Capitolo XIII BAHIA

Il cielo è in parte coperto, ma le nuvole sono alte e non annunciano pioggia. La luce del mattino ha quel candore bianco e scialbo che promette soltanto la piú torrida afa. Infatti fa già molto caldo. Indosseremo la piú leggiera toilette di volo.

Il decollaggio sul fiume non è molto comodo, perché il vento spira di fianco e l’apparecchio non può correre molto in linea retta per la tortuosità del fiume stesso. Tuttavia la manovra avviene con regolarità.

Quando ci stacchiamo dalle acque sono le 7,45 e la popolazione di Natal, quantunque sia abituata ad alzarsi piuttosto tardi, già affolla entrambe le rive, capitanata dalle autorità locali.

Facciamo un largo giro sulla città. I transvolatori amano questo piccolo e ridente gruppo di case, che si protende nell’Oceano come una punta avanzata, sui bordi del flessuoso canale azzurro ad accogliere coloro che arrivano dall’altra sponda dell’Atlantico. L’amano per averla tanto sospirata nelle giornate di vigilia e nelle ore della trasvolata: l’amano perché li ha accolti con una semplicità affettuosa, propria della gente che ha piú cuore che ricchezze.

Presto giriamo al largo lanciandoci verso la prossima città di Parahyba. Sorvoliamo un castello che ha un nome pieno di fascino: «A Fortaleza dos tres Reyes Magos». Dei tre Re Magi non vi è proprio nessuna traccia sulla dirupata bicocca. Ma i tempi nobilitano le sue mura vetuste. Si tratta di un punto di approdo e di difesa dei primi audaci navigatori portoghesi, che lasciavano sulla costa brasiliana oltre al segno del viaggio compiuto e della consacrata conquista del nuovo mondo, anche la testimonianza della loro luminosa fantasia. Forse proprio qui, una delle prime caravelle a vele e remi dei Re di Braganza approdò il giorno della Epifania. Anche noi dobbiamo essere grati ai Re Magi, perché la traversata dell’Atlantico fu compiuta il 6 gennaio, consacrato alla loro mistica memoria. Oggi la Fortezza dei Re Magi serve come luogo di convegno per i cacciatori di serpenti, che abbondano in questa regione. Subito fuori di Natal la costa presenta infatti un aspetto brullo e arido. In questa regione le secche estive sono terribili. Il sole brucia la terra, la spacca, la sterilisce. La lussuriosa vegetazione tropicale perde le foglie: non restano che foreste di rami secchi e bianchi, protesi in aria all’infinito. In questo paesaggio l’uomo va alla caccia dei serpi, che sono nei periodi di magra piú frequenti del solito. Le piogge recenti hanno fatto rifiorire il verde sui rami stecchiti. Presto la vasta regione semidesertica che attraversiamo sarà di nuovo invasa dalla rigogliosa vegetazione e il periodo terribile dell’aridità sarà dimenticato, fino al giorno in cui il cielo non tornerà nuovamente spietato e rovente come una immensa lente di Archimede.

C’è un po’ di vento dal Sud che ostacola la marcia dei nostri apparecchi. Non per questo essi ritarderanno l’arrivo. Ogni tanto si balla: la punta di un’ala oscilla lievemente e poi ritorna in posizione orizzontale. Che cosa sono questi piccoli scherzi nei confronti delle terribili raffiche della prima tappa? Gli idroatlantici hanno l’aria di sopportare i rabbuffi odierni con un certo senso di degnazione...

Non abbiamo certo grande varietà di panorama. Le dune si susseguono alle dune, invase da una fitta vegetazione: qualche volta una piú ardita ondulazione del terreno crea una specie di mammellone, conico e regolare come un termitaio. L’acqua mette qua e là chiazze lucenti di minuscoli stagni. Essi si rinviano i riflessi solari come altrettanti specchi.

Molto interessanti sono gli appezzamenti di terreno in preda alle fiamme che l’uomo stesso deve accendere ogni tanto per estirpare dai suoi campi una vegetazione inutile e parassitaria. Il contadino non ha qui altri mezzi. Grandi fumate punteggiano qua e là l’orizzonte del continente.

Dopo circa un’ora e mezzo di volo siamo sopra Joâo Pessòa la capitale dello Stato di Parahyba, che ha preso il nome di uno dei protagonisti della recente rivoluzione brasiliana, ucciso per mano di un sicario, a tradimento. Il motto di Joâo Pessòa ricorda un poco, a rovescio, quello di Garibaldi. Il nostro grande condottiero disse «obbedisco»: Joâo Pessóa esclamò «nego» alle lusinghe di coloro che lo volevano trascinare al compromesso politico.

La sua figura emerge dalla grande massa dei partiti politici in lotta ed è sostanzialmente cara a tutti i brasiliani, senza distinzione. Rappresenta in certo senso l’idea della dirittura e della fierezza.

Lanciamo sulla città un messaggio di saluto alla sua memoria, messaggio che riuscirà molto caro ai suoi concittadini. Essi ne portano l’emblema, il motto e le fotografie sul petto come noi portiamo il nostro distintivo fascista.

La Capitale del Parahyba è molto graziosa: sembra sepolta nel verde tra grandi file di alberi di cocco. Sulle piazze e per le vie sono riuniti tutti i suoi abitanti, col viso rivolto verso il cielo. Il nostro messaggio, affidato a una lunga fiamma tricolore, viene lanciato dal generale Aldo Pellegrini proprio nel mezzo della città. (Dimenticavo di aggiungere che a Natal abbiamo ospitati a bordo dei nostri idro, il generale Pellegrini e i giornalisti italiani, vecchi compagni di altre due crociere, e mio nipote.)

Il nostro volo prosegue in direzione di Pernambuco dove arriviamo dopo 40 minuti alle 10.30.

La città, che per ordine di grandezza e di popolazione è la quarta del Brasile, si estende sopra una rete di canali e in mezzo a una ridente laguna, che ricorda un poco quella di Venezia. Ha un carattere tipicamente moderno, case bianche in calcestruzzo molto alte, grossi isolati, larghe piazze, contrade lunghe e diritte, una serie di ponti che cavalcano in tutte le direzioni i suoi maestosi canali. Il nostro stormo si abbassa a poche centinaia di metri per salutare la graziosa metropoli del Brasile settentrionale. Sappiamo che gli Italiani del posto, che sono circa duemila, guidati dal loro capo, il Console Remis, si sono riuniti sulle terrazze del centro per porgerci il loro omaggio. Infatti sopra una grande casa bianca, un immenso tricolore viene agitato in larghe volute. Tutti gli apparecchi passano su quel punto, ove la Patria è presente, poi ripigliano la rotta che taglia nettamente verso il Sud.

Davanti al Porto, e per un lungo tratto lungo il litorale, si erge dal mare un’alta scogliera di rocce su cui le onde oceaniche si frangono altissime e bianchissime. Questo è forse il paesaggio piú roccioso del Brasile. Infatti la Capitale di Pernambuco aveva sino a un anno fa il nome di Recife, che significa scoglio.

Ci avviciniamo al mezzogiorno e lo stomaco reclama i suoi diritti. Apriamo il cestino-sorpresa, che ha preparato per noi il capitano Bertoli: ahimé, la sorpresa è magra in confronto soprattutto al buon appetito, che questo volo tranquillo sul mare ha risvegliato: una fettina di roast-beef, e un poco di burro. Ci vendicheremo a Bahia.

Per altre due ore sorvoliamo un paesaggio monotono. La costa è bassa, tagliata dai soliti fiumi. In uno di questi un apparecchio comandato dal tenente Questa chiamato «Pigafetta» per le sue qualità marinare, ha chiesto l’autorizzazione di scendere per fare una piccola riparazione a un montante del radiatore. È sceso infatti, si è fermato sei minuti senza neppure spegnere i motori ed ora c’insegue per raggiungerci.

Il grande golfo di Bahia si annuncia di lontano con un duplice arco vastissimo di collinette azzurre. Poi a mano a mano che si progredisce, i due archi di cerchio si ricongiungono, lasciando una larga apertura per il passaggio delle navi che vengono dall’Oceano. Quando arriviamo su Bahia abbiamo sotto i nostri occhi una specie di grande golfo, chiuso da tutte le parti, azzurro e tremulo sotto il sole. Sono le 14,30.

La città si presenta sopra un’alta terrazza, ridente e festosa. Puntiamo verso la linea bianca delle sue case che sembrano aspirare, dalle mille finestre spalancate e dagli innumerevoli balconi, il vento marino. Piú volte facciamo corona con le nostre ali alla bella città, poi scendiamo in ordine stretto e regolare sulle acque del golfo, ammarando tutti contemporaneamente.

Il porto di Bahia occupa la parte bassa della città, una striscia di terra che è stata rubata al mare e fa da marciapiedi alla città alta. Oltre al porto sono istallate nella città bassa alcune grandi officine che alzano al cielo i loro lunghi fumaioli. Il contrasto tra la parte inferiore di Bahia, tutta oscura, ingombra di un popolo di operai, di scaricatori, di marinai di tutte le nazioni del mondo, con un forte predominio del color nero o cioccolatto delle razze miste, con il candore abbagliante della città alta pulitissima, ordinata, fervorosa di vita e di opere, percorsa da rapide automobili, con una impronta nettamente europea, non potrebbe essere piú stridente.

Il motoscafo del colonnello Collalti, che ha organizzato la nostra base, ci conduce fino al porto, dove è schierata una compagnia della Marina brasiliana che mi rende gli onori militari.

Una banda militare suona gli inni. Molti italiani sono confusi tra la folla che ci acclama. Vedo con piacere che indossano quasi tutti la camicia nera.

La colonia italiana di Bahia è composta in gran parte di laboriosi e probi meridionali: questi, anzi, sono quasi tutti della Basilicata. I primi emigrati che qui arrivarono cinquanta o sessanta anni fa, nel momento in cui il Brasile prendeva lo slancio per iscriversi tra le nazioni piú ricche del mondo, erano della provincia di Potenza. Presto essi chiamarono i loro parenti e i loro amici, bonificarono e misero a coltivazione gran parte del territorio interno dello Stato di Bahia, che è fertilissimo: alcuni rimasero invece in città e si diedero con fortuna al commercio. Il loro spirito pratico, la loro parsimonia, la volontà di lavorare che manifestarono fin dai primi tempi, attirò il rispetto e la simpatia dei brasiliani verso la colonia italiana che collaborava con tanto ardore alla risurrezione economica del paese.

Ne abbiamo subito la prova constatando come siano calorose le accoglienze che fanno i brasiliani della bella città, alla sfilata delle nostre automobili, precedute da due squadroni di cavalleria.

La costituzione brasiliana, fatta ad immagine di quella degli Stati Uniti, dà una larga autonomia amministrativa e in certo senso anche politica ad ogni singolo Stato della Confederazione.

Ogni Presidente di Stato si considera, sopra il suo territorio, come insignito di dignità sovrana. Quindi non era presente al nostro sbarco il Capo dello Stato di Bahia, dal quale mi recherò io per primo a far visita: erano invece sul ponte di sbarco quasi tutti i Ministri che hanno il titolo di Segretari di Stato.

La Rivoluzione recente ha sciolto e chiuso tutte le Assemblee Legislative della Confederazione: il Presidente di ciascuno dei ventuno Stati viene nominato direttamente, a titolo provvisorio, dal Capo del Governo di Rio e assume il titolo di «Interventore» che corrisponde press’a poco alla classifica e alla carica di Governatore.

Questo di Bahia è un ingegnere ferroviario. Per il giorno susseguente al nostro arrivo ha organizzato un grande banchetto nel «Palazzo delle Acclamazioni» un suntuoso edificio a grandi loggiati, dove viene fatta di solito la proclamazione degli eletti dal Plebiscito popolare. Al pranzo di oltre duecento coperti, intervengono tutte le alte autorità brasiliane del posto, il Vescovo della città, che parla un po’ di italiano come quasi tutti i prelati del Brasile, e gli Ufficiali superiori della guarnigione. Vi è uno scambio cordiale di brindisi nei quali si intrecciano i nomi dell’Italia e del Brasile.

Il programma di Bahia comprende una cerimonia molto simpatica: l’inaugurazione di un busto a Virgilio, donato dalla Colonia Italiana alla città in occasione del secondo bimillenario. Il busto, opera dello scultore Umberto Bertazzon, nativo di Campinas, presso San Paulo, e alunno del Canonica, è stato collocato nella piazza prospiciente il Ginnasio.

L’inaugurazione doveva avvenire il 15 ottobre, ma la cerimonia è stata rinviata a causa del recente moto rivoluzionario. La pregevole opera d’arte posa su una colonna di pietra che reca un fascio littorio e la dedica: «Alla città di Bahia la colonia italiana. - 15 ottobre 1930-VIII».

Sono presenti gli ufficiali della squadra aerea transatlantica e l’ammiraglio Bucci con gli ufficiali della Marina italiana. Presta servizio d’onore un picchetto di marinai degli esploratori italiani in alta uniforme. Fra le autorità brasiliane sono Manoel Novaes per il governatore, il sindaco di Bahia, Tirso De Paiva, nonché il capo della polizia, i rappresentanti dei Ministeri dell’Interno, dell’Agricoltura e delle Finanze e il comandante della regione militare. Sono presenti inoltre il Console d’Italia Orazio Laorca, il segretario del Fascio Bertini, il presidente del Circolo italiano Mercuri, tutti gli studenti e le studentesse col direttore del Ginnasio di Bahia, il corpo insegnante e la colonia italiana al completo.

Parlano il sindaco di Bahia che ha preso in consegna il busto a nome della città e quindi il prof. Ceraldo Dias, insegnante di latino nel Ginnasio, che legge una alata invocazione a Virgilio e alla latinità. Il velo, che copre il busto, cade al suono dei nostri inni nazionali.

Ogni occasione è buona per riaffermare il carattere latino della civiltà brasiliana. Quantunque la influenza eterogenea delle immigrazioni abbia molto mescolate le razze, tuttavia la nobile ambizione di mantenere nella coltura e nel costume il carattere latino delle origini, sopravvive vivissimo in tutto il Brasile. Si direbbe che l’origine romana serva di attestato nobiliare a questa gente, che ha l’incarico di colonizzare e portare ai piú alti fastigi della ricchezza e del progresso moderno, una tra le regioni piú vaste del mondo.

Anche la Crociera serve a questo scopo. Essa è una specie di ambasceria che la gran madre Roma invia su questi lidi col mezzo piú rapido e piú veloce. Non vi è discorso o saluto reciproco, nel quale non si riaffermi la necessità di far piú stretti i vincoli tra l’Urbe e il Brasile. In altre occasioni e in altri paesi, questi motivi, che presso di noi sono stati tante volte rovinati dalla piú frusta rettorica, non avrebbero avuto certo il mio entusiasmo. Ma qui, dove oltre al pericolo della mescolanza di razza, esiste anche, in grande stile, un tentativo di accaparramento da parte degli angloamericani, che usano di mezzi molto persuasivi, la sterlina e il dollaro, l’esaltazione della latinità rappresenta un ottimo e pratico argomento di difesa, basato sopra la realtà dei fatti.

Noto purtroppo come, non soltanto in Bahia, i figli degli Italiani presto dimentichino la madre lingua. Quando mi viene offerto un grande ricevimento al Fascio della città, approfitto dell’occasione per fare un discorso nel quale insisto soprattutto nella necessità che le nuove generazioni, nate dagli emigrati qui stabiliti con fortuna da molto tempo, conservino intatta la parlata italiana. Nessun mezzo vale quanto questo a conservare l’amor di Patria. Gli Italiani di oggi, soprattutto quelli che vivono in paesi stranieri, — affermo — debbono sentirsi fieri e orgogliosi di appartenere ad una tra le piú nobili e potenti Nazioni del mondo. Gli applausi che coronano le mie parole mi dimostrano che ho toccato nel segno. Spero che cosí sia. E con questo augurio inauguro volentieri una grande lapide che i fascisti di Bahia hanno preparato in ricordo del nostre arrivo, incidendovi una magnifica epigrafe.

La nostra permanenza a Bahia dura tre giorni. Arrivando qui abbiamo trovato ancorati nel porto quattro nostri esploratori. Tre sono reduci dalla posizione assunta nell’Oceano durante la traversata: la quarta è la nave ammiraglia, agli ordini di Bucci, che io rivedo e saluto adesso soltanto, dopo il nostro addio di Bolama. Gli aviatori fanno gran lega coi marinai: questi intervengono a tutte le nostre cerimonie.

Ma le quattro navi debbono raggiungere l’altro gruppo che già naviga verso Rio de Janeiro: due giorni prima di noi l’Ammiraglio Bucci ordina la partenza. Gli otto esploratori si troveranno davanti alla baia di Rio de Janeiro nel momento stesso in cui ci arriveranno i nostri idrovolanti.

Io sono alloggiato nella casa ospitale di un italiano, il Commendator Bertilotti, anch’egli di origine meridionale, della Basilicata, che si è costituito un’alta posizione finanziaria e sociale col suo assiduo lavoro. Egli vorrebbe organizzare per noi una partita di caccia nell’interno dove possiede una bene organizzata «fazenda». Ma la mia salute non è ancora del tutto ristabilita: d’altra parte non abbiamo molto tempo disponibile se vogliamo esaurire il programma dei festeggiamenti che ci è stato preparato. Debbo dunque rinunciarvi.

I Brasiliani tengono molto alle forme. Il cerimoniale esige che ogni visita sia restituita, che non si trascurino le piú varie e diverse autorità e che tutto sia eseguito con l’ordine piú meticoloso. L’ubbidire a queste norme costa un po’ di fatica, ma io voglio che i nostri ospiti mantengano buon ricordo degli Italiani che sono giunti fino a loro per le vie dell’aria. Mi presto quindi volentieri alla non indifferente corvée.

Il nostro arrivo a Rio de Janeiro è fissato per il giorno 15. Sugli idrovolanti viene caricato il carburante in misura notevole perché la tappa che ci attende è piuttosto lunga. Nel frattempo mi reco a visitare il convento della Guardia, dove vi è un gruppo folto di cappuccini tutti italiani della Provincia delle Marche. Trovo fra di essi due valorosi reduci della guerra, Padre Pietro da Crispiero, Cappellano militare presso il 93° reggimento fanteria e decorato di medaglia di bronzo al valore, l’altro Padre Stefano da Recanati appartenente a un gruppo di Alpini, prode tenente combattente, fatto prigioniero dagli austriaci durante uno dei piú noti incontri di guerra. Lo spirito di questi frati è altissimo, tutto fervido di amor patrio, pieno di ricordi simpatici. Trascorro con loro un’ora piacevole.

Per la mattina del 15 la sveglia suonerà piuttosto presto. Questa è l’ultima tappa che ci attende e deve essere compiuta senza il piú piccolo incidente. Gli undici apparecchi ancorati in mezzo al magnifico golfo, non attendono che di spiccare il volo. Mentre scende la sera, tutta ammantata di bei colori purpurei, forieri di tempo sereno, li contempliamo dall’alto con riconoscenza ed amore. Domani il gran volo tra l’Italia e il Brasile si chiuderà in un’apoteosi.

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