MEDITAZIONE XXIV. Principii di strategia.

L’arciduca Carlo ha dato un bellissimo trattato sull’arte militare, intitolato: Principii delle strategia, applicati alle campagne del 1796. Questi principii ci pare somiglino un poco alle poetiche fatte per dei poemi pubblicati. – Oggi, noi siamo divenuti molto più forti; noi inventiamo regole per le opere, e opere per le regole. Ma, a che hanno servito gli antichi principii all’arte militare, davanti all’impetuoso genio di Napoleone? Se dunque oggi riducete a sistema gli insegnamenti dati da quel gran capitano, la cui tattica nuova ha rovinato l’antica, qual garanzia avete voi dell’avvenire, per credere che non partorirà un altro Napoleone? I libri sull’arte militare hanno, qualche eccezione fatta, la sorte delle antiche opere sulla chimica e la fisica. Tutto cambia sul terreno, o per periodi secolari.

Finchè abbiamo operato sopra una donna inerte, addormentata, nulla è stato più facile che intrecciar le reti, entro la quale l’abbiamo contenuta; ma dal momento in cui essa si risveglia o si dibatte, tutto si mischia e si complica. Se un marito volesse procurare di riconnettersi coi principii del sistema precedente, per avviluppare sua moglie nelle reti lacerate che la Seconda Parte ha teso, egli somiglierebbe a Würmser, a Mack e a Beaulieu formando accampamenti ed eseguendo marcie, mentre Napoleone li girava celeremente, e si serviva per perderli delle loro proprie combinazioni.

Così agirà vostra moglie.

In qual modo saper la verità quando le maschererete l’una all’altra sotto la stessa menzogna, e quando vi presenterete la stessa trappola? Di chi sarà la vittoria quando sarete presi entrambi con tutte due le mani nella medesima tagliuola?

— Tesoro mio, debbo uscire. Bisogna che vada dalla signora tale...; ho detto che attacchino i cavalli. Volete accompagnarmi? Andiamo, siate amabile; accompagnate vostra moglie.

Voi vi dite internamente: Sarebbe ben giuocata se accettassi! Essa non mi prega tanto se non perchè io rifiuti. Allora le rispondete: Debbo precisamente recarmi dal signor tale... che è incaricato di un rapporto capace di compromettere i nostri interessi nella tale impresa, e bisogna che gli parli subito. Poi, debbo andare al ministero delle finanze. – Così la faccenda si accomoda a meraviglia.

— Ebbene, angiolo mio; va a vestirti: mentre Celina termina la mia toletta. Ma non farmi aspettare,

— Cara, son pronto – voi dite ritornando in capo a qualche minuto tutto in ordine. Ma tutto è cambiato. Una lettera è sopraggiunta; la signora è indisposta; il vestito sta male; la sarta arriva; se non è la sarta è vostro figlio, o è vostra madre. Sopra cento mariti, ne esistono novantanove che se ne vanno contenti, e credono le loro mogli ben custodite, quando invece son esse che li mettono alla porta. Una moglie legittima, alla quale suo marito non può sfuggire, e che alcuna inquietudine pecuniaria non tormenta, e che per adoperar l’astuzia o meglio il lusso d’intelligenza da cui è travagliata, contempla notte e giorno i cangianti quadri della sua esistenza, ha in breve scoperto l’errore che ella ha commesso cadendo in una trappola, o lasciandosi sorprendere da una peripezia. Ella procurerà dunque di volger tutte queste armi contro di voi.

Esiste nella società un uomo, la cui vista contraria stranamente vostra moglie; ella non può soffrire il tono, le maniere e la qualità dello spirito. – Da lui, tutto la ferisce; ne è perseguitata, e gli è odioso; che nessuno gliene parli. Pare che ella si dia cura di contraddirvi, perchè succede che è un uomo del quale fate il più gran caso; voi ne amate il carattere, perchè vi adula; perciò, vostra moglie pretende che la vostra stima, è un puro effetto di vanità. Se date un ballo, una serata, un concerto, avete quasi sempre una discussione a suo riguardo, e la signora vi rimprovera perchè la costringete a vedere persone che non le convengono.

— Almeno, signore, non dovrò rimproverarmi di non avervi avvertito, Quell’uomo vi causerà qualche dispiacere. Fidatevi un po’ alle donne quando si tratta di giudicare un uomo. E permettetemi di dirvi che questo barone del quale siete fanatico è un pericolosissimo personaggio, e che voi avete il più gran torto di condurlo in casa vostra. Ma ecco come siete: voi mi costringete a vedere un volto che non posso soffrire, e se io dimandassi d’invitare il signor tale, voi non vi acconsentireste, perchè credete che provo piacere a trovarmi con lui. – Confesso che parla bene, che è compiaciente, amabile; ma voi valete più di lui.

Questi informi rudimenti d’una tattica femminina, fortificata da gesti sibillini, da sguardi d’una incredibile finezza, dalle perfide intonazioni della voce ed anco dalle insidie d’un malizioso silenzio, sono in qualche modo l’essenza della loro condotta.

Via; ci son pochi mariti che non concepiscano l’idea di costruire una piccola trappola: essi imperano in casa propria, e il signor tale, e il fantastico barone, che rappresenta il personaggio aborrito dalle loro mogli, sperando scoprire un amante, nella persona del celibe, amato in apparenza.

Oh! Io ho spesso incontrato nel mondo dei giovani, veri stornelli in amore, che eran intieramente gli zimbelli dell’amicizia menzognera, loro addimostrata, da mogli obbligate ad eseguire una diversione, e ad applicare un vescicante ai loro mariti, come tempo addietro i loro mariti ne avevano applicati!...

Quei poveri innocenti passavano il loro tempo a compiere minuziosamente le commissioni, ad andare ad affittar palchi al teatro, a passeggiare a cavallo accompagnando al bosco di Boulogne la carrozza della loro pretesa amante, e tutti attribuivano loro pubblicamente delle donne, alle quali non baciavano neppure la mano, mentre essi erano costretti per amor proprio a non ismentire quell’amichevole diceria, e simili a quei giovani preti, che dicono le messe bianche, godevano una passione di parata, da veri soprannumerari in amore.

In queste circostanze, qualche volta un marito tornando a casa dimanda al portinajo: È venuto qualcuno? — Il signor barone è passato per vedere il signore alle due; ma non avendo trovato che la signora, non è salito; però il signor tale è da lei. — Arrivate, e vedete un giovine celibe, elegante, profumato, con la cravatta egregiamente accomodata, un figurino perfetto. Egli ha dei riguardi per voi; vostra moglie ascolta furtivamente il rumore de’ suoi passi, e balla sempre con lui; se le proibite di vederlo, ella grida come un’aquila, e non è che dopo lunghi anni (vedi la Meditazione degli Ultimi Sintomi) che vi accorgete della innocenza del signor tale, e della colpabilità del barone.

Noi abbiamo osservato come una delle più abili manovre, quella di una giovine moglie trascinata da una irresistibile passione, che aveva oppresso col suo odio colui che non amava, e che prodigava al suo amante i segni impercettibili del suo amore. Al momento in cui suo marito fu persuaso che ella amava il cicisbeo e detestava il patito, ella si pose da sè stessa col patito in una situazione, il cui rischio era stato anticipatamente calcolato, e che fece credere al marito ed al celibe esecrato che la sua avversione e il suo amore erano ugualmente finti.

Quand’ella ebbe immerso suo marito nella incertezza, lasciò cader nelle sue mani una lettera appassionata. Una sera, in mezzo all’ammirabile peripezia da essa preparata, la signora si getta ai piedi del suo sposo, li bagna di lagrime e compie il suo colpo da teatro a suo profitto.

— Vi stimo e vi onoro abbastanza – essa esclama, per non volere altro confidente che voi. Io amo! È forse un sentimento che si possa facilmente domare? Ma ciò che posso fare, è di confessarvelo; è di supplicarvi di proteggermi contro me stessa, di salvarmi da me stessa. Siate il mio padrone e siatemi severo; strappatemi di qui; allontanatemi, allontanate colui che ha causato tutto il male, consolatemi; lo dimenticherò, io lo desidero. Io non voglio tradirvi. Vi dimando umilmente perdono della perfidia che mi ha suggerito l’amore. Sì, vi confesserò che il sentimento che io fingevo per mio cugino, era un’insidia tesa alla vostra perspicacia. Io l’amo d’amicizia... ma non d’amore... Oh! perdonatemi; io non posso amare che.... (Qui uno scoppio di singhiozzi) Oh! partiamo; lasciamo Parigi!

Ella piangeva; i suoi capelli erano sparsi, la sua toletta in disordine... ed era mezzanotte. Il marito perdonò. Il cugino parve d’allora in poi senza pericolo, e il Minotauro divorò una vittima di più.

Quali precetti possono darsi per combattere simili avversarie? Tutta la diplomazia del congresso di Vienna è nelle loro teste: esse sono tanto forti quando si abbandonano, quanto allorchè sfuggono. Qual uomo è abbastanza flessibile da deporre la sua forza e la sua possanza e da seguire sua moglie in questo dedalo?

Declamare ad ogni istante il falso per conoscere il vero, il vero per conoscere il falso, cangiare all’improvviso la propria batteria e inchiodare il cannone al momento di far fuoco; montar col nemico sopra una montagna, per ridiscendere cinque minuti dopo nel piano, accompagnarlo a quelle svolte tanto rapide, quanto imbrogliate; obbedire quando occorre e sapere opporre a tempo una resistenza d’inerzia; posseder l’arte di percorrere, come un giovine artista corre in un sol tratto dall’ultima nota del suo piano alla più alta, tutta la scala delle supposizioni, e indovinar l’intenzione segreta che fa muovere una donna, tener le sue carezze e cercarvi piuttosto dei pensieri che dei piaceri, tutto ciò è un giuoco da fanciulli, per un uomo di spirito, e per quelle immaginazioni lucide e osservatrici che hanno il dono di agire pensando. Ma esiste una immensa quantità di mariti spaventati alla sola idea di mettere in pratica quei principii a proposito di una donna.

Questi mariti preferiscono passar la loro vita a darsi la maggior pena del mondo, per giungere ad esser di seconda forza agli scacchi, o a far saltar lestamente una palla di bigliardo.

Gli uomini vi diranno che sono incapaci di sforzare perpetuamente il loro spirito e di mutar tutte le loro abitudini. Allora una donna trionfa. Ella riconosce di aver sopra suo marito una superiorità di spirito o di energia, quantunque questa superiorità non sia che momentanea, e da ciò nasce in lei un sentimento di disprezzo pel capo di famiglia.

Se tanti uomini non sono padroni in casa loro, non è per difetto di buona volontà, ma di talento.

Infatti, al momento in cui occorre spiegar tutte le risorse di questa strategia segreta, egli è spesso inutile di tentar di tender trappole a quelle sataniche creature. Una volta che le donne sono arrivate ad una certa volontà di dissimulazione, i loro volti diventano tanto impenetrabili quanto il niente.

Ecco un esempio a me cognito.

Una giovanissima, bellissima e spiritosissima civetta di Parigi, non era ancora alzata; essa aveva al capezzale del letto uno de’ suoi amici i più cari. Giunge una lettera d’un altro de’ suoi amici più focosi, al quale ella aveva lasciato prendere il diritto di parlar da padrone.

Il biglietto era scritto col lapis, ed era così concepito:

– Vengo a sapere che il signor C... è da voi in questo momento; lo aspetto per bruciargli il cervello.

La signora D... continua tranquillamente la conversazione col signor C... e lo prega di recarle un piccolo leggìo in marocchino rosso. Egli lo reca — Grazie, caro, gli dice — parlate pure; vi ascolto.

C... parla, ed essa vi risponde scrivendo intanto il biglietto seguente:

– Dal momento che siete geloso del C... potete entrambi bruciarvi il cervello quando più vi piace. Voi potrete morire, ma render lo spirito... ne dubito.

— Mio caro amico – disse al signor C... – accendete quella candela, ve ne prego; benissimo, siete adorabile. Ora fatemi il piacere di andarvene e consegnate questa lettera al signor di H... che l’aspetta alla mia porta. Tutto ciò fu detto con un sangue freddo inimitabile. Il suono della voce, le intonazioni, i tratti del volto, nulla rivelò l’ombra d’emozione. Quest’audace concezione fu coronata da un completo successo. Il signor d’H... ricevendo la risposta dalle mani del signor C... sentì calmare la sua collera e non fu più tormentato che da una cosa, cioè dalla forza che gli convenne far su sè stesso per dissimulare la sua volontà di ridere.

Ma più si getteranno torcie nell’immensa caverna che noi tentiamo di rischiarare, più la si troverà profonda. È un abisso interminato.

Noi crediamo compiere il nostro assunto in maniera più piacevole e più istruttiva, mostrando i principii di strategia messi in azione all’epoca in cui la donna ha raggiunto un alto grado di perfezione viziosa. Un esempio fa concepire più massime e rivela più risorse di tutte le possibili teorie,

Un giorno, alla fine d’un pranzo dato ad alcuni intimi dal principe Lebrun, i convitati riscaldati dallo sciampagna, erano sul capitolo inesauribile delle astuzie femminine. La recente avventura attribuita alla signora contessa R. D. S. J. D. A. a proposito di una collana, era stato il principio di questa conversazione.

Un artista stimabile, un sapiente amato dall’imperatore, sosteneva l’opinione poco virile secondo la quale sarebbe proibito all’uomo di resistere con successo alle trame ordite dalla donna.

— Ho felicemente provato – disse – che nulla è sacro per esse...

Le signore protestarono.

— Ma posso citare un fatto.

— È una eccezione!

— Ascoltiamo l’istoria! disse una giovine signora.

— Oh! raccontatecela! sclamarono tutti i convitati.

Il prudente vecchio gettò gli occhi intorno a sè, e dopo aver verificato l’età delle signore, sorrise dicendo:

— Poichè abbiamo tutti esperimentata la vita, acconsento a narrare l’avventura.

Si fece un gran silenzio, e il narratore lesse questo libriccino che aveva in tasca:

«Amavo perdutamente la contessa ***. Avevo venti anni ed ero ingenuo, ella m’ingannò, io mi disgustai, ed ella mi abbandonò; era ingenuo, e la rimpiansi; avevo vent’anni, ella mi perdonò; e siccome avevo vent’anni ed ero sempre ingenuo, sempre ingannato, ma non più abbandonato, mi credevo l’amante più amato, e perciò il più felice degli uomini. La contessa era l’amica della signora di T... la quale pareva avere qualche progetto sulla mia persona, ma senza che la sua dignità si fosse mai compromessa, perchè era scrupolosa e piena di decenza. Un giorno aspettando la contessa nel suo palco, mi sentii chiamar dal palco vicino. Era la signora di T... — Come? – mi disse, – siete già qui? È fedeltà o disoccupazione? Andiamo; venite qua! — La sua voce e le sue maniere avevano della provocazione, ma ero lontano assai dall’aspettarmi qualche cosa di romantico. — Avete progetti per questa sera? mi dimandò essa. Non ne abbiate. Se vi salvo dalla noja della vostra solitudine, bisogna essermene grato... Ah! Non voglio dimande... reclamo obbedienza. Chiamate i miei servitori! — Io mi prosterno, mi si fa premura di scendere ed io obbedisco. — Andate a casa del signore – disse ella ad un lacchè. Avvisate che egli non tornerà che dimani. — Poi gli fa un segno, egli si avvicina: ella gli parla all’orecchio, ed egli parte. L’opera incomincia. Voglio arrischiare qualche parola, ma mi si fa tacere; mi si ascolta, o almeno se ne fa le viste. Finito il primo atto, il lacchè reca un biglietto e previene che tutto è pronto. Allora essa mi sorride, mi chiede la mia mano, mi trascina, mi fa entrar nella sua carrozza, ed io sono trasportato sopra una grande strada, senza aver potuto sapere a che cosa mi si destinava. Ad ogni dimanda che azzardavo, ottenevo un grande scoppio di risa per tutta risposta. Se non avessi saputo che essa era una donna dalle grandi passioni, che aveva da lungo tempo inclinazione pel marchese di V... e che ella non poteva ignorare ch’io ne fossi istruito, mi sarei creduto in buona fortuna; ma ella conosceva lo stato del mio cuore, e la contessa di *** era sua intima amica. Dunque scacciai ogni idea di presunzione ed aspettai. Alla prima fermata, ripartimmo dopo essere stati serviti con la rapidità del lampo. La faccenda diventava seria. Chiesi con insistenza dove andava a finire questa celia.

— Dove? rispose ella ridendo. Nel più bel soggiorno del mondo; ma indovinate! Ve la do in mille. Date pure la vostra lingua ai cani, perchè non lo indovinerete mai. Andiamo da mio marito. Lo conoscete?

— Neppur per sogno.

— Ah! tanto meglio; ne temevo. Ma spero che sarete contento di lui. Ci si riconcilia. Sono sei mesi che si tratta, e da un mese ci scriviamo. – Egli è, mi pare, molto galante per me di andare a trovare il signore.

— Ne convengo. Ma io che figura vengo a fare? A che posso esser buono in un rappattumamento?

— Eh! questo è affar mio! Siete giovane, amabile, poco scozzonato; mi convenite, e mi salverete la noja dei testa a testa.

— Ma prendere il giorno o la notte di una riconciliazione per far conoscenza, mi par bizzarra; l’imbarazzo d’un primo vedersi, la figura che faremo tutti tre... non ci vedo nulla d’attraente. — Vi ho preso per divertirmi! sclamò essa con aria molto imperiosa. Dunque non state a farmi la predica.

La vidi tanto decisa, che presi il mio partito. Risi della parte che rappresentavo, e divenimmo allegrissimi. Avevamo nuovamente cambiato i cavalli.

La face misteriosa della notte rischiarava un cielo di un’estrema purezza e spandeva una mezza luce voluttuosa. Ci approssimavamo al luogo in cui doveva finire il testa a testa. Mi si faceva ammirare, ad intervalli la bellezza del paesaggio, la calma della notte, il silenzio penetrante della natura. Per ammirare insieme, com’è naturale, ci curvavamo alla stessa portiera, e i nostri volti si sfioravano. In un urto improvviso, ella mi strinse la mano; e, per caso che mi parve molto straordinario, perchè la pietra che urtò la nostra carrozza non era grossissima, rattenni la signora di T... nelle mie braccia. Non so quel che cercavamo di vedere; ciò che so, è che gli oggetti cominciavano, malgrado il chiaro di luna, a confondersi a’ miei occhi, quando ci si sbarazzò di me e mi si rigettò bruscamente in fondo alla carrozza.

— Il vostro progetto, mi si disse dopo un profondo silenzio, è forse quello di convincermi dell’imprudenza del mio passo? Giudicate del mio imbarazzo. — Dei progetti? risposi, Con voi? Qual canzonatura! Li vedreste venir da troppo lontano; ma una sorpresa, un caso, ciò si perdona. — Ci avete contato sopra, a quanto pare!

Eravamo a questo punto del discorso, e non ci accorgevamo che entravamo già nella corte del castello. Tutto vi era illuminato e annunziava il piacere, tranne la faccia del padrone, che divenne, al mio aspetto, estremamente restia ad esprimer la sua gioja.

Il signor di T... venne allo sportello esprimendo una tenerezza equivoca, comandata dal bisogno di una riconciliazione. Seppi più tardi che quest’accordo era imperiosamente reclamato da ragioni di famiglia. Mi si presenta; egli mi saluta leggermente, poi offre la mano a sua moglie, ed io seguo i due sposi, pensando al mio personaggio passato, presente e avvenire.

Percorsi appartamenti decorati con un gusto squisito. Il padrone di casa aveva fatto appello a tutte le risorse del lusso, per giungere a rianimare con voluttuose immagini un fisico spento. Non sapendo che dire, me la cavai con l’ammirazione. La dea del tempio, abilissima a farne gli onori, ricevè i miei complimenti.

— Voi non avete veduto niente, disse lei. Bisogna che vi conduca all’appartamento del signore. — Signora, sono cinque anni che l’ho fatto demolire. — Ah! ah! ella rispose, — A cena, non le vien l’idea d’offrire al signore del vitello di riviera! E il signore le risponde: — Signora, sono al regime del latte da tre anni. — Ah! ah! ripetè dessa.— Si immaginino tre esseri tanto stupefatti quanto noi di trovarsi assieme. Il marito mi guardava con aria feroce, ed io non lo guardavo più benevolmente. La signora di T... mi sorrideva; era seducente, e il signor di T... accettandomi come un male necessario, veniva ricambiato a meraviglia da sua moglie. Perciò non ho mai fatto in vita mia una cena più bizzarra di quella. Finito il pasto, mi immaginavo che andremmo a coricarci di buon’ora; ma non immaginavo bene che per il signor di T... — Entrando nel salone: — Vi sono tenuto, signora — disse — della precauzione che avete avuta nel condurre il signore. Avevate ben giudicato che io era una cattiva risorsa per stare a veglia, ed avete saggiamente fatto, perchè io mi ritiro. — Poi volgendosi dalla mia parte, aggiunse con aria profondamente ironica: — Il signore vorrà perdonarmi, e s’incaricherà delle mie scuse presso la signora. — Poi ci lasciò.

Riflessioni? Ne feci in un minuto quanto potevo farne in un anno. Rimasti soli, ci guardammo in maniera tanto singolare, la signora di T... ed io, che per distrarci ella mi propose di fare un giro sulla terrazza. — Aspettando solamente ‒ mi disse ‒ che le genti di servizio avessero cenato.

La notte era superba; essa lasciava appena intraveder gli oggetti, e pareva non li velasse che per lasciar prendere un più vasto slancio alla immaginazione. I giardini, appoggiati al dorso di una montagna, scendevano a scaglioni fin sulla riva della Senna, e l’occhio abbracciava le sue molteplici sinuosità, coperte di piccole isole verdi e pittoresche. Questi accidenti producevano mille quadri che arricchivano quei luoghi, già incantevoli di per sè stessi di mille stranieri tesori. Noi passeggiavamo sulla più lunga delle terrazze coperta di folti alberi. Ci eravamo rimessi dall’emozione di quella mordace ironia conjugale, e camminando mi si fecero alcune confidenze. Le confidenze si attirano; io ne faceva alla mia volta, ed esse diventavano sempre più intime e più interessanti. La signora di T... mi aveva dapprima dato il suo braccio; poi quel braccio s’era intrecciato, non so come, mentre il mio la sollevava quasi e le impediva di toccar terra. L’attitudine era graziosa, ma affaticante a lungo andare. Era molto tempo che camminavamo ed avevamo ancora molte cose da dirci. Un sedile di verdura si presentò, e noi vi ci assidemmo sopra senza cangiar d’attitudine. Fu in questa posizione che incominciammo a far l’elogio della confidenza, del suo fascino, delle sue dolcezze... — Ah! mi diss’ella — chi può goderne meglio di noi e con meno timore? So troppo bene quanto tenete al legame che vi unisce e che io conosco, per poter temere qualche cosa da voi... Forse voleva esser contrariata? Me ne astenni. Ci persuademmo dunque reciprocamente, che non potevamo esser altro che due amici inattaccabili — Temeva nondimeno ‒ le dissi ‒ che la sorpresa della carrozza, non avesse spaventato il vostro spirito, — Oh! non mi allarmo tanto facilmente! — Temo però che vi abbia lasciato qualche nube! — Che mi convien fare per rassicurarvi? — Che mi accordiate qui il bacio che il caso... — Volentieri; se no il vostro amor proprio vi farebbe creder che vi temo.

Succede dei baci come delle confidenze; il primo ne trascinò dietro un secondo, poi un altro... Si affrettavano, interrompevano la conversazione, e la sostituivano; appena lasciavano ai sospiri la libertà di esalarsi... Sopraggiunse il silenzio. Lo udimmo, perchè il silenzio si ode. Ci alzammo senza proferir parola, e ricominciammo a camminare, — Bisogna rientrare.... disse la signora, perchè l’aria del fiume è glaciale, e non ci giova. — La credo anzi pericolosa per noi, risposi. — Forse... ma non importa; rientriamo. — Allora è per un riguardo verso di me? Volete senza dubbio difendermi dalle impressioni di questa passeggiata... dalle conseguenze che può avere... per me... solo... — Voi siete modesto! fece ella ridendo, e mi attribuite singolari delicatezze. — Ci pensate? Ma dal momento che la intendete così! rientriamo; lo esigo. — (Propositi goffi che bisogna perdonare a due esseri che si sforzano di dire tutt’altra cosa di quel che pensano). Ella mi costrinse dunque a riprender la via del castello. Io non so, o non sapevo almeno, se questa decisione era una violenza che essa si faceva, se era una risoluzione ben decisa, o se divideva il dispiacere che avevo di terminar così una scena tanto ben cominciata. Ma per un mutuo istinto, i nostri passi si rallentavano e camminavamo tristamente, malcontenti l’uno dell’altro, ed anco di noi stessi. Non sapevamo nè con chi, nè con cosa prendercela. Non eravamo nè l’uno nè l’altro in diritto di esiger nulla, di domandar nulla. Non avevamo neppure la risorsa di un rimprovero. Come ci avrebbe sollevato una lite! Ma dove trovarla? Frattanto ci avvicinammo, occupati in silenzio a sottrarci al dovere che ci eravamo goffamente imposti. Toccavamo la soglia della porta, quando la signora di T... mi disse: — Non sono contenta di voi! Dopo la confidenza che vi ho mostrata, non accordarmene punto! Voi non mi avete detto una parola della contessa.

Ed è nondimeno tanto dolce parlar di ciò che si ama! Vi avrei ascoltato con tanto interesse! Era almeno una soddisfazione dopo avervi privato di lei. — Non ho io il medesimo rimprovero a farvi? dissi interrompendola. E se invece di farmi confidente di questa singolare riconciliazione, nella quale rappresento una parte tanto bizzarra, mi aveste parlato del marchese... — Vi tolgo la parola ‒ sclamò dessa. Per poco che conosciate le donne, saprete almeno che bisogna aspettarle alle confidenze... Torniamo a voi. Siete felice con la mia amica? Ah! Temo il contrario. — Perchè, signora, credere col pubblico quel che egli si diverte a ripetere? — Cessate dal fingere... La contessa è meno misteriosa di voi. Le donne della sua tempra sono prodighe dei segreti di amore e dei loro adoratori, sopratutto quando una taglia come la vostra può celare il trionfo. Sono lungi dall’accusarla di civetteria; ma una pinzochera non ha minor vanità d’una civetta... Andiamo, parlatemi francamente, non avete da lagnarvene? — Ma signora, l’aria è veramente troppo glaciale per rimaner qui; volevate tornare a casa: dissi sorridendo. — Vi pare? Ma è singolare. L’aria è calda.

Ella aveva ripreso il mio braccio. e noi ricominciammo a camminare, senza che mi accorgessi della strada che prendevamo. Ciò che ella mi aveva detto dell’amante che le conoscevo, e quel che diceva della mia amante, quel viaggio, la scena della carrozza, quella del sedile di verdura, l’ora, la mezza luce, tutto mi turbava. Ero in pari tempo trasportato dall’amor proprio e dai desiderii, e ricondotto a segno dalla riflessione, troppo commosso forse per rendermi conto di quel che provavo. Mentre ero la preda di sentimenti tanto confusi, ella mi parlava sempre della contessa, e il mio silenzio confermava ciò che le piaceva di dirmene. Nondimeno alcuni frizzi mi fecero tornare a me. — Quanto è scaltra! diceva — quante grazie! Una perfidia nella sua bocca, prende, assume l’aria d’una celia spiritosa; un’infedeltà pare uno sforzo della ragione, un sagrificio alla decenza; nessun abbandono; sempre amabile; raramente tenera, giammai vera; galante per carattere, schizzinosa per sistema, viva, prudente, destra, stordita; è un Proteo per le forme, una grazia per le maniere; ella attira e scappa. Quante parti le ho veduto recitare! Fra noi, quanti corbellati la circondano! Come s’è burlata del barone! Quanti tiri fatti al marchese! Quando prese voi, fece per distrarre gli altri due rivali; essi erano sul punto di fare uno scandalo, perchè la contessa li aveva troppo ben condotti pel naso, ed avevano avuto il tempo di accorgersene. Ma ella vi pose in iscena, si occupò di voi, li trascinò a nuove ricerche, vi pose alla disperazione, vi compianse e vi consolò. — Ah! quant’è felice una donna scaltra, quando in quel giuoco finge tutto e non espone nulla di vero. Ma è forse questa la felicità?

Sentii cadere una benda dai miei occhi, senza vedere l’altra che mi ci si metteva. La mia amante mi parve la più falsa di tutte le donne, ed io credei d’aver trovato l’essere sensibile.

Allora io pure sospirai, senza saper dove andrebbe quel mio sospiro... — Ella parve afflitta d’avermi causato afflizione, e d’essersi lasciata trasportare ad una pittura che poteva parer sospetta, fatta da una donna. Risposi non so come; perchè senza nulla concepire di tutto ciò che udivo, prendemmo pianamente il gran viale assieme; e noi lo riprendevamo da tant’alto, che era impossibile, prevedere il termine del nostro viaggio. Fortunatamente prendevamo, al tempo stesso, la strada di un padiglione che mi fu mostrato in fondo alla terrazza, padiglione stato testimone di molti più o meno dolci momenti. Me ne descrisse il mobilio. Che peccato non averne la chiave! Mentre parlavamo, ci avvicinammo, e lo trovammo aperto. Gli mancava la luce del giorno, ma anco l’oscurità ha le sue attrattive. Frememmo entrandovi... Era un santuario. Doveva esser quello dell’amore? Andammo a sederci sopra un divano, e vi restammo un momento a udire il battito dei nostri cuori. – L’ultimo raggio della luna portò seco parecchi scrupoli. La mano che mi respingeva sentì battere il mio cuore.

Si voleva fuggire, e si ricadeva più inteneriti.

Ci trattenemmo, in silenzio, col linguaggio del pensiero. Nulla è più incantevole di queste mute conversazioni. La signora di T... si rifugiava nelle mie braccia, nascondeva la testa nel mio seno, sospirava e si calmava alle mie carezze. Si affliggeva, si consolava e dimandava all’amore tutto ciò che l’amore le aveva rapito. Il fiume rompeva il silenzio della notte con un mormorio dolce, che pareva in armonia coi palpiti dei nostri cuori.

L’oscurità era troppo grande per lasciar discernere gli oggetti; ma a traverso i veli trasparenti di una bella notte, la regina di quei bei luoghi mi parve adorabile. — Ah! mi diss’ella con voce celeste — usciamo da questo pericoloso soggiorno... Vi si è senza forza per resistere!... Mi trascinò fuori, e ci allontanammo a malincuore. — Ah! quant’è felice! sclamò la signora di T.... — Chi mai? le chiesi, — Avrei forse parlato?... rispose ella con terrore. Giunti al sedile di verzura, ci fermammo involontariamente. — Che immenso spazio – riprese – fra questo luogo e il padiglione! Ebbene – le dissi – questo sedile deve essermi sempre fatale? È un rimorso, è... Io non so per qual arte di magia ciò accadde, ma la conversazione cambiò e divenne meno seria. Si osò anzi di celiare sui piaceri dell’amore, separandone il morale, e riducendoli alla più semplice espressione e a provare che i favori non erano altro che piacere; che non vi erano impegni (filosoficamente parlando) tranne quelli che si contraevano in pubblico, lasciando penetrare i nostri segreti, e commettendo indiscrezioni con lui, — Qual dolce notte – diss’ella, che abbiamo trovato per caso! Ebbene, se delle ragioni (suppongo) ci costringessero a separarci dimani, la nostra felicità ignorata da tutta la natura, non ci lascerebbe, per esempio, nessun legame da sciogliere... Alcuni rimpianti e nulla più. Noi siamo talmente macchine (e ne arrossisco), che in luogo di tutte le delicatezze che mi tormentavano prima di questa scena, ero almeno per una metà nell’arditezza di quei principi; e mi sentivo giù una disposizione prossimissima all’amore della libertà.

— Che bella notte! mi diceva essa, che bei luoghi! Essi tornano a riprender nuovi incanti. Oh! non dimentichiamo mai questo padiglione... Il castello racchiude – mi diss’ella – un luogo più seducente ancora; ma non si può mostrarvi niente; voi siete come un fanciullo che vuol toccar tutto, e che rompe quanto tocca.

Protestai, mosso da un sentimento di curiosità, che sarei stato saggio. – Allora essa cambiò discorso.

— Questa notte – mi disse – sarebbe senza macchia per me, se non fossi arrabbiata contro me stessa, per ciò che vi ho detto della contessa. Non è che io voglia lagnarmi di voi. La novità stimola. Voi mi avete trovato amabile, ed io vuo’ credere alla vostra buona fede. Ma l’impero dell’abitudine è lungo a distruggersi, ed io non possiedo questo segreto. A proposito, come trovate mio marito?

— Eh! Assai sgarbato; non può esser altrimenti per me.— È vero; il regime non è piacevole. Non vi ha veduto con sangue freddo. La nostra amicizia gli sarebbe sospetta. — Oh! Ella gli è già.

— Confessate che ha ragione. Perciò non prolungate molto questo viaggio; egli entrerebbe in cattivissimo umore. Non appena verrà della gente– soggiunse sorridendomi, – e ne verrà... partite. D’altronde avete dei riguardi da serbare... Eppoi, ricordatevi dell’aria del signore lasciandoci!...

Ero tentato di spiegar quest’avventura come una trappola, e siccome ella si accorse dell’impressione che le sue parole producevano su me, aggiunse: — Oh! Era più allegro quando faceva preparare il gabinetto di cui vi parlava. Era prima del mio matrimonio. Quel ridotto comunica col mio appartamento. Ohimè! Egli è una testimonianza delle risorse artificiali di cui il signor T... aveva bisogno per fortificare il suo sentimento. — Qual piacere, le dissi, vivamente eccitato dalla curiosità che essa faceva nascere – nel vendicarvi le vostre attrattive offese, e nel restituire loro i furti che ebbero a patire. – Si trovò la risposta di buon gusto, ma ella disse: Promettevate d’esser saggio? — Io getto un velo sulle follìe che tutte le età perdonano alla giovinezza in favore di tanti desideri traditi e di tante memorie.

Al mattino la signora di T.... più bella che mai, sollevando a fatica i suoi occhi umidi, mi disse: — Ebbene, amerete voi mai la contessa quanto me? Stavo per rispondere, quando una confidente comparve dicendo: Uscite, uscite! È giorno alto; sono le undici, e si sente già rumore nel castello. Tutto svanì come un sogno. Mi ritrovai errante nei corridoi, prima d’aver ripreso i miei sensi. In qual modo tornare ad un appuntamento che non conoscevo? Ogni sbaglio era una indiscrezione. Risolvei dunque di fare una passeggiata mattutina.

Il fresco e l’aria poterono gradatamente calmar la mia immaginazione, e ne scacciarono il meraviglioso. Invece di una natura incantata, non vidi che una natura ingenua. Sentivo la verità rientrar nell’anima mia, i miei pensieri nascere senza turbamento e seguirsi con ordine, respiravo finalmente. Non ebbi dunque nulla di più premuroso a dimandarmi, di ciò che io era a colei che abbandonavo... io, che sapevo o credevo sapere che ella amava perdutamente, e da due anni, il marchese di V... – Avrebbe forse rotto ogni relazione con lui? Mi ha preso per succedergli, o soltanto per punirlo? Che notte! Che avventura! Ma che deliziosa donna!

Mentre ondeggiavo in questi pensieri, udii rumore vicino a me; alzai gli occhi, e me li stropicciai... Non potevo crederlo. Indovinate? Il marchese!! — Tu non mi aspettavi forse tanto presto, non è vero? mi disse. Ebbene, com’è andata? — Sapevi dunque che ero qui? Gli dimandai tutto intontito. — Eh! sicuro. Me lo hanno fatto sapere al momento della partenza. Hai ben recitato la tua parte? Il marito ha trovato molto ridicolo il tuo arrivo? Ti ha preso abbastanza in odio? Ha egli orrore dell’amante di sua moglie? Quando lo congedano? Oh! Non dubitare; ho provvisto a tutto. Ti ho condotto una buona sedia di posta. Essa è a’ tuoi ordini. A buon rivederci, amico mio. Conta su me, perchè si suol esser riconoscenti di questi servigi...

Queste ultime parole mi dettero la chiave del mistero, e compresi la mia parte. — Ma perchè venir tanto presto? gli chiesi. Sarebbe stato più prudente aspettare due giorni ancora.

— Tutto è preveduto; ed è il caso che mi conduce qui! Fingo venir da una campagna vicina. Ma la signora di T... non ti ha dunque messo a parte di tutto? Le farò rimprovero di questa mancanza di fiducia... Dopo ciò che facevi per noi! — Mio caro amico, ella aveva le sue ragioni. Forse non avrei recitato bene la mia parte. — È stato tutto ben burlesco? Narramene i particolari. Narra dunque... — Ah! un momento. Non sapeva che si trattasse di una commedia, e quantunque la signora di T... mi avesse messo nella commedia... — Tu non ci avevi una bella parte. — Va’, rassicurato; non ci sono cattive parti pei buoni attori. — Capisco: te la sei cavata bene, — A meraviglia. — E la signora di T... — Adorabile. — Capisci tu che si sia potuto fissar quella donna! — disse fermandosi il marchese, per guardarmi con aria di trionfo. Oh! Quanta pena mi ha dato! Ma io ho condotto il suo carattere al punto, che essa è forse la donna di Parigi, sulla fedeltà della quale si possa più contare. — Sei riuscito... — Oh! È il mio talento. Tutta la sua incostanza non era che frivolità, e spostamento d’immaginazione. Bisognava impadronirsi di quell’anima. Ma però non hai idea del suo affetto per me. In conclusione, ella è seducente... — Ne convengo. — Ebbene! Fra noi, non le conosco che un difetto. La natura dandole tutto, le ha rifiutato quella fiamma divina che pone il colmo a tutti i suoi benefizi; ella fa nascer tutto, fa sentir tutto e non prova niente. È un marmo. — Bisogna creder così, perchè io non posso giudicare. Ma sai che tu conosci quella donna come se fossi suo marito? C’è da ingannarsi. Se non avessi cenato jeri col vero... ti prenderei... — A proposito! È stato buono? — Oh! Sono stato ricevuto come un cane. — Capisco. Torniamo allora dalla signora di T... deve esser giorno in camera sua. — Ma per decenza bisognerebbe cominciare dal marito? gli dissi. — Tu hai ragione. Ma andiamo nel tuo appartamento. Voglio mettermi un po’ di cipria. Dimmi dunque: ti ha egli preso per un amante? — Ne giudicherai dal ricevimento; rechiamoci dunque subito da lui. —

Volevo evitare di condurlo ad un appartamento che non conoscevo, e il caso mi vi condusse. La porta rimasta aperta, fece vedere il mio cameriere, che dormiva in una poltrona. Una candela si estingueva vicino a lui. – Egli presentò storditamente una veste da camera al marchese. Io ero sulle spine, ma il marchese si trovava infatuato, che non vide nel mio uomo se non un sognatore, che gli dava argomento di risa. – Passammo dal signore di T... – Si possono comprendere l’accoglienza che ebbi e le istanze e i complimenti diretti al marchese che fu trattenuto a viva forza. Si volle condurlo dalla signora, nella speranza che ella lo determinerebbe a rimanere. Quanto a me, non si osava farmi la stessa proposizione. Si sapeva che la mia salute era delicata, che il paese era umido, pieno di febbri, ed avevo l’aspetto tanto abbattuto che era chiaro che il castello mi sarebbe diventato funesto. Il marchese mi offrì la sua carrozza; io accettai. Il marito era al colmo della gioja, e noi eravamo tutti contenti. Ma io non volevo ricusarmi la gioja di riveder la signora di T... – La mia impazienza fece maraviglie. – Il mio amico non capiva nulla nel sonno della sua amante.

— Questo non è forse ammirabile ? mi disse seguendo il signor di T... Se gli avessero suggerito le sue risposte avrebbe potuto parlar meglio? È un galantuomo. Io non sono punto arrabbiato di vederlo rappattumarsi con sua moglie. Faranno in tutti due una buona famiglia e tu converrai che egli non può sceglier meglio di lei per far gli onori di casa. — Sì, in fede mia – dissi. – Per quanto piacevole sia l’avventura... mi sussurrò egli con aria misteriosa, non farne parola. Saprò fare capire alla signora di T... che il suo segreto è in buone mani. — Credi, amico mio, che ella conta su me, meglio che su te, forse, perchè tu vedi che il di lei sonno non è turbato. — Oh! convengo che tu non hai uno che ti stia a pari, per addormentare una donna. — Ed un marito, ed al bisogno, un amante, mio caro.

Finalmente il signor di T... ottenne di poter entrare nell’appartamento della signora. Vi ci trovammo tutti in situazione particolare.

— Temevo – mi disse la signora di T... – che foste partito prima del mio svegliarmi, e vi sono obbligata d’aver indovinato il dispiacere che ciò mi avrebbe causato. — Signora – le dissi con un tono di voce di cui ella comprese l’emozione, ricevete i miei addii. – Ella ci esaminò, me e il marchese con aria inquieta; ma la sicurezza e l’aria maliziosa del suo amante la rassicurarono. Ella ne rise di nascosto con me, tanto quanto occorreva per consolarmi senza degradarsi ai miei occhi.

— Egli ha ben sostenuta la sua parte, le disse il marchese a voce bassa designandomi, e la mia riconoscenza... — Finiamola su questo argomento, gli disse la signora di T... credete che so tutto quanto debbo al signore. — Finalmente il signor di T... mi canzonò e mi licenziò; il mio amico lo secondò e si fece beffe di me; io li ricambiai tutti due, ammirando la signora di T..., che ci conduceva tutti pel naso, senza perder l’ombra della sua dignità. Io sentii, dopo aver goduto quella scena durante un momento, che l’istante della partenza era arrivato. Mi ritirai, ma la signora di T... mi seguì, fingendo di dovermi dare una commissione. — Addio signore. Vi debbo un grandissimo piacere; ma vi ho pagato con un bel sogno! dissemi guardandomi con incredibil finezza. Ma addio; e per sempre. Avrete colto un fiore solitario nato in disparte, e che nessun uomo... Ella si fermò e completò il suo pensiero con un sospiro; ma represse lo slancio di quella viva sensibilità, e sorridendo con malizia:

— La contessa vi ama – soggiunse. – Se le ho carpito qualche trasporto, vi rendo a lei, meno ignorante. Addio, non mi fate guastare con la mia amica. – Mi strinse la mano e mi lasciò.

Più d’una volta le signore, prive dei loro ventagli, arrossirono ascoltando il vecchio, la cui lettura piena di prestigio, ottenne grazia per certi particolari, che noi abbiam soppressi, perchè troppo erotici per l’epoca attuale. Nondimeno è da credersi che ogni donna lo complimentò particolarmente, perchè, qualche, tempo dopo, egli offrì a tutte, come ai convitati mascolini, un esemplare di questo grazioso racconto, stampato a sole venticinque copie da Pietro Didot.

Ed è sull’esemplare numero ventiquattro che l’autore ha copiato gli elementi di questa narrazione inedita, e dovuta, si dice, cosa strana, a Dorat, ma che ha il merito di presentare al tempo stesso alte istruzioni ai mariti, ed una deliziosa pittura dei costumi dell’ultimo secolo, ai celibi.

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