CAPITOLO VI Fine dei soli Origine delle nebulose

In quel che precede abbiamo visto che il sole dissipa annualmente quantità di calore pressochè inconcepibili: 3,8   ·   10 23 piccole calorie, cioè due calorie per ogni grammo della sua massa. Ci siamo anche fatti un’idea, come questo possa durare per bilioni d’anni in causa dell’enorme provvista di calore del sole. Ma infine deve pur venire il momento in cui il sole si raffreddi, e si ricopra d’una crosta solida, come la terra o gli altri pianeti, fin qua allo stato gassoso, fecero o faranno lungo tempo prima del sole. Sopra i vaganti pianeti nessuna specie vivente potrà assistere allo spegnersi del sole, poichè molto prima, per mancanza del calore e della luce, ad onta di tutte le nostre invenzioni, la vita si spegnerà sui satelliti del sole.

La ulteriore evoluzione del sole si assomiglierà alla presente della terra, tolto che esso non avrà la sorgente centrale di luce e calore distributrice di vita. Da principio la crosta sottile sarà fatta scoppiare più volte dalle masse di gas e di lava sprigionantisi dall’intorno del sole. Ma dopo breve tempo le potenti emanazioni cesseranno, le lave si consolideranno e gli antichi frammenti si uniranno insieme più solidamente di prima. Soltanto sopra alcune delle antiche fessure si innalzeranno dei vulcani, che condurranno fuori le masse gassose, vapor d’acqua e, in quantità minore, acido carbonico, poste in libertà pel raffreddamento dell’interno del sole.

Poi il vapor d’acqua si condenserà e alla superficie del sole si formeranno degli oceani; in breve sotto certi rapporti il sole sarà analogo alla nostra terra nella sua condizione attuale; ma con un divario assai importante. Il sole spento non riceve, come la terra, calore vivificante dall’esterno, eccetto la debole irradiazione dello spazio e il calore generato dalla caduta dei meteoriti. Quindi sopra il sole spegnentesi la temperatura cala rapidamente. Le nubi della sua atmosfera diventano sempre più sottili e bentosto non costituiscono più protezione alcuna contro la irradiazione. L’oceano del sole si ricoprirà di una crosta di ghiaccio. Poi l’acido carbonico incomincerà a condensarsi cadendo nell’atmosfera solare sotto forma di neve sottile. Infine a pressochè – 200°, per la condensazione dei gas propri all’atmosfera solare, specialmente dell’azoto, incominceranno a formarsi nuovi oceani. Ancora un abbassamento di 20° circa di temperatura, e l’energia dei meteoriti cadenti coprirà esattamente l’ulteriore perdita di calore. L’atmosfera solare allora consterà essenzialmente di elio e idrogeno, i due gas più difficili da condensare, e di poco azoto.

In questo stadio la perdita di calore del sole sarà quasi trascurabile. Per ogni miglio quadrato della crosta terrestre sfugge, per la sua debole conduttività, appena un miliardesimo del calore che il sole irradia da altrettanta superficie, e un giorno, quando la crosta del sole avrà raggiunto uno spessore di circa 60 km., la sua perdita di calore discenderà al medesimo grado. La temperatura superficiale giacerà forse 50-60° sopra lo zero assoluto, e salirà soltanto per poco tempo ed entro piccoli campi per eruzioni vulcaniche. Nell’interno continuerà a dominare una temperatura pressochè della stessa altezza di adesso, cioè di parecchi milioni di gradi, e vi sussisteranno le stesse combinazioni di straordinaria energia esplosiva. Il sole oscuro si librerà nello spazio, come uno sterminato magazzino di dinamite, senza perdere una quantità notevole di energia in bilioni di anni. Immutabile come una spora, esso conserverà la sua straordinaria potenza, finchè sarà risvegliato da circostanze esterne a una nuova vita, analoga alla precedente. Un lento raggrinzamento della superficie, dovuto alla perdita di calore progressiva del nucleo e alla conseguente contrazione, avrà coperto nel frattempo la superficie solare delle grinze della vecchiaia.

Supposto che la crosta del sole e quella della terra avessero la medesima conducibilità per il calore del granito, che, secondo determinazioni di Homèn, lascia passare attraverso ad uno strato dello spessore di 1 cm., le cui faccie hanno una differenza di temperatura di 1°, 0,582 calorie al minuto per centimetro quadrato, la crosta terrestre, poichè la sua temperatura cresce di 30°per chilometro di profondità, lascierebbe passare 1,75 · 10-4calorie per minuto e centimetro quadrato (cioè 1/3580 della quantità media di calore portata sulla terra, 0,625 calorie per minuto e centimetro quadrato); mentre il sole, per una crosta altrettanto spessa della terra e per il diametro 108,6 volte maggiore, perderebbe al minuto 3,3 volte più calore di quello che la terra ora riceve da esso. Il sole ora perde calore 2260 milioni di volte più che la terra non ne riceva, e quindi la perdita di calore si ridurrebbe ad un importo 686 milioni di volte più piccolo di adesso. Se lo spessore della crosta solare ammontasse ad 1/140 del raggio solare, cioè la stessa frazione che la crosta terrestre occupa del raggio terrestre, il sole in 74500 milioni di anni non perderebbe più calore che ora in uno solo. Questo numero è da ridurre a circa 60000 milioni d’anni, a cagione della temperatura più bassa che la superficie del sole avrà nel tempo di cui si tratta. Poichè latemperatura media del sole raggiunge circa cinque milioni di gradi Celsius, posto che il suo calore specifico medio fosse grande come quello dell’acqua, il raffreddamento a 0° richiederebbe 150000 bilioni di anni. Durante questo tempo lo spessore della crosta crescerebbe e il raffreddamento procederebbe certo molto più lentamente. In tutti i casi, in queste circostanze, la perdita totale di energia durante 1000 bilioni di anni potrebbe essere considerata come una frazione minima della quantità totale d’energia.

Per quanto piccolo sia l’angolo visuale sotto cui ci appaiono le stelle, tuttavia non è nullo del tutto. Se una stella spenta si muove durante degli infiniti spazi di tempo, alla fine urterà contro un’altra luminosa o spenta. La probabilità di una collisione è proporzionale all’angolo sotto cui la stella appare e alla velocità del sole, ed aumenta con la deviazione che i due corpi celesti subiscono nella loro orbita avvicinandosi l’un l’altro. Le stelle più vicine si trovano ad una distanza tale da noi, che la luce, la luce del nostro sole, impiega in media 10 anni, per giungere fino ad esse. Perchè il sole con le sue dimensioni attuali e con la sua velocità di 20 km. per secondo urtasse con un’altra stella di eguali proprietà, occorrerebbero 100000 bilioni di anni. Supponiamo che ci sieno cento volte più stelle spenteche luminose, ipotesi che non è ingiustificabile, e il tempo probabile fino ad una prossima collisione ammonterà a circa 1000 bilioni di anni. Il tempo durante il quale un sole manda luce sarebbe pressochè un centesimo, cioè 10 bilioni ili anni. Non è assurdo che la vita sussista sulla terra da un miliardo circa d’anni, e questo tempo rappresenta soltanto una piccola frazione di quello, durante il quale il sole emise ed emetterà luce. Naturalmente sussiste una probabilità molto maggiore che il sole si scontri con una nebulosa, poichè queste hanno una estensione molto maggiore nello spazio. Ma in tal caso non è improbabile che ciò succederà come nel passaggio d’una cometa attraverso la corona solare, in cui non si osserva alcun effetto notevole della collisione, per il debole contenutodi materia della corona. Ciò non di meno tale ingresso nella nebulosa affretterebbe notevolmente, secondo ogni probabilità, la collisione con un altro sole, poichè nelle nebulose, come fu detto sopra, si trovano accumulati corpi celesti oscuri e luminosi.

Vediamo talvolta risplendere improvvisamente in cielo delle nuove stelle, che poi scemano di splendore e si spengono, oppure scendono ad una potenza luminosa insignificante. Il più meraviglioso di questi fatti sommamente interessanti successe nel febbraio 1901, quando apparve una nuova stella di prima grandezza nella costellazione Perseus. Questa stella fu scoperta la mattina del 22 febbraio 1901, dallo Scozzese Anderson; era un po’ più luminosa di una stella di terza grandezza. In una fotografia eseguita solo 28 ore prima della scoperta, la stella non si vede affatto, sebbene vi sieno visibili delle stelle di dodicesima grandezza. (Quindi sembra che l’intensità luminosa della nuova stella, in questo breve tratto di tempo, si sia aumentata più di cinquemila volte). Il23 febbraio sorpassò tutte le altre stelle, eccetto Sirio, in intensità: il 25 era di prima, il 27 di seconda, il 6 marzo di terza e il 18 di quarta grandezza. Poi il suo splendore variò periodicamente fino al 22 giugno, con un periodo dapprima di tre, poi di cinque giorni, mentre l’intensità luminosa media calava lentamente; il 23 giugno era di sesta grandezza. Poi l’intensità luminosa decrebbe più regolarmente; nell’ottobre la stella era di settima grandezza, nel febbraio del 1902 di ottava, nel luglio 1902 di nona: nel dicembre 1902 di decima: e poi discese poco a poco fino alla dodicesima grandezza. Quando la stella era nel massimo di luminosità, aveva una luce azzurra bianca; poi divenne gialla, e al principio di marzo del 1901 rossastra. Durante la variazione periodica di luminosità la stella era giallo-biancastra, quando era più luminosa, rossastra, quando lo ora meno. Poi il colore diventò un po’ per volta bianco puro.

Lo spettro della stella mostrò grandissime coincidenze con la nuova stella nella costellazione Auriga (Nova Aurigae nel 1892, vedi fig. 45 [pag. 179]).

In generale è una caratteristica per stelle nuove che le loro linee spettrali sono doppie, oscure nella parte violetta, chiare nella parte rossa. Nello spettro di Nova Aurigae questa proprietà è sorprendente, tra le altre, nelle tre linee C F H dell’idrogeno, nella linea del sodio, nelle linee nebulari e infine in quella del magnesio. Nello spettro di Nova Persei lo spostamento delle linee dell’idrogeno verso la regione violetta è così grande, che si calcolò che l’idrogeno assorbente la luce si muovesse verso di noi con una velocità di 700 o più chilometri al minuto secondo. Anche alcune linee del calcio mostrano un siffatto spostamento: per altri metalli esso è meno evidente. Ciò significa che dalla stella scorrevano verso di noi delle masse gassose relativamente fredde, con una velocità enorme. Le parti luminose della stella o erano in quiete relativa o si movevano allontanandosi da noi. La spiegazione più semplice di questi fenomeni si ha mediante l’ipotesi che la stella nel rilucere abbia mostrato delle estese linee spettrali in seguito all’alta temperatura e pressione; la parte violetta sia stata assorbita da masse gassose moventisi verso di noi, fortemente raffreddate per l’espansione. Naturalmente questi gas si movevano dalla stella in tutte le direzioni, ma noi non potevamo osservare che quelli che ne assorbivano la luce, cioè che si trovavano fra la stella e la terra, e che quindi si movevano verso la terra.

Un po’ per volta la luce delle linee metalliche e dello spettro continuo, a cui esse erano sovrapposte, incominciò a decrescere dapprima nel violetto, mentre le linee dell’idrogeno e nebulari rimanevano ancora distinte; dopo qualche tempo la stella mostrò, come altro stelle nuove, lo spettro nebulare. Questo fatto meraviglioso fu per la prima volta riconosciuto da H. C. Vogel nella nuova stella della costellazione del Cigno (Nova Cygni, 1876). La stella Pdel Cigno, che risplendette nel 1600, mostra ancora uno spettro che indica l’emissione di idrogeno. Non è impossibile che questa stella «nuova» non abbia ancora raggiunto il suo equilibrio, ed emetta ancora continuamente correnti di gas freddi. Per la formazione d’uno spettro di assorbimento bastano piccole quantità di gas, sicchè la emissione può continuare a lungo, senza che per questo la provvista deva venir esaurita.

Delle nubi caratteristiche, che furono osservate attorno a Nova Persei, abbiamo già parlato. Due nubi anulari si mossero dalla stella con una velocità di 1,4 e 2,8 secondi d’arco al giorno (durante il periodo dal 29 marzo 1901 al febbraio 1902). Se con questi dati si calcola a ritroso il tempo che dev’essere trascorso dalla loro uscita dalla stella, si trova dall’8 al 16 febbraio 1901, tempo assai prossimo a quello della massima luminosità della stella, che fu il 23 febbraio. Sembra dunque assolutamente fuori di dubbio, che esse originariamente provenivano dalla stella e furono respinte dalla pressione di radiazione. La loro luce non mostrava alcuna notevole polarizzazione, e perciò non poteva essere luce riflessa; proveniva probabilmente da scariche elettriche tra particelle di polvere, per cui i gas diventavano luminosi.

In questo caso noi fummo manifestamente testimoni della grandiosa fine della esistenza indipendente di un corpo celeste, per collisione con un altro corpo celeste di specie eguale. I due corpi che si urtarono erano tutt’e due oscuri o emanavano così poca luce, che non rilucevano assieme neppure come una stella di dodicesima grandezza. Poichè essi dopo la collisione avevano uno splendore maggiore di quello delle stelle di primo ordine, sebbene la loro distanza sia stata valutata ad almeno 120 anni-luce, la loro radiazione deve aver superato parecchie migliaia di volte quella del sole nostro. In tali circostanze anche la pressione di radiazione dev’essere stata molte volte maggiore che alla superficie del sole, e le masse di polvere che furono respinte dalla nuova stella, dovevano possedere una velocità molto maggiore di quella della polvere solare. Tuttavia questa velocità dev’essere stata più piccola di quella della luce, che non può mai essere eguagliata per l’effetto della pressione di radiazione.

Non è difficile imaginare l’enorme violenza con cui deve aver avuto luogo questa collisione. Un corpo estraneo, per esempio un meteorite, che cada dall’universo sul sole, ha nell’atto della collisione una velocità di 600 km. al secondo, e la velocità delle stelle cadenti l’una sull’altra dev’essere stata dello stesso ordine di grandezza. L’urto in generale è un urto così detto obliquo, e quantunque una parte dell’energia sia trasformata in calore, il resto di energia cinetica deve produrre una velocità rotatoria di centinaia di chilometri al secondo. Inconfronto l’attuale velocità di rivoluzione del sole, 2 km. per secondo all’equatore, è infinitamente piccola; questo vale ancora più per la terra coi suoi 0,465 km. al secondo all’equatore. Noi quindi non commetteremo alcun errore notevole, supponendo i due corpi celesti privi di rotazione prima della collisione. Nella collisione da entrambi i corpi, perpendicolarmente alle direzioni relative del loro movimento, viene eruttata della materia sotto forma di due impetuosi torrenti, che si trovano nello stesso piano in cui i due corpi celesti vanno avvicinandosi l’un l’altro (cfr. fig. 46 [pag. 183]); la velocità rotatoria della stella doppia aumenterà l’energia della eruttazione, mentre ne è a sua volta diminuita. Ricordiamo ora che, se della materia viene portata dall’interno del sole alla superficie, essa si comporta come un esplosivo straordinariamente potente. I gas eruttati sono spinti in volo violento attorno alle parti centrali ruotanti rapidamente, e possiamo farci un’idea, per quanto imperfetta, delle figure che in tal modo si formano, se consideriamo una ruota girante rapidamente che alle due estremità d’un diametro abbia due fuochi artificiali, che lancino fuoco in direzione radiale. Quanto più si allontana dalla ruota, tanto più piccola è la velocità effettiva e anche quella angolare del razzo di fuoco. Lo stesso succede per la stella. I getti sono rapidamente raffreddati per la forte espansione dei gas. Essi contengono anche della polvere sottile, probabilmente in modo speciale di carbonio, che era combinato nelle sostanze esplosive. Le nubi di polvere oscurano sempre più la «nuova stella» e fanno sì che il suo splendore bianco si cambia sempre più in giallo e in rossiccio, perchè appunto la polvere indebolisce di più i raggi azzurri e verdi, che i gialli e i rossi. Da principio le nubi giacevano così vicine alla stella, che avevano una grandissima velocità angolare, e pareva che la circondassero perfettamente; ma dal 22 marzo 1901 le parti esterne dei getti, arrivate a distanze maggiori avevano acquistato un periodo di rivoluzione più lungo (6 giorni); la stella si oscurò di più quando le nubi esteriori di polveri dei getti capitarono fra la stella e noi. Siccome i getti stessi si estesero sempre più, il periodo della loro massa crebbe un po’ per volta fino a 10 giorni. La stella quindi diventò periodica con un periodo lentamente crescente, e la sua luce era più rossa nel minimo, che nel massimo di intensità luminosa. Contemporaneamente diminuì il potere assorbente delle particelle marginali, in parte per la loro espansione, in parte perchè la polvere un po’ per volta si aggregò in particelle più grandi, — le particelle più piccole fors’anche furono respinte lontano dalla pressione di radiazione. L’effetto selettivo sulla luce da parte della polvere, per il quale i raggi rossi e gialli son lasciati passare più abbondantemente degli azzurri o verdi, andò perciò un po’ per volta scemando; il colore della luce diventò sempre più grigio e la stella, dopo un certo tempo, apparì nuovamente bianca. Questo color bianco significa che nella stella ancora adesso domina una temperatura elevatissima. Per le eruzioni continue di masse gassose cariche di polvere. probabilmente con violenza un po’ decrescente, la chiarezza della stella (vista dalla terra) un po’ per volta diminuisce, e il nucleo luminoso è sempre più uniformemente circondato da strati di polvere. Quanto potente sia stata l’esplosione, si comprende da ciò che le prime masse di idrogeno eruttate erano lanciate con una velocità apparente di almeno 700 km. al secondo. (Questa velocità è dello stesso ordine di grandezza di quella della protuberanze più veloci del sole).

Noi vediamo che la nostra maniera di pensare dà una imagine molto fedele, anche nei particolari,dell’andamento reale delle cose, ed è quindi molto probabile che sostanzialmente sia gi usta. Ma che cosa ne è della nuova stella? L’analisi spettrale indica che, come altre stelle nuove, essa si trasforma in una nebulosa. La luce continua del corpo centrale viene poco a poco indebolita dalle masse di polvere circostanti; queste sono respinte dalla pressione di radiazione verso le parti esterne delle masse gassose circonvicine (costituite principalmente di idrogeno, elio e «materia nebulare»), dove la polvere scarica la sua elettricitànegativa, e dove in questo modo si forma una luce, che è eguale completamento a quella delle nebulose.

Ne viene che, per la rotazione straordinariamente violenta, la massa principale centrale delle due stelle nelle sue parti esterne è assoggettata ad una forza centrifuga fortissima, che espande questa massa in un grande disco ruotante. — Poichè la pressione nelleparti esterneè relativamente debole, così qui anche la densità dei gas viene molto abbassata. La forte espansione e, in grado ancora maggiore, la intensa radiazione termica abbassano rapidamente la temperatura, sicchè abbiamo davanti a noi ungrande corpo centrale, lecui parti interne hanno una densità superiore ed assomigliano alla materia del sole, le cui parti esterne sono per contro attenuate e nebulari. Attorno al corpo centrale appaiono i resti dei due razzi gassosi, che furono eruttati subito dopo l’urto dei due corpi celesti. Una parte non trascurabile della materia nelle parti esterne della spirale si allontana probabilmente nello spazio, per congiungersi alla fine con altri corpi celesti o formar parte delle grandi e irregolari nebulose che si distendono come una nebbia densa attorno ai cumuli di stelle. Un’altra parte, non potendo allontanarsi dal corpo centrale, rimane in movimento circolare attorno ad esso. In seguito a questi movimenti circolari lentissimi i contorni delledue spirali un po’ per volta spariranno, ed esse prenderanno sempre più la forma di nebule anulari attorno alla massa centrale.

Questa forma a spirale (fig. 47 e 48 [pagg. 187 e188])delle parti esterne della nebulosa ha eccitato da lungo tempo l’attenzione più viva; si osservò quasi sempre che attorno al corpo centrale serpeggiano due rami di spirale. Questo significa che la materia si trova in movimento rotatorio attorno all’asse centrale della spirale, e che da questo essa scaturì in due direzioni opposte. Talvolta appaiono a forma di fuso - di queste la più conosciuta è la grande nebulosa in Andromeda (fig. 49 [pag. 190]). Una ispezione più accurata con istrumenti più potenti mostra però che anche queste sono spiraliformi, ma a noi sembrano fusiformi, perchè le vediamo di fianco. Il famoso astronomo Americano Keeler, che si occupò più di qualunque altro delle nebulose, ne registrò grandi quantità in tutte le parti della regione celeste che erano accessibili al suo istrumento, e trovò che queste formazioni sono prevalentemente a forma di spirale.

Alcune, le così dette nebule planetariche. appaiono piuttosto come sfere luminose; in questo caso possiamo supporre, che la esplosione sia stata meno potente; le spirali sono così unite l’una all’altra che sembrano fuse insieme. Èanche possibile che coll’andar del tempo sieno state appianate delle disuguaglianze nel loro sviluppo. Alcune poche sono anulari, come la nota nebulosa nella Lira (v. fig. 50 [pag. 191]). Queste possono essersi formate da nebulose spiraliformi, in cui le spirali un po’ per volta, per la rotazione, si confusero, e la materia nebulosa centrale si addensò sopra pianeti vaganti attorno alla stella centrale. Schaeberle, eminente astronomo Americano, trovò anche in questa nebulosa delle traccie di forma a spirale.

Un’altra specie di nebulose sono quelle di solito molto estese, di forma irregolare e formato evidentemente di materia sommamente tenue, di cui le più note si trovano in Orione, attorno alle Pleiadi e nel Cigno (fig. 51, 52 e 53 [pagg. da 192 a193]). Anche in queste si ritrovarono spesso delle parti a struttura a spirale.

Come dicemmo, di regola dopo la collisione di due corpi celesti la nuova formazione deve avere l’aspetto d’una spirale con due ali. Se la scossa è proprio centrale, naturalmente non si formano più spirali, ma un disco, un disco, o, se una stella è molto più piccola dell’altra eventualmente un cono, perchè i gas si espanderanno uniformemente, tutto attorno alla direzione dell’urto.

Naturalmente, l’urto completamente centrale è molto raro, ma ci sono dei casi che si avvicinano più o meno a questo caso limite, specialmente se la velocità relativa dei due corpi è piccola. Inoltre mediante una lenta diffusione una spirale debolmente sviluppata può cambiarsi in un aspetto dischiforme. La estensione di queste formazioni nebulari dipende dal rapporto tra la massa del sistema e la velocità di emanazione dei gas. Se per esempio si urtassero due soli spenti della stessa estensione e massa del sole nostro, delle masse gassose che verrebbero eruttate con una velocità maggiore di 900 km. circa al secondo si espanderebbero nello spazio, mentre delle altre parti muoventesi con velocità minore rimarrebbero in vicinanza al corpo centrale, e tanto più vicine a questo, quanto più piccola era la loro velocità. Di qua esse ricadrebbero sul corpo centrale per essere nuovamente incorporate con esso, se due circostanze non lo impedissero. Una di queste è la potente pressione di radiazione della massa centrale infocata; per essa viene tenuta sospesa una gran quantità di particelle di polvere, e insieme per attrito anche le masse gassose circostanti. In causa dell’assorbimento della radiazione nelle masse di polvere, soltanto le particelle più sottili saranno sollevate più lontano nella nebulosa, e all’estremo margine di questa, per la rapida diminuzione della radiazione, neanche la polvere più sottile potrà esser mantenuta sospesa. Così arriviamo al limite estremo della nebula. La seconda circostanza è l’impetuosa rotazione in cui vien posto il corpo centrale per la scossa. Per essa avverrà una espansione dischiforme dell’intero corpo centrale, per la forza centrifuga. Nelle parti più dense, per urti molecolari ed effetti di marea, le velocità angolari mirano a diventar eguali dappertutto, sicchè l’insieme ruoterà come una palla gassosa compressa, e la struttura spiraliforme in queste parti un po’ per volta scomparirà. Nelle parti più lontane la velocità crescerà soltanto in modo, da eguagliavo quella di un pianeta che si movesse ad eguale distanza: cioè la gravitazione verso il corpo centrale sarebbe esattamente equilibrata dalla forza centrifuga; alle distanze massime gli urti molecolari e la gravitazione verso il centro sarebbero di così piccolo momento, che le masse ivi raccolte conserverebbero la loro forma originaria per un periodo quasi senza limiti.

Nel centro di questo sistema si troverebbe la massa principale come un sole assai infocato, la cui intensità luminosa, in causa della intensa radiazione, scemerebbe in modo relativamente rapido.

Un sistema nebulare così esteso (in cui la forza di gravità agisce solo debolmente per le enormi distanze, e porta effetti notevoli soltanto con estrema lentezza), ad onta della straordinaria sottigliezza della materia nelle sue parti esterne e appunto por la sua grande estensione, può impedire il movimento delle particelle d’una pioggia di polvere solare che tende a penetrare in esso. Perchè i gas della nebulosa in queste parti più esterne, nonostante la straordinaria debolezza dell’azione di gravità, non sfuggano nello spazio, le loro molecole devono star quasi immobili, o, in altre parole, la temperatura deve essere di poco superiore (forse di 50 o 60°) allo zero assoluto.

A queste basse temperature esercita un’azione enorme la condensazione dei gas ( adsorption ) alla superficie dei solidi (Dewar) . Le piccole particelle di polvere formano centri, attorno ai quali i gas si condensano in alto grado. La densità piccolissima del gas non lo impedisce poichè questo fenomeno segue una legge, secondo la quale la quantità di gas condensata decresce a circa un decimo, se la densità del gas circostante si riduce ad un decimillesimo. Perciò la massa dei nuclei di polvere cresce e, se essi si urtano, vengono cementati insieme dai loro involucri semi-liquidi. Quindi deve aver luogo nella nebulosa, e specialmente nelle parti interne, una formazione relativamente intensa di meteoriti. Poi vengono, errando nello spazio, delle stelle coi loro satelliti ed entrano in mezzo ai gas e ai sciami di meteoriti della nebulosa. I corpi celesti più grandi e più veloci si aprono un varco attraverso la materia relativamente tenue, ma, per la sua grande estensione, impiegano per attraversarla migliaia d’anni.

Una fotografia molto interessante del famoso prof. M. Wolf di Heidelberg ci mostra una parte della nebulosa nel Cigno, in cui è penetrata dall’esterno una stella. L’intrusa sul suo cammino accumulò intorno a sè la materia nebulare, e in tal modo si lasciò dietro come traccia un canale vuoto. Analogamente si presentano molto spesso degli spazi relativamente vuoti di materia nebulare nelle nebule irregolari estesissime, esono chiamati spesso fessure (ingl. rifts), perchè hanno per lo più una forma allungata. Si è supposto da molto tempo che queste fessure rappresentino le traccie di grandi corpi celesti, che si aprirono un varco attraverso la massa nebulare estesissima (fig. 54[pag. 196]).

Gli immigranti più piccoli e più lenti sono invece arrestati dalle particelle delle nebule. Quindi le stelle in prossimità della nebula si vedono più rare, mentre appaiono fortemente ammassate nella nebula. Questo fatto colpì già Herschel nelle sue osservazioni di nebulose. In questo modo si formano nella nebula una quantità di centri d’attrazione, che condensano i gas circostanti alla nebula, e arrestano, specialmente nelle parti interne, i meteoriti vaganti. Si può anche osservare sovente come la materia nebulare è assottigliata in un anello attorno alle stelle luminose (cfr. fig. 52 e 55[pagg. 192 e197]). Infine la nebulosa si trasforma in un cumulo di stelle, che conserva le forme caratteristiche della nebula, tra cui quella a spirale è la più frequente, ma si presentano anche quella a cuneo (che si forma dalla nebulosa conica), e qu ella a sfera (cfr. fig. 56, 57 e 58[pagg. da 198 a200]).

Questa èesattamente l’evoluzione che Herschel imaginò, appoggiandosi sulle sue osservazioni, per le nebulose. Però egli pensava che la materia nebulare si condensasse direttamente nelle stelle, senza aiuto di corpi celesti estranei immigranti.

Ènoto da tempi antichissimi e fu confermato in modo convincente dalle misure di Herschel e di altri, che le stelle si addensano fortemente nella linea mediana della Via Lattea. Non è impossibile che in origine si trovasse sul piano della Via Lattea una nebula estesissima, forse formata dall’urto di due soli giganteschi come Arturo. Questa nebula enorme accumulò poi in se stessa i corpi celesti minori vaganti, che condensarono alla loro volta sopra di sè la materia nebulare e quindi diventarono incandescenti, dato che non lo fossero prima. Il movimento rotatorio nelle regioni più discoste dal centro della Via Lattea può essere trascurato. Tra le stelle singole, che così si ammucchiarono, successero più tardi delle collisioni e perciò nel piano della Via Lattea nebule gassose, cumuli di stelle e stelle nuove sono fenomeni di una frequenza relativamente molto grande.

Questa concezione avrebbe una valida conferma se venisse fatto di constatare un corpo centrale della Via Lattea, p. e. dalla incurvatura dalle orbite del sole o di altre stelle.

Per quanto concerne la nebula anulare nella Lira (fig. 50 [pag. 191]), le misure eseguite ultimamente da Newkirk diedero il risultato che la stella visibile nel suo centro si trova ad una distanza di 32 anni-luce da noi. Poichè sembra fuori dubbio che questa stella forma il corpo centrale della nebulosa, così anche la distanza di questa è di 32 anni-luce. Dal diametro di circa un minuto secondo della nebula anulare, Newkirk calcolò che l’anello disti dal corpo centrale pressochè 300 volte il raggio dell’orbita terrestre, cioè circa 10 volte tanto quanto Nettuno dal sole. Anche entro all’anello luminoso si osserva una debole luce nebulare. Probabilmente qui la materia fu in origine più concentrata che non nelle parti esteriori dell’anello, ma fu condensata da meteore immigranti dall’esterno, e, quando queste si conglobarono, si formarono dei pianeti oscuri, moventisi attorno al corpo centrale, che raccolsero intorno a sè la massima parte dei gas circostanti. Se il corpo centrale fosse pesante come il sole nostro, la materia anulare avrebbe un periodo di rivoluzione attorno ad esso di 5000 anni. Questa rotazione sarebbe sufficiente a far scomparire in massima parte la forma originaria a spirale, ma pure di questa rimane tanto da poter riconoscere distintamente che la spirale aveva due ali. Il corpo centrale della nebula anulare dà uno spettro continuo con linee chiare, che è particolarmente sviluppato nella partevioletta. Quindi sembra più giovane e più caldo del sole nostro, per cui si deve anche ritenere che la sua pressione di radiazione sia più intensa e il periodo di rivoluzione della nebula anulare si sia stimato forse alquanto più lungo.

Dal movimento proprio di 168 nebule l’eminente astronomo Olandese Kapteyn dedusse che la loro distanza media dalla terra ammonta a circa 700 anni-luce, ed è eguale a quella delle stelle di 10.agrandezza. La vecchia idea che le nebule giacciano ad una distanza da noi incomparabilmente superiore a quella delle stelle più deboli sembra dunque erronea.

Le «stelle nuove» formano un gruppo tra i meravigliosi corpi celesti, che, per la loro intensità luminosa variabile, presero il nome di «stelle variabili», e tra cui alcuni casi tipici devono essere menzionati per il loro grande interesse scientifico. Una delle stelle variabili più singolari, Eta in Argus, mostra quali vicende attraversi una stella che venga a cadere in una nebula piena di corpi celesti immigrati. Questa stella riluce attraverso una delle più grandi nubi nebulari della vôlta celeste; non si può indicare, senza una indagine più accurata, se essa stia in qualche connessione fisica con i suoi dintorni; p. es., essa potrebbe essere molto più in qua della nebula, tra noi ed essa. La sua frequente variazione luminosa accenna ad una serie di collisioni, che ci appaiono naturali quando si supponga che la stella si trovi in una nebula, che è ripiena di corpi celesti penetrati in essa.

Poichè questa stella appartiene all’emisfero sud, essa non fu osservata, fino a che gli astronomi non incominciarono a visitare quell’emisfero. Nel 1677 fu classificata di quarta grandezza, dieci anni dopo di seconda e altrettanto nel 1751. Nel 1827 era invece di prima grandezza, e si trovò che era variabile. Herschel osservò che oscillava tra la prima e la seconda grandezza, ma nel 1837 crebbe in chiarezza, in modo che nel 1838 era della grandezza 0,2. Poi essa decrebbe d’intensità luminosa fino all’aprile 1839, in cui aveva la grandezza 1,1; rimase quattro anni prossima a questa intensità luminosa, per crescere rapidamente nel 1843 e superare tutte le stelle, Sirio eccettuato [grandezza – 1,7]. Poi la sua chiarezza decrebbe lentamente, in modo che rimase appena visibile ad occhio nudo (sesta grandezza); nel 1869 era invisibile. Da allora in poi essa variò tra la sesta e la settima grandezza.

Le ultime variazioni nella intensità luminosa di questa stella ricordano vivamente il comportamento della nuova stella in Perseus, tolto che quest’ultima attraversò molto più rapidamente le varie fasi. Frattanto sembra chiaro che Eta in Argus da principio fu molto più splendente di Nova Persei e che, almeno una volta, prima della grande collisione del 1843 (dopo di cui fu circondata da nubi oscuranti di crescente opacità), e precisamente nel gennaio del 1838, fu assoggettata ad una collisione minore con effetto del tutto transitorio. Questa collisione minore fu probabilmente del genere che Mayer imaginò per la terra e il sole; collisione per la quale si svilupperebbe una quantità di calore corrispondente al dispendio termico del sole di 100 anni circa. Poichè si osservò che la stella era già variabile anche prima in modo irregolare, forse essa fu sottoposta già anche prima ad una collisione simile.

Secondo le osservazioni di Borisiak studente a Kiew, la stella nuova di Perseus deve essere stata la sera del 21 febbraio 1901 della grandezza di 1,5, mentre alcune ore prima era di grandezza inferiore alla dodicesima, e la sera seguente di grandezza 2,7, dopo di che il suo splendore crebbe fino alla sera successiva, in modo da eclissare tutte le altre stelle del cielo settentrionale. Se questa indicazione non è basata sopra una osservazione erronea, la stella nuova fu sottoposta ad una collisione minore due giorni prima della sua collisione del 23 febbraio con un altro sole, o con questo sole o con un piccolo pianeta circostante, e quindi fu, per poco tempo, portata ad una maggiore intensità luminosa.

Le stelle nuove non sono tanto rare, quanto forse si potrebbe credere. Quasi ogni anno ne viene osservata qualcuna. In massima parte si presentano in vicinanza alla Via Lattea, ove le stelle visibili sono straordinariamente vicine le une alle altre, e quindi può con tutta facilità aver luogo tra due corpi celesti un urto da noi percepibile.

Per ragioni analoghe vi si trovano anche la massima parte delle nebule gassose.

Così pure in vicinanza alla Via Lattea si trova il massimo numero di cumuli di stelle. Questo non è che una conseguenza del fatto che le masse nebulari, che si formano nella collisione di due soli, sono attraversate da corpi celesti erranti, che qui esistono relativamente in gran copia, e si trasformano in cumuli per l’effetto condensante di questi intrusi. Nelle contrade celesti ove le stelle sono relativamente scarse (come a grande distanza dalla Via Lattea), il massimo numero di nebule osservate dànno spettro stellare. Esso non sono altro che cumuli tanto distanti da noi, che le singole stelle non si possono distinguere. Senza dubbio la causa, perchè in queste regioni si constatano così raramente stelle singole e nebulose, sta nella loro grande distanza da noi.

Tra le stelle variabili ce n’è tutta una quantità, che mostrano una grande irregolarità nella variazione d’intensità luminosa e ricordano assai da vicino le stelle nuove. A queste appartiene la sopranominata Eta in Argus. Un’altra (la prima che fu riconosciuta come «variabile») è Mira Ceti, o in altri termini «la meravigliosa stella della costellazione della Balena». Questo corpo misterioso fu per la prima volta osservato come stella di seconda grandezza il 12 agosto 1596 dal prete frisio Fabricius. Questo prete, astronomo provetto, prima non aveva visto la stella; poi nell’ottobre del 1597 la cercò invano. Nel 1638 e nel 1639 fu scoperta la variabilità della stella, e si trovò bentosto che essa è irregolare. Il periodo è lungo circa 11 mesi, ma oscilla irregolarmente attorno a questo valore medio. Nel tempo di massimo splendore essa irradia come stella di 1.° o 2.° ordine; talora è anche più debole, ma sempre sopra la quinta grandezza. Dieci settimane dopo il massimo la stella non è più visibile; la sua chiarezza può discendere fino a quella d’una stella dell’ordine di grandezza 9,5. In altri termini, la sua intensità luminosa varia circa come da 1 a 1000 (o forse anche di più). Dopo il minimo la chiarezza cresce di nuovo, la stella torna visibile, cioè raggiunge la sesta grandezza, e, dopo altre sei settimane, il suo massimo luminoso. Evidentemente noi abbiamo qui parecchi periodi che, per dir così, si sovrappongono.

Questa stella ha uno spettro molto caratteristico. Appartiene alle stelle rosse con spettro a bande, che è attraversato da linee luminose d’idrogeno. Essa si allontana da noi con una velocità di non meno di 63 km. al secondo. Le linee luminose d’idrogeno che corrispondono allo spettro della nebulosa, si suddividono talvolta in tre componenti, di cui la mediana corrisponde ad una velocità media di 60 km., e le altre due hanno una velocità di allontanamento variabile, p. es. di 35 e 82 km., cioè 25 o 22 km. di meno o di più della velocità media. Evidentemente la stella è circondata da tre masse nebulari; una è concentrata attorno al suo centro, le altre due giacciono in un anello la materia del quale è stata concentrata in due parti opposte. Questo anello (analogo alla nebula anulare nella Lira) si muove attorno alla stella con una vdelocità di circa 23,5 km. al secondo. Poichè questa rivoluzione ha luogo in undici mesi, o più esattamente in ventidue, perchè durante una rivoluzione dell’anelIo devono presentatisi due massimi e due minimi, l’intcra periferia dell’anello è di 23,5   ×   86400   ×   670 = 1361 milioni, e il raggio dell’orbita 217 milioni di chilometri o 1,45 volte maggiore del raggio dell’orbita terrestre. La velocità della terra nella sua orbita è di 29,5 km. per secondo: un pianeta che si trovasse ad una distanza 1,45 volte maggiore dal sole, avrebbe una velocità 1,203 volte più piccola, cioè 24,5 km. per secondo, ossia molto prossima a quella dell’anello ipotetico di Mira Ceti. Quindi concludiamo che la massa del sole centrale in Mira Ceti è assai prossima a quella del sole nostro: il calcolo ci dice che Mira sarebbe più piccolo dell’8   %, ma questa differenza rientra completamente nella cerchia dell’errore probabile.

Chandler notò un regolarità singolare in queste stelle, cioè che quanto più lungo è il periodo della loro variazione luminosa, tanto più è rosso, in generale, il loro colore. Questo è facile da comprendere. Quanto più densa è l’atmosfera gassosa originaria, e tanto più lontano, in generale, essa si dilaterà fuori della stella, e tanto maggiore quantità di polvere verrà da essa arrestata od emessa. Come abbiamo visto, il lembo del sole acquista un colore rossiccio per la polvere dell’atmosfera solare. Ciò dipende principalmente dall’assorbimento dei raggi azzurri attraverso la polvere, ma in parte può anche provenire dal fatto che la polvere diventa incandescente #id_bookmark10 perla radiazione solare, ma (giacendo al di fuori del sole) ha una temperatura inferiore a quella della fotosfera e quindi emana una luce relativamente rossa. Quanta più polvere si trova nella nebulosa, e tanto più rossa apparirà la luce della sua stella. Poichè in generale la quantità di polvere cresce con l’estensione della nebula, naturalmente la stella apparirà tanto più rossa, quanto più si estendono lontani gli anelli nebulari attorno ad essa; ma quanto maggiore è la loro distanza, tanto più lungo è, in generale, il loro periodo di rivoluzione.

Le cosidette stelle rosse, oltre alle linee chiare d’idrogeno, mostrano anche degli spettri a bande, che accennano alla presenza di combinazioni chimiche. Per l’addietro questo fu citato a prova d’una temperatura più bassa di queste stelle. Ma questa proprietà si osserva anche nelle macchie solari, quantunque esse, per la loro posizione, devono avere una temperatura superiore che la fotosfera circostante. La presenza di bande nello spettro accenna invece certamente ad una pressione elevata. Le stelle rosse sono circondate evidentemente da un’atmosfera gassosa estesissima, nella cui parte interna la pressione è molto alta, e quindi gli atomi sono così compressi, da formare dei composti chimici. Gli spettri delle stelle rosse mostrano in generale una sorprendente somiglianza con quelli delle macchie solari. La parte violetta dello spettro è indebolita per le masse di polvere, che estinguono questa luce. Per le grandi masse gassose, che si trovano lungo la visuale, le linee spettrali sono in entrambi i casi fortemente allargate, e talvolta sono accompagnate da linee luminose.

Un’altra classe di stelle che mostrano delle linee chiare comprende quelle studiate da Wolf e Rayet e chiamate coi loro nomi. Esse si distinguono per un’atmosfera straordinariamente vasta di idrogeno, la cui estensione in alcuni casi, secondo i calcoli, è tale, che essa potrebbe riempire l’orbita di Nettuno. Queste stelle sono manifestamente più calde (e più intensamente radianti) delle stelle rosse, oppure nelle loro vicinanze non c’è tanta polvere – è possibile che sia stata respinta dalla intensa pressione di radiazione – e quindi appartengono alle stelle gialle, e non alle rosse. Quantunque tutto indichi che i loro corpi centrali sono caldi almeno come quelli delle stelle bianche, pure la polvere della estesissima atmosfera può ridurre giallo il loro colore.

I periodi disuguali nelle stelle come Mira si spiegano facilmente con l’ipotesi verosimile, che nelle loro vicinanze si muovano, attorno ad esse, parecchi anelli di polvere, proprio come intorno al pianeta Saturno. Gli anelli più interni con periodo più breve probabilmente hanno avuto il tempo, durante i loro innumerevoli giri, di eguagliare la ripartizione della polvere, sicchè in essi non si presentano dei nuclei notevoli, come si osservano nelle code delle comete. Essi quindi contribuiscono a dare alla stella una regolare intonazione rossa. Invece negli anelli esterni la distribuzione della polvere non è regolare. Uno degli anelli, che ha il massimo effetto, può determinare il periodo principale proprio. Con la cooperazione di altri anelli di polvere meno importanti, il massimo e il minimo, come si capirà facilmente, possono essere un po’ spostati, e quindi i tempi fra i massimi e i minimi vengono alterati. Per alcune stelle questa alterazione della lunghezza del periodo è tanto forte, che non si è ancora riusciti a stabilire un periodo semplice. La stella più conosciuta tra queste è la stella rossa Betelgosa, nella costellazione di Orione. Lo splendore di questa stellaoscilla irregolarmente tra le grandezze 1,0 ed 1,4.

La massima parte delle stelle variabili appartengono al tipo Mira. Altre appartengono al tipo Lira, così chiamate dalla stella variabile Beta nella costellazione della Lira. Per molte di queste si è constatato, dalla variabilità del loro spettro, che si spostano attorno ad una stella oscura come « compagna » , o, più esattamente, si muovono entrambe attorno ad un centro di gravitazione comune. Abitualmente la loro variazione luminosa si spiega supponendo che la stella luminosa talvolta sia coperta parzialmente dalla «compagna»oscura. Ma molte irregolarità nei loro periodi, come altre circostanze, indicano che questa spiegazione non è sufficiente. È chiaro che, con l’ipotesi di anelli di polvere rotanti attorno alla stella e di maggiori centri di condensazione, noi possiamo farci meglio un’idea della variabilità di queste stelle. Esse appartengono alle stelle bianche o gi alle, in prossimità alle quali la polvere non ha una parte tanto importante, come nelle stelle del tipo Mira. Il periodo della loro variabilità luminosa è anche molto più corto, di solito di pochi giorni soltanto (il più corto conosciuto è di 4 ore), mentre il periodo delle stelle di tipo Mira ammonta a 65 giorni almeno, e può raggiungere anche due anni — e probabilmente ce n’è con periodi ancora più lunghi, che non sono state ancora studiate.

Alle stelle tipo Mira si avvicinano le stelle tipo Algol, la cui variabilità può essere spiegata con l’aiuto dell’ipotesi che un’altra stella (chiara od oscura) si muova nelle loro vicinanze e ci tolga talvolta, parzialmente, la loro luce. In questo caso la polvere non c’è affatto, e gli spettri caratterizzano queste stelle come della prima classe, cioè come stelle bianche, per quanto esse, finora, sono state studiate.

Per tutte le stelle variabili noi dobbiamo supporre che la visuale tra l’osservatore e la stella che si considera, cada nel piano della traiettoria dei loro anelli di polvere o dei loro «compagni». Se non fosse così, esse ci apparirebbero come una nebula con una condensazione centrale, oppure, per quanto riguarda le stelle Algol, come le così dette stelle doppie, per le quali il movimento rotatorio di una attorno all’altra si riconosce dallo spostamento delle linee spettrali.

L’evoluzione delle stelle dallo stadio di nebulose è descritto come segue dal famoso direttore dell’osservatorio di Lick, in California, W. W. Campbell (cfr. gli spettri delle stelle di 2.ª, 3.ª, e 4.ª classe, fig. 59 e 60 [pagg. 211 e212]):

«Non è difficile formare una lunga lista di stelle ben note, la cui condizione non può distinguersi particolarmente da quella delle nebule. Gli spettri di queste stelle contengono le linee chiare tanto dell’idrogeno che dell’elio. Gamma Argus e Zeta Puppis appartengono a questa classe. Un’altra stella che vi appartiene (D. M. + 30°,3639) è circondata da un’atmosfera di idrogeno del diametro di circa cinque secondi d’arco. Sembra che sieno un po’ più discoste dallo stadio di nebulose alcune stelle, che mostrano linee d’idrogeno tanto chiare che oscure; queste stelle sono osservate proprio mentre, per così dire, sono in procinto di passare da stelle a linee chiare in stelle a linee oscure. Sono esempi di queste stelle Gamma Cassiopeiae, Pleione e My Centauri. Molto affini a queste sono le stelle-elio. Le loro linee oscure corrispondono a quelle dell’idrogeno, a venti o più delle cospicue dell’elio, e ad alcune deboli metalliche. Sono tipiche per questa classe le stelle bianche in Orione e nelle Pleiadi.

«Che queste classi di stelle corrispondano ad uno stadio primitivo di sviluppo, fu posto dapprima come probabile dalla osservazione dei loro spettri. Con l’aiuto della fotografia si scoprirono delle masse nebulari in prossimità alle stelle con linee chiare e alle stelle-elio, e questa scoperta confermò la loro giovinezza all’evidenza. Uno che abbia visto la nebula sullo sfondo della costellazione di Orione (fig. 51 [pag. 192]), o i resti della materia nebulare in cui sono avvolte le stelle delle Pleiadi (fig. 52 [pag. 192]), può ancora porre in dubbio che le stelle di questi gruppi sono di formazione recente?

«Coll’andar del tempo il calore stellare si irraggia nello spazio e, per le stelle, va perduto. D’altra parte, per la contrazione, aumenta alla loro superficie la forza di gravità. Certe linee dell’idrogeno scoperte da Pickering spariscono, mentre le solite si presentano più intense, tutte come linee oscure. Le linee oscure pertinenti all’elio si fanno indistinte, mentre se ne presentano di calcio e ferro. Vega e Sirio sono esempi tipici di stelle di questo stadio. Crescendo l’età delle stelle, scema l’intensità delle linee dell’idrogeno, diventano più intense quelle dei metalli, il colore da azzurro-bianco si cambia in gialliccio, e, dopo trascorsi parecchi stadi ben noti, si r aggiunge la condizione che domina nel sole. Negli spettri delle stelle corrispondenti l’idrogeno è indicato solo per quattro o cinque linee oscure di intensità moderata (quelle dell’elio mancano): le linee del del calcio si presentano assai predominanti, e si distinguono circa venti mila linee metalliche. Sembra che le stelle tipo-sole sieno prossime alla sommità dello sviluppo. Laloro temperatura media deve essere prossima ad un massimo, poichè il peso specifico debole accenna ad uno stato gassoso della massa stellare (cfr. cap. VII).

«Col tempo la temperatura scende ancora di più. Il colore della stella si cambia da giallo in rosso, per la temperatura scemante e per il crescente assorbimento luminoso dell’atmosfera stellare. Le linee dell’idrogeno si fanno indistinte, le linee metalliche si presentano intensamente, e si fanno vedere delle larghe bande d’assorbimento. In una classe (tipo III del Secchi), a cui appartiene Alpha Herculis, queste bande sono di origine ignota; in un’altra classe (tipo IV del Secchi), rappresentata dalla stella 19 dei Pesci, furono riconosciute definitivamente come appartenenti ai composti del carbonio.

«Si può appena dubitare che questa specie di stelle (tipo IV) si avvicinano all’ultimo stadio del loro sviluppo. La temperatura delle loro parti esterne è tanto bassa, che possono presentarvisi composti chimici più complessi che sulle pareti esterne del sole.

«IlIII tipo del Secchi abbraccia diverse centinaia di stelle della stessa specie di Mira Ceti, con variazioni luminose di lunghi periodi. Quando queste stelle risplendono con l’intensità massima, mostrano diverse linee chiare d’idrogeno e di altri elementi chimici. È significativo che le stelle rosso-scure sono tutte molto deboli (tipo IV del Secchi); nessuna supera la grandezza 5,5. La loro energia effettiva di radiazione è senza dubbio molto debole».

Lo stadio che segue, dopochè la stella ha oltrepassato quello che corrisponde al IV tipo di Secchi, è reso chiaro da esempi a noi molto famigliari, cioè dai pianeti Giove e Terra; essi sarebbero invisibili, se non fossero illuminati da luce presa a prestito.

Giove non è così avanzato come la Terra. Il suo peso specifico è un po’ più basso di quello del sole( 1,27 contro 1,38), e questo pianeta è probabilmente, eccettuate le nubi della suaatmosfera, del tutto gassoso, mentre la terra, che ha una densità media dì 5,52 possiede una crosta solida fredda, che racchiude il suo interno infuocato. Questo stato della terra corrisponde all’ultimo stadio nell’evoluzione delle stelle.

Delle masse gassose eruttate dalle stelle in una collisione, quelle metalliche, in seguito al raffreddamento, si condensano rapidamente; elio ed idrogeno soltanto rimangono allo stato gassoso, formando masse nebulari attorno al corpo centrale. Queste masse nebulari dànno delle linee luminose. La loro luminosità dipende dalle particelle cariche negativamente che cadono in esse per la pressione di radiazione delle stelle vicine, e particolarmente del corpo centrale della nebula.

Nelle stelle nuove che fino ad ora furono osservate questa pressione della radiazione diminuisce tosto, e la luce nebulare quindi, in questi casi, decresce rapidamente. In altri casi, come per le stelle conlinee chiare di idrogeno ed elio, sembra che la radiazione del corpo centrale o di stelle vicine si conservi a lungo in piena forza.

Gli ammassi nebulari di elio e idrogeno un po’ per volta sfuggono, e si condensano con formazione di composti «esplosivi» in stelle vicine. Epoichè pare che l’elio abbia la maggiore attività chimica, esso sparisce per primo dalla atmosfera stellare. Che l’elio ad alte temperature contragga combinazioni chimiche, sembra risulti dalle ricerche di Ramsay. Cooke e Kohlschütter.

Poi è assorbito l’idrogeno, e la luce del corpo centrale indica il predominio di vapori di calcio e di altri metalli nella sua atmosfera. Contemporaneamente a questi si presentano infine dei composti chimici, tra i quali hanno una parte capitale i composti di carbonio: nelle parti esterne delle macchie solari, nello stelle del IV tipo di Secchi, come negli involucri gassosi delle comete.

Alla fine si forma una crosta solida; la stella èspenta.

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