Confesso che non conoscevo a Parigi che una sola casa concepita secondo il sistema sviluppato nelle due precedenti Meditazioni. Ma debbo aggiungere anche che ho fabbricato il sistema secondo la casa. Quell’ammirabile fortezza, appartiene a un giovine ricevitore delle imposte, pazzo d’amore e di gelosia.
Quando seppe che esisteva un uomo esclusivamente occupato di perfezionare il matrimonio in Francia, ebbe la cortesia d’invitarmi nel suo palazzo e farmene vedere il gineceo. Ammirai il profondo genio, che aveva sì abilmente mascherato le precauzioni d’una gelosia quasi orientale, sotto la eleganza dei mobili, sotto la bellezza dei tappeti e la freschezza delle pitture. Convenni che era impossibile a sua moglie di rendere il suo appartamento complice d’un tradimento.
— Signore, dissi all’Otello del Consiglio di Stato, che non mi pareva troppo forte nell’alta politica conjugale — io non dubito che la signora viscontessa, non abbia molto piacere a dormire in seno di questo piccolo paradiso. Ma verrà un momento in cui ella ne avrà assai; perchè, signore, ci si stanca di tutto, anco del sublime. Come farete, quando la viscontessa non trovando più in tutte le vostre invenzioni quel fascino primitivo, aprirà la bocca per sbadigliare e forse per presentarvi una istanza tendente ad ottenere l’esercizio di due diritti indispensabili alla sua felicità: la libertà individuale, vale a dire la facoltà d’andare e venire secondo il capriccio della sua volontà; e la libertà della stampa, o la facoltà di scrivere di ricever le lettere senza dover passar sotto la vostra censura?
Appena avevo terminato queste parole che il visconte di V*** mi strinse fortemente e sclamò:
— Ecco la ingratitudine delle donne! Se vi è qualche cosa di più ingrato di un re, è un popolo; ma, signore, la donna è ancor più ingrata di tutti. Una donna maritata agisce con noi come i cittadini di una monarchia costituzionale con un re: si ha un bell’assicurare ad essi una bella esistenza in un bel paese; un governo ha un bel darsi tutte le pene del mondo, co’ gendarmi, le Camere, una amministrazione e tutto il codazzo della forza armata, per impedire ad un popolo di morir di fame, e per illuminar le città col gaz a spese de’ cittadini, per riscaldar tutti col sole del quarantacinquesimo grado di latitudine, e per proibire infine a tutt’altri che ai percettori di dimandare denaro; egli ha un ben lastricar, male o bene le strade... ebbene! Nessuno dei vantaggi di una sì bella utopia non è apprezzato! I cittadini vogliono altra cosa! Essi non hanno vergogna di reclamare anco il diritto di passeggiare a lor beneplacito, su quelle strade, quello di sapere dove va il denaro dato ai percettori; e finalmente il monarca sarebbe tenuto a fornire ad ognuno una piccola parte del trono, se dovesse ascoltare le ciarle di alcuni scribacchiatori, o adottar certe idee tricolori, specie di pulcinelli che fanno agire una schiera di sedicenti patrioti, gente da sacco e da corda, sempre pronti a vendere la loro coscienza per un milione; in cambio di una donna onesta o d’una corona ducale.
— Signor visconte – dissi interrompendolo – sono perfettamente del vostro parere su quest’ultimo punto, ma che farete per evitare di rispondere alle giuste dimande di vostra moglie?
— Signore, io farei... risponderei come fanno e come rispondono i governi, che non sono tanto sciocchi quanto i membri dell’opposizione vorrebber dare a credere ai loro committenti, comincerei per largire solennemente una specie di costituzione, in virtù della quale mia moglie sarà dichiarata intieramente libera. Riconosco pienamente il diritto che ha di andare dove meglio le piace, di scrivere a chi vuole e di ricever lettere, proibendomi di conoscerne il contenuto. Mia moglie avrà tutti i diritti del Parlamento inglese; io la lascerò parlare quanto vorrà, discutere, proporre misure forti ed energiche, ma senza che possa metterle in esecuzione; e poi dopo... vedremo!
— Per San Giuseppe! dissi fra me. — Ecco un uomo che comprende tanto bene quanto me la scienza del matrimonio. Eppoi voi vedrete, signore, – risposi ad alta voce per ottener più ampie rivelazioni – voi vedrete che un bel mattino, sarete tanto sciocco quanto un altro.
— Signore – riprese egli gravemente – permettetemi di finire. Ecco ciò che i grandi chiamano una teoria; ma essi sanno fare sparire questa teoria con la pratica, come una vera fumata; e i ministri possiedono ancor meglio che tutti gli avvocati di Normandia, l’arte di far trionfare il fondo per mezzo della forma. Il signor di Metternich e il signor di Pilat, uomini di merito profondo, si dimandano da lungo tempo, se l’Europa è nel suo buon senso, se sogna, se sa ov’ella va, se ha mai ragionato, cosa impossibile alle masse, ai popoli, e alle donne. Il signore di Metternich e di Pilat sono spaventati di veder questo secolo spinto dalle manie delle costituzioni, come il precedente lo era dalla filosofia, e come quello di Lutero dalla riforma degli abusi della religione romana; perchè pare veramente che le generazioni sieno simili ai cospiratori, le cui azioni procedono separatamente allo stesso scopo, passandosi la parola d’ordine. Ma essi si spaventano a torto, ed è in ciò solo che io li condanno perchè hanno ragione di voler godere del potere, senza che dei borghesi arrivino a giorno fisso, dal fondo di ciascuno dei loro sei regni per infastidirli. Come mai uomini tanto rimarchevoli, non hanno saputo indovinare la profonda moralità che racchiude la commedia costituzionale, e vedere che è portato della più alta politica lasciare un osso da rosicchiare al secolo. Io penso assolutamente com’essi, relativamente alla sovranità. Un potere è un essere morale tanto interessato quanto un uomo, alla sua conservazione. Il sentimento della conservazione è diretto da un principio essenziale spiegato in tre parole «Non perder nulla». – Per non perder nulla, bisogna crescere o rimanere infinito; perchè un potere stazionario, è nullo. Se arretra non è un potere; egli è trascinato da un altro. Io so, come lo sanno questi signori, in qual falsa situazione si trova un potere infinito, che fa una concessione; egli lascia nascere nella sua esistenza un altro potere la cui essenza sarà di ingrandire. L’uno aumenterà l’altro, necessariamente, perchè tutto tende al più gran possibile sviluppo delle sue forze. Un potere non fa dunque mai concessioni, senza tentare di riconquistarle. Questo combattimento fra i due poteri, costituisce i nostri governi costituzionali, il cui giuoco spaventa a torto il patriarca della diplomazia austriaca, perchè, commedia per commedia, la meno meno pericolosa e la più lucrativa è quella che rappresentano l’Inghilterra e la Francia. Queste due patrie hanno detto al popolo: «Tu sei libero!» ed egli è stato contento; egli entra nel governo come una serie di zero che danno valore all’unità. Ma se il popolo vuole agitarsi, si comincia con lui il dramma di Sancio, quando lo scudiero, divenuto sovrano della sua isola in terra ferma, tenta di mangiare. Ora, noi altri uomini, dobbiamo parodiare quell’ammirabile scena in seno dei nostri domicilii conjugali. Perciò mia moglie ha tutto il diritto di uscire, ma dichiarandomi dove va, come va, per qual affare va, e quando tornerà. Invece di esigere queste informazioni con la brutalità delle nostre polizie, che si perfezioneranno senza dubbio un giorno, io ho cura di rivestirle di forme le più graziose. Sulle mie labbra, nei miei occhi, si fingono e compajono a volta a volta gli accenti e i segni della curiosità e della indifferenza, della gravità e della celia, della contraddizione e dell’amore. Sono piccole scene conjugali piene di spirito, di finezza e di grazia, piacevolissime a rappresentarsi. Il giorno in cui ho tolto di sopra la testa di mia moglie la corona di fiori d’arancio che essa portava, ho capito che avevamo recitato, come all’incoronazione di un re, i primi lazzi d’una lunga commedia. — Io ho i gendarmi! La mia guardia reale, i miei procuratori generali, io! riprese con una specie di entusiasmo. Forse sopporto mai che la mia signora vada a piedi senza essere accompagnata da un servo in livrea? Non è forse cosa di buona prammatica? Senza contare il piacere che ella ha di poter dire a tutti: «Ho della gente di servizio! — Ma il mio principio conservatore, è stato sempre quello di far coincidere le mie uscite con quelle di mia moglie, e dopo due anni ho saputo provarle, che era per me un piacere sempre nuovo di darle il braccio.
Se è tempo cattivo per camminare, tento d’insegnarle a guidare con maestria un cavallo brioso; ma vi giuro che lo fo in maniera che ella non se ne accorga subito... Se per caso o per effetto della sua volontà ben pronunziata, ella volesse scappare senza passaporto, vale a dire nella sua carrozza e sola, non ho forse un cocchiere e dei servitori?
Allora mia moglie può andar dove vuole, ella conduce un’intera Santa Ermandad seco; ed io sono tranquillissimo... Ma, mio caro signore, quanti mezzi non abbiamo noi per distrugger lo statuto conjugale con la pratica e la lettera con la interpretazione? Io ho notato che i costumi dell’alta società, comportano una sorveglianza, che divora la metà della vita d’una donna, senza che essa possa sentirsi vivere. Io ho, per conto mio, formato il progetto di condur direttamente mia moglie fino a quarant’anni senza che essa pensi all’adulterio, al modo istesso che il fu Musson si divertiva a condurre un borghese dalla via S. Dionisio a Pierrefitte senza che quegli si accorgesse di aver lasciato l’ombra del campanile di S. Leu.
— Come! gli dissi interrompendolo, avreste per caso indovinato quelle ammirabili decezioni che mi proponevo di scrivere in una meditazione, intitolata: Arte di metter la morte nella vita. Ohimè! Io credeva essere il primo che avesse scoperto questa scienza. Questo titolo conciso mi era stato suggerito dal racconto che fece un giovine medico di una ammirabile composizione inedita di Crabbe. In quel lavoro il poeta inglese ha saputo personificare un essere fantastico, nominato la Vita nella morte. Quel personaggio insegue attraverso gli oceani del mondo uno scheletro chiamato la morte n ella vita. Mi ricordo che poche persone, fra i convitati dall’elegante traduttor della poesia inglese, compresero il senso misterioso di quella favola, tanto vera quanto fantastica. Io solo forse, immerso in un silenzio completo, pensavo a quelle generazioni intiere che, spinte dalla vita, passano senza vivere. Delle figure di donne s’innalzavano dinanzi a me, a migliaja, a miriadi, tutte morte, addolorate e versanti lagrime di disperazione, contemplando le ore perdute, della loro gioventù ignorante. In lontananza vedevo nascere una meditazione beffarda e ne udivo già le risa sataniche; e voi state senza dubbio per ucciderla... Ma vediamo, confidatemi prontamente i mezzi che avete trovato per ajutare una donna a dissipare i momenti rapidi nei quali ella si trova nel fiore della sua bellezza, della sua forza, e dei suoi desiderii... Forse mi avreste lasciato qualche stratagemma, qualche astuzia da descrivere...
Il visconte si mise a ridere di questa delusione d’autore e mi disse con aria soddisfatta: — Mia moglie ha, come tutte le giovani donne del nostro felicissimo secolo, appoggiato le sue dita, durante tre o quattro anni consecutivi, sui tasti d’un piano che non ne poteva più. Ella ha decifrato Beethoven, canticchiato le ariette di Rossini; e percorso gli esercizi di Crammer. Ora io ho già avuto la cura di convincerla della sua superiorità in musica; per raggiungere questo scopo, ho applaudito, ho ascoltato senza sbadigliare le più nojose suonate del mondo e mi sono rassegnato a darle un palchetto ai Buffi. Così ho guadagnato tre pacifiche serate, sulle sette, che Dio ha creato nella settimana. Io spio le case di musica. A Parigi esistono sale che somigliano esattamente a tabacchiere di Germania, specie Componiums perpetui dove io vado regolarmente a cercare indigestioni di armonia che mia moglie chiama concerti. – Ma, benanco, la maggior parte delle volte, ella si seppellisce fra le partiture...
— Eh! signore, non conoscete il pericolo che vi è nello sviluppare in una donna la passione del canto, e lasciarla in preda a tutti gli eccitamenti d’una vita sedentaria? Non vi mancherebbe più che nutrirla di montone e farle ber dell’acqua.
— Mia moglie non mangia mai che petti di pollo, ed ho cura di far sempre succedere un ballo ad un concerto ed una cena ad una rappresentazione degli Italiani. Così sono riuscito a farla coricare durante sei mesi dell’anno, fra un’ora e le due del mattino. Ah! signore, le conseguenze di quell’andar a letto mattutino sono incalcolabili! Dapprima, ognuno di quei piaceri necessari è accordato come un favore, ed io sono tacciato di far sempre la volontà di mia moglie; allora io le fo credere, senza dirle una sola parola che ella si è costantemente divertita dalle sei della sera, epoca del nostro pranzo e della sua toeletta, fino alle undici del mattino, ora, nella quale ci leviamo.
— Ah! signore, qual riconoscenza non vi dev’ella per una vita tanto bene occupata!
— Io non ho dunque più che tre ore pericolose da passare, ma non ha ella delle suonate da studiare, delle arie da ripassare? Non ho io sempre delle passeggiate al bosco di Boulogne da proporle, delle carrozze da provare, delle visite da restituire, ecc. ecc.? Ma non è tutto. Il più bell’ornamento d’una donna è una pulizia ricercata, e le sue cure a questo riguardo non possono mai essere eccessive nè ridicole; ora la toeletta mi ha pure offerto i mezzi di farle consumare i più bei momenti della sua giornata.
— Siete degno d’udirmi! sclamai. Ebbene, signore voi le mangerete quattr’ore per giorno, se voi volete insegnarle un’arte sconosciuta alle più ricercate delle nostre moderne eleganti: enumerate alla signora di V*** le sorprendenti precauzioni, create dal lusso orientale delle dame romane, nominatele le schiave adoperate soltanto pel bagno dell’imperatrice Poppea; le Unctores, le Fricatores, le Alipilarili, le Dropacistae, le Paratiltriae, le Bicatrices, le Tractatrices, le asciugatrici, ecc., ecc.? Parlatele di quella moltitudine di schiave la cui nomenclatura è stata data da Mirabeau nel suo Erotika Biblion. Perchè ella tenti di sostituir tutto quello sciame, avrete delle belle ore di tranquillità senza contare le soddisfazioni personali che resulteranno per voi dall’importazione nel vostro domicilio conjugale del sistema di quelle illustri romane, i più insignificanti capelli delle quali, artisticamente disposti, avevano ricevuto rugiade di profumi, la cui menoma vena pareva avesse acquistato un sangue novello nella mirra, nel lino, nei profumi, nelle onde, i fiori, il tutto al suono di una musica voluttuosa.
— Eh! signore, riprese il marito che si scaldava sempre più, non ho anch’io ammirabili pretesti nella sua salute? Questa salute, tanto preziosa e cara, mi permette di proibirle ogni uscita col cattivo tempo, e guadagno così un quarto dell’annata. E non ho saputo introdurre il dolce uso di non uscir mai l’uno o l’altro, senza darci il bacio d’addio dicendo: «Mio buon angelo, esco.» Insomma ho saputo prevedere l’avvenire e render per sempre mia moglie prigioniera in casa, come un coscritto nel suo casotto da sentinella. Le ho inspirato un entusiasmo incredibile per i sacri doveri della maternità.
— Contradicendola? dimandai.
— L’avete indovinato! – diss’egli ridendo – Io le sostengo che è impossibile ad una donna di mondo adempire ai suoi obblighi verso la società, diriger la sua casa, abbandonarsi a tutti i capricci della moda, a quelli di un marito che si ama, e di allevare i suoi figli... Ella pretende allora che seguendo l’esempio di Catone, il quale voleva veder il modo tenuto dalla nutrice per cambiare le fasce del gran Pompeo, non lascerà ad altri le cure più minuziose, reclamate dalle flessibili intelligenze e dai teneri corpi di quei piccoli esseri, la cui educazione comincia dalla culla. Voi comprendete, signore, che la mia diplomazia conjugale non mi servirebbe a gran cosa, se dopo aver così messo mia moglie a parte del segreto, non usassi d’un innocente machiavellismo, che consiste nell’impegnarla perpetuamente a fare ciò che ella vuole, a dimandarle il suo parere in tutto e per tutto. Siccome questa illusione di libertà è destinata a ingannar una creatura tanto spiritosa, ho cura di sagrificar tutto per convincere la signora di V***, che ella è la donna più libera che vi sia in Parigi, e, per arrivare a questo scopo, mi guardo bene dal commettere quelle grosse balorderie politiche che sfuggono spesso ai nostri ministri.
— Io vi vedo – dico – quando volete fare sparire uno dei diritti concessi a vostra moglie dallo statuto, vi vedo rendere un’aria dolce e compassata, celando il pugnale sotto le rose, e, immergendoglielo con precauzione nel cuore, e dimandandole con voce amica: — Angelo mio, ti fa male? Come quelle persone sui cui piedi si cammina, ella vi risponde forse: — Al contrario!
Non potè impedirsi di sorridere, e disse: — Mia moglie, non sarà ben sorpresa nel giorno del giudizio finale?
— Non so, gli risposi, chi lo sarà più, se lei o voi.
Il geloso aggrottava già le sopracciglia; ma la sua fisonomia tornò serena, quando aggiunsi:
— Ringrazio il caso che mi ha procurato il piacere di far la vostra conoscenza. Senza la conversazione che abbiamo avuta assieme, avrei certamente sviluppato meno bene che non lo avete fatto voi, alcune idee, che ci erano comuni. Perciò vi dimanderò il permesso di mettere in luce questo colloquio. Là dove abbiamo veduto alte concezioni politiche, altri troveranno forse, ironie più o meno piccanti, ed io passerò per un uomo abile agli occhi dei due partiti...
Mentre tentavo di ringraziare il visconte (il primo marito di mio genio che avessi incontrato) egli mi faceva passeggiare anco una volta, ne’ suoi appartamenti dove tutto pareva irreprensibile.
Stavo per congedarmi da lui, quando, aprendo la porta di un piccolo gabinetto, egli me lo mostrò, con un’aria, come se volesse dire: Vi è forse il mezzo di commettervi il minimo disordine senza che il mio occhio non sappia riconoscerlo?
Risposi a quella muta interrogazione con una di quelle inclinazioni di testa che fanno i convitati al loro anfitrione assaggiando una pietanza prelibata.
— Tutto il mio sistema, mi disse a voce bassa, mi è suggerito da tre parole, che mio padre sentì pronunziare a Napoleone in pieno Consiglio di Stato, al momento della discussione del divorzio — «L’adulterio – sclamò egli – è un affare di canapè!» — Perciò, ho saputo trasformare questi complici in spioni — soggiunse il ricevitore delle imposte, indicandomi un divano coperto d’una stoffa color tè, i cui cuscini erano leggermente gualciti. Guardate, quel segno mi dice, che mia moglie ha avuto il mal di testa e si è riposata lì...
Facemmo alcuni passi verso il divano, e vedemmo la parola «sciocco» capricciosamente tracciata sul mobile fatale da alcuni «Di quei non so che, che una amante trasse dall’orto di Ciprigna, laberinto delle fate, e che un duca in altri tempi giudicò sì preziosi, che li volle onorare d’una cavalleria, illustre e nobile confraternita metà composta d’uomini e metà di Dei.»
— Nessuno nella mia casa ha i capelli neri! esclamò impallidendo il marito.
Io scappai perchè mi sentii preso da una voglia di ridere, che non avrei facilmente repressa.
— Ecco un uomo giudicato! dissi fra di me. Non ha fatto che preparare incredibili piaceri a sua moglie con tutte le barriere di cui l’ha circondata.
Quella idea mi attristò! L’avventura distruggeva da cima a fondo tre delle mie più importanti meditazioni e l’infallibilità cattolica del mio libro era attaccata nella sua essenza. Avrei pagato di gran cuore la fedeltà della viscontessa V***, con la somma che molte genti le avrebbero voluta dare per un solo errore. Ma dovevo eternamente conservare il mio denaro.
Infatti tre giorni dopo incontrai il ricevitore delle imposte al teatro degli Italiani. Non appena mi vide, corse verso di me. Spinto da una specie di pudore, cercai di evitarlo; ma, prendendomi per un braccio:
— Ah! ho passato tre crudeli giornate! mi disse all’orecchio. Fortunatamente mia moglie è forse più innocente di un bambino battezzato jeri...
— Mi avete già detto che la signora viscontessa era spiritosissima... replicai con una crudele bonomia.
— Oh! stasera ricevo volentieri la celia; perchè stamani ho avuto le prove irrecusabili della fedeltà di mia moglie. Mi ero levato di buonissima ora per terminare un lavoro urgente... Guardando distrattamente il mio giardino, vedo tutto ad un tratto il cameriere di un generale il cui palazzo è vicino al mio, arrampicarsi sopra ai muri. La cameriera di mia moglie sporgendo la testa fuori del vestibolo accarezzava il mio cane, e proteggeva la ritirata del galante. Prendo il mio cannocchiale, lo punto sul mariuolo... capelli come l’ebano! Ah! giammai, faccia di cristiano mi ha fatto maggior piacere a vedere! Ma, come dovete credere, nella giornata i pergolati sono stati tolti. Così, mio caro signore, riprese egli, se vi ammogliate ponete il vostro cane a catena e cospargete di fondi di bottiglie tutte le cime dei vostri muri.
— La signora viscontessa, si è ella accorta delle vostre inquietudini durante questi tre giorni?
— Mi prendete per un fanciullo? mi disse alzando le spalle. — Mai in vita mia sono stato tanto allegro.
— Siete un grand’uomo sconosciuto! sclamai, e non...
Egli non mi lasciò terminare; perchè sparve vedendo uno dei suoi amici, che gli pareva avesse l’intenzione di voler andare a salutar la viscontessa.
Che potremmo noi aggiungere, che non fosse una fastidiosa parafrasi degli insegnamenti raccolti in questa conversazione ? Tutto vi è germe o frutto.
Nondimeno, voi lo vedete, o mariti, la vostra felicità è attaccata ad un capello.