CAPITOLO V La polvere astrale nell’atmosfera terrestre; aurore polari e variazioni del magnetismo terrestre

Abbiamo trattato in quel che precede delle azioni che le particelle lanciate dal sole e dalle stelle esercitano sopra i corpi celesti distanti. Si può domandare se questa polvere non agisce sopra la nostra propria terra. Abbiamo già ricordata la particolare luminescenza, che si estende nelle notti serene sulla vôlta celeste, come conseguenza di scariche elettriche della polvere cadente. Questo porta naturalmente alla questione se le magnifiche aurore polari, che, secondo anche le più moderne vedute, dipendono da scariche elettriche negli strati più alti dell’atmosfera, possono essere causate da polvere solare incidente. Di fatto, si vede che a questo modo possiamo spiegare una intera serie di proprietà di questo misterioso fenomeno, che ha eccitato sempre in alto grado la fantasia dogli uomini.

Noi sappiamo che i meteoriti e le stelle cadenti sono resi incandescenti per la resistenza dell’aria ad un’altezza media di 120 km., talvolta di 150-200; in casi isolati si crede di aver osservato che fossero visibili anche ad altezze superiori. Da ciò risulta che esistono notevoli quantità d’aria ancora ad altezze molto maggiori, e che l’atmosfera non è già insensibile, come si credeva prima, adun’altezza minore di 100 km. È quindi chiaro che corpi più piccoli dei meteoriti come la più volte nominata polvere solare, che, per la loro piccolezza e per il forte raffreddamento che subiscono per irraggiamento e conduzione, non raggiungono mai la temperatura d’incandescenza, sono arrestati già ad altezze maggiori. Noi supporremo ad un’altezza media di circa 400 km.

Le masse di polvere che sono respinte dal sole sono in parte scariche e in parte anche cariche di elettricità positiva o negativa.

Soltanto queste ultime possono essere in relazione con l’aurora polare; le prime cadono giù nell’atmosfera e vengono a cadere lentamente sulla superficie terrestre. Esse formano la così detta polvere cosmica, della cui grande importanza Nordenskiöld era così fermamente convinto. Egli calcolò l’aumento annuale della terra per meteoriti ad almeno 10 milioni di tonnellate, o 500 volte di più di quello che fu riportato sopra (p.103 [pag 131 dell’edizioneManuzio]). Egli, come Lockyer e ultimamente Chamberlin, credeva i pianeti costruiti in massima parte da meteoriti.

La polvere che viene dal sole alla terra, se non fosse carica elettricamente, ammonterebbe a circa 200 tonnellate soltanto all’anno. Anche se questa cifra è troppo bassa, pure il trasporto di materia per questa via è ad ogni modo molto debole a confronto con le 20000 tonnellate, che la terra riceve sotto forma di stelle cadenti e di meteoriti. Ma l’azione di questa polvere è tuttavia molto importante per la sua divisione estremamente sottile, ed essa potrebbe costituire una porzione molto maggiore nella polvere cosmica finalmente divisa degli strati più alti dell’aria, che quella fornita dai meteoriti e dalle stelle cadenti.

Che queste particelle ad onta delle loro massa relativamente tenue esercitino un’azione notevole sopra le condizioni terrestri, dipende in parte dal fatto che sono estremamente piccole, e quindi rimangono sospese nell’aria, a lungo, come la polvere del Krakatoa – più d’un anno – , in parte anche dalla loro carica elettrica.

I loro effetti sulla terra possono essere riconosciuti se si ricerca come le condizioni terrestri dipendano dalla posizione della terra rispetto alle diverse parti attive del sole, e dalle variazioni del sole stesso rispetto alla emissione di particelle di polvere. Per questa ricerca dobbiamo servirci di estesi dati statistici, poichè soltanto mediante delle lunghe serie di osservazioni si può avere una idea, chiara dell’effetto della polvere solare.

Queste particelle tolgono al sole i gas che esse poterono condensare alla loro superficie, e che originariamente si trovavano nella cromosfera e nella corona del sole. Tra questi tengono il posto principale l’idrogeno e subito dopo l’elio e gli altri gas nobili, che Ramsay scoprì nell’aria. Questi gas si trovano, sebbene in piccole quantità, anche nell’atmosfera della terra. Per quanto concerne l’idrogeno, Liveing e, dopo di lui, Mitchell affermarono che esso non viene prodotto nell’atmosfera della terra. — Certo talvolta si trova idrogeno nei gas vulcanici: così per esempio si sviluppa dal cratere Kilauea nell’isola di Hawaï, ma abbrucia immediatamente all’aria. Se esso si trovasse nell’atmosfera, dovrebbe unirsi un po’ per volta con l’ossigeno formando acqua; quindi non rimane da supporre altro, se non che esso venga portato in debole quantità da un’altra parte, cioè dal sole. Mitchell vede in ciò un valido sostegno per l’opinione che della polvere solare cade sempre attraverso alla nostra atmosfera.

Laquantità di polvere solare che cade nell’atmosfera deve naturalmente variare parallelamente all’attività eruttiva del sole. La quantità di polvere negli strati d’aria superiori influisce sul colore della luce solare. Dopo l’eruzione del vulcano Rakata (Krakatoa) nel 1883, e, sebbene in grado minore, dopo l’eruzione del Monte Pelée nella Martinica, si osservò la così detta luce rossa. Contemporaneamente si mostrò un altro fenomeno, che potè essere misurato quantitativamente. La luce del cielo, ad eccezione di quella proveniente da alcuni pochi luoghi, è polarizzata. Di questi ve n’è uno, detto punto d’Arago, un po’ al di sopra dell’antipodo del sole; un altro, detto punto di Babinet, si trova un po’ al disopra del sole. Se si misura l’altezza di questi punti sopra l’orizzonte sul tramontar del sole, si trova, in coincidenza con la previsione teorica, che essa, se gli strati d’aria superiori sono pieni di polvere (come dopo l’eruzione del Rakata), è più grande che in condizioni normali. Brusch, uno scienziato tedesco, ricercò l’altezza media di questi punti (in gradi d’arco) al tramonto del sole e trovò i seguenti rispettivi numeri:

Anno 1886 87 88 89 90 91 92 93 94 95 Med.
Punto d’Arago 20,1 19,7 18,4 17,8 17,7 20,6 19,6 20,2 20,7 18,8 19,4
Punto di Babinet 23,9 21,9 17,9 26,8 15,4 23,3 21,5 24,2 23,3 19,9 20,7
Num. delle macchie solari 23,1 19,1 6,7 6,1 6,5 35,6 73,8 84,9 78,8 63,9 40,0

C’è un distinto parallelismo nell’andamento di questi numeri. Quasi contemporaneamente col massimo delle macchie solari anche l’altezza sull’orizzonte dei così detti punti neutrali raggiunge al tramonto del sole un valore massimo, e lo stesso succede per il minimo. Che i fenomeni nell’atmosfera si presentino un po’ più tardi che quelli sul sole che li cagionano, è cosa forse naturale.

Se l’aria è ricca di polvere e anche fortemente ionizzata mediante raggi catodici, le circostanze favoriscono la formazione di nubi. Questo si può per esempio osservare nell’aurora boreale, che dà origine a formazioni di nubi così caratteristiche che Adam Paulsen con l’aiuto di queste nubi fu in grado di osservare aurore boreali in pieno giorno. Klein diede un prospetto della connessione fra la frequenza delle nubi più alte – i così detti cirri a Cöln e il numero delle macchie solari, durante il periodo 1850-1900. Egli dimostrò che durante questo tempo, che abbraccia più di quattro periodi di macchie solari, i massimi delle macchie cadono negli anni in cui si osservò il massimo numero di cirri. Così pure coincidono i minimi dei due fenomeni.

Anche sopra a Giove pare abbia luogo una analoga intensa formazione di nubi, quando si osservano molto macchie solari. Vogel osserva che Giove in tale occasione risplende di luce bianca, mentre al contrario nei minimi di macchie solari appare rosso carico. Quanto più profondamente si può scrutare nell’atmosfera di Giove, tanto più il pianeta appare rosso. Per una maggiore attività solare le parti più alte dell’atmosfera di Giove si riempiono dunque di nubi.

La scarica della polvere solare elettrizzata, entro l’atmosfera, cagiona le aurore polari. Queste si presentano il più spesso, come dice il nome, nelle regioni attorno ai poli della terra. Però esse non sono tanto più frequenti quanto più ci si avvicina ai poli, ma raggiungono il massimo della frequenza in cerchi che racchiudono i poli magnetici e geografici. La fascia massima settentrionale passa sopra il capo Tscheljuskin. a nord di Novaja Semlja, lungo la costa nord-ovest della Norvegia, alcuni gradi a sud dell’Islanda e della Groenlandia, attraverso la baia di Hudson e sopra le cime nord-ovest dell’Alaska. Le aurore decrescono rapidamente verso il sud, in modo che a Stoccolma sono 5 volte e a Berlino 30 volte più rare che in Lapponia.

Paulsen distingue le aurore boreali in due classi, che s i comportano del tutto diversamente sotto diversi rispetti. La grande difficoltà con cui fino ad ora fu congiunta la soluzione del problema della luce polare, pare in gran parte dipendere da questo che si voleva trattarle identicamente tutte quante.

Le aurore della prima classe non hanno raggi. Esse occupano in cielo un grande spazio in direzione orizzontale. Sono molto tranquille, e la loro luce è straordinariamente costante. Comunemente si avvicinano un po’ per volta allo zenith e non portano seco alcuna perturbazione magnetica.

Queste luci hanno di solito la forma di un arco, il cui apice è posto nella direzione del meridiano magnetico (vedi fìg. 38 [pag. 147]). Talvolta parecchi archi sono raggruppati l’uno sull’altro.

Nordenskiöld osservò questi archi regolarmente nella notte polare, quando egli svernò presso Pitlekaj, vicino allostretto di Behring. Adam Paulsen li osservò spesso in Islanda e Groenlandia, che giacciono entro la fascia massima nominata dianzi, e dove aurore boreali sono molto comuni. Talora si presentano anche presso all’Equatore come archi circolari bianchi come latte, altissimi nella vôlta celeste.

Talvolta nelle regioni artiche si osserva che grandi aree di cielo sono coperte di una luce diffusa, che si potrebbe paragonare molto da vicino ad una nube trasparente luminosa, in cui sembra che sieno frammiste delle parti più oscure, la cui oscurità probabilmente dipende da un effetto di contrasto. Questo fenomeno fu osservato spesso durante la spedizione svedese del 1882-1883, presso al capo Thordsen.

Molto spesso si osservarono, specialmente nelle regioni artiche, delle masse di luce, che si libravano ad altezza così piccola nell’aria, che ricoprivano i pendii montuosi posti dietro. Così Lemström vide un’aurora boreale nell’isola Spitzbergen davanti ad una parete rocciosa alta solo 300 m. Nella Finlandia settentrionale egli osservò la linea aurorale nella luce dell’aria davanti ad un panno nero distante alcuni metri. Adam Paulsen numera anche questi fenomeni come luci polari di prima classe, e li considera come nubi fosforescenti, che, da correnti di convezione, sono spinte eccezionalmente basse nella nostra atmosfera.

Le aurore polari della seconda classe sono contrassegnate dai caratteristici raggi aurorali. Talvolta questi raggi sono separati gli uni dagli altri (vedi fig. 39 [pag. 149]); per lo più si fondono insieme, specialmente in basso, sotto forma di panneggiamenti di solito così mobili, che sembrano ondeggiare al vento (vedi fig. 41 [pag. 151]). I raggi corrono molto da vicino nella direzione dell’ago di inclinazione. e, se si sviluppano in gran numero tutt’attorno nella vôlta celeste, convergono distintamente verso lo stesso punto nella così detta corona (vedi fig. 40 [pag. 150]). D urante il suo sviluppo massimo l’aurora boreale viene attraversata da numerose onde luminose.

I panneggiamenti sono molto sottili. Paulsen osservò talvolta come passavano sul suo capo (in Groenlandia). Essi apparivano di scorcio e avevano la forma di strie o nastri di luce tortuosi. Queste aurore fanno deviare l’ago magnetico. Quando passano lo zenith, la loro azione cambia di segno in modo che la deviazione dell’ago magnetico passa da est a ovest, se il nastro si muove da nord a sud. Adam Paulsen ne dedusse che nei raggi si muove dell’elettricità negativa, raggi catodici, dall’alto in basso. Queste aurore corrispondono a violenti spostamenti di elettricità negativa, mentre quelle della prima classe pare consistano di una materia fosforescente, che non è in movimento intenso. I raggi possono pervenire a strati d’aria assai vicini alla superficie della terra, almeno in contrade che giacciano vicine alla cintura massima della aurora boreale. Cosi Parry osservò a Port Bowen un raggio aurorale davanti ad una rupe alta solo 214 m.

L’aurora boreale della prima specie può passare in una della seconda, e viceversa. Si vede spesso dall’arco dell’aurora lanciarsi improvvisamente verso il basso dei raggi, e, se la luce è intensa, anche verso l’alto. D’altro canto la forte agitazione di un «panneggiamento», può scemare e far posto sulla vôlta celeste ad una luce diffusa immobile. L’aurora boreale della prima classe è osservata specialmente nelle regioni artiche. Ad essa corrisponde, in regioni poste più lontano dal polo, la luce diffusa che pare distribuita uniformemente nella vôlta celeste e dà la linea aurorale.

Le aurore polari osservate di solito (non soltanto da spedizioni artiche) appartengono alla seconda classe; la quale comprende così tutte quelle citate nella statistica riportata sopra, eccettuate quelle dell’Islanda e della Groenlandia. Mentre le aurore a raggi si conformano chiarissimamente col periodo di 11,1 anni, e sono più frequenti quando è maggiore il numero di macchie solari, non succede la stessa cosa, secondo Tromholt, per le aurore dell’Islanda e della Groenlandia. La loro frequenza sembra essere al contrario assai indipendente da quella delle macchie solari. Spesso i massimi aurorali corrispondenti a massimi di macchie solari sono separati in due da un minimo secondario. Questo fenomeno è più evidente di tutto nei paesi polari, ma si presenta anche nelle statistiche della Scandinavia e di altre contrade.

Per comprendere giustamente la natura della luce polare, vogliamo considerare la corona solare di un anno minimo, per esempio del 1900 (cfr fig. 30 [pag. 105]). I raggi della corona in vicinanza ai poli del sole sono piegati lateralmente per l’azione delle linee magnetiche. Le piccole gocce cariche di elettricità negativa hanno chiaramente solo una debole velocità, sicchè esse si spostano vicinissime alle linee di forza magnetiche in vicinanza ai poli del sole e sono dirette giù verso l’equatore. Qui le linee di forza sono meno spesse, cioè le forze magnetiche sono più deboli, e perciò la polvere solare può essere respinta dalla pressione di radiazione nel piano equatoriale del sole in un grande disco. Questo disco appare alla nostra vista come due grandi fasci di raggi, che sporgono nella direzione dell’equatore solare. Unaparte di questa polvere solare viene in vicinanza alla terra e subisco naturalmente l’azione delle linee di forza magnetiche della terra, così che viene spartita in due ciuffi, che irraggiano verso i poli magnetici della terra. Questi giacciono a qualche profondità nella terra, e quindi non tutti i raggi vengono concentrati nella direzione del polo magnetico sulla superficie della terra. Ènaturale che le particelle cariche negativamente, provenienti dal sole, scorreranno specialmente verso una regione che giace un po’ a sud del polo magnetico nord, se in questo è mezzogiorno. Se al polo magnetico nord è mezzanotte, le particelle cariche sono in massima parte catturate dalle linee di forza, prima di passare avanti al polo geografico nord, e perciò la fascia massima delle aurore boreali come accennammo sopra (cfr. pag. 116 [pag 145 dell’edizioneManuzio]), ricingerà i poli magnetico e geografico. La polvere solare carica negativamente è quindi concentrata in due anelli sopra le fascie massime delle aurore boreali, e cagiona, se incontra delle molecole d’aria, una luce fosforescente, come se esse fossero urtate dalle particelle cariche del radio. Questa luce fosforescente si innalza sotto forma di un arco luminoso a circa 400 km. d’altezza (secondo misure di Paulsen), e il vertice di quest’arco pare si trovi sempre nella direzione in cui la fascia massima è più vicina al sito d’osservazione, che coincide assai da vicino con la direzione dell’ago magnetico.

In modo del tutto diverso si comporta la corona solare durante un anno massimo di macchie solari (fig. 31 [pag. 107]). I suoi raggi emanano dal sole diritti in quasi tutte le direzioni, e se qualche direzione sembrafavorita, essa si trova appunto sopra le fascie dello macchie. La velocità della polvere solare è manifestamente troppo grande, perchè la direzione della emanazione possa essere cambiata in grado notevole dalle linee di forza magnetiche del sole. Nè la polvere solare carica viene a subire effetto rilevante da parte delle linee di forza del magnetismo terrestre, ma cadrà sostanzialmente in linea retta nell’atmosfera, sopratutto dove ha luogo il più intenso irraggiamento. Poichè questi raggisolari « duri » sembra che emanino dalle facole solari, e queste si presentano con la massima frequenza in anni ricchi di macchie solari, così anche le aurore polari, in regioni che si trovano lontane dalle fascie aurorali massime, si presentano segnatamente quando è grande il numero delle macchie solari. Succede tutto l’inverso per i raggi di polvere solare «molli»,che cadono presso alla fascia massima delle aurore. Questi raggi si presentano con la massima frequenza per un numero più debole di macchie solari, come mostrano le osservazioni della corona solare. (Probabilmente negli anni massimi essi sono strappati dai raggi più duri). Le luci polari corrispondenti a questi raggi raggiungono quindi un massimo quando ci sono poche macchie solari. Certo si presentano contemporaneamente raggi di polvere « duri » e «molli»,ma i primi predominano negli anni massimi di macchie solari, i secondi nei minimi.

Che la periodicità delle aurore polari in regioni all’infuori della fascia massima segua esattamente quella delle macchie solari, si sa fin da quando nel 1863 Fritz dimostrò questa relazione. La lunghezza dei periodi è assai variabile, tra 7 e 16 anni; in media abbraccia 11,1 anni. Gli anni massimi e minimi per le macchie solari e per le aurore boreali sono i seguenti:

ANNI MASSIMI:

Macchie solari         1728 39 50 62 70 78 88 1804 16 30 37 48 60                         71 83 93 1905.

Aurore boreali                1730 41 49 61 73 78 88 1805 19 30 40 50 62                         71 82 93 1905.

ANNI MINIMI:

Macchie solari         173445 55 67 76 85 98 1811 23 34 44 56 67                         78 89 1900

Aurore boreali                1735 44 55 66 75 83 99 1811 22 34 44 56 66                         78 89 1900

Inoltre ci sono, come già dimostrò De Mairan nel suo classico lavoro del 1746, dei periodi più lunghi, che si ritrovano tanto nel numero delle macchie solari che in quello delle aurore boreali. Secondo Hansky la lunghezza di questi periodi è di 72, e secondo Schuster di 33 anni. Dei massimifortemente pronunciati si manifestano al principio e alla fine del XVIII secolo, l’ultimo nel 1788, dopo di cui le aurore boreali furono molto rare dal 1800 al 1830, come anche per qualche        tempo a metà del secolo XVIII. Nel 1850 e particolarmente nel 1871 ci furono forti massimi, poi mancano di nuovo.

Quanto all’altezza delle aurore polari troviamo nella bibliografia dei dati molto differenti. In generale pare che essa sia tanto maggiore, quanto più il sito d’osservazione è vicino all’equatore, cosa che coincide particolarmente bene con la debole deviazione dei raggi catodici verso la superficie terrestre nelle contrade poste lontano dal polo. Gyllenskiöld trovò nello Spitzbergen un’altezza media di 55 km., Bravais nella Norvegia settentrionale 100-200 km.; De Mairan per l’Europa centrale 900 km.; Galle all’incontro 300 km.; Paulsen osservò in Groenlandia delle aurore boreali molto basse. In Islanda trovò per il vertice dell’arco, che si può ben considerare come il punto di partenza della luce, circa 400 km. Queste altezze, di cui quelle risultate da osservazioni più vecchie potrebbero essere alquanto incerte, corrispondono press’a poco all’ordine di grandezza che si può dedurre dall’altezza a cui la polvere solare deve essere trattenuta dall’atmosfera terrestre.

Le aurore polari posseggono anche una periodicità annuale accentuata, che può essere facilmente spiegata con#id_bookmark7l’aiuto della teoria della polvere solare. Come vedemmo sopra, di macchie solari se ne presentano solo di raro in vicinanza all’equatore solare, e lo stesso vale per le facole. A latitudine più grande crescono rapidamente in frequenza, e raggiungono un massimo a circa 15° di latitudine. Il piano equatoriale del sole è inclinato di 7° circa verso il piano dell’orbita terrestre. La terra si trova nel piano equatoriale del sole il 6 dicembre e il 4 giugno, e al massimo di distanza da esso tre mesi dopo. Quindi dobbiamo aspettarci un minimo nelle particelle di polvere solare che colpiscono la terra, quando la terra in dicembre e giugno si trova nel piano equatoriale del sole, e dei massimi in marzo e settembre. Questo relazioni sono un po’ turbate dalla luce crepuscolare, che impedisce l’osservazione delle aurore boreali nelle notti chiare d’estate della regione artica, mentre le notti oscured’inverno favoriscono l’osservazione di questi deboli fenomeni luminosi. La ripartizione delle aurore polari nei diversi tempi dell’anno risulta dalla seguente tabella compilata da Ekholm e da me.

Svezia

(1883-96)

Norvegia

(1861-95)

Islanda e G roenlandia (1872-92)

Stati Uniti

(1871-93)

Aurore merid. (1856-94)
Gennaio 1056 251 804 1005 56
Febbraio 1173 331 734 1455 126
Marzo 1312 335 613 1396 183
Aprile 568 90 128 1724 148
Maggio 170 6 l 1270 54
Giugno 10 0 0 1061 40
Luglio 54 0 0 1233 35
Agosto 191 18 40 1210 75
Settembre 1055 209 455 1735 120
Ottobre 1114 353 716 1630 192
Novembre 1077 326 811 1240 112
Dicembre 940 260 863 912 81
Media 727 181 430 1322 102

In zone ove la differenza fra la lunghezza del giorno e della notte nelle varie epoche dell’anno non è tanto grande, come negli Stati Uniti dell’America del Nord, e in contrade (in media circa 40° di latitudine Sud) ove si osserva l’aurora australe, il minimo principale cade d’inverno: nell’emisfero nord in dicembre, nel sud in giugno o luglio. Un minimo più debolmente accentuato sopravviene d’estate. Dei tempi in cui la terra attraversa il piano equatoriale del sole, e in cui cade sulla terra un minimo di polvere solare, sono contrassegnati da una maggior frequenza di aurore quelli che sono distinti da una maggiore altezza del sole sopra l’orizzonte. Si può ben aspettarselo, poichè la quantità massima di polvere solare cade sulle parti della terra, su cui il sole è più alto a mezzogiorno. Entrambi i massimi in marzo o aprile e in settembre od ottobre, quando la terra è alla massima distanza dal piano equatoriale del sole, sono in tutte le serie fortemente accentuati, eccetto quella delle regioni polari Islanda e Groenlandia. Qui la frequenza dell’aurora dipende soltantodalla intensità della luce crepuscolare, sicchè un unico massimo cade in dicembre, e il minimo corrispondente in giugno. Una statistica più recente (1891-1903) fornisce tuttavia un minimo in dicembre. Per la stessa ragione il minimo estivo dei paesi che si trovano ad un alto grado di latitudine, come Svezia e Norvegia, è molto basso.

Per ragioni analoghe è particolarmente difficile, per la massima parte dei luoghi, fissare il periodo giornaliero della aurora polare. La massima quantità di polvere solare cade a mezzogiorno, e la massima parte delle luci polari dovrebbero apparire alcune ore dopo, come la massima temperatura diurna sopravviene un po’ dopo mezzogiorno; in causa della intensa illuminazione solare questo massimo non può essere osservato se non nella notte invernale delle regioni polari, e anche qui soltanto se si effettua una correzione per l’effetto perturbatore della luce crepuscolare. A questo modo Gyllenski ö ld trovò per Kap Thordsen nelle Spitzbergen un massimo di luce polare a 2 ore e 40 dopo mezzogiorno. II minimo corrispondente sopravveniva a 7 ore e 40 di mattina. In altri luoghi si può s olo constatare che l’aurora polare è più intensa e più frequente prima che dopo mezzanotte. Nell’Europa centrale il massimo sopravviene a circa 9 ore di sera, in Svezia e Norvegia (60° di latitudine nord) da mezz’ora a un’ora più tardi.

Per le aurore polari si trovarono alcuni altri periodi della lunghezza di circa un mese, di cui uno che dura 25,93 giorni si presenta particolarmente nelle australi, dove il massimo supera del 44   % il valore medio; per bore ali in Norvegia l’eccesso è del 23 %, e in Svezia solo dell’11 % . Questo periodo fu constatato già per l’addi etro per una lunga serie di altri fenomeni, specialmente magnetici, che, come vedremo più sotto, stanno in strettissima relazione con le aurore polari, e fu osservata anche nella frequenza delle tempeste e nelle variazioni della pressione atmosferica. Per lungo tempo si è messa in relazione questa periodicità con la rotazione assiale del sole. L’ Austriaco Hornstein anzi andò così lontano da proporre di determinare la lunghezza di questo periodo, perchè essa « darebbe un valore più esatto del tempo di rivoluzione del sole, che le determinazioni dirette » . Oggi sappiamo che questo varia alle varie latitudini, circostanza che era ben nota già a Carrington e Sp ö rer dal movimento delle macchie solari a diverse latitudini, ma che fu stabilita proprio sicuramente mediante le misure spettroscopiche di Dunér sul movimento della fotosfera solare. Dunér trovò per le latitudini qui sotto esposte i seguenti tempi di rivoluzione siderea, a cui corrispondono i tempi di rivoluzione sinodica sottostanti. ( Pe r tempo di rivoluzione siderea di un punto del solo si intende il tempo che passa tra i due istanti, in cui una data stella attraversa il piano meridiano del punto, cioè il piano che passa pei poli del sole e per questo punto. Il tempo della rivoluzione sinodica è determinato dal passaggio della terra attraverso a questo piano meridiano. In causa del movimento della terra nella sua orbita il tempo di rivoluzione sinodica è più lungo di quello della siderea).

Latitudine sul sole 0 15 30 45 60 75 gradi
Tempo di rivoluzione siderea         25,4 26,4 27,6 30,0 33,9 38,5 giorni
Tempo di rivoluzione sinodica 27,3 28,5 29,9 32,7 37,4 43,0 giorni

Chei periodi di rivoluzione della fotosfera solare, e analogamente delle macchie, delle facole e delle protuberanze, crescano rilevantemente con la latitudine, è uno dei più enigmatici fenomeni della fisica solare. Qualcosa di analogo vale anche per le nubi di Giove, ma la differenza qui è molto minore, solo di circa l’1 %. Le nubi dell’atmosfera terrestre si comportano in modo assolutamente opposto, ciò che si spiega anche facilmente colla circolazione atmosferica.

Nel nostro caso naturalmente non può essere d’importanza che la posizione del sole rispetto alla terra, cioè la rivoluzione sinodica. Noi vediamo che il periodo di 25,93 giorni non coincide affatto con alcun tempo di rivoluzione della fotosfera solare. Il divario più debole si trova all’equatore solare, e sarebbe indicato che noi calcolassimo con questo periodo, poichè la terra non si allontana mai tanto dal piano equatoriale del sole, e poi vi ritorna periodicamente due volte all’anno.

Ma qui si presenta un’altra proprietà; quanto più alto nell’atmosfera solare è situato un punto, tanto più corto è il periodo di rivoluzione. Così il tempo di rivoluzione sinodica delle facole all’equatore solare è in media 26,06, delle macchie 26,82 e della fotosfera 27,3 giorni. Le facole situate più in alto ruotano ancora più rapidamente, e noi veniamo quindi alla conclusioneche il periodo menzionato coincide col periodo delle facole situate più in alto nella regione equatoriale del sole e probabilmente dipende da esso. Questo s’accorda completamente con le nostre idee sulla fisica solare. Di fatto, le facole si formano nelle correnti gassose ascendenti e ad un’altezza un po’ minore, che le goccette respinte dalla pressione di radiazione. Questa pressione ha appunto il suo massimo di intensità in vicinanza alle facole.

Per la stessa ragione la repulsione della polvere solare è particolarmente intensa, quando le facole sono fortemente sviluppate, cioè appunto in epoche di maggiore attività eruttiva solare, in cui sono solite a presentarsi anche molte macchie solari.

Noi non possiamo immaginare se non che, nella circostanza di tale forte attività eruttiva, anche la radiazione del sole sia più forte, che quando il numero delle macchie è minore. Anche alcune osservazioni dirette sopra l’intensità della radiazione solare eseguite da Savaljeff in Kiew sembrano confermare questo fatto. Tuttavia un altro fenomeno studiato da Köppen sembra parli in senso contrario. Questi trovò che nelle regioni tropicali la temperatura nei massimi di macchie solari è 0,32° più bassa della media, e raggiunge cinque anni più tardi, un anno prima del minimo di macchie solari, il suo massimo valore di 0,41° sopra la media. Anche in altre regioni si trova una proprietà analoga, ma si presenta molto meno regolarmente che nei tropici, per circostanze perturbatrici. Un fisico Francese, Nordmann, confermò completamente le osservazioni di Köppen. Al contrario Very, astronomo Americano, trovò che la temperatura in contrade molte asciutte (deserti) nei tropici(PortDarwin 12° 28’ di latitudine sud, o Alice Springs 23° 38’ di latitudine sud, entrambi in Australia) è più alta nei massimi, che nei minimi di macchie solari. (Very nelle sue ricerche si tenne soltanto ai dati del termometro a massimo e a minimo). Pare quindi, secondo lo studio di Very, che la radiazione solare sia veramente maggiore con un numero più alto di macchie solari. Certamente questo succede soltanto in contrade assai asciutte, dove non si formano nubi considerevoli; in altre regioni una formazione più intensa di nubi nei massimi di macchie solari turba la semplicità del fenomeno. L’azione refrigerante della formazione di nubi sembra in tali casi superare rilevantemente la azione termica diretta dei raggi solari, e in questo modo il risultato di Köppen diventa spiegabile. Se si potesse osservare la temperatura negli strati d’aria sopra le nubi, la loro variazione andrebbe senza dubbio come nei deserti.

Finalmente abbiamo ancora da registrare un altro periodo nel fenomeno della luce polare, cioè il così detto mese tropicale, la cui lunghezza è di 27,3 giorni. La natura di questo periodo è poco nota; è possibile che dipenda dalla carica elettrica della luna. Il periodo ha la particolarità che agisce in direzione opposta nell’emisfero nord e sud. Se la luna è sopra l’orizzonte, sembra che si opponga alla formazione della aurora polare. In questo caso però devono essere prese in consideraziono le difficoltà d’osservazione causate dalla luna.

Si sa da lungo tempo, fin dalle osservazioni di Celsius e Hiorter nel 1741. che le aurore polari influiscono sulla posizione dell’ago magnetico, e da questo fatto si dedusse la conclusione che dipendono da scariche elettriche, che agiscono anche sull’ago magnetico. Queste azioni magnetiche hanno il grande vantaggio, che la loro osservazione non può venir turbata dalla luce solare elunare. Come fu detto sopra, soltanto l’aurora «raggiante»possiede tale azione magnetica (cfr. fig. 42 e 43 [pagg. 160 e162]).

Queste variazioni magnetiche hanno proprio gli stessi periodi dell’aurora boreale e delle macchie solari. In primo luogo, per quanto concerne il lungo periodo di 11,1 anni, le osservazioni mostrano che le così dette perturbazioni - improvvisi cambiamenti nella posizione dell’ago magnetico, - rispecchiano fedelmente le variazioni delle macchie solari. Questa relazione fu scoperta già nel 1852 da Sabine in Inghilterra, Wolf in Svizzera e Gautier in Francia. Ma anche la regolare variazione giornaliera nella posizione dell’ago magnetico è soggetta ad un periodo solare. Un ago magnetico, nelle nostre regioni, indica col polo nord verso il nord, con una piccola deviazione verso ovest. La deviazione occidentale o declinazione è massima poco dopo mezzogiorno, a circa 1 ora. La variazione giornaliera di maggiore d’estate che d’inverno, e la variazione nella posizione dell’ago magnetico è più considerevole di giorno che di notte. È dunque manifesto che abbiamo a che fare con un’azione del sole. E questo è ancora più chiaro se si confronta la variazione della oscillazione giornaliera col numero delle macchie solari. Nella tabella sottostante è riportata questa variazione della declinazione a Praga per gli anni 1856-1889; sono annotati solo quelli con massimi e minimi di macchie solari o di variazione magnetica.

Anno 1856 1860 1867 1871 1879 1884 1889
Numero di macchie solari 4,3 95,7 7,3 139,1 3,4 63,7 3,9
Anno 1856 1859 1867 1871 1878 1883 1889
Variazione giornaliera della declin. osserv. 5,98 10,36 6,95 11,43 5,65 8,34 5,99
calc. 6,08 10,20 6,22 12,15 6,04 8,76 6,17

Come si vede, gli anni pei massimi e pei minimi in entrambi i fenomeni cadono molto vicini. L’accordo è tanto evidente, che si può calcolare che la variazione giornaliera vari proporzionalmente al numero delle macchie solari, come risulta dalle due ultime righe della tabella.

La variazione annuale è la stessa della aurora boreale, come mostra la seguente tabella, che riporta le perturbazioni nella decimazione magnetica, intensità orizzontale e verticale a Toronto (Canadà), e la media per queste tre grandezze in Greenwich. Come unità fu presa la variazione media annuale.

Mese Genn. Febbr. Marzo Apr. Mag. Giugno
Toronto, Decl. 0,57 0,84 1,11 1,42 0,98 0,53
»Int. Orizz. 0,56 0,94 0,94 1,50 0,90 0,36
» Int. vert. 0,57 0,74 1,08 1,49 1,12 0,50
Greenwich, media 0,93 1.23 1,22 1,09 0,81 0,71
Mese Luglio Ag. Sett. Ott. Nov. Dic.
Toronto, Decl. 0,94 1,16 1,62 1.31 0,78 0,76
»Int. Orizz. 0,61 0,75 1,71 1,48 0,98 0,58
» Int. vert. 0,71 1,08 1,61 1,29 0,75 0,61
Greenwich, media 0,81 0,90 1,15 1,18 1,02 0,83

La variazione giornaliera dello perturbazioni fu osservata per il periodo 1882-1893 e per l’osservatorio di Batavia nell’isola di Giava da van Bemmelen. Il massimo si presenta all’una dopo mezzogiorno ed è 1,86 volte il valore medio del giorno; il minimo di 0,48 volte si presenta alle 11 di sera. Dalle 8 di sera alle 3 del mattino le perturbazioni sono quasi tanto rare come a 11 ore di sera.

La variazione è massima con la declinazione che raggiunge il massimo di 3,26 a mezzogiorno, e il minimo di 0,14 a 11hdi sera.

Anche il periodo di circa 26 giorni studiato per la prima volta da Hornstein, fu constatato da parecchi ricercatori corne Broun, Liznar e C. A. Müller nelle variazioni e perturbazioni magnetiche. Bensì Schuster ritiene ancora troppo scarso il materiale di prova.

Anche la luna ha un’azione, per quanto molto leggera, sull’ago magnetico, come Kreil constatò già nel 1841. L’effetto ha direzione diversa nei due emisferi e corrisponde ad una specie di fenomeno di marea.

Iraggi ultravioletti del sole sono assorbiti fortemente dall’atmosfera, e cagionano una ionizzazione delle molecole dell’aria. Questa ionizzazione è in generale più forte ad altezze maggiori. Le correnti d’aria ascendenti portano seco del vapor d’acqua, che si condensa a preferenza sugli ioni negativi. In questo modo la maggior parte delle nubi sono cariche negativamente, ciò che già constatò Franklin mediante le sue esperienze col cervo volante. Dopochè le gocce di pioggia son cadute giù, la massa d’aria rimane carica positivamente, come si osservò in ascensioni aerostatiche. Le nubi che si formano alla massima altezza sono cariche più intensamente; quindi si hanno tempeste sulla terra specialmente d’estate. Anche le tempeste mostrano il periodo di 26 giorni, come constatarono Bezold (per la Germania del sud), Ekholm ed io stesso (per la Svezia).

In questo campo, e specialmente sui fenomeni magnetici, fu ammassato dalle diverse stazioni meteorologiche un materiale enormemente vasto, che aspetta di essere analizzato.

Sebbene alcuni osservatori come Sidgreaves dubitino della stretta relazione tra le macchie solari e le aurore polari o le perturbazioni magnetiche, poichè furono osservate delle macchie intense sul disco solare, senza che esse portassero effetto magnetico alcuno, quando la terra era alla distanza minima, pure la maggioranza delle opinioni è che le perturbazioni magnetiche sono cagionate da macchie solari, se queste attraversano il meridiano solare che si trova di fronte alla terra. Così Maunder osservò la burrasca magnetica e l’aurora boreale che seguirono il passaggio di una grande macchia solare attraverso il meridiano centrale del sole dall’8 al 10 settembre 1898. L’effetto magnetico raggiunse il suo massimo circa 21 ore dopo il passaggio attraverso al meridiano.

In modo analogo Riccò in dieci casi, in cui fu possibile una esatta determinazione, trovò una differenza di 45,5 ore in media tra il passaggio al meridiano di una macchia e il massimo effetto magnetico. Riccò analizzò anche i casi raccolti da Ellis e studiati da Maunder. Egli trovò in media, quasi esattamente, gli stessi numeri; il divario raggiunse 42,5 ore. Questo corrisponderebbe ad una velocità media della polvere solare di 910 a 980 km. al secondo. D’altra parte non c’è la menoma difficoltàa calcolare il tempo necessario perchè una goccia del diametro di 0,00016 mm. (queste gocce si muovono rapidissimamente) e del peso specifico dell’acqua giunga dall’esterno del sole fino alla terra, sotto l’azione della gravitazione solare e della pressione di radiazione 2,5 volte più grande. Il tempo calcolato, 56,1 ore, corrisponde ad una velocità media di 740 km. al secondo. Perchè la polvere solare possa muoversi con le velocità calcolate da Riccò il suo peso specifico dovrebbe essere minore di 1, cioè 0,66 e 0,57. Questo valore non è assolutamente inverosimile, se supponiamo che le gocce consistano di idrocarburi e contengano idrogeno, elio ed altri gas nobili. Naturalmente, come si osservò sopra riguardo alle code delle comete, si possono ottenere maggiori velocità per la polvere solare, se si suppone che essa consista di particelle di carbone o silicati, o di ferro, sostanze che formano la parte principale dei meteoriti.

Forse merita d’essere ricordato che la linea spettrale più intensa dell’aurora boreale si trovò che appartiene al gas nobile cripton. Poichè questo gas si trova nell’atmosfera solo in quantità molto debole, non è improbabile che lo conduca seco la polvere solare, e che durante i fenomeni di scarica elettrica il suo spettro diventi visibile. Le altre linee appartengono agli spettri dell’azoto, dell’argon e degli altri gas nobili. Le quantità di gas nobili, che in tal modo sono portate nell’atmosfera, sono in ogni caso infinitamente piccole.

I fenomeni elettrici dell’atmosfera terrestre hanno per la vita organica, e quindi anche per gli uomini, considerevole importanza. Mediante le scariche elettriche l’azoto dell’aria si combina parzialmente con idrogeno ed ossigeno, e forma così i composti ammoniacali, come i nitriti e i nitrati, tanto importanti per la vegetazione. Icomposti ammoniacali, che hanno una parte fondamentale nei climi temperati, sembra si formino specialmente nelle così dette scariche silenziose, che corrispondono all’aurora boreale; al contrario i composti ossigenati dell’azoto predominanti ai tropici, nelle tempeste. Mediante le precipitazioni sono portati sulla terra, e fertilizzano le piante.

Il trasporto d’azoto così combinato sulla terra raggiunge annualmente circa 1,25 grammi per metro quadrato in Europa e circa il quadruplo ai tropici. Se si prende come media probabile 3 grammi per l’intera superficie terrestre solida, questo corrisponde a tre tonnellate per chilometro quadrato, e per la superficie solida (136 milioni di chilometri quadrati) a circa 400 milioni di tonnellate per anno. Una parte assai piccola, forse un ventesimo, cade sopra terra coltivata; ma anche tutto il rimanente aumenta l’attività vitale sulla terra, nelle foreste e nelle praterie. A titolo di paragone si può ricordare che l’azoto contenuto nel nitro che viene fornito dal Chile, ammontava nel 1880 in cifra tonda a 50000, nel 1890 a 120000, nel 1900 a 210000 e nel 1905 a 260000 tonnellate. L’azoto prodotto in forma di sali ammoniacali (solfato) dalle officine del gas in Europa ammonta a circa un quarto di quest’ultimo importo. A questo numero si deve naturalmente aggiungere la produzione americana; ma tuttavia si vede che la produzione artificiale d’azoto sulla terra non raggiunge che la millesima parte circa della naturale.

L’azoto contenuto nell’aria raggiunge 3980 bilioni di tonnellate. Si comprende quindi che soltanto una parte circa di esso su tre milioni viene fissata annualmente mediante scariche elettriche, supposto che il trasporto dell’azoto nel mare sia grande come sulla terraferma. L’azoto cosi combinato va a profitto delle piante sulla terraferma e nel mare, e, durante l’attività vitale delle piante o la loro putrefazione, ritorna nell’atmosfera o nel mare, in cui la quantità di azoto, che viene assorbito, sta in equilibrio con quella dell’aria. Quindi non abbiamo a temere un impoverimento notevole di azoto nell’aria, e questo concorda anche col fatto che non sembra abbiaavuto luogo un accumulamento notevole di azoto combinato nelle parti solide e liquide della terra.

Atitolo di confronto si può menzionare (cfr pag.56 [pag 77 dell’edizioneManuzio]) che durante la circolazione annuale nella vegetazione non viene impiegato meno di un cinquantesimo dell’anidride carbonica contenuta nell’atmosfera. Poichè da questa anidride carbonica si forma ossigeno, e poichè l’aria contiene circa 700 parti in volume di ossigeno per una di anidride carbonica, così il consumo dell’ossigeno atmosferico è pressochè di uno per 35000. In altre parole l’ossigeno dell’aria partecipa ai processi vegetativi circa 100 volte più attivamente dell’azoto, cosa che s’accorda anche con la grande attività chimica dell’ossigeno.

Prima di abbandonare questo capitolo, vogliamo ricordare brevemente un fenomeno particolare, la luce zodiacale, che ai tropici si può osservare in ogni notte stellata per alcune ore dopo o prima del levar del sole. Da noi la luce zodiacale è visibile soltanto di raro, specialmente negli equinozi di primavera e d’autunno. Di solito è descritta come un conoluminoso, la cui base è all’orizzonte e la cui linea media è coincide con lo zodiaco, da cui essa ricevette il suo nome. Il suo spettro, secondo Wright e Liais, è continuo. Si dice che la sua luce ai tropici sia intensa come quella della Via Lattea.

È fuori di dubbio che questa luce proviene da particelle di polvere illuminate dal sole. Si è quindi creduto che questa polvere giaccia in un anello attorno al sole e rappresenti un resto di quella nebulosa primitiva, da cui si è condensato il sistema solare secondo l’ipotesi di Kant- Laplace (cfr. Cap. VII).

Dalla sommità del cono della luce zodiacale talvolta pare emani una fascia debolmente luminosa, che si estende trasversalmente sopra il cielo stellato nel piano della eclittica. Nella regione del cielo che giace proprio di fronte al sole, essa si allarga in una macchia luminosa più grande, diffusa, non bene definita, larga circa dodici gradi e alta nove (Gegenschein-counter glow), che fu descritta per la prima volta da Pezenas nel 1780.

La ipotesi più probabile sulla natura di questa luce è che essa provenga da piccole particelle di meteoriti o di polvere incandescenti, cadenti dallo spazio sul sole. Come la posizione della corona nella luce polare, anche quella di questa luce pare dipenda da un effetto di prospettiva; i cammini delle particelle sono rivolti verso il sole e quindi esse sembrano provenire da un punto proprio opposto al sole.

Ancora sappiamo pochissimo sopra questo fenomeno. Anche la posizione lungo lo zodiaco, che diede origine al nome, fu posta in dubbio, e da recenti ricerche apparirebbe che essa è situata nel piano dell’equatore solare. Comunque trova generale valore l’opinione che la luce in questione provenga da particelle, che cadono sopra il sole o da esso sono respinte. Abbiamo perciò una conferma, che la massa della polvere solare non è insignificante, ma che si può bene pensarla come causa dei fenomeni sopra discussi.

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