunque sopravvennero le così dette epoche glaciali, in cui le regioni artiche inaccessibili alla vita avevano un’estensione molto maggiore d’adesso. Parimenti l’oceano fu sempre per la massima parte libero da ghiacci, e potè quindi essere abitato da organismi. L’interno della terra si raffredda, lentamente sì, ma sempre di più, perchè passa calore dalle parti calde interne alle fredde esterne, attraverso alla crosta.

La terra può servire di residenza alla materia vivente perchè le sue parti esterne si raffreddarono per irradiazione fino ad una temperatura conveniente (sotto 55°), ma però non tanto fortemente che l’oceano fosse continuamente gelato alla superficie e che la temperatura sui continenti fosse sempre inferiore al punto di congelamento. Questa circostanza favorevole fu raggiunta perchè la radiazione solare può compensare alla perdita di calore della terra verso lo spazio, ed è sufficiente a mantenere la maggior parte della superficie terrestre sopra la temperatura dello zero. La condizione di temperatura per la vita su di un pianeta è dunque conservata solo per questo, che da un lato vengono irraggiati dal suo sole luce e calore in quantità sufficiente, mentre dall’altro avviene una radiazione egualmente intensa nello spazio. Perdita e guadagno di calore non si eguaglino, e le condizioni termiche potranno essere solo di brevissima stabilità. Così vediamo che la temperatura della crosta terrestre diminuì da 1000° a 100° soltanto in poche centinaia o migliaia d’anni perchè a questo alto grado di temperatura la irradiazione era più intensa della radiazione arrecata dal sole. Al contrario sono passati, secondo un calcolo di Joly, circa 100 milioni d’anni, dacchè l’oceano si è formato. Fu necessario dunque tutto questo tempo perchè la temperatura della terra discendesse da 365° (a questa temperatura soltanto il vapor d’acqua può incominciare a condensarsi) alla sua attuale condizione; qui per la temperatura più bassa della terra la differenza tra le due radiazioni fu sempre più piccola, e quindi il raffreddamento fu ritardato. Joly fondò il suo calcolo sul sale contenuto nel mare e nei fiumi. Si calcoli quanto sale si trova nel mare, e d’altra parte quanto ne viene ad esso apportato ogni anno dai fiumi, e si viene al risultato che furono necessari circa 100 milioni d’anni, per raccogliere nell’oceano la massa di sale ora contenutavi.

Numeri ancora più grandi si ottengono mediante il calcolo del tempo che trascorse fino al deposito completo dei banchi stratificati o così detti sedimentari. Sir Archibald Geikie valuta lo spessore totale di questi strati, se fossero rimasti indisturbati, a circa 30000 m. Dall’esame degli strati più giovani egli deduce, che ogni strato dello spessore di un metro esigette per la sua formazione da 3000 a 20000 anni. Per deporre gli interi strati sedimentari fu dunque necessario un periodo di 90 a 600 milioni d’anni. Il geologo finlandese Sederholm arrivò persino alla somma di 1000 milioni.

Un altro calcolo deriva da ciò che, mentre la superficie terrestre non cambia la sua temperatura per l’equilibrio termico tra l’irradiazione solare e la terrestre nello spazio, l’interno della terra durante il raffreddamento si contrae. Quanto lontano sia andato questo raggrinzamento si scorge dalla formazione delle catene di montagne, che secondo Rudzki coprono l’1,6 % della superficie terrestre. Conseguentemente il raggio terrestre si è contratto del 0,8 %, corrispondente ad un raffreddamento di circa 300°, per cui sarebbero stati necessari 2000 milioni di anni.

Poco addietro il celebre chimico fisico Rutherford pubblicò un metodo molto originale per determinare l’età dei minerali. Si sa quanto elio si forma in un anno da una data quantità di uranio o di torio. Ora Ramsay calcolò quanto elio contengono il minerale d’uranio fergusonite e il minerale di torio torianite. Da ciò Rutherford calcolò il tempo trascorso dopo la formazione di questi due minerali ad almeno 400 milioni di anni, «poichè probabilmente durante questo tempo qualche po’ di elio sfuggì dal minerale». Quantunque questa determinazione sia molto incerta, pure ha un certo interesse vedere che essa accenna ad un ordine di grandezza analogo a quello degli altri metodi, circa l’età della crosta terrestre solida.

Durante questo intero periodo di lunghezza quasi inconcepibile di 100 a 2000 milioni di anni esistettero sulla superficie terrestre come nel mare degli organismi, che non si distinguevano proprio molto da quelli ora viventi. Se ne può inferire, che, pur essendo la temperatura della superficie in quei lontani tempi qualche cosa più alta di adesso, pure la differenza non è particolarmente grande e ammonta al massimo a 20°. L’attuale temperatura media sulla superficie terrestre ammonta a 16°; essa varia fra circa – 20° al Polo Nord, – 10° al Polo Sud e circa 26° in vicinanza all’equatore. La differenza principale tra la temperatura della superficie nei più antichi periodi geologici, di cui si conoscono fossili, e la condizione attuale, consiste piuttosto in questo, che le varie zone ora hanno temperature diverse, mentre nei tempi più antichi il calore era distribuito quasi uniformemente su tutta la terra.

Questa lunga e quasi stazionaria condizione dipese dal fatto che il guadagno di calore della superficie terrestre per l’irradiazione solare e la perdita per l’irradiazione terrestre si coprivano quasi del tutto. Non c’è il minimo dubbio, che per la sussistenza della vita è necessario trasporto di calore per radiazione da un corpo celeste molto caldo (nel nostro caso il sole); al contrario una gran maggioranza potrebbe non aver pensato che è altrettanto necessaria la perdita di calore verso lo spazio freddo, o in genere verso un mezzo vicino più freddo. Anzi a molti riesce così poco soddisfacente l’ipotesi che la terra e anche il sole dissipino la massima parte del «calore vitale»mediante irradiazione nello spazio freddo, che essi credono che la radiazione non avvenga verso tutto lo spazio, ma soltanto tra i corpi celesti. Tutto il calore solare andrebbe dunque a profitto dei pianeti e dei satelliti nel sistema solare; solo una frazione trascurabile andrebbe al sistema delle stelle fisse, secondo i loro deboli angoli visuali. Se ciò frattanto fosse giusto la temperatura dei pianeti dovrebbe crescer rapidamente, fino a che essa fosse quasi eguale a quella del sole, ed ogni forma di vita impossibile. N oi dobbiamo dunque supporre che «meglio di così non potrebbe andare », quantunque la grande dissipazione di calore indebolisca continuamente l’energia solare.

D’altra parte l’opinione che il calore solare vada perduto nello spazio infinito, proviene da una ipotesi non provata e sommamente improbabile, cioè che una frazione molto piccola della vôlta celeste sia coperta da corpi celesti. Questo sarebbe certamente giusto, se si supponesse (come per l’addietro) che la massima parte dei corpi siano luminosi. Invece non si ha alcun giudizio sicuro sul numero e sulla grandezza dei corpi celesti oscuri. Per spiegare il movimento osservato di certe stelle, si è supposto che vicini ad esse si trovino dei corpi celesti oscuri di straordinaria grandezza, le cui masse eguaglino quella del nostro sole, e talvolta anzi possano superarla. Però la quantità principale dei corpi celesti oscuri, che occultano i raggi delle stelle che si trovano dietro, dovrebbero consistere di masse più piccole, come quelle che osserviamo nelle comete e nelle meteore, e per gran parte della così detta polvere cosmica. Le osservazioni degli ultimi anni con istrumenti particolarmente potenti hanno dimostrato che le così dette nebulose o stelle nebulose si presentano straordinariamente spesso nella vôlta celeste. Nel loro interno probabilmente si trovano ammassi di corpi oscuri. Èinoltre verosimile che le nebulose in massima parte mandino luce troppo debole perchè noi possiamo vederle. Non si può dunque supporre, se non che si trovino dei corpi celesti per tutto lo spazio infinito, e press’a poco con tanta frequenza come nelle vicinanze del nostro sistema solare. E da ciò segue che ogni raggio solare, in qualunque parte sia rivolto, deve alla fine incontrare un corpo celeste, sicchè nulla va perduto sia della radiazione solare, sia di quella delle stelle.

Sotto certi rapporti la terra si comporta come una macchina a vapore. Affinchè questa possa eseguire lavoro utile, non solo è necessario che le sia fornito calore, come ognuno sa, da una sorgente di calore ad alta temperatura, cioè dal focolare e dalla caldaia, ma anche che la macchina ceda calore ad un’altra sorgente a temperatura più bassa, cioè al condensatore o refrigerante. Soltanto se attraverso alla macchina viene trasmesso calore da un corpo a temperatura più alta ad uno a temperatura più bassa, essa può compiere un lavoro. Così pure nessun lavoro può compiersi sopra la terra, e quindi non può esistervi forma alcuna di vita, se non venga trasmesso del calore attraverso alla terra da un corpo caldo, il sole, verso un mezzo circostante più freddo, lo spazio e i corpi celesti freddi che vi si trovano.

La temperatura della superficie terrestre dipende, come vedremo subito, fino ad un certo grado, dalle condizioni dell’atmosfera soprastante e specialmente dalla trasparenza di quest’ultima pei raggi calorifici.

Se la terra non avesse atmosfera, o se questa fosse perfettamente trasparente, si potrebbe calcolare facilmente la temperatura media della superficie terrestre, conoscendo la intensità della radiazione solare, seguendo una legge posta da Stefan sulla dipendenza della radiazione termica dalla temperatura. Sotto l’ipotesi probabile, che, alla distanza media della terra dal sole, la radiazione solare porti ad un corpo nero, la cui sezione trasversale ortogonale alla direzione dei raggi solari abbia la superficie di un centimetro quadrato, 2,5 piccole calorie al minuto, Christiansen calcolò la temperatura media alla superficie dei vari pianeti. La tabella seguente, che contiene anche la distanza media dei pianeti dal sole (la distanza media della terra dal sole — 149,5 milioni di km. — è presa come unità), mostra i suoi numeri.

Pianeta Raggio secondo Sec Massa secondo Sec Dist. media Temp. media Peso specifico secondo Sec
0,341 0,0224 0,39 + 178° (332) 0,564
0,955 0,815 0,72 + 65 0,936
1 1 1 + 6,5 1
0,273 0,01228 1 + 6,5 (106) 0,604
0,53 0,1077 1,52 – 37 0,729
11,13 317,7 5,2 – 147 0,230
9,35 95,1 9,55 – 180 0,116
3,35 14,6 19,22 – 207 0,388
3,43 17,2 30,12 – 221 0,429
109,1 332750 0 + 6200 0,256

Poichè Mercurio volta verso il sole sempre la stessa parte, io giunsi per questo pianeta anche ad un numero — 332 — che indica la temperatura media della sua parte rivolta verso il sole, il punto più caldo della quale raggiunge 397°, mentre la parte opposta deve avere una temperatura non molto lontana dallo zero assoluto, – 273°. Un calcolo analogo feci anche per la luna, che ruota così lentamente attorno al suo asse (una volta in 27 giorni) che la temperatura sulla parte illuminata dal sole rimane quasi altrettanto alta (106°), come se essa volgesse sempre al sole la medesima parte. Secondo questo calcolo il suo punto più caldo ha una temperatura di circa 150°. I poli della luna e quella parte del lato opposto al sole che rimane più tempo senza luce, devono avere una temperatura poco superiore allo zero assoluto. Questo corrisponde bene anche con la temperatura della luna dedotta dalle misure della sua radiazione termica. La più antica misura di questo genere fu fatta da Lord Rosse; egli trovò che il disco lunare illuminato dal sole (cioè la luna piena) irradia tanto calore quanto un corpo (nero) di 110°. Una posteriore misura dell’americano Very sembra dimostrare che il punto più caldo della luna è a circa 180°, cioè 30° circa più alto di quel che risulta dal calcolo. Per la luna e Mercurio che non hanno atmosfera alcuna degna di menzione, il calcolo può corrispondere press’a poco con la realtà.

Quanto alla temperatura sul pianeta Venere, se l’atmosfera fosse del tutto trasparente, essa dovrebbe ammontare a + 65°. Ma noi sappiamo che nell’atmosfera di questo pianeta stanno sospese delle dense nubi, probabilmente formate da gocce d’acqua, che ci impediscono di osservare la superficie solida o acquea del pianeta. Secondo determinazioni di Zöllner e d’altri sopra l’intensità luminosa di questo pianeta, tali nubi riflettono non meno del 76 % della luce solare incidente; in altre parole il pianeta Venere è bianco all’incirca quanto una palla di neve. I raggi calorifici non vengono riflessi in così alto grado; si può stimare la parte assorbita dal pianeta a circa metà del calore incidente. Per ciò la sua temperatura è rilevantemente abbassata, quantunque essa in parte viene aumentata dall’azione protettrice della sua atmosfera. La temperatura media su Venere è quindi, in grado non trascurabile, più bassa di quella calcolata, e potrebbe ammontare a circa 40°. Perciò non sembra assurda l’ipotesi che delle parti molto considerevoli della superficie di Venere siano favorevoli alla vita organica, specialmente le regioni attorno ai poli.

Anche sulla temperatura della terra le nubi hannouna fortissima azione di riduzione. Esse proteggono circa la metà della superficie terrestre (52 per cento) dalla radiazione solare. Ma, anche a cielo completamente sereno, non arriva sulla terra tutta la luce solare. Anche nell’aria la più pura sta sospesa qualche po’ di polvere finemente divisa. Io ho valutato che per effetto di questa polvere vada perduto circa il 17 % del calore solare della terra. Polvere e nubi sottrarrebbero insieme alla terra il 34 % del calore, e questo corrisponderebbe ad un abbassamento di temperatura di non meno di 28°. Tuttavia la polvere e le gocce d’acqua delle nubi proteggono in certo modo dalla irradiazione della terra, sicchè la perdita totale per le nubi e per la polvere ammonta a circa 20°.

Si trovò che la temperatura media della superficie terrestre è di circa 16°, invece della temperatura di 6°,5risultata dai calcoli, che dovrebbe poi essere abbassata di 20° per l’azione della polvere e delle nubi, cioè a circa – 14°. La temperatura osservata è dunque più alta di quella calcolata di non meno di 30°. Questo proviene dall’azione protettrice dei gas contenuti nell’atmosfera di cui parleremo subito (pag 52 [pag 72 dell’edizioneManuzio]).

Sopra Marte quasi non si presentano nubi. Questo pianeta ha un’atmosfera estremamente trasparente, o così si spiega la sua alta temperatura. Invece della, temperatura calcolala di – 37°, Marte possiede una temperatura di + 10°. Di fatto ai poli di Marte durante l’inverno si ammucchiano delle masse bianche, manifestamente di neve, le quali poi nella primavera rapidamente fondono, e si cambiano in acqua d’aspetto oscuro. Talora le masse di neve ai poli di Marte fondono completamente durante l’estate, cosa che non succedeai poli terrestri; la temperatura media di Marte deve quindi essere sopra 0°. probabilmente a circa + 10°. Èsommamente probabile che su Marte alligni la vita organica. Al contrario è assai fantastico concludere dalla presenta dei così detti canali, sulla esistenza sopra Marte di esseri intelligenti. Alcuni credono che i «canali» siano un’illusione ottica, ma, come mostrano le fotografie di Lowell, a torto.

Quanto agli altri grandi pianeti, la temperatura media calcolata per la loro superficie è bassissima. Questo calcolo però è molto illusorio, poichè quei corpi celesti probabilmente non hanno alcuna superficie, solida o liquida; ma sono completamente aeriformi, ciò che risulta dal loro peso specifico. Il quale pei pianeti interni, per Marte e per la nostra luna, è un po’ più piccolo di quello della terra; Mercurio viene ultimo con un peso specifico eguale a 0,564. Poi c’è un salto più grande nel peso specifico dei grandi pianeti esterni, Giove ha 0,23 e Saturno 0,116. Sono un po’ più alti — attorno a 0,4 — i pesi specifici dei due pianeti più esterni, ma questi ultimi dati sono molto incerti. I numeri citati sono dello stesso ordine di grandezza di quello per il sole che è 0,25, e del sole noi sappiamo che, astrazion fatta di alcune piccole formazioni nuvolose, è completamente aeriforme. È quindi probabile che anche i pianeti esterni a cominciare da Giove (incluso) sieno gassosi e circondati da densi veli di nubi, che ci impediscono di vedere nell’interno. Non si può quindi supporre che questi pianeti possano essere residenza di esseri viventi. Piuttosto si potrebbero immaginare tali le loro lune. Se non ricevessero calore dai loro pianeti, esse prenderebbero le temperature sopra riportate del loro corpo centrale. Dalla nostra luna la terra appare sotto un angolo visuale 3,7 volte maggiore che il sole. Da ciò si calcola facilmente, poichè la temperatura del sole in base alla sua radiazione viene supposta di 6200° (6500 gradi assoluti), che la luna riceverebbe altrettanto calore dalla terra, se questa avesse una temperatura di circa 3100°(3380 assoluti). Quando si formarono le prime nubi acquee nell’atmosfera terrestre, la temperatura era di circa 360° e la radiazione dalla terra alla luna solo 1,25 millesimi di quella del sole. La attuale irradiazione della terra non raggiunge un ventesimo di questo importo. Appare da ciò che la radiazione terrestre non ha alcuna notevole parte nella economia termica della luna.

Del tutto diversa sarebbe la situazione se la terra avesse il diametro di Giove (11 volte più grande) o di Saturno (9,3 volte più grande). Allora la radiazione della terra verso la luna ammonterebbe rispettivamente ad un sesto e ad un nono dell’attuale radiazione solare, se la temperatura della superficie terrestre fosse di 360°. Quindi si può facilmente calcolare che Giove e Saturno irraggerebbero altrettanto calore verso un satellite a 240000 e rispettivamente 191000 km. di distanza (poichè la luna dista dalla terra 384000 km.), che il sole verso Marte — tutto per centimetro quadrato —, dato che le temperature dei detti pianeti fossero di 360°. Ora si trovano presso a Giove e a Saturno dei satelliti a distanze minori (126000 e 186000 km. rispettivamente) di quelle dette sopra, equindi non è affatto inconcepibile che essi ricevano dal loro corpo centrale quantità di calore che rendano possibile la vita, se essi posseggono un’atmosfera che assorbe calore. Questo sembra più difficile per i satelliti più interni di Giove e Saturno. Quando il loro pianeta illumina al massimo grado, la sua intensità luminosa è solo un sesto rispettivamente ed un nono della intensità luminosa solare, che su di essiè solo un ventisettesimo e rispettivamente un novantesimo di quella sulla terra. Quando i pianeti erano incandescenti i loro satelliti furono senza dubbio per qualche tempo adatti allo sviluppo della vita.

Che l’involucro atmosferico eserciti un’azione di protezione contro la perdita di calore, fu già supposto attorno al 1800 dal grande fisico francese Fourier. Le sue idee furono poi ulteriormente sviluppate da Pouillet e Tyndall. La loro teoria è detta la teoria della serra, poichè essi suppongono che l’atmosfera agisca come il vetro di una serra. Il vetro possiede la proprietà di lasciar passare il così detto calore luminoso, cioè quei raggi termici che il nostro occhio può percepire; e per contro di non lasciar passare il calore oscuro, quale per esempio si irraggia da una fornace calda o da una massa di terra riscaldata. Il calore solare è in massima parte luminoso, e quindi penetra attraverso il vetro della serra, e riscalda la terra al disotto. I raggi irradiati da questa sono invece oscuri, e quindi non possono attraversare il vetro, che dunque protegge dalla perdita di calore, all’incirca come un soprabito ripara il corpo da una irradiazione troppo forte. Langley fece una esperienza con una cassa, che era protetta contro una forte perdita di calore da un impacco di bambagia, e dalla parte rivolta verso il sole era ricoperta con doppio vetro. Trovò che la temperatura salì fino a 113°, mentre all’ombra non c’erano che 14° o 15°. L’esperienza fu eseguita sul Pike’s Peak, nel Colorado, alto 4200 m., il 9 settembre 1881 a 1h  40mdi sera, cioè durante la più intensa radiazione solare.

Ora Fourier e Pouillet supposero che l’atmosfera attorno alla terra abbia proprietà che ricordino quelle del vetro, relativamente alla permeabilità termica. Questo fu poi dimostrato giusto da Tyndall. I costituenti dell’aria che esercitano questa funzione sono il vapor d’acqua, che vi si trova sempre in una certa quantità e l’acido carbonico, l’ozono e gli idrocarburi. Questi ultimi si trovano in così piccola quantità, che non furono ancora introdotti nei calcoli. In questi ultimi tempi furono fatte accuratissime osservazioni sulla permeabilità termica dell’acido carbonico e del vapor d’acqua. Col loro aiuto io ho calcolato che, se tutto l’acido carbonico – esso importa soltanto il 0,03 per cento in volume — sparisse dall’aria, la temperatura della superficie terrestre calerebbe di circa 21°.Per questo abbassamento di temperatura decrescerebbe la quantità del vapor d’acqua nell’aria, per cui ne seguirebbe un nuovo e quasi altrettanto grande abbassamento di temperatura. Da questo esempio si scorge già che cambiamenti relativamente insignificanti nella composizione dell’aria possono avere un grandissimo effetto. Un abbassamento della quantità di acido carbonico dell’aria a metà del suo importo attuale, abbasserebbe la temperatura di circa 4°; un abbassamento ad un quarto, di circa 8°. D’altro canto un raddoppiamento del contenuto d’acido carbonico dell’aria, innalzerebbe la temperatura della superficie terrestre di 4°, ed una quadruplicazione di 8.° Inoltre un abbassamento del contenuto d’acido carbonico accrescerebbe le differenze di temperatura tra le varie parti della terra, un aumento lo pareggerebbe.

Ora si presenta la. domanda, se veramente furono osservati tali cambiamenti di temperatura sulla superficie terrestre. I geologi rispondono: sì. Alla nostra epoca storica precedette un periodo, in cui la temperatura media era circa 2° più alta d’adesso. Questo si scorge dalla diffusione di allora della noce avellana e della castagna d’acqua (Trapa natans), di cui si trovano frutti fossili in luoghi, dove entrambe queste piante oggi non possono vivere per peggioramento del clima. Prima di questo periodo vi fu l’epoca glaciale, di cui si sa con sicurezza che cacciò gli abitanti dell’Europa settentrionale dalle loro antiche residenze. Si hanno molti indizi, che l’epoca glaciale fu divisa in parecchie parti, che furono interrotte da intervalli con un clima più dolce, i così detti periodi interglaciali. Lo spazio di tempo che è caratterizzato da queste epoche glaciali, in cui la temperatura – da misure eseguitesulla propagazione dei ghiacciai sulle Alpi — era fin a 5° circa più bassa d’adesso, è stimato dai geologi non inferiore a circa 100000 anni. Questo periodo fu preceduto da uno più caldo, in cui la temperatura, a giudicare dai fossili vegetali di quei tempi, fu talvolta 8°o 9° più alta in media d’adesso, ed anche molto più uniforme su tutta la terra (Eocene). Anche in periodi geologici più antichi sembra abbiano avuto luogo siffatte forti variazioni di clima.

Si può ora supporre che il contenuto d’acido carbonico dell’aria abbia variato in modo che si possano spiegare così questi cambiamenti di temperatura? A questa domanda risposero affermativamente Högbom e più tardi Stevenson. Il contenuto d’acido carbonico dell’aria è così tenue, che l’annuale combustione di carbone, che ora raggiunge circa 900 milioni di tonnellate (1904) e va rapidamente aumentando, porta all’atmosfera circa un settecentesimo del suo contenuto di acido carbonico. Quantunque il mare assorbendo l’acido carbonico agisca a questo proposito come un potente regolatore, che raccoglie circa cinque sesti dell’acido carbonico prodotto, pure è evidente che il contenuto così piccolo d’acido carbonico dell’atmosfera può essere cambiato notevolmente per effetto dell’industria, nel corso di alcuni secoli. Da ciò appare che non c’è nessuna rimarchevole stabilità nel contenuto d’acido carbonico dell’aria, ma che questo probabilmente nel corso dei tempi fu assoggettato a grandi variazioni.

Il processo naturale da cui proviene all’aria la massima quantità di acido carbonico è il vulcanismo. Dai crateri vulcanici sono eruttate grandi masse di gas provenienti dall’interno della terra, consistenti in massima parte di va- por d’acqua e acido carbonico, che sono messi in libertà nel lento raffreddamento dei silicati nell’interno della terra. I fenomeni vulcanici furono di intensità affatto diversa nelle varie fasi della storia della terra, e quindi noi abbiamo ogni ragione di presumere che la quantità di acido carbonico dell’aria fu molto maggiore di adesso in periodi di più intensa attività vulcanica, e al contrario minore in periodi di calma. Il prof. Frech di Breslavia cercò dimostrare che questo va d’accordo con la pratica geologica, poichè con epoche di intenso vulcanismo si ebbe un clima caldo, e a vulcanismo più debole corrispose sempre una temperatura più bassa. Particolarmente l’epoca glaciale fu contrassegnata da una sospensione quasi completa del vulcanismo, e i due periodi al principio e a metà dell’epoca terziaria (Eocene e Miocene), che mostrarono un’alta temperatura, furono anche caratterizzati da una straordinaria attività vulcanica. Questo parallelismo può essere ancora seguito fino ai tempi più remoti.

Qualcuno potrebbe meravigliarsi che l’acido carbonico non aumenti continuamente nell’atmosfera, poichè il vulcanismo manda nell’aria sempre nuove quantità d’acido carbonico. Ma c’è un fattore che in ogni tempo si occupò a consumare l’acido carbonico dell’aria, ed è la degradazione atmosferica. I minerali che durante la solidificazione delle masse vulcaniche (del così detto magma) vennero dapprima a galla, consistevano in composti di acido silicico con allumina, calce, magnesia, un po’ di ferro e sodio. Questi minerali furono un po’ per volta attaccati dall’acido carbonico dell’aria e dell’acqua ricca d’acido carbonico, sicchè specialmente la calce, la magnesia e i sali alcalini, e in certa misura anche il ferro, formarono dei carbonati solubili, che dai fiumi furono portati al mare. Qui calce e magnesia furono separate dagli animali marini e dalle alghe, e a questo modo il loro acido carbonico si accumulò negli strati sedimentari. H ögbom calcolò che nei calcari e nelle dolomiti si trova almeno 27000 volte di più acido carbonico che nell’aria. — Chamberlin viene allo stesso ammontare, tra 20000 e 30000, poichè non prende in considerazione i calcari precambrici. — Questi calcoli probabilmente sono troppo scarsi. — Tutto questo acido carbonico che si trova accumulato negli strati sedimentari, passò per l’aria. Un altro processo che toglie acido carbonico è l’assimilazione delle piante, perchè esse assorbono acido carbonico ed emettono ossigeno. Anche l’assimilazione cresce con la quantità di acido carbonico. Il botanico polacco E. Godlewski mostrò già nel 1872 che diverse piante, in modo particolarmente accurato egli esaminò la Thypha latifoliae la Glyceria spectabilis— assorbono dall’aria ad ogni unità di tempo una quantità d’acido carbonico, che da principio cresce proporzionalmente alla quantità d’acido carbonico dell’aria, finchè questa supera l’un per cento, e poi raggiunge un massimo per la quantità di circa il 6 % per la prima, e il 9 % per la seconda pianta, dopo di che l’assimilazione per quantità crescenti di acido carbonico va lentamente diminuendo. Se quindi il contenuto d’acido carbonico diventa doppio, diventa doppio anche l’assorbimento nelle piante. Se poi contemporaneamente cresce la temperatura di 4°, cresce anche l’attività vitale press’a poco nel rapporto da 1 ad 1,5, sicchè quindi un raddoppiamento del contenuto d’acido carbonico porterebbe con sè un aumento nel consumo d’acido carbonico delle piante, press’a poco nella proporzione da 1 a 3. Circa altrettanto si può ammettere anche per la dipendenza della degradazione dalla quantità d’acido carbonico dell’aria. Un raddoppiamento della quantità d’acido carbonico dell’aria può dunque triplicare l’intensità tanto della vita vegetale, che dei processi chimici inorganici.

Sec ondo il calcolo del celebre chimico Liebig, la q uantità di materia organica li bera d’acqua che viene prodotta da un ettaro di campo, di prato o di bosco, è pressochè uguale; per l’Europa cenrtale di 2,5 tonnellate per anno. In molti luoghi ai tropici la vegetazione è molto più intensa, in altri, nei deserti e nelle regioni artiche, è molto più debole. Non pare quindi ingiusto di prendere il numero di Liebig come valore medio per tutta la parte solida della superficie terrestre. Di queste sostanze organiche, principalmente consistenti di cellulosa, il carbonio costituisce il 40 %. Da ciò risulta che la produzione attuale per anno di carbonio da parte delle piante è di 13000 milioni di tonnellate, quasi 15 volte più grande che il consumo di carbon fossile, e corrispondente a circa 1/50 del contenuto d’acido carbonico dell’aria. Se tutte le piante deponessero il loro carbonio in torbiere, l’aria sarebbe tosto privata del suo acido carbonico. Però solo una frazione dell’un per cento del carbone prodotto viene in questo modo serbato per l’avvenire. Il resto ritorna alla massa dell’acido carbonico atmosferico mediante la combustione o la putrefazione.

Chamberlin riferisce che, insieme con altri cinque geologi americani, provò a calcolare quanto tempo dovrebbe passare perchè l’acido carbonico dell’aria fosse consumato dal processo di degradazione. Essi trovarono con diversi calcoli dei numeri che oscillano tra 5000 e 18000 anni, con una media probabile di 10000 anni. Circa allo stesso importo può essere valutata la perdita d’acido carbonico per la formazione di torba. La produzione di acido carbonico causata dalla combustione di carbone fossile coprirebbe circa sette volte la perdita d’acido carbonico per degradazione e formazione di torba. Poichè queste due circostanze sono i principalissimi fattori del consumo dell’acido carbonico, il contenuto dell’acido carbonico dell’aria deve trovarsi in un forte aumento continuo, fino a che il consumo di carbon fossile, petrolio, ecc., è così grande come al presente, e ancora più, se questo consumo, come succede ora, cresce rapidamente.

Fondandoci su quanto abbiamo detto, possiamo farci un’idea della possibilità della enorme vegetazione che caratterizza alcuni periodi della storia di formazione della terra, per esempio il periodo del carbon fossile.

Ci è conosciuto questo periodo per le quantità straordinarie di vegetali, che furono sotterrati nell’argilla delle paludi di quei tempi, per poi carbonizzarsi un po’ per volta e ritornare al presente al loro posto originario nella circolazione naturale come acido carbonico. Così una gran parte dell’acido carbonico dell’aria sparì dall’atmosfera terrestre e fu raccolta negli strati sedimentari come carbone, lignite, torba, petrolio e bitume. Contemporaneamente si liberò ossigeno e ritornò nell’oceano atmosferico. Si calcolò che la quantità dell’ossigeno atmosferico — 1216 bilioni di tonnellate — corrisponde all’incirca alla quantità di carbon fossile che si trova raccolto negli strati sedimentari. Ne viene la congettura che tutto l’ossigeno che si trova nell’aria si sia formato a spese dell’acido carbonico dell’aria. Questa opinione fu espressa por la prima volta da Koehne di Brüssel nel 1856, e fu quindi vivamente discussa, e guadagnò anche in probabilità. Una parte dell’ossigeno è certo consumata nella degradazione, per esempio di solfuro di ferro e di sali ferrosi, sicchè senza di essa la quantità d’ossigeno dell’aria sarebbe maggiore. Ma d’altra parte c’è negli strati sedimentari una quantità di composti ossidabili, per esempio appunto solfuro di ferro, che probabilmente si sono formati per l’intervento di carbonio (cioè di corpi organici). Una gran parte dei corpi che consumano ossigeno nel processo di degradazione sono dunque formati dal carbonio, che prima era stato separato con sviluppo d’ossigeno, sicchè essi con la loro ossidazione ritornano alla forma primitiva. Noi possiamo accontentarci di constatare, che la quantità di ossigeno libero nell’aria e di carbonio libero negli strati sedimentari, press’a poco si corrispondono, e che quindi probabilmente tutto l’ossigeno dell’aria fu formato pel processo vitale delle piante. Ciò risulta plausibile per un’altra ragione. Noi sappiamo di sicuro che dell’ossigeno libero si trova nell’atmosfera solare, ma che l’idrogeno vi si presenta in quantità molto superiore. Probabilmente l’atmosfera terrestre in origine si trovò nelle stesse condizioni; durante il graduale raffreddamento idrogeno e ossigeno dovettero combinarsi in acqua, ma l’idrogeno dovette rimanere in eccesso. Forse nell’atmosfera terrestre primitiva si trovavano anche idrocarburi; essi hanno una parte capitale nelle masse gassose delle comete. A questi gas si unirono acido carbonico e acqua provenienti dall’interno della terra. L’azoto dell’aria per la sua inerzia chimica si è probabilmente mantenuto invariato nel corso dei tempi. Un chimico inglese, Phipson, avrebbe mostrato che tante piante superiori (convolvolo) come piante inferiori (certi batteri) possono vivere e svilupparsi in un’atmosfera priva d’ossigeno, che contenga idrocarburi e idrogeno. È dunque possibile che ci fossero forme vegetali semplici, anche prima che l’aria contenesse ossigeno, e che queste piante dall’acido carbonico delle eruzioni vulcaniche abbiano liberato ossigeno, che un po’ per volta (forse sotto l’azione di scariche elettriche) permutò l’idrogeno e gli idrocarburi dell’aria in acqua e acido carbonico, finchè furono consumati, mentre l’ossigeno rimase nell’aria; la composizione dell’aria un po’ per volta si avvicinò alla condizione attuale.

Questo ossigeno è una condizione essenziale per l’origine della vita animale. Come noi poniamo la vita animale ad un grado superiore della vegetale, così la prima non potè presentarsi che in uno stadio posteriore. Lavita vegetale abbisogna, oltre ad una temperatura opportuna, soltanto di acido carbonico e d’acqua, e questi corpi probabilmente si presentano nell’atmosfera di tutti i pianeti, come prodotti di esalazione delle loro masse interne infuocate e lentamente raffreddantisi. La presenza di vapor d’acqua nell’atmosfera di altri pianeti come Venere, Giove e Saturno, è direttamente provata con l’aiuto dello spettroscopio: e per Marte indirettamente (per il presentarsi della neve). Lo spettroscopio ha inoltre indicata la presenza di altri gas, e mostra una banda intensa nella regione rossa dello spettro di Giove e Saturno (lunghezza d’onda 0,000618 mm.). Altri nuovi componenti di natura ignota si fanno notare nello spettro di Urano e Nettuno. Al contrario sopra la luna e sopra Mercurio non c’è affatto o c’è un’atmosfera insignificante. Questo è facile da intendere. Sulla parte di Mercurio che è rivolta contro il sole la temperatura è prossima allo zero assoluto. Qui tutti i gas dell’atmosfera del pianeta devono raccogliersi e condensarsi. Se dunque Mercurio aveva in origine un’atmosfera, deve averla perduta quando perdette la sua rotazione libera, per rivolgere al sole sempre la stessa parte. Analoghe ragioni si possono addurre per la mancanza dell’atmosfera lunare. Se, come molti astronomi sostengono, anche Venere rivolgesse al sole sempre la stessa parte, neppure questo pianeta avrebbe un’atmosfera notevole con formazione di nubi. Ma noi sappiamo che è invece avviluppato da una da una estesissima atmosfera, e questo costituisce la più forte obbiezione contro l’ipotesi che Venere, relativamente alla rotazione intorno al suo asse, si comporti come Mercurio.

Ora poichè si alternarono epoche calde e fredde, anche dopo che l’uomo era comparso sulla terra, noi dobbiamo porci la domanda: è probabile che nelle prossime epoche noi siamo visitati da un nuovo periodo glaciale, che ci caccerà via dai nostri paesi verso il clima più caldo dell’Africa? Sembra che non si debba nutrire un timore simile. Intanto la combustione necessaria per iscopi industriali è atta ad aumentare notevolmente l’acido carbonico dell’aria, inoltre pare che il vulcanismo di cui le rovine — Krakatoa (1883) e Martinica (1902) — furono ultimamente in modo speciale terribili, si trovi in aumento. È quindi probabile che l’acido carbonico contenuto nell’aria cresca assai rapidamente. A questo accenna anche la circostanza che il mare sembra sottragga acido carbonico all’aria, poichè il contenuto d’acido carbonico sul mare e nelle isole è in media circa del 10 % più basso che sui continenti.

Se la quantità di acido carbonico dell’aria si fosse conservata inalterata da lungo tempo, il contenuto d’acido carbonico dell’acqua avrebbe avuto tempo di porsi, mediante l’assorbimento, in equilibrio con quello dell’aria. Ora se il mare assorbe dall’aria acido carbonico, ciò mostra che l’acqua del mare è in equilibrio con un’atmosfera che contiene meno acido carbonico dell’attuale atmosfera. Quindi la quantità d’acido carbonico dell’aria ultimamente aumentò.

Si odono spesso lagnanze sul fatto che i tesori di carbone ammucchiati nella terra sono usati dalla generazione presente senza pensare all’avvenire; e spaventano le terribili devastazioni di vite e di proprietà, che seguono alle violente eruzioni vulcaniche. Può riuscire in certo modo di conforto che, come in tante altre cose, anche qui non c’è danno che non abbia il suo vantaggio. Per azione dell’aumentata quantità di acido carbonico dell’aria, speriamo di avvicinarci un po’ per volta a tempi di condizioni climatiche più uniformi e più buone, specialmente nelle parti più fredde della terra; a tempi in cui la terra possa portare messi aumentate molte volte, a vantaggio del genere umano rapidamente crescente.

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