CAPITOLO PRIMO Fenomeni vulcanici e terremoti

Interno della terra.

La grande sventura che nell’aprile 1906 colpì le fiorenti contrade attorno al Vesuvio e della California, fece rivolgere ancora una volta l’attenzione dell’umanità alle forze prepotenti, che si manifestano sotto forma di eruzioni vulcaniche e di terremoti.

Tuttavia le perdite di vite umane in entrambi i casi furono insignificanti a confronto di quelle che derivarono da diverse catastrofi più vecchie dello stesso genere. La più violenta eruzione vulcanica degli ultimi anni fu senza dubbio quella dal 26 al 27 agosto 1883, in cui due terzi dell’isola Krakatoa nell’Arcipelago delle Indie Orientali, della superficie di 33 km. quadrati, saltarono in aria. Quantunque quell’isola fosse disabitata, pure perirono in questa occasione circa 40000 nomini, principalmente per la mareggiata che seguì l’eruzione e causò rovinosi allagamenti nei dintorni. Ancora più spaventosa fu la rovina prodotta dal terremoto calabro, che consistette in parecchie scosse nel febbraio e nel marzo 1783. Ne fu distrutta il 5 febbraio l’importante città di Messina; il numero degli uomini periti in questa circostanza si fece ascendere a 100000.

La stessa contrada, specialmente la Calabria, venne inoltre funestata anche l’8 settembre 1905 da rovinosi scuotimenti terrestri . Un’altra catastrofe ricordata dalla storia per grande perdita di vite umane (non meno di 90000) fu quella del l.° novembre 1755, che distrusse la capitale del Portogallo. Due terzi di queste vite umane furono distrutte da un’ondata alla 5 metri lanciata dal mare.

Il vulcano meglio studiato fra tutti è senza dubbio il Vesuvio. Durante l’apogeo di Roma questo monte rimase assolutamente tranquillo, un cono vulcanico spento, fin dai tempi a cui risale la storia. Tutt’intorno sul terreno straordinariamente fruttifero fiorivano delle colonie greche di tale ricchezza, che la contrada fu chiamata Grande Grecia (Magna Graecia).

Quindi successe nell’anno 79 dopo Cristo la rovinosa eruzione che distrusse fra le altre città Ercolano e Pompei. Le potenti masse gassose, che proruppero dall’interno della terra, abbatterono una gran parte del vecchio cono vulcanico, il cui avanzo ora è chiamato Monte Somma, e le masse di cenere cadenti a terra, insieme alle correnti di lava sgorganti, costrussero il nuovo Vesuvio.

Esso cambiò spesso sensibilmente il suo aspetto per le successive eruzioni, e anche nell’anno 1906 fu provvisto di un nuovo cono di ceneri. Dopo l’anno 79 diede nuove eruzioni negli anni 203, 472, 512, 685, 993, 1036, 1139, 1500, 1631 e 1660, ad intervalli di tempo adunque del tutto irregolari. Poscia il Vesuvio rimase in un’attività quasi ininterrotta, per lo più in modo completamente innocuo, così che soltanto il pennacchio di fumo sopra il cratere mostrava che il calore interno continuava pur sempre. Eruzioni molto violente avvennero negli anni 1794, 1822, 1872 e 1906.

Del tutto diversamente da questo violento si comportano altri vulcani attivi, che producono danni appena degni di menzione. Tra gli altri, per esempio, lo Stromboli tra la Sicilia e la Calabria. Esso è da migliaia d’anni in attività continua, o lo sue eruzioni si susseguono ad intervalli che variano tra meno di un minuto e venti minuti. Il suo fuoco serve ai naviganti come un faro naturale. Evidentemente anche la forza di questo vulcano è differente nei varii tempi; nell’estate del 1906 devo essere stato in una attività insolitamente violenta. Molto pacificamente avvengono pure di regola le eruzioni dei grandi vulcani di Hawaii.

Tra le materie eruttate dai vulcani la principale è il vapor d’acqua. Perciò la nuvola sopra il cratere forma il più sicuro indizio sull’attività del vulcano. In eruzioni violente queste masse di vapore sono scagliate su nell’aria anche fino ad otto chilometri circa, come mostrano le figure qui riprodotte.

Dall’altezza del Vesuvio, 1300 m. sopra il livello del mare, si può stimare l’altezza della nuvola. La figura che segue riproduce un disegno di Poulett Scrope, che rappresenta l’eruzione del Vesuvio dell’anno 1822. Inquel giorno pare che l’aria fosse calma. Le masse di vapore formano una nube di forma regolare, che ricorda un pino. Secondo la descrizione di Plinio, nell’eruzione del Vesuvio dell’anno 79 la nube era di forma analoga. Se invece l’aria non è così calma, la nube prende una forma irregolare (fig. 3 [pag. 22]). Le nubi che salgono ad altezze tanto grandi come quelle sopra nominate, sono contraddistinte per forti cariche elettriche. I lampi potenti chesi sviluppano dalle nere nubi accrescono vieppiù l’impressione del terribile spettacolo.

La pioggia che cade a terra da questa nube èspesso mescolata a cenere e quindi è nera come inchiostro.La cenere ha un colore che varia fra il bigio, il giallastro e il bruno fino quasi al nero, ed è composta di minutissime gocce di lava, che sono eruttate dai gas irrompenti e che all’aria solidificano rapidamente. Gocce più grosse di lava si induriscono in sabbia vulcanica o nei cosidetti lapilli e in «bombe» che per la resistenza dell’aria sono spesso solcate e a forma di pera. Questi prodotti solidi cagionano di consueto i maggiori danni nelle eruzioni vulcaniche. Il peso dei materiali cadenti a terra sfondò nel 1906 (fig.4 [pag. 23]) dei tetti. Uno strato di cenere dello spessore di 7 m. adagiò Pompei sotto il lenzuolo, che la tenne nascosta fino agli scavi dei nostri giorni. Intanto la cenere sottile e il fango misto alla pioggia si adattavano sopra i cadaveri come una forma di gesso; quindi si indurirono in una specie di cemento, e, dopo aver tolto i prodotti di decomposizione dei cadaveri, sì potè così, coll’aiuto delle forme in tal modo prodotte, conservare l’impronta più naturale delle cose passate ivi sepolte. Allo stesso modo, se la cenere cade in mare, si forma un letto di tufo vulcanico, nel quale rimangono impigliati pesci ed alghe: è cosifatto il suolo nella località Campagna Felice presso Napoli. Pietre più grosse attraversate da innumerevoli bolle di gas galleggiano come pomice sul mare e vengono pian piano disgregate dalle onde in sabbia vulcanica. La pomice galleggiante attorno è talvolta per la sua grande quantità pericolosa o molesta per la navigazione. Fu così per esempio nella eruzione del Krakatoa nel 1883.

Oltre al vapor d’acqua vengono eruttati anche altri gas e vapori; in primo luogo acido carbonico, ma anche dei vapori di solfo e idrogeno solforato, acido cloridrico e cloruro ammonico, come pure più raramente cloruro di ferro e di rame, acido borico e altre sostanze. Una gran parte di questi corpi si solidifica sulle pareti del vulcano per l’improvviso raffreddamento; le parti più volatili, come acido carbonico, idrogeno solforato e acido cloridrico, possono propagarsi a distanze maggiori e distruggere, per il loro calore o pel fatto che sono velenose, quanto di vite animali capiti sul cammino della corrente gassosa. Così fu per esempio nella spaventosa catastrofe di St. Pierre, dove 30000 vite umane furono distrutte per l’eruzione del Monte Pelée l’8 maggio 1902. L’emanazione di idrogeno, che, sprigionandosi dalla lava brucia nell’aria dando acqua, fu osservata nel cratere Kilauea.

La cenere vulcanica è talvolta trascinata a grandi distanze dalle correnti d’aria; così dalla costa occidentale dell’America del Sud alle Antille, dall’Islanda alla Norvegia e alla Svezia, dal Vesuvio (1906) ad Holstein. A questo riguardo si conosce specialmente l’eruzione del Krakatoa, in cui la cenere sottile fu lanciata fino a 30 km. di altezza e le particelle più minute furono portate a poco a poco dal vento a tutte le parti del mondo, dove nel corso di due anni cagionarono le magnifiche albe e i magnifici tramonti, che presero il nome di «luce rossa». Anche in seguito alla eruzione del Monte Pelée fu osservata in Europa la luce rossa. La polvere del Krakatoa fornì anche il materiale alle cosidette «nuvole luminose di notte» osservate negli anni 1883-1892, sospese ad un’altezza di 80 km. all’incirca, e perciò illuminate dal sole anche lungo tempo dopo il tramonto.

Un particolare interesse ha suscitato il cratere Kilauea sull’alto vulcano Mauna-Loa nell’isola Hawaii: questo vulcano è alto all’incirca come il Monte Bianco. Il cratere forma un grande lago di lava della estensione di circa 12 km. quadrati, però molto variabile col tempo. La lava bollente e rovente espelle continuamente masse di gas con leggere esplosioni, per cui delle fontane di fuoco alte circa 20 metri zampillano nell’aria. Qua e là la lava trabocca attraverso a fenditure della parete del cratere, e scorre lungo i fianchi del monte, fino a che la superficie del lago di lava si sia abbassata fin sotto lo fenditure. Questa lava è di solito relativamente fluida, e quindi si distende abbastanza uniformemente sopra estese superficie. Simili sono anche le inondazioni di lava che si riversano talvolta sopra migliaia di km. quadrati in Islanda; — particolarmente grandiosa fu la cosidetta eruzione di Laki dell’anno 1783, che, quantunque avvenuta in una regione disabitata, produsse danni grandissimi. Nei più antichi periodi geologici, specialmente nel terziario, analoghi sterminati strati di lava si distesero per esempio sopra l’Inghilterra e la Scozia (sopra 100000 km. quadrati), sopra Dekkan nelle Indie (400000 km. quadrati fino ad un’altezza alle volte di 2000 m.) e sopra Wyoming, Yellowstone-Park, Nevada, Utah, Oregon ed altre parti degli Stati Uniti d’America, come sopra la Columbia inglese.

In altri casi la lava lentamente scorrente contiene gran copia di gas, che, sviluppandosi nella solidificazione della lava, la spezzano in massi ruvidi, irregolari, formando il cosidetto blocco di lava (fig. 5 [pag. 27]). Anche le correnti di lava possono produrre infinite devastazioni, se si scaricano giù per contrade abitate; però per la lentezza del loro movimento esse cagionano soltanto piccole perdite di vite umane.

Se l’attività, vulcanica un po’ per volta scema o cessa, ne rimangono spesso tracce sotto forma di emanazioni di gas o di acqua calda, come si osserva in certe regioni, ove durante l’epoca terziaria potenti vulcani emisero le loro correnti di lava.

A questa categoria appartengono i celebri Geyser di Islanda, di Yellowstone-Park ( fig. 6[pag. 28]) e della Nuova Zelanda; le sorgenti calde di Boemia stimate in medicina (per esempio quella di Karlsbad), le fumarole emananti vapor d’acqua in Italia, Grecia ed altri paesi; le moffette con le loro emanazioni di acido carbonico — se ne presentano in abbondanza nella regione dell’Eifel in vicinanza al Reno, nella Grotta del Cane presso Napoli e nella Valle della Morte nell’isola di Giava —; le solfatare che emettono vapori di zolfo, idrogeno solforato ed anidride solforosa (se ne trovano presso Napoli nei campi Flegrei e in Grecia), e così taluni dei cosidetti vulcani di fango, che eruttano fango,acqua salata e gas (di solito acido carbonico e idrocarburi), per esempio quelli presso Parma e Modena in Italia, o anche quelli presso Kronstadt nella Transilvania.

I vulcani spenti, di cui alcuni appartengono ai più alti monti della terra, come l’Aconcagua nell’America del Sud (6970 m.), e il Kilimandjaro in Africa (6010 m.), sonospesso esposti ad una rapida distruzione perchè sono costrutti in gran parte di materiale disgregato, cenere vulcanica con correnti di lava frapposte. Queste correnti che si distendono radialmente proteggono le parti sottoposte dalla erosione dell’acqua, e si formano a questo modo sui margini della corrente di lava dei tagli decisi attraverso l’antico vulcano e anche attraverso gli strati sedimentari sottoposti.

Un esempio interessante di questo tipo lo fornisce l’antico vulcano Monte Venda presso Padova. Si può osservare che il calcare sedimentario fu trasformato in marmo per effetto della lava infuocata scorrente sopra, per una profondità di circa 1 m. Talvolta anche il calcare che giace sopra lo strato di lava fu così trasformato, onde si rileva che la lava non effluì soltanto sul margine del cratere, ma proruppe anche dai fianchi, da fenditure, tra due diversi strati di calcare. Siffatti traboccamenti voluminosi sotterranei si presentano nei cosidetti laccoliti di Utah e nel Caucaso. Qui gli strati soprastanti furono spinti in su dalla pressione della lava, che però si solidificò prima di poter raggiungere la superficie terrestre e formare un vulcano. Di origine analoga sono tutta una serie di graniti, i cosidetti batoliti che principalmente si presentano in Norvegia, Scozia, Giava, ecc. Qualche volta di tutto il vulcano non rimase che un nucleo di lava rappresa. Questi nuclei, che originariamente riempivano il canale del cratere, sono molto frequenti in Iscozia o nella America del Nord, dove sono chiamati «Necks» (fig. 7 [pag. 33]).

Nell’altopiano del Colorado alcuni corsi d’acqua levigarono i cosidetti Cañons con pareti quasi verticali. Un disegno di Dutton mostra una di queste pareti alta oltre 800 m., in quattro spaccature della quale la lava si spinse fino alla superficie (fig. 8 [pag. 30]). Sopra ad una si trova ancora un piccolo cono di cenere vulcanica, mentre quelli che probabilmente chiudevano le altre tre fenditure, furono portati via in modo che i condotti terminano con piccoli «Necks». Manifestamente la lava fluida — un forte contenuto di magnesia e di ossido di ferro rende la lava più fluida che uno pari di acido silicico, e la fluidità viene oltre a ciò aumentata dalla presenza di acqua – si ficcò nelle fenditure già prima esistenti e raggiunse la superficie terrestre, prima di rapprendersi. Si deve supporre che la forza impulsiva fosse assai considerevole, altrimenti la lava non avrebbe potuto raggiungere la necessaria velocità di efflusso.

Quando il Krakatoa saltò in aria nel 1883, avanzò soltanto metà del vulcano. Questa mostra molto chiaramente lo spaccato di un cono di cenere, che subì solo molto debolmente l’azione erosiva dell’acqua. Si vede nel mezzo il chiaro turacciolo di lava nel canale del vulcano e staccantisi da questo più chiare distese di lava, tra cui appaiono strati più scuri di cenere.

In relazione alla distribuzione dei vulcani sulla superficie della terra si osservò una sorprendente regolarità. Quasi tutti i vulcani si trovano in vicinanza al mare; alcuni si trovano sì nell’interno dell’Africa Orientale, ma in cambio giacciono in vicinanza dei grandi laghi presso l’Equatore. Alcuni vulcani che si dicono posti nell’Asia Centrale, sono incerti. Del resto in parecchie coste marine non si trovano vulcani; così in Australia e nelle lunghe linee costiere dell’Oceano Artico, nel nord dell’Asia, dell’Europa e dell’America. Solo dove si trovano grandi spaccature nella crosta terrestre lungo le coste del mare, si presentano dei vulcani. Dove tali spaccature esistono, ed il mare (oppure un grande lago) manca nelle vicinanze, come per esempio nelle Alpi Austriache, non ci sono vulcani; per contro queste contrade sono conosciute pei loro terremoti.

Già per tempo si fece valere l’opinione che la massa fusa dell’interno della terra si spinga alla superficie attraverso i vulcani. Essendosi provato a stimare le profondità dei focolari vulcanici, si giunse a risultati assolutamente diversi. Così per esempio nel focolare del vulcano Monte Nuovo, che nell’anno 1538 si elevò sui campi Flegrei presso Napoli, furono computate profondità da 1,3 a 60 km.; per il Krakatoa si trovarono più di 50 km. ecosì via. Tutti questi calcoli sono abbastanza insignificanti, perchè i vulcani probabilmente giacciono sopra rughe della crosta terrestre, attraverso a cui la massa fluida (magma) si precipita a forma di cuneo dall’interno della terra, in modo chenaturalmente è difficile indicare dove termina il focolare del magma ed incomincia il canale vulcanico. Nel Kilauea si ha involontariamente l’impressione di trovarsi davanti ad un foro della crosta terrestre, pelquale la massa fusa dell’interno della terra viene direttamente alla luce (fig.9 [pag. 32]).

Per quanto riguarda la crosta terrestre, si sa, por osservazioni fatte mediante dei fori d’assaggio in diverse parti del mondo, che la temperatura sale molto rapidamente con la profondità: in media di 30° per ogni km. Però i fori più profondi non lo sono più di 2 km. (Paruchowitz nella Slesia m. 2003, Schladebach presso Merseburg, Sassonia Prussiana, m. 1720).

Ora se la temperatura sale di 30° centigradi ad ogni successivo chilometro, ad una profondità di 40 km. deve regnare una temperatura, alla quale tutti gli ordinari minerali fondono. Certamente il punto di fusione cresce con la pressione, ma sarebbe esagerare l’importanza di questa circostanza credere che per questo l’interno della terra possa essere solido. Come Tammann mostrò con prove dirette, la temperatura di fusione cresce solo fino ad una certa pressione, per poi tornare a diminuire per ulteriori aumenti di pressione. La profondità sopra indicata non è dunque assolutamente esatta; ma sesi suppone che gli altri minerali si comportino come il diabasesecondo Barus, cioè che il loro punto di fusione cresca di 1° centigrado per 40 atmosfere di pressione, corrispondenti a 155 m. di profondità, si trova che la crosta solida non può avere uno spessore maggiore che da 50 a 60 chilometri. A maggiori profondità incomincia dunque la massa fusa. A cagione della sua maggiore leggerezza l’acido silicico si concentra nelle parti più alte della massa fusa, mentre le parti del magma più ricche di ossido di ferro, le cosidette parti basiche, a cagione della loro pesantezza, si raccolgono sopratutto nelle sue parti più profonde.

Noi dobbiamo raffigurarci questo magma come un fluido estremamente viscoso, simile all’asfalto. Da esperienze di Day e Allen fu mostrato che delle aste (30 × 2 × 1 mm.) di diversi minerali, come i feldspati microclino e albite, appoggiate alle estremità, conservarono per tre ore la loro forma, senza incurvarsi sensibilmente, sebbene la loro temperatura fosse di circa 100° superiore a quella di fusione, e che esse quando si estrassero dalla stufa erano completamente fuse o più esattamente vetrificate. Questi silicati si comportano del tutto diversamente dalle sostanze con cui noi comunemente lavoriamo, come l’acqua o il mercurio.

Il movimento e la diffusione che hanno luogo nel magma specialmente nelle sue parti acide superiori molto vistosamente fluide, sono quindi estremamente deboli, in modo che il magma come i minerali nelle esperienze di Day e Allen, si comporta plausibilmente come un corpo solido. Il magma di vulcani posti vicini l’uno all’altro come l’Etna, il Vesuvio e Pantellaria può quindi avere, come mostrano le analisi fatte sulle loro lave, una composizione del tutto diversa, senza di che si dovrebbe per questo supporre con Stübel, che questi tre focolari vulcanici fossero completamente isolati fra loro.

Nella lava del Vesuvio si trovò una temperatura di 1000°-1100° centigradi alla estremità inferiore della corrente. Dal presentarsi di certi cristalli nella lava, come di leucite e di olivina, la cui formazione si suppone anteriore all’uscita della lava dal cratere in base a positive ragioni, si conclude che la temperatura della lava non può essere superiore a circa 1400° centigradi, prima che essa abbandoni il canale vulcanico.

Sarebbe però ingiusto concludere dalla temperatura della lava del Vesuvio, che il focolare vulcanico sia ad una profondità di circa 50 chilometri. La sua profondità è probabilmente molto minore, forse neppure 10 chilometri, poichè qui corno dappertutto, dove si trovano vulcani, la crosta terrestre è fortemente increspata, così che il magma in certi siti, dove appunto si trovano i vulcani, viene molto più da vicino alla superficie terrestre, che altrove.

L’importanza dell’acqua per la formazione dei vulcani si fonda probabilmente su questo che essa in vicinanza a fenditure sotto il fondo del mare penetra a considerevoli profondità. Se essa raggiunge uno strato di una temperatura di 365° (la cosidetta temperatura, critica dell’acqua) nonpuò più rimanere allo stato liquido. Questo però non impedisce che essa, anche se passa allo stato gassoso, continui a penetrare ancora di più. Tostochè incontra il magma, essa ne è assorbita in alto grado. Ciò proviene da questo che l’acqua a temperature superiori ai 300° è un acido più forte dell’acido silicico, che perciò viene da essa cacciato dai suoi composti, cioè dai silicati, che costituiscono il materiale principale del magma. Quanto più alta è la temperatura, tanto maggiore è il potere del magma di imbeversi d’acqua. Per quest’aggiunta d’acqua il magma si gonfia e diventa contemporaneamente più fluido. Il magma viene perciò compresso per l’azione d’una pressione, che corrisponde perfettamente alla pressione osmotica per la penetrazione di acqua in una soluzione, per esempio di zucchero o di sale. Questa pressione può diventare così forte, da raggiungere migliaia di atmosfere. Appunto per questa pressione il magma può venire sollevato lungo il condotto del vulcano anche se la sua altezza dovesse salire a 6000 m. sul livello del mare. Se ora il magma sale nel condotto del vulcano esso viene un po’ per volta raffreddato, e la sua capacità di ritenere l’acqua va sempre più scemando con la temperatura. Quindi l’acqua sfugge con violenti fenomeni di ebollizione e strappa seco gocce o masse maggiori di lava, che poi ricadono come cenere o come pomice. Anche dopochè la lava è sfuggita dal cratere e si è lentamente raffreddata, cede sempre maggior quantità d’acqua e nello stesso tempo si squarcia con formazione di blocchi di lava. Se per contro la lava rimane relativamente tranquilla nel cratere, come nel Kilauea, allora l’acqua sfugge più lentamente, e, in seguito al lungo contatto dello strato di lava più alto con l’aria, le rimane relativamente poca acqua — questa è per così dire rimossa da aerazione — e le sue correnti, dopo solidificazione, formano quindi delle superficie più levigate.

In alcuni casi si poterono indicare (Stübel e Branco) dei vulcani, che non stanno in connessione con fratture della crosta terrestre. È per esempio il caso di alcuni vulcani di epoca antica (terziaria) nella Svevia, Si può figurarsi che la pressione diventi tanto grande per il gonfiarsi del magma, da esser capace di rompere la crosta in luoghi sottili, anche se non vi si trovavano prima delle spaccature.

Se ora proseguiamo la considerazione del magma a profondità maggiori, non troviamo ragione alcuna per ammettere che la temperatura verso l’interno della terra non cresca di più. Ad una profondità di 300-400 km. la temperatura deve infine diventar tanto alta che nessuna sostanza possa trovarvisi sotto altra forma che di gas. Entro a questo strato l’interno della terra deve quindi essere allo stato gassoso. Sulla base delle nostre nozioni sopra il comportamento dei gas ad alte temperature e pressioni, noi siamo giunti all’ipotesi che i gas nella parte più interna della terra si comportino all’incirca come un magma al massimo grado viscoso; sotto certi rapporti si può paragonarlo ai corpi solidi. In particolare la sua comprimibilità è molto debole.

Si potrebbe credere che fosse impossibile venir a sapere qualche cosa sul comportamento di questi strati; pure mediante i terremoti ne abbiamo ottenuta qualche notizia. Questi strati costituiscono di gran lunga la massima parte della massa terrestre e devono avere un peso specifico assai rilevante, poichè quello della terra è in media 5,52, e gli strati esteriori, come l’oceano e le masse terrestri a noi conosciute, hanno densità minori (le rocce ordinarie posseggono una densità che varia da 2,5 a 3). Si suppose quindi che gli strati più profondi della terra siano metallici, e specialmente Wiechert sostenne questa veduta. Probabil-mente il ferro costituisce l’elemento principale in questa massa gassosa. In favore di ciò parla la circostanza che il ferro — come c’insegna l’analisi spettrale — costituisce un elemento particolarmente importante del sole; che di più le parti ricche di metalli dei meteoriti consistono princi-palmente di ferro; infine il magnetismo terrestre indica che il ferro si trova in grandi quantità nell’interno della terra. Si ha anche ragione di credere che il ferro nativo che si trova in natura, per esempio il ferro ben noto di Ovifak in Groenlandia, sia di origine vulcanica. Le sostanze nell’interno gassoso della terra si comportano sotto il rispetto chimico e fisico, in conseguenza della loro densità, press’a poco come dei liquidi. Poichè tali metalli come il ferro, hanno certamente anche ad altissime temperature un peso specifico molto più alto dei loro ossidi, e questi a lor volta uno più alto dei loro silicati, così dobbiamo supporre che i gas nella parte più profonda della terra consistano quasi esclusivamente di metalli, che le parti superiori contengano al contrario principalmente ossidi e le ultime per la maggior parte silicati.

Riguardo al magma fuso che sta nelle parti più alte, è probabile che esso, se penetra in strati più elevati sotto forma di batoliti, in seguito al raffreddamento si divida in due parti, di cui l’una è più leggera o gassosa e contiene acqua ed elementi solubili in essa, mentre l’altra, la più pesante, consiste in sostanza di silicati con poca acqua. La parte più fluida ricca d’acqua si ritira negli strati più alti, penetra nei banchi sedimentari circonvicini, particolarmente nelle loro fenditure, e le riempie di grandi cristalli, spesso di valore metallurgico, come minerali di stagno, rame, ecc., mentre l’acqua svapora lentamente attraverso alle parti sovrapposte. Invece la massa viscosa dei silicati in conseguenza della sua viscosità solidifica in vetro, oppure, se il raffreddamento avviene lentamente, in piccoli cristalli.

Noi passiamo ora ai terremoti. Nessunpaese è completamente esente da terremoti. Nelle contrade attorno al Mar Baltico e particolarmente nella Russia settentrionale si producono tuttavia in forma del tutto innocua. Questo proviene dal fatto che in quei paesi la crosta terrestre per lunghi periodi geologici rimase indisturbata e senza spaccature. Il terremoto relativamente forte che il 23 ottobre 1904 visitò con insolita violenza specialmente la costa occidentale della Svezia, ma senza cagionare danni degni di nota (alcuni fumaioli furono abbattuti), provenne da una increspatura nello Skagerrak assai rilevante per la nostra posizione settentrionale, continuazione della increspatura più profonda sul fondo del Mare del Nord, la cosidetta «doccia Norvegese», che scorre parallelamente alla costa Norvegese. In Germania sono colpiti molto spesso da terremoti il Vogtland in Sassonia e la regione del Reno medio. Spesso colpita è anche la Svizzera. In Europa sono funestate relativamente spesso da terremoti anche la Spagna, l’Italia e la penisola Balcanica, come pure le regioni del Carso.

Secondo una commissione nominata dall’Associazione Britannica per eseguire ricerche sui terremoti, checontribuì veramente alla conoscenza di questi importanti fenomeni naturali, quelli che sono di una certa entità provengono da determinati centri, che sono segnati nella carta che segue (fig. 10 [pag. 39]). Tra questi il più importante è quello che abbraccia l’Indocina, le Isole della Sonda, la Nuova Guinea e l’Australia Settentrionale, ed è segnato sulla carta colla lettera F. Da questo territorio provennero nei sei anni dal 1899 al 1904 non meno di 249 terremoti, che furono registrati da osservatori posti da lontano. Il suddetto centro è strettamente connesso a quello giapponese segnato con E, da cui provennero 189 scosse di terremoto. Vicino a questo viene poi con 174 movimenti l’estesissimo distretto K , che abbraccia le importantissime increspature nella crosta del vecchio mondo con le giogaie dalle Alpi fino all’Imalaia. Questo distretto è interessante, perchè produce una gran quantità di terremoti, quantunque sia quasi completamente situato sul continente. Poscia vengono i territori A , B e C con 125, 98 e 95 movimenti. Essi giacciono presso le grandi fratture della crosta terrestre lungo le costeAmericane dell’Oceano Pacifico e nel mare Karaibico. Lo stesso vale pel distretto Dcon 78 terremoti. Itre distretti ultimi nominati, B, Ce D, come il distretto Gtra il Madagascar e l’India con 85 movimenti, sono senza dubbio evidentemente superati dal distretto Hnell’Atlantico orientale con le sue 107 scosse di terremoto. Queste ultime sono tuttavia relativamente deboli, e la loro accurata registrazione si deve probabilmente alla circostanza che un gran numero di osservatori sismici si trovano nelle immediate vicinanze di quel distretto. Questo è anche il caso dei movimenti poco numerosi del distretto Iin faccia alla Nuova Finlandia, ed Jtra l’Islanda e l’isola Spitzbergen rispettivamente con 31 e 19 scosse di terremoto. Come ultimo della lista viene il distretto Lattorno al Polo Sud con 8 terremoti. Questo piccolo numero dipende certo dal difetto di luoghi d’osservazione in quelle contrade. Infine v’è ancora da aggiungere un nuovo distretto M, che si estende a SSWdella Nuova Zelanda. Daquesto provengono non meno di 75 forti terremoti, che furono registrati dalla Discovery Expedition (70°lat. S., 178°long. or.) tra il 14 marzo e il 23 novembre 1903.

I terremoti si producono di solito come si dice a sciami o gruppi. Così si contarono nel marzo 1868 nell’Isola di Hawaii più di 2000 scosse. Tra i terremoti che nel 1870-1873 desolarono la Focide in Grecia, si osservarono per lungo tempo delle scosse, che alle volte si seguivano l’una all’altra ad intervalli di tre secondi. Nel periodo sismico completo abbracciante tre anni e mezzo si osservarono circa un mezzo milione di scosse, e un quarto di milione di rombi sotterranei, non accompagnati da scosse notevoli. Tuttavia fra questi terremoti circa 300 soltanto produssero danni degni di nota, e soltanto 35 si trovarono degni di menzione nei giornali. Anche la scossa del 23 ottobre 1904 appartenne ad uno sciame che durò dal 10 al 28 ottobre, in cui si fecero notare numerose piccole scosse, particolarmente nel 24 e 25 ottobre. Il terremoto di S. Francisco del 18 aprile 1906 incominciò a 5h  12m 6sdi mattina (tempo dell’Oceano Pacifico) e finì a 5h  13m  11s, ebbe quindi una durata di 1m  5s. Durante l’ora successiva furono sentite dodici scosse più piccole. Prima delle 6h  52mdi sera si erano osservate ancora diciannove scosse, e parecchio più deboli seguirono ancora nei giorni successivi.

Con questo modo di presentarsi succede che di solito delle scosse più deboli precedono le violente e distruggitrici, e servono in conseguenza come una specie di avvertimento. Ma spesso anche sfortunatamente non succede così: per esempio nei terremoti che distrussero nel 1755 Lisbona e nel 1812 Caracas, e in quelli che apportarono tanto grande rovina ad Agram nel 1880, e ultimamente a S. Francisco nel 1906. Un terremotonon molto grave senza precursori più leggeri colpì nel 1881 Ischia, mentre la violenta catastrofe che devastònel 1883questa splendida isola fu preceduta da parecchi segni precursori. A questi spaventosi terremoti seguono anche nella massima parte dei casi delle scosse più deboli, come nel 1906 a S. Francisco e nel Chile. Molto rari sono i movimenti che constano di un’unica scossa come quello di Lisbona nel 1755.

Le scosse di terremoto violente cagionano spesso grandi spaccature nel suolo. Se ne mostrarono in parecchi luoghi a San Francisco. Una delle maggiori spaccature conosciute si trova presso Midori in Giappone; essa si formò pel terremoto del 20 ottobre 1891. Ne risultò uno sconvolgimento degli strati terrestri fino a 6 m. nella direzione verticale e a 4 nella orizzontale. Questa spaccatura non è lunga meno di 65 km. Altre spaccature importanti si formarono pel terremoto del 1783 in Calabria a Monte Sant’Angelo e nell’arenaria del Bàlpakràm Plateau in India nel 1897. In contrade di montagna si presentano spesso delle frane come seguito della formazione di spaccature e dei terremoti. Una gran quantità di massi rocciosi durante il terremoto della Focide precipitò presso Delfi. Il 25 gennaio 1348, in seguito ad un terremoto, rovinò una grande parte del monte Dobratsch (Alpi di Villach), in Carinzia, ora molto frequentato dai turisti, e seppellì due città e diciassette villaggi. Il terremoto del 18 aprile 1906 in California provenne da una spaccatura del suolo, che si estende dalla bocca dell’Alder Creek presso Point Arena, corre quasi parallela alla linea costiera per la maggior parte sulla terraferma, ma presso S. Francisco un pezzo giù nel mare, e poi di nuovo sulla terraferma tra Santa Cruz e San Josè; poscia corre giù per Chittenden fino al M. Pinos (2804 m.), per una distanza di circa 600 km. nella direzione da N 35° W a S 35° E. Lungo questa spaccatura si smossero entrambe le zolle, in modo che la porzione posta a sud ovest della spaccatura si spostò verso nord-ovest per circa 3 m., anzi qua e là fino a 6 m. In alcuno regioni — provincie di Sonoma e Mendocino — la parte a sud-ovest si alzò di qualche cosa, ma non mai più di m. 1,2. Questa è la più lunga spaccatura, che si sia osservata in connessione con un terremoto.

Dopo il terremoto la superficie terrestre non ritorna alla sua posizione originaria, ma prende un aspetto più o meno ondulato. Questo si può naturalmente osservare più facilmente dove sul territorio del terremoto si trovino strade o strade ferrate. Così viene riferito che le rotaie della linea tramviaria di Market Street, la strada principale di S. Francisco, in seguito al terremoto formarono delle grandi onde.

In conseguenza dei dissestamenti della crosta e della contemporanea formazione di spaccature, dei fiumi sono cambiati di corso, sono prosciugate delle sorgenti ed altre ne sono formate di nuove. Così avvenne anche pel terremoto del 1906 in California. L’acqua sotterranea prorompe spesso con grande violenza trascinando seco sabbia, fango e pietre, che talvolta si ammucchiano in alture crateriforrni (fig. 12[pag. 45]). In tali circostanze si producono spesso delle estesissime inondazioni. Per l’irrompere di una siffatta fiumana l’antica Olimpia fu sepolta sotto un letto di sabbia, che preservò da distruzione una parte dello antiche opere d’arte greche, per esempio la famosa statua di Mercurio. La fiumana poi retrocedette e i tesori della antica Olimpia poterono essere dissotterrati.

Come le vene d’acqua naturali vengono modificate per dissestamenti della crosta terrestre, in siffatte circostanze scoppiano anche dei condotti d’acqua, fatto da cui provengono grandi danni in parte diretti, e in parte, e più specialmente, indiretti, perchè ne viene molto diminuita la possibilità di spegnere gli incendi che scoppiano spesso al rovinar delle case. Questo fu anche il motivo degli enormi danni materiali nella distruzione di S. Francisco.

Danni ancora più gravi producono le poderose ondate marine causate dal terremoto. Abbiamo già menzionata l’ondata di Lisbona del 1755, per la quale un ammasso d’acqua fu lanciato fino sulla costa occidentale svedese e norvegese. Nel 1510 un siffatto cavallone inghiottì a Costantinopoli 109 moschee e 1070 case da abitazione. Un’altra ondata nel terremoto del 15 giugno 1896 irruppe su Kamaïshi in Giappone, spazzò via 7600 case e uccise 27000 uomini.

Della rovinosa mareggiata del Krakatoa nel 1883 abbiamo già parlato. Essa si estese sopra tutto l’Oceano Indiano e passò davanti al promontorio di Buona Speranza e al Capo Horn, cioè attorno a metà della terra. Quasi ancora più rimarcabile fu l’onda d’aria che si propagò dal sito della esplosione.

Mentre delle violente cannonate non si odono che fino a circa 150 km. (in un caso unicamente favorevole a 270km.), l’eruzione del Krakatoa fu udita ad Alice Springsa 3600 km e nell’isola Rodriguez a circa 4800 km. di distanza. I barografi nelle stazioni meteorologiche, indicarono dapprima un aumento improvviso, poi una forte diminuzione della pressione atmosferica e poi ancora alcune più leggere perturbazioni. Queste scosse d’aria si ripeterono in alcuni luoghi fino a sette volte, sicchè, si può concludere che la corrente d’aria abbia circolato tre volte in un senso e tre volte nell’altro attorno alla terra. La velocità di propagazione di questa corrente d’aria era di 314,2 m. al secondo, corrispondente ad una temperatura di – 27° centigradi, che è dominante ad un’altezza di circa 8 km.sopra la superficie terrestre.

Nell’ultimo decennio si seguì minutamente un fenomeno peculiare; i poli dell’asse terrestre si muovono attorno alla loro posizione media seguendo una curva molto irregolare. Questo spostamento è molto piccolo; la deviazione del Polo Nord dalla sua posizione media non supera 10 m. circa. Si credette di osservare che questo spostamento del Polo Nord provi delle improvvise variazioni per terremoti di straordinaria violenza, particolarmente se parecchi di questi si susseguono l’un l’altro a intervalli corti. Ciò dà, forse più di qualunque altra osservazione, una idea della forza dei terremoti, che possono rimuovere dalla sua posizione di equilibrio tutta la pesante massa terrestre.

Un danno molto importante causato dal terremoto, ma che pure sfugge all’attenzione dei più, è il guasto dei cavi sottomarini causato dalle scosse terrestri. Inoltre succede spesso che l’involucro di guttaperca del cavo è fuso, ciò che accenna ad eruzioni vulcaniche nel fondo del mare. Si cerca di evitare nella posizione dei cavi telegrafici i centri sismici, della cui postura si è ricevuta una sicura conoscenza mediante le ricerche di questi ultimi tempi (v. fig.10 [pag. 39]).

Si è sempre stati proclivi a porre in connessione terremoti ed eruzioni vulcaniche. Senza alcun dubbio una tale connessione sussiste per un gran numero di violenti terremoti. Per provarlo la Commissione inglese sopra nominata compilò dalla storia dei terremoti delle Antille il seguente specchio:

1692. Port Royal, Giamaica, distrutto da terremoto. Paese sommerso nel mare. Eruzione del St. Kitts.

1718. Violento terremoto in St. Vincent, seguìto da un’eruzione.

1766-1767. Grandi scosso di terremoto nel nord-est dell’America del Sud, Cuba, Giamaica e nelle Antille. Eruzione di Santa Lucia.

1797. Terremoto a Quito. Morte di 40000 uomini. Scossa sulle Antille. Eruzione della Guadalupa.

1802. Scossa violenta nell’Isola d’Antigua. Eruzione sulla Guadalupa.

1812. Caracas, capitale del Venezuela, totalmente distrutta dal terremoto. Violente scosse negli Stati meridionali dell’America del Nord, a incominciare dall’11 novembre 1811. Eruzioni sopra l’isola di St. Vincent e della Guadalupa.

1835-1836. Violente scosse di terremoto nel Chile e nell’America Centrale. Eruzione della Guadalupa.

1902, 19 aprile. Violente scosse, per le quali molte città dell’America Centrale furono distrutte. Monte Pelée nella Martinica in attività. Eruzione il 3 maggio. I cavi sottomarini furono spezzati, e il mare si abbassò. Nuovi violenti movimenti del mare l’8, il 19 e il 20 maggio. Il 7 maggio eruzione sopra l’isola St. Vincent, cavi guastati; l’8 maggio eruzione più violenta del monte Pelée. Distruzione di St. Pierre. Numerosi terremoti più deboli.

Da questo specchio risulta quale agitazione domini in quella partedella terra, e quanta tranquillità e sicurezza abbiamo noi a confronto nella vecchia Europa e specialmente al Nord. Alcune parti dell’America Centrale sono così gravemente funestate dal terremoto, che una sua parte (Salvador) ebbe il nome di «Schaukelmatte» (stuoia a dondolo). Non è dir troppo, dicendo che la terra qui trema continuamente. Altre contrade che sono funestate spesso, sono le isolo Curili e il Giappone come pure le isole dell’India Orientale. In tutti questi paesi la crosta terrestre in periodi relativamente antichi (principalmente nell’epoca terziaria) fu squarciata da numerose spaccature e affaldata, e la sua compressione dura continuamente. I piccoli terremoti, non se ne contano meno di 30000 circa per anno, non stanno in connessione alcuna con eruzioni vulcaniche, e lo stesso vale anche per qualche grande terremoto come per esempio per quello che distrusse San Francisco.

Si ha una buona ragione per supporre che spesso sul letto del mare, dove esso ha un forte pendìo, si formino dei terremoti pel rotolare di sedimento che con l’andar del tempo viene portato via dalla terra nel mare. Milne crede che il maremoto di Kamaïshi, del 15 giugno 1896, sia stato di tale origine. Di più il diverso carico portato sulla terra dalle variazioni della pressione atmosferica seconda la disposizione a succedere dei terremoti.

Scosse minori e tratto tratto delle violentissime succedono abbastanza spesso nei dintorni di Vienna. Sulla carta (fig. 13 [pag. 49]) si vedono tre linee, una ABchiamata «linea termale»perchè lungo di essa si presentano una quantità di sorgenti calde, le così dette «terme» (Meidling, Baden, Vöslau, ecc.), che sono usate per scopi medicinali; un’altra BCdetta «linea del Kamp»perchè vi scorre il fiume Kamp, e la terza EF«linea della Mürz» per la Mürz che scorre lungo di essa. La grande linea ferroviaria tra Vienna e Bruck segue le vallate lungo ABed EF.

Queste linee, che probabilmente corrispondono a grandi spaccature terrestri, sono conosciute come lineedi partenza di numerosi terremoti. Particolarmente la regione di Wiener Neustadt, dove si tagliano le tre linee, è spesso agitata da violenti terremoti, le cui date in parte stanno registrate sulla carta.

La curva contrassegnata sulla carta con XXdà il territorio d’estensione di un terremoto, che provenne il 3 gennaio 1873 da entrambi i lati della linea del Kamp. È sorprendente quanto lungi si estese il terremoto nello strato terrestre poco compatto della pianura tra St. Pölten e Tulln, mentre le montagne trovantisi al nord-ovest e al sud-est formarono impedimento alla estensione del moto.

Ad analoghe conclusioni si arrivò mediante lo studio della propagazione del terremoto che devastò nel 1886 Charleston negli Stati Uniti dell’America del Nord, in cui perirono 27 uomini; fu questo il terremoto più terribile che visitò questi stati prima di quello del 1906. Nel terremoto di Charleston la catena Alleghany (Virginia) formò un potente riparo al propagarsi delle scosse, che però tanto più facilmente poterono propagarsi nello strato terrestre libero della valle del Missisipì. Anche a San Francisco si osservò che la devastazione più grave colpì quelle partì della città che giacevano sopra un terreno poco compatto, in parte aggiunto in vicinanza del porto, mentre i quartieri costrutti sopra le famose schiene montuose di S. Francisco rimasero relativamente illesi, finchè essi non furono raggiunti dal successivo disastroso incendio. Con riguardo ai danni prodotti dal terremoto di S. Francisco, fu suddiviso il sottosuolo di questa città in quattro classi, di cui la prima si mostrò come la più sicura e l’ultima come la più pericolosa, cioè: l.° roccia; 2.° valli poste fra le roccie, poco a poco riempiute naturalmente; 3.° dune di sabbia, e 4.° terreni guadagnati mediante riempimenti artificiali. Questo terreno secondo la relazione della Commissione sismica «si comporta come un gelato mezzo fuso in una tazza».

Per ragioni analoghe rimasero più solidi fra tutti gli edific i quelli altissimi, che sono costruiti d’acciaio sopra fondamenta profonde (i gratta-cielo: «s ky-scrapers; Wolkenkratzer»);poi vennero le case di mattoni con muri ben collegati e cementati sopra fondamenta profonde. La debolezza delle case di legno si mostrò nella cattiva connessione delle travi, difetto a cui tuttavia si potrebbe rimediare. L’eccellenza delle costruzioni d’acciaio è chiaramente dimostrata dalle fig. 11 [pag. 43] e 14 [pag. 52].

Inquesto terremoto il danneggiamento più grave colpì luoghi che giacciono appunto sulla spaccatura nominata a pagina24 del testo [pag 43 dell’edizioneManuzio]. Dopo di questi furono danneggiati i luoghi, che, come Santa Rosa, San Josè e Palo Alto con l’Università di Stanford, si trovano sopra il terreno poco compatto nella valle, di cui le parti più profonde sono occupate dalla Baia di S. Francisco. Al contrario la ricca Università californese di Berkeley e il rinomatissimo osservatorio di Lick, che si elevano entrambi sulla roccia, non ebbero per buona sorte a soffrire alcun danno notevole.

Una carta-schizzo di Suess (fig. 15 [pag. 53]) rappresenta le linee sismiche in Sicilia e Calabria. Queste regioni, come sopra fu ricordato, furono devastate da parecchi gravi terremoti, tra cui il più terribile avvenne nell’anno 1783 ed uno assai grave nel 1905. Ma esse sono inoltre il teatro di numerosi terremoti più deboli.

In tempi piuttosto recenti il Mar Tirreno qui si abbassò, e ancora il fondo del mare si abbassa sempre più.

Sulla carta si vedono cinquelinee segnate a tratto, corrispondenti a spaccature nella crosta terrestre, che si tagliano nella regione vulcanica presso le Isole Lipari. Oltre a ciò vi si trova un arco circolare punteggiato, corrispondente ad una spaccatura, che fu la linea di partenza pei gravi terremoti calabresi del 1783, del 1905, e del 1907.

La crosta terrestre qui si comporta quasi come un vetro da finestre che fosse spezzato da una forte scossa in un punto (corrispondente all’Isola Lipari). Dal punto urtato emanano delle linee di frattura e i rottami sono staccati per spaccature inarcate della crosta terrestre. Il vulcano Etna si trova nel punto d’intersezione della spaccatura periferica e di una radiale.

Data la grande importanza pratica dei terremoti, furono organizzate in questi ultimi tempi molte stazioni sismologiche. In queste i terremoti sono registrati da pendoli che segnano delle linee sopra striscie di carta messe in moto da un apparato d’orologeria. Se non succedono terremoti la linea è retta: per scosse di terremoto essa si cambia in una linea ondulata. Se il movimento della carta è lento, questa linea ondulata appare solo come una dilatazione della linea retta. La figura seguente mostra un sismogramma registrato il 31 agosto 1898 nella stazione di Shide nell’isola Wight. Il terremoto qui registrato provenne dal centro Gnell’Oceano Indiano. Ciò si potè dedurre dall’istante dell’arrivo in varie stazioni. Nel sismogramma si scorge un leggero ingrossamento della linea retta a 20h 5m 2s(8h  5m  2sdi sera). Poi la linea s’ingrossò di più, e le scosse più forti giunsero a 20h 36 m  25se 20h 42 m  49s, dopo di che la scossa di terremoto decrebbe in scossette minori. La scossa di 20h   5 m  2sè detta la prima scossa («erste Stoss» «preliminary tremor»); essa attraversa l’interno della terra con una velocità di propagazione di km. 9,2 al secondo. Ha bisogno di 23 minuti per attraversare la terra lungo un diametro. Essa è molto debole, ciò che si ascrive all’enorme attrito che è caratteristico di gas scaldati fortemente, come quelli che si trovano nell’interno della terra. La scossa principale di 20h   36 m  25s ha la sua origine in un movimento ondulatorio della crosta terrestre solida. Questa scossa viene affievolita in grado molto minore che la precedente e si muove pure con una velocità minore, circa km. 3,4 al secondo, lungo la superficie terrestre.

Si può calcolare la velocità di propagazione di una scossa in un monte di quarzo, e si trova che è di km. 3,6 per secondo cioè che si accorda da vicino col numero trovato, cosa che deve anche essere, perchè la crosta solida consta principalmente di silicati, cioè di composti quarzosi, che posseggono analoghe proprietà.

A piccole distanze la velocità di propagazione della scossa è minore e spesso non si osserva neanche la prima debole scossa. La velocità scende fino a 2 km. per secondo. Ciò proviene dal fatto che la direzione di propagazione della scossa in parte descrive una curva lungo le parti più solide della crosta e in parte attraversa strati più sciolti, che lasciano passare la scossa più lentamente dei solidi. Per esempio per l’arenaria poco compatta si ha la velocità di km. 1,2, per 1’acqua (nell’Oceano)di km. 1,4, per la sabbia libera di km. 0,3 al secondo. È chiaro che dalle indicazioni sul principio della prima scossa e della scossa principale si può calcolare la distanza fra i luoghi d’osservazione e il centro del terremoto. Talvolta la scossa violenta dopo qualche tempo si ripete, ma in grado affievolito. Si osservò spesso chequesta seconda scossa più debole si comporta, come se fosse andata dal centro al punto d’osservazione girando attorno alla terra per la via più lunga, come una parte della corrente d’aria nella eruzione del Krakatoa (vedi p. 28 [pag 46 dell’edizioneManuzio]); la velocità di propagazione di questa seconda scossa è la stessa di quella della scossa principale.

Milne trasse dalle sue osservazioni la conclusione che, se la linea di congiunzione tra il centro di un terremoto e il posto di osservazione nel suo punto più basso non è più profonda dì 50 km. sotto la superficie terrestre, la scossa attraversa indivisa la crosta terrestre solida. Per questa ragione egli valuta lo spessore della crosta solida a circa 50 km., valore che va quasi completamente d’accordo con quello calcolato sopra (pag. 16 [pag 33 dell’edizioneManuzio])dall’aumento della temperatura con la profondità. Forse merita di essere anche ricordato che, in base a osservazioni pendolari, si determinò la densità della terra in vicinanza al punto d’osservazione e si credette di poterne concludere che questa densità è assai variabile fino ad una profondità di 50-60 km. e soltanto dopo diventa la stessa dappertutto. Questi 50-60 km. corrisponderebbero alla crosta terrestre solida.

La propagazione delle scosse nella terra ci insegna adunque che le nostre conclusioni, che la crosta terrestre non si estenda ad una straordinaria profondità e che la parte più interna della terra sia gassosa, si avvicinano molto alla realtà. E possiamo sperare di venir a sapere con uno studio più accurato dei sismogrammi, qualche cosa di più delle parti più profonde della terra, di cui potremmo facilmente credere, con una trattazione più superficiale, che fossero assolutamente inaccessibili alle investigazioni scientifiche .

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