Capitolo IX.LA COLONNA VENDÔME E LA CASA DI THIERS.

Della casa del signor Thiers non resterà che lo spazio, ove gli antichi avrebbero seminato del sale, ed ove i moderni pianteranno dei fiori. E allora si rinnovellerà la leggenda indiana, la quale racconta: la Neptunia Desmanthes essere nata da una lagrima di Brahma, alla vista di un fanciullo gittato in un lago dalla madrigna.

L'Assemblea di Versailles ha di già ordinato che la casa sia riedificata a spese dello Stato. Ma il vecchio ne rimarrà inconsolabile. La lumaca ha perduto il suo guscio. E non troverà più i suoi piccoli bronzi del Rinascimento italiano al loro posto; il libro ove aveva intercalato dei segni, nel suo scaffale; le carte, che aveva dettate, nei loro cartoni; l'autore che aveva annotato i documenti che aveva raccolti, il seggiolone ove la ispirazione veniva; quel grado di luce che filtrava propizio dalle persiane e dalle bandinelle; quell'atmosfera amica che lo carezzava da trentacinque anni; quelle care abitudini, quelle innocenti nenie proprie dei vecchi uomini di lettere; quella memoria locale delle cose che spiana ed allunga la vita; quell'aria amica, facile, sommessa, piaggiatrice, che pigliano gli oggetti che ci circondano da lungo tempo.

È una nuova esistenza che s'impone a quel vecchio di 75 anni. Lo si attornia d'ignoto, e, che non ha più il tempo di ricominciare ad apprendere!

E quante memorie profane perdute! Quanti secreti intimi violati! Quante reticenze svelate! Quale rivelazione della vita di un uomo di Stato gettata così ai quattro venti, lui vivente! Ah! non sono le pietre e le tegole della sua dimora scompigliata che desolano il signor Thiers; è lo stupro della sua anima. Il castigo è stato terribile. Egli passerà molte notti insonni a rivangarlo nel cuore.

La pena psicologica applicata alla responsabilità politica non era stata mai più rudemente applicata e più profondamente sentita. Cicerone lagrimava la casa; Dante nella casa, la patria; il signor Thiers lagrimava il santuario della sua coscienza gualcito, la sua vita intima sconvolta e messa in ruina. La patria e la casa a quell'età sono l'anima, la memoria, il sentimento; le cose acquistano una emanazione spirituale.

Il gabinetto ov'era stata tessuta con tanta compiacenza la leggenda di Bonaparte sprofondava all'ora stessa che l'uomo di bronzo di quella leggenda precipitava dagli spazi dell'aria, di dove dominava ancora Parigi come il vortice di un parafulmine. Coincidenza terribile di quella giustizia misteriosa che emana dagli avvenimenti e flotteggia nell'atmosfera morale fino all'ora in cui si abbatte sopra altri avvenimenti e dà loro un senso!

Napoleone si era appropriata la colonna Vendôme mettendovi su la sua statua, come si era appropriato il Codice mettendovi il suo nome. Ma questa era l'opera della Costituente e della Convenzione, quella il risultato di milledugento cannoni di bronzo strappati al nemico nelle guerre della rivoluzione come in quelle del consolato e dell'impero.

Fra quei cannoni vi erano quelli che nel 29 Custine aveva carpiti a Spira, a Worme, a Magonza, a Francoforte; Montesquieu, a Chambery; Anselme a Nizza ed a Villafranca. Vi erano i cannoni che nel 93 Dumouriez aveva presi agli Austriaci nelle ridotte dei poggi di Jemmapes, nelle fortificazioni di Mons, d'Anvers, a Brusselles, ed Acquisgrana ed in altre contrade, ove gli eserciti della repubblica, sulla mozione di Cambon, importavano la dottrina della sovranità del popolo ed i diritti dell'uomo, e, sulla mozione di Lasource e di Clootz, portavano le depredazioni le più volenti, per il principio che la guerra nudrisce la guerra.

Fra i cannoni della colonna vi erano quelli che lo stesso Dumouriez aveva tolti l'anno stesso – il più grande della storia di Francia – a Breda, Klundelt ed in altre piazze dell'Olanda, parte dei quali però furono ripresi da Cobourg, da Clairfait e dall'arciduca Carlo. Poi i cannoni degli alleati che Dugommier aveva trovato nei forti e nei castramenti di Toulor; i cannoni che Jourdan aveva portati via dagli austriaci a Wattignies e a Mauberge; Hoche ai prussiani, nei Vosges; Desaix e Hoche nelle piazze del Reno, agli Austriaci ed agli alleati comandati da Wurmser. Vi erano inoltre i cannoni che, nel 94, Lavicloire, ex sarto, e Dugommier conquistarono sugli spagnuoli, nei Pirenei; quelli che Dumerbion e Massena catturarono nei passi delle Alpi; quelli che Jourdan prendeva agli Austriaci, a Fleurus; Scherer e Moncey, agli Spagnuoli; quelli che Pichegru raccoglieva nella conquista dell'Olanda, dove, nel solo arsenale di Dordrecht trovò 632 bocche a fuoco, la maggior parte di bronzo; e Championet, Bernadotte, Moreau, Lefebvre, Marceau... in Italia ed in Germania. Vi erano infine i cannoni che Augereau, Massena, Victor, Joubert, Serrunier, Cervoni, Laharbe, Kellermann e Bonaparte, egli stesso, mandarono al direttorio come trofei della campagna d'Italia.

Nel 1805, la coalizione europea si era rannodata più potente che mai – era l'ultimo anelito del grande Pit – onde spezzare la signoria di Napoleone, padrone d'Europa.

Napoleone gitta Massena sull'Adige, Davorest, Lannes, Soult, Marmont, Noy, Murat, Bernadotte sul Reno, ed egli stesso li segue. Tutti insieme, traversano il Danubio, vincono a Wertingen, ad Albok, ad Elchingen; rinchudono Mak in Ulm; marciano su Vienna, sfondano Kutusof ed i suoi 50,000 russi; spingono l'arciduca Carlo in Ungheria, ed entrano in Vienna il 15 novembre. Il due dicembre, 40,000 Russi ed Austriaci giacevano sul campo di battaglia di Austerlitz, e 270 cannoni cadevano nelle mani dei francesi.

A questo esercito, a questi generali, che gli aveva legati la repubblica, a questa miracolosa campagna, Napoleone volle innalzare un monumento. Il senato riceve l'ordine di decretare l'erezione della colonna. Sulla piazza Vendôme, vi era già stata una statua colossale di Luigi XIV, che la rivoluzione aveva abattuta. Sulle fondamenta di quel monumento sorse la colonna, inaugurata nel 1810.

A cima della colonna, torreggiava una statua di Napoleone, in costume d'imperatore romano. Nel 1814, gli alleati, entrati in Parigi, le attaccarono delle gomene al collo e con duecento cavalli provarono a precipitarla giù. La statua tenne fermo. Qualche anno dopo, però, Napoleone fu tolto da quei pinacoli e rimpiazzato... dalla bandiera bianca dei borboni!...

Nel 1833, la famosa statua di Seurre, Napoleone in rendigote di bronzo, con in capo il celebre cappello, ripigliò il suo posto, mentre il bronzo della prima statua serviva a fondere l'Enrico IV che è ora sul Ponte Nuovo.

La colonna pesava 251,367 chilogrammi ed aveva costato, bronzo compreso, poco meno di due milioni.

Per gittarla giù – ciò che è costato 29,000 franchi – si è segato la colonna alla base sul piedistallo; si sono messi dei cunei nella fessura, attaccate delle gomene alla base della statua sulla galleria superiore. Degli uomini, girando un mulinello che avvolgeva l'altro capo della gomena, hanno tirato giù il monumento tutto intero. Cadendo, la colonna si spezzò in due nell'aria, e non soffrì che poco, arrivando al suolo su un letto di fascine. La commozione della terra fu perciò quasi nulla. Lo strepito, in due tempi, poco più di quello di una bomba.

I fuochi del sole, all'occaso, formavano sul capo imperiale un'aureola. E sembrava ch'ei scintillasse di sdegno guardando i pigmei che gli formicolavano ai piedi. La statua di Cesare, che si era sostituita nel 63 a quella del 33, era grottesca; malgrado ciò, quel capo coronato di vittorie dominava Parigi come una minaccia, come una sentinella. Lo slancio che prese fu fulmineo. In un secondo, la colonna descrisse il quarto di curva, che separava i campi del cielo dalla terra, ove la plebaglia le saltò su e la calpestò. Un immenso grido l'accompagnò nella caduta: Viva la Repubblica!

Il nipote aveva inflitto al grande Imperatore l'espiazione che cominciò al 2 agosto e finì al 28 gennaio ultimo. La Comune gli ha inflitto il supplizio della gogna.

Niuno detto popolare era stato mai tanto vero quanto quello che suona: guardando la colonna, sono fiero di esser francese! La leggenda napoleonica – quella dello zio – è immortale, perchè niun principe francese, al pari di quel Côrso, incarnò meglio l'anima della nazione. Vizi e glorie, istinti e modi, odi ed appettiti, simpatie e volontà, passioni civili, politiche, sociali, aspirazioni orientali e sentimenti europei, antitesi di cuore, di carattere, d'intelligenza… Napoleone compendiò tutto; egli fu Enrico IV, Luigi XI e Luigi XIV, un Robespierre coronato, un Danton per impeti, Voltaire per il cervello e per ragione di Stato, e perfin religioso, per meccanica di governo.

Egli era arrivato, come la vendetta o la giustizia, onde confondere, punire, umiliare dodici secoli di tradizione storica della monarchia europea. Egli menò netto intorno la spada dell'angelo del livello, e dall'argilla infima del popolo tirò re, cardinali, duchi, conti, quelli che dominano e abbarbagliano il mondo. Egli fe' risonare il suo sprone d'oro negli echi secolari delle Piramidi, nelle tombe formidabili di Carlomagno, di Federico II, degli Habsbourg, dei Carpeti e dei Valois, a Saint-Denis dei duchi di Savoia. Egli misurò alla sua testa la corona di ferro di Carlomagno e la trovò esigua; si unse dell'olio di Reims; chiamò un papa per venirgli a servir di untore, e poscia, sembrandogli onorarlo troppo dell'uffizio, ei si coronò da sè, come un Brandeburgo un secolo innanzi aveva fatto prima di lui! Egli si assise su tutti i troni, tranne su quello di Pietro il Grande, il solo pertanto cui agognasse più che tutti, di far gemere sotto il suo calcagno vittorioso. Ma la natura, che è il genio custode della santa Russia, disse con piglio di morte: Tu non verrai fin qui! e fin lì non andò.

Egli pose la mano a tutto e rimanipolando le formole umane che la rivoluzione aveva sanzionato, ricreò una società sul vecchio tipo francese, di cui egli era l'embrione.

Spirito religioso alla superficie ed immorale nel cuore e negli atti; odio della scienza e paura e disprezzo de' pensatori, vilipesi col nome di ideologi; servitù di tutti i corpi e di tutte le istituzioni dello Stato, formando una catena di schiavi che, di anello in anello, si innalza fino al capo, il quale li tien tutti: brutalità soldatesca e bravura vera contaminata da spavalderia e da iattanza; minaccia perpetua dei popoli deboli che non accettano la supremazia del più forte; appetito di distinzioni nobilesche unito alla rabbia dell'uguaglianza; ignoranza profonda, spalmata dalla vernice brillante dell'improntitudine; egoismo e materialismo radicali, abbelliti di forme seducenti; bassezza d'animo da lacchè con petulanza da bascià; tutti i vizi nella vita, ma con eleganza; tutte le garantie nell'amministrazione, ma come ceppi; tutte le facilità nella politica, ma nessuna libertà; tutte le ipocrisie nella morale, ma nessun vincolo... ecco la società che Napoleone impastò col sangue e col fango della rivoluzione, togliendone il lievito divino del diritto, della giustizia e della libertà.

Egli era stato, di passo in passo, Gracco, Clodio, Catilina, Silla, Augusto; impresso al mondo nuovo che regolò questi germi e questi stigmati. E da sessant'anni la Francia rotola nel circolo.

Le vicende, il successo, le vittorie, lo infortunio, tutte le antitesi, tutti gli elementi di sole e di tenebre che concorsero a comporre la leggenda napoleonica, la rendono imperitura nell'anima e nella coscienza della Francia; e la Comune, che ha decretato l'abbattimento della colonna Vendôme, aggiunge la cresima di questa esecuzione alle aurore ed ai colpi del fato che accompagnarono l'aquila côrsa.

Si è gittata nel fondo della Senna la statua del 1833, rilegata nel 1863 a Courbevoie; si è rovesciata la colonna; ma l'arco della Stella? ma i libri del signor Thiers? ma la cupola degl'Invalidi? ma le canzoni di Bêranger e le odi di Victor Hugo? ma la tradizione che fluisce inesorabile nelle notti d'inverno intorno ai fuochi dei casolari, e si tramanda da padre a figlio, come un dì i canti d'Omero, quelli del Niebelungen, quelli del Ramayana?... Chi sbarbicherà ciò con un decreto o con una mina, con il patibolo o con il martello?

E poichè si è in via di proscrivere i monumenti, che cosa fanno lì l'arco della porta Saint Denis, la statua di Enrico IV sul ponte Nuovo, la statua di Luigi XIV nella piazza della Vittoria, le stesse Tuileries? Ah! guai se i rivoluzionari d'occasione avessero logica! Ma l'essere insorto gli è raramente essere rivoluzionari per mestiere. Prova Mazzini, Louis Blanc, Proudhon, Jacoby, Kossout.

La rivoluzione, che da due settimane e più fa il Comitato di salute pubblica, suscita più dispetto e pietà che paura o apprensione di mali. Altri giornali sospesi, che sotto un altro nome riappariscono l'indomani; altre visite domiciliari per pescar traditori e refrattari; altre minaccie di rappresaglie sugli ostaggi; la carta personale, per constatare l'identità; la facoltà data ad ogni guardia nazionale di arrestare chi non è munito di questa carta; e cui nessuno ha, e nessuno dimanda; le chiese, in cui il giorno si cantano messe e la sera si trasformano in clubs; le barricate che incepperebbero la circolazione, se vi fosse chi circolasse; la mobilità del personale dei governanti, se governassero, e tutti che sospettano di tutto e di tutti, e con ragione... ecco l'addizione approssimativa degli atti di questo terribile Comitato di salute pubblica!

Tutto va malissimo; però tutto tiene ancora e terrà per un pezzo, se non vi sarà tradimento – ciò che vi sarà e forse più presto che non si pensa. I federali non hanno più forti – tutti presi dai realisti; le porte sono in frantumi da un mese, sopra tutto la porta Maillot; la cinta dei bastioni è bombardata da 600 cannoni, da mane a sera, e da sera a mane; in parecchi punti questa cinta è forellata come una schiumarola; ed ora la si batte a breccia da due giorni; i cannoni dei baluardi non appena pigliano la parola, le batterie di fronte li riducono al silenzio; in ogni sortita, i federali hanno la peggio; eppure tutto va, la resistenza non scema, il coraggio non infiacchisce, la speranza vive, la decisione di resistere è irremovibile! E si battono, si battono, si battono. Dopo le ridotte i forti, burbanzano i proclami; dopo i forti la zona, dopo la zona il recinto bastionato, dopo le barricate, dopo le barricate le case una dopo l'altra... Versailles vincerà; ma quando ed a qual prezzo!

Versailles pagherà, in fin dei conti, chi gli consegna Parigi.

Ed è questa l'unica paura della Comune e di Delescluze, che oggi ne compendia tutti i poteri. Ah! se la Comune avesse avuto un programma sobrio, savio, netto e fisso, ed un uomo per farlo eseguire! Comunque e quante volte i parigini, e la Francia, e Thiers egli stesso, prima di tutti, più di tutti, avranno a rimpiangere che la Comune non abbia saputo trionfare!

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