IV.

Come per reazione alla scuola degli intellettualisti puri, che, specialmente in Germania, ebbe un enorme sviluppo, la psicologia contemporanea attribuisce al fatto volontario la parte più importante nel giuoco dei fatti psichici. Tanto, che spesso si riduce il suo valore a quello di energia nervosa, come or ora vedremo; e lo si confonde con gli altri fatti psichici, e specialmente con quello emotivo. In fatti, dire con lo Spencer che volontà è il nome generale dato alla sensazione speciale che ha la supremazia e determina l'azione, significa non analizzare, ma confondere in uno, due fatti che sono suscettibili di essere scissi, perchè ne apparisca il rapporto: fosse pure per concludere che sono due aspetti del medesimo fenomeno. Nulla di più giusto, che l'affermare di mia sensazione o percezione che dir si voglia, che, quando abbia la supremazia, determini l'azione. Non solo; ma bisogna convincersi che tutte le percezioni e tutte le rappresentazioni psichiche posseggono una propria impulsività volontaria, se bene la impulsività decresca dalla sensazione attuale all'idea, decrescendo il movimento. Ma tutto ciò non conduce a concludere che la percezione o la rappresentazione in discorso siano in sè un atto volontario, a meno di abolire ogni distinzione di fatti; conduce solamente a trovare il rapporto che li sottopone l'un l'altro.

Ed ecco il Wundt, che stabilisce molto nettamente questi rapporti, identificando l'atto volontario più semplice col fatto della attenzione, per cui avviene il passaggio dalla percezione alla appercezione. Qui dunque sta, per lui, la base del processo volontario; e gli atti comunemente chiamati volontarj, cioè esplicantisi in movimenti verso un fine, sono complicazioni dei più semplici sopra ricordati; l’azione esterna della volontà, secondo la sua essenza primordiale, non è altro che una forma speciale dell'appercezione, perchè è un elemento costitutivo e inseparabile di quelle appercezioni che si riferiscono al corpo propriamente detto dell'essere agente. Vale a dire che l'azione volontaria esterna consiste avanti tutto nell'appercezione di una rappresentazione di movimento; dunque questo fatto è secondario. L'atto volitivo primo sarebbe perciò l'attenzione, causa delle appercezioni; e alcunchè di simile pensa anche il Bain, quando dice che la distinzione di un soggetto da un oggetto è causata dallo sforzo volontario per vincere la resistenza.

A questo punto ci dobbiamo fare una domanda consimile a quella che, nel paragrafo precedente, abbiamo mosso circa il fatto intellettivo. Anche attribuendo all'atto volontario la estensione e la comprensione che il Wundt gli riferisce, ci troviamo forse, seguendo gli autori, di fronte a un fenomeno elementare e fondamentale? Chi conosce la teoria del Wundt deve convenire in ciò, che anche l'attenzione dipende dalle rappresentazioni. È la rappresentazione che sveglia l'attenzione quando dal campo visivo interno (percezione) passa al punto visivo interno (appercezione). La rappresentazione è dunque la base del processo volontario, che poi si traduce in un movimento quando vi sia anche l'appercezione della rappresentazione del movimento. Inoltre, prosegue il Wundt, l'attenzione è passiva (pure serbando il suo carattere volitivo) o attiva: nel primo caso l'appercezione è determinata dalle rappresentazioni stesse, delle quali una ne attrae la direzione; nel secondo caso vi è antagonismo tra le rappresentazioni, e la coscienza deve fare una scelta. Sappiamo che nella prima si mostrano i legami associativi, nella seconda quelli appercettivi propriamente detti. La coscienza della appercezione ci deriva dal senso di tensione; la coscienza e la direzione sono determinate dai sentimenti che accompagnano le rappresentazioni, e che si legano durante l'associazione degli atti successivi dell'appercezione, dando luogo alle emozioni e passioni.

Adunque anche il fatto volontario più semplice, quello di un'attenzione passiva, cioè provocata univocamente, sarebbe condizionato dalla presenza di una rappresentazione. Ma che cosa è una rappresentazione? è l'immagine, reale o fantastica, che un oggetto produce nella nostra coscienza, risponde il Wundt. O consideriamo questa immagine come un fenomeno di riproduzione, dovuto alla memoria: e allora siamo di fronte a qualcosa di molto secondario e complesso. O la consideriamo come rispondente a una percezione attuale e reale: e allora non si può intendere che come una oggettivazione del non me rispetto al me, fatta dalla nostra mente. Anche in questo caso si tratta di un fenomeno complesso, che presuppone altri più semplici, cioè quelli già ritrovati nel § III. E per questa via il Wundt giungerà a considerare la volontà (derivante dalle rappresentazioni) come il contenuto più speciale della coscienza di se stesso, mercè cui si può oggettivare la percezione, cioè avere l'immagine, cioè contrapporre il me al non me.

Questa volontà, dipendente da fenomeni già complessi, non è adunque il fatto primo e fondamentale di cui andiamo in traccia. Tuttavia a questo si potrebbe pervenire facilmente seguendo la via del Wundt; cioè si potrebbe cercare ciò che vi è al disotto dell'attenzione, oltrepassando al di là della rappresentazione. È chiaro che, se all'attenzione togliamo la rappresentazione, rimane solamente l’attività generale dello spirito, cioè la sua disposizione a ricevere delle percezioni. In questo senso, la volontà si rivelerebbe come la condizione di ogni altro fatto, quello emotivo compreso; cioè la volontà sarebbe l'elemento costitutivo fondamentale della psiche. E di ciò il Wundt coerentemente alla sua teoria è del tutto persuaso. A questo medesimo termine giunge direttamente il Panizza, quando chiama l'atto volontario, semplicemente una eccitazione nervosa.

Faccio una obbiezione a questo modo di vedere, così attraente e persuasivo. Ognuno che non iscorga nella volontà una facoltà nel senso antico della parola, e non ne limiti il significato a una piccola cerchia di atti molto complessi come quelli comunemente detti volontari dove appare una scelta di mezzi e di fini; dovrà convenire pienamente in ciò, che, risalendo oltre i fatti più semplici, l’atto volontario giunge a identificarsi con l'attività generale dello spirito, cioè con l'eccitabilità nervosa. Ma più tardi vedremo che, risalendo oltre ognuno dei fatti psichici più semplici, siano di sentimento siano di discernimento siano di volontà, arriviamo costantemente a quel medesimo termine. Dato il sistema nerveo è data la eccitabilità quale proprietà sua caratteristica; e questa è il principio fisio-psichico di tutti i fenomeni della psiche. Così io posso giungervi dagli atti volontarj, come dagli atti emotivi, come da quelli discernitivi. Onde in questo primo momento i tre ordini di fatti non si possono scindere, perchè non esistono come divisi, cioè specificati dal loro carattere peculiare. Perciò io a questo punto posso dire di ogni fatto, e non di quello volontario solamente, che, consistendo in una eccitazione nervosa, è fondamentale rispetto agli altri. La eccitazione nervosa, l’attività psichica generale, non ha diritto di essere specificata col nome di volontaria, nè con altri, perchè è ancora un mero indistinto. Così è facile comprendere come, partendo da quel concetto errato, alcuni autori siano giunti a identificare volontà e sentimento in un solo fenomeno.

Il carattere peculiare dell'atto volontario non è l’attività in genere, o l'eccitazione nervosa comune per tutti i fatti; è invece, come lo stesso Panizza dichiara, quello di reazione. Questo termine fisiologicamente parlando implica un movimento, di qualunque genere; psicologicamente parlando implica la coscienza di questo movimento. A ciò bisogna tener lo sguardo fisso nella ricerca del fatto volitivo più elementare; se questo esiste, deve esistere mantenendo la sua proprietà reattiva, di azione o di inibizione accompagnata dalla coscienza di queste. Ora, se alcunchè di volontario si ritrova nel fatto dell'attenzione, questo non può verificarsi che nei casi più complessi dove vi sia da fare una scelta fra più eccitazioni di valore presso a poco uguale, inibendo gli atti stimolati da alcune e rafforzando quelli motivati dalla prescelta; ma non lo stesso può dirsi dell'attenzione che il Wundt chiama passiva, più semplice, chiamata in modo univoco, cioè destata da una sola eccitazione che domina e vince le altre: in questo caso il fatto si spiega con la eccitabilità generale, la quale, come si è detto, non rientra nel fatto volontario più che in qualunque altro fatto psichico.

Per tutto ciò abbandonando gli autori, possiamo ripeterci per conto nostro la domanda: esiste un fatto volontario elementare, cioè anteriore alla rappresentazione? Riprendiamo l'esempio di pungersi la mano; e proviamoci ad astrarre in questo fatto da ogni associazione di percezioni e da ogni volizione complessa, nonchè da ogni atto di memoria. Allora non si tratta più per noi di un esperimento; allora, se io mi pungo la mano, la ritraggo immediatamente, perchè ciò che inibiva l'atto riflesso di ritrarre la mano, era una forma di volere molto complessa, cioè il voler fare uno esperimento. Abbiamo dunque un atto riflesso. Ma che cosa di solito s'intende con questa espressione? Un arco diastaltico, rispondono i fisiologi. Un movimento prodotto direttamente dalla percezione senza intervento della coscienza, rispondono gli psicologi. Ai primi lasciamo rispondere da un fisiologo, il Panizza, il quale per mezzo delle loro medesime osservazioni ed esperienze dimostra, che non è fondato ammettere una fibra separata sensoria che porti l’impressione a una cellula sensitiva, la quale la trasmetta a una cellula motoria, onde una fibra efferente di moto trasmetta questo ai muscoli: elementi, come si sa, costitutivi dall'arco riflesso. Il sistema nervoso è omogeneo, e le proprietà, cioè le funzioni diverse dipendono dalla ubicazione degli elementi; quindi in ogni cellula si trova già la potenzialità tanto sensoria quanto motoria. Su questa base si può dunque affermare che l’escursione dell'onda nervosa, che s'inizia nel punto eccitato dall'agente, esterno al corpo, o solo al sistema nerveo (percezioni interne), può, se è a bastanza energico il moto fisiologico e il suo equivalente psichico, invadere sino ad elementi che si trovano in comunicazione diretta coi muscoli, e produrre in tal guisa il movimento.

Agli psicologi rispondo, movendo una domanda: quale cosa ci conduce, in presenza di un movimento semplice come quello di ritrarre la mano dalla puntura, ad affermare che questo movimento è incosciente? cioè fuori del campo psichico, fenomeno puramente fisiologico. Ciò si deve al concetto che il fatto volontario sia, non solo un fatto di reazione, ma ancora di reazione premeditata. In altre parole, si credono volontari solo quei movimenti che avvengono dopo la rappresentazione loro, anzi, dopo la scelta tra varie rappresentazioni di movimento. Ciò significa che per la volontà si fa la stessa restrizione che per la coscienza: si adopera un termine generale per indicare un numero limitato di fatti superiori, e poi non soltanto si nega di graduare la medesima proprietà per quegli atti che stanno prima come cespite di quelli chiamati volontarj per eccellenza, ma tutti quelli si pongono a dirittura in opposizione, come contrarj di questi. Ma noi non possiamo accettare l’opinione che la volontà sia una facoltà, sia qualcosa di posto per un principio trascendente ad abbracciare un certo àmbito di fenomeni, e non quelli che stanno prima: perciò facciamo una graduazione dei fatti volontarj, che da quelli straordinariamente complessi chiamati di libero arbitrio scenda al di sotto della soglia delle rappresentazioni. Il carattere volontario ci sarà garantito dalla coscienza di una reazione.

Ora, che cosa ritroviamo su questa via, al di sotto delle rappresentazioni? Certo, non vi è più l’atto premeditato, in dipendenza a punto dalla rappresentazione di un movimento. Il movimento è, per così dire, immediato. E al tempo stesso abbiamo la coscienza di questo movimento, cioè la coscienza dello sforzo di reazione. Dunque niuno può negare che questo atto sia volontario, insieme mantenendo la sua psichicità, come cosciente. Gli psicologi chiamano incosciente l’atto di ritrarre la mano dalla puntura, perchè tra il dolore e il movimento non vi si intercala l'immagine del movimento stesso. Ma una immagine, cioè una rappresentazione non può bastare a formare un atto psichico nuovo, cioè a crearlo. Ed essi devono convenire che vi ha coscienza del movimento; altrimenti non potrebbero neppure affermarlo. Ora questa coscienza, ripetiamo basta a costituire il fatto volontario.

Si dirà che ogni momento si compiono da noi di tali atti riflessi, senza averne coscienza. Ma qui si confonde un oscuramento della coscienza con la sua mancanza; fatto costante per ogni genere di fenomeni psichici, quando una eccitazione molto forte chiama a sè la maggior parte della nostra energia nervosa. Se alcuno ponesse la mano su di una fiamma, non si accorgerebbe di una leggera scottatura al braccio. Ma l'automatismo dei nostri movimenti non sarebbe possibile senza la coscienza delle eccitazioni che li provocano e poi dei movimenti stessi; tanto vero che, ove una causa esteriore giunga a turbarli, la coscienza di essi si fa subito chiara e precisa. Dunque vi sarebbe solo la differenza che passa tra percezione e appercezione; differenza di intensità e non di qualità.

Possiamo concludere che, nel movimento semplicissimo di ritrarre la mano e nella coscienza immediata (non anteriore, immagine) di questo movimento, abbiamo l'atto volitivo primario e elementare.

Si potrebbe ancora obbiettare, che, secondo l’opinione di molti psicologi, il movimento di ritrarre la mano dalla puntura non è primitivo, ma derivato da un movimento di scelta, divenuto poi automatico o istintivo. Pure accettando che gran parte dei movimenti di scelta (quelli chiamati comunemente volontarj) diventano poi con l'abitudine automatici e riflessi, si potrebbe però sostenere che vi ha una serie di riflessi primarj, che alla loro volta possono diventare atti premeditati. Ma ciò richiederebbe un ampio discorso, dove la questione ancor tanto intricata e malsicura dell'istinto avrebbe la parte maggiore. Noi possiamo evitarlo, giacchè non si cambia il quesito. Se, nel caso della puntura, il movimento di ritrarre la mano non fosse primario, lo sarebbe però un altro movimento qualunque, incoordinato, imperfetto, che poi verrebbe coordinato e perfezionato dietro il bisogno di raggiunger lo scopo, evitare il dolore. E bene, ci troviamo ugualmente di fronte a un moto non premeditato, che ci porge le coscienza di una reazione; cioè di fronte al fatto volitivo elementare, cui ci era d'uopo analizzare.

Il nostro scopo era di sapere in che modo questa azione volontaria elementare si comporti rispetto agli altri fatti elementari prima trovati. Or bene, i primi rapporti che ci si presentano sono questi: 1° Il fatto volitivo segue quello emotivo e quello conoscitivo; 2.° perchè ne è condizionato: di fatti non vi sarebbe reazione se non la provocasse un tono di sentimento e la nozione dello spazio ove si inizia; 3° e giova a sfuggire o a mantenere quei fatti.

L’aspetto peculiare del fatto volontario non è dato dal movimento, perchè movimento è un termine fisico, e nemmeno dalla scelta, perchè il complesso viene dopo il semplice; l'aspetto peculiare del fatto volontario è dato dal suo atteggiamento teleologico, cioè di mezzo verso un fine, che sta racchiuso nella coscienza della nostra reazione.

Questo atteggiamento teleologico è dunque condizionato dalla presenza di qualcosa che costituisca lo stimolo e il motivo. Il motivo è il piacere, onde la volontà è diretta a cercare il piacere e sfuggire il dolore.

Quando si parla di motivi a proposito di un atto volontario elementare, non si vuole intendere nulla di posto come mèta dalla nostra immaginazione, perchè si ricadrebbe di nuovo nel regno delle rappresentazioni. Ma lo stimolo stesso doloroso piacevole attuale è principio e fine dell'atto volontario, provocando la reazione con la sua presenza, e non suscitando ancora immagini associative. Dunque in fondo a ogni atto volitivo per quanto semplice sta una forma di dolore o piacere per quanto semplice, cioè un tono di sentimento. Questo legame strettissimo tra il fatto volontario e quello emotivo, come si è già detto, ha trascinato gli autori a confondere qualche volta i due fatti in uno. Di fatti il Wundt dice che il sentimento deve esser considerato come il modo di reazione esercitato dall'attività dell'appercezione contro la eccitazione sensoriale. Dove si considera il sentimento come più complesso del tono di sentimento che si trova in ciò che egli chiama sensazione. Solamente a questo tono rimarrebbe dunque il valore di stimolo, mentre il sentimento costituirebbe l’atto volontario reattivo. Ma il grado di piacere o dolore che anche nel sentimento deve sussistere in composizione con la rappresentazione dello stimolo, perde invece di aumentarla con la complessità la sua energia stimolante. In ogni modo il fatto emotivo rimane sempre staccato come stimolo o come motivo dell'atto volontario.

Non è difficile trovare la legge che regola il rapporto fra lo stimolo e l'atto volontario, sempre rimanendo nel campo dei fenomeni elementari. Si tratta dunque di stabilire la proporzione tra la puntura della mano percepita come dolore e l’atto immediato di ritrarla percepito come reazione, mentre ancora non vi è rappresentazione alcuna nè della puntura nè del movimento. È chiaro allora che, quanto più intensa è l'eccitazione dolorosa, tanto più energico è il movimento che le tiene dietro. La base fisiologica di questo rapporto sta nel fatto che il movimento è tanto più esteso ed energico, quanto più estesa ed energica è l'escursione tra gli elementi nervosi della eccitazione che deve vincerne la resistenza.

Questa proporzione spesso è data come legge generale per tutti gli atti volontarj; ma, al contrario, si può verificare soltanto tra questi fenomeni elementari. Perchè, se fra l’eccitazione sensitiva e l’atto volontario poniamo una rappresentazione, sia del sentimento, sia del conoscimento, sia del movimento, in pari tempo deve alterarsi il rapporto in quanto la determinazione dall'atto non è più data dalla sola intensità dello stimolo, ma anche dall'influenza che ogni rappresentazione esercita. In altri termini, il rapporto si complica per l'intervento delle rappresentazioni, per il semplice fatto che ognuna di esse porta seco il proprio tono di sentimento che la loro associazione modifica e aumenta o diminuisce creandone di nuovi; così che ognuno di questi si comporta alla sua volta come stimolo verso l'atto volontario. Perciò quella medesima puntura che, praticata su di un uomo addormentato, chiama in risposta a pena un leggerissimo moto del braccio, può invece, in altro momento, provocare persino l'omicidio contro chi la inflisse.

Si potrebbe obbiettare, che la fissità del rapporto non ci può essere nemmeno tra i fatti elementari su cui volge il nostro discorso. E ciò, appoggiandosi a una teoria, già in altro punto richiamata, del Bain. Pur ammettendo questi, che la fuga dal dolore e la ricerca del piacere costituiscono gli stimoli e i motivi della volontà, egli trova che l'atto volontario non si spiega solo coi motivi. Vi è nell'organismo, egli afferma, e prova, una impulsività al movimento innata; incontrandosi poi nell'esperienza questo movimento impulsivo col piacere e col dolore, si hanno i moti che accompagnano questi fenomeni emotivi, e che a principio non sono localizzati nè diretti; dopo, per acquisizione, i moti diventano volontarj, perchè permane ed è scelto il movimento che mantiene il piacere e allontana il dolore, come quello che aumenta e rialza l'energia organica e quindi del membro che lo esegue. Onde si potrebbe concludere che la proporzione fra lo stimolo e l'atto volitivo anche nei fatti elementari fluttua secondo il grado di quella impulsività innata.

Benchè altri neghino questa impulsività, sarebbe difficile confutare le osservazioni riportate a questo proposito dal Bain. Però se ne potrebbe trovare la spiegazione e la regola in una teoria ben intesa dell'istinto, che riconducesse tale impulsività nel dominio degli atti riflessi. Inoltre, alla domanda teoretica: il primo movimento cosciente del primo organismo fu o no causato da uno stimolo doloroso o piacevole? sarebbe difficile rispondere negativamente, e sfuggire in tutto o in parte al giuoco degli stimoli. Ma comunque si creda, l'opinione del Bain non è di inciampo alla nostra indagine, perchè questa impulsività è qualcosa che sta prima del rapporto tra stimolo e moto volontario, ed è il terreno su cui questo rapporto si esercita allo stesso modo che lo è la eccitabilità generale del sistema nervoso. Mi spiego. Se noi proviamo ad ingerire una certa quantità di alcool la eccitabilità nervosa da prima si rialza enormemente, poi rimane depressa. Se in questi due momenti si pratica la solita puntura, la risposta motoria sarà differente. Ma con ciò non cambia la fissità del rapporto fra lo stimolo e il moto volontario, perchè nel secondo caso l'intensità della reazione sarà di tanto inferiore a quella del primo caso, di quanto la intensità del dolore nel secondo caso è inferiore a quella del primo. E lo stesso dicasi rispetto a quella impulsività innata di cui parla il Bain, la quale starebbe al di sotto del rapporto, come vi sta la eccitabilità generale.

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