Capitolo VIII.LE ELEZIONI DEL 30 APRILE.

Mentre la Comune e l'assemblea si cannoneggiano e si scambiano bombe a petrolio e granate, nelle trentasei mila comuni di Francia si procedeva allo spoglio dei voti delle elezioni.

Per una recente legge di Versailles codeste comuni erano state chiamate a darsi un Consiglio municipale elettivo. Esse eleggeranno altresì i loro maire, dovunque però la popolazione non oltrepassa i 30,000 abitanti. Più liberale che il signor Thiers, l'Assemblea aveva accordato o piuttosto riconosciuto, questo diritto a tutti i municipii francesi, piccoli o grandi, borghi e città. Ma il sig. Thiers, avendo dichiarato che egli non poteva governare se non gli si lasciava il diritto di nominare i sindaci nei centri di popolazione oltre i 30,000 abitanti, avendo annunziato che egli non rispondeva del famoso ordine, e profferta la sua dimissione, l'assemblea rivenne codardamente sul suo voto e si disdisse.

Le elezioni si sono dunque compiute l'altro dì.

Finora non ci è noto che il risultato delle città, precisamente di quei centri di popolazione numerosa che fanno tanta paura al signor Thiers ed alla maggioranza clericale-monarchica dell'Assemblea. I voti di sette decimi della Francia ci restano ancora a conoscere.

Se nelle votazioni dei corpi deliberanti si debba innanzi tutto considerare l'importanza morale ed intellettiva piuttosto che il numero dei voti, la Francia si è pronunciata per la seconda volta, ed i voti rurali, qualunque sia il loro volume, non mutano più i destini della nazione. Le liste repubblicane sono passate dovunque, quasi all'unanimità. Le liste clericali monarchiche hanno riunito un numero ridicolo di suffragi. Campanili e castelli, ed anticamere sono state battute.

Ma battuta altresì è la repubblica sociale e federale che, sotto il nome di Comune, era stata inaugurata a Parigi.

La significazione delle elezioni del 30 aprile non è ambigua.

Essa esprime il desiderio, la volontà della Francia cittadina, vale a dire di quella che è la più idonea ad ammettere un voto e comprenderne il valore, di conservare l'ordine repubblicano per arrivare alla pace ed alla rigenerazione nazionale, mediante la libertà; il disegno assoluto di resistere alla ristaurazione monarchica, con la sua trista coda della chiesa; allo stabilimento dei comuni, col loro intento di discentrare mediante la federazione; all'organamento sociale, mediante i metodi rivoluzionari; ad ogni attentato contro l'ordine, la libertà del lavoro, lo svolgimento attuale del sistema economico della nazione, lo stabilimento progressivo della libertà sotto tutte le sue forme. Non re, non comune, non Convenzioni bianche o rosse, non provvisorio onde darsi il comodo di cospirare, non velleità di ritornare nel brago delle dinastie sfasciate dalla collera di Parigi e condannate dalla nazione.

Il voto del 30 aprile colpisce coll'istesso vigore l'Hôtel de Ville di qui e la sala di spettacolo di Versailles, la Comune e l'Assemblea. L'una e l'altra non sono più alla taglia dell'opinione pubblica, la potenza la quale oggidì ha rimpiazzato la forza. L'una e l'altra han prodotto la guerra civile; e dalle guerre civili si vien fuori dittatore o nulla; aut Cesar, aut nihil! La dittatura è impossibile. Le città di Francia l'hanno dichiarato col voto dell'altro dì. Nè Silla, nè Gracchi, non Cesare e non Catilina. Il periodo della rivoluzione è chiuso.

La Francia vuole la repubblica come governo definitivo, il quale può, è vero, essere turbato da ammutinamenti, ma non da rivoluzioni. Le repubbliche, come le monarchie, vanno soggette a quelle pletore sociali che si addimandano rivolte: la Svizzera ha avuto il Sunderbund; gli Stati Uniti la guerra di seccessione; le repubbliche dell'America del sud sono in rivolta permanente; la storia delle repubbliche in Francia è a tutti nota. Ma, nelle repubbliche, questi avvertimenti producono sempre un benefizio sociale; nelle monarchie, una catastrofe.

Lo schiacciamento del Sunderbund produsse in Svizzera la sicurezza della libertà di coscienza, il consolidamento del potere centrale politico della Confederazione, l'abbassamento del partito clericale che ordiva la rottura dell'unione. La guerra della schiavitù.

Le sommosse dell'America del sud hanno sempre un risultato: la sconfitta del partito militare e clericale, vale a dire il sentimento monarchico.

La Convenzione salvò la Francia dall'invasione straniera e dall'invasione interna dei partiti federali, clericale e monarchico, fondando definitivamente in Francia il diritto democratico nell'eguaglianza innanzi la legge.

Le rivoluzioni delle monarchie, quando non trionfano e non schiacciano la dinastia che le provocò, non hanno altro risultato che quello di riempire le galere, insanguinare le piazze, sopprimere la libertà, turbare e demoralizzare la società, far trionfare insomma il boia, il birro, il caporale ed il prete. Poi, le dirotte di Naseby, le fughe di Varennes, il palco di White Hall, la guillottina della Place de la Révolution, i Waterloo ed i Sedan.

La Francia sembra stanca e della lunga sequela di catastrofi, per le quali è passata dall'89 in poi, e dell'annichilimento che le aveva precedute sotto la monarchia, la quale diceva: La Francia sono io!

La Dubarry chiamava Luigi XV: La France!

Questo popolo non vuole vedere più messi in dubbio dai monarchico-clericali, nè compromessi dai socialisti, i risultati ottenuti da tante rivoluzioni. Perocchè queste rivoluzioni, malgrado tutto, si slanciarono dietro una eredità di riforme.

L'89 infatti, fu la redenzione non solo della Francia, ma dell'Europa; esso chiuse il mondo nefasto del medio evo e decretò i diritti dell'uomo. Il 93 rese impossibile nell'avvenire la monarchia, piantando nel sangue il santo pennone dell'eguaglianza civile e politica. Il 1815 inaugurò il sistema costituzionale inglese. Il 1830 introdusse il sistema elettivo del re, la libertà di coscienza e dei culti, questa fatale libertà della stampa che tutti ammettono, quando sono nel partito dei vinti, tutti manomettono, vincitori; tutti credono necessaria e tutti conculcano; tutti promettono e tutti violano, di cui tutti si servono e di cui vogliono orbare altrui; cui tutti assalgono e da cui tutti sono vinti.

Il 1848 lasciò in retaggio il suffragio universale.

Il 2 dicembre esso stesso organizzò il socialismo cesarico che diventerà il socialismo economico quando si sarà trovata l'armonia degli interessi. Il 4 settembre ha colpito a morte la dittatura imperiale, e resa la libertà e la moralità al suffragio universale. E il 18 marzo ultimo è stato l'origine della libertà municipale di cui è oggimai dotata la Francia, e di cui fece uso nelle elezioni del 30 aprile.

La Francia non vuol vedere naufragare di nuovo queste così costose e tanto insanguinate conquiste, e si pronunzia pel regime repubblicano, la di cui essenza è di conservarle.

Il voto dei cantoni rurali può aver diverso significato. La Vandea, la Brettagna, la Sologna, i dipartimenti neri insomma, i dipartimenti clericali possono esprimere altre tendenze, incoraggiare l'Assemblea di Versailles ad un colpo di stato monarchico cattolico. Ma un regime qualunque, che ha contro di sè le città, non è vitale, e proclamarlo non significherebbe altro che mettere all'ordine del giorno una nuova rivoluzione, una nuova guerra cittadina.

La costituzione della repubblica in Francia poi non interessa unicamente questa nazione, ma l'Europa.

Facciamo poco conto dei tentativi ibridi del partito che si avvisasse di iniziarla altresì in altri Stati d'Europa. Queste imitazioni ridicole non hanno prospettiva di successo, nè succedendo, probabilità di allignare. Le forme di Governo non si improvvisano. E quando s'improvvisano, senza una necessità inesorabile che le giustificano, senza una preparazione storica e sociale che le rende inevitabili e normali, l'edifizio si accascia e schiaccia gli architetti.

L'Europa ha altri interessi più serii a vedere nella repubblica consolidata in Francia.

Col regime repubblicano, la Francia cessa di esser clericale e cessa di esser una potenza formidabile.

Un uomo che palleggia 38 milioni di cittadini, ne illumina l'intelletto, ne regola la coscienza, ne ispira gli atti, ne fa muover il braccio a suo volere, detta loro la fede, la volontà, la legge, il destino, il moto, l'impulso, quest'uomo, signore d'un popolo della tempra del popolo francese, è la Nemesi dell'Europa, come la Nemesi della nazione che ne è posseduta.

Col regime repubblicano, questa forza terrificante non esiste.

Il prete, non avendo più un Cesare di cui divenir complice, servendolo e servendosene, non avendo più un Cesare che gli abbandona l'istruzione pubblica, la direzione della morale, la beneficienza di cui si fa uno strumento di servitù, l'educazione delle donne, la dittatura delle anime, il prete ridotto ad una semplice funzione nello Stato – quella del culto per i soli credenti sotto la sorveglianza della polizia – cessa di essere un pericolo per la libertà, un fattore di bruti, un elemento della tirannia, un veleno nazionale. La libertà rischiara gli antri delle sacristie e dei conventi, delle scuole d'ignorantelli e delle suore della carità; gli ospizi, i confessionali, l'alcova dell'agonizzante dove si racimolano le eredità. E quindi, il clericalismo, questo vomito nero dei popoli, perde l'efficacia.

Il conquasso del clericalismo mantiene il conquasso della potenza temporale del papa, e libera l'Italia dalle noie della diplomazia francese, e dalle ansie di guerra con una nazione di cui dovremmo secondare i destini.

Il regime della libertà poi, cui mena con sè la forma repubblicana, fiacca l'incentramento della forza politica, e perciò scongiura le velleità bellicose, i disegni ambiziosi, il militarismo e la burocrazia. La Germania può intendere dunque a costituire la sua unità ed allargare l'azione della sua libertà politica.

Col regime repubblicano, la Francia si ripiega in sè, non si allarga e traripa oltre l'Alpi ed oltre il Reno. Essa si mette all'opera delle riforme interne, come l'Inghilterra, e dismette le audacie delle conquiste; regola la casa sua e non vigila la casa di altrui; si espande per la libertà, non per gl'interventi; costituisce una nazione per la nazione e con la nazione, e non rumina, nel rancore, come sfasciare, umiliare, signoreggiare l'Alemagna e l'Italia, che lavorano alla loro indipendenza ed al loro consolidamento.

La Francia è una nazione magnetica e simpatica. I popoli che la attorniano, lungi dall'avere astii ed invidie contro di lei, non sono che troppo proclivi ad imitarne perfino le stravaganze e le inezie. La lingua, la facile comunicativa, la generosità del carattere, la giovialità, la sveltezza, costituiscono di già un primato inviolabile per il francese, senza che desso abbisogni di ambizionarne un altro. Diventando voltairiano, per cui la natura del suo spirito è tagliato, diventando libero, per cui le sue abitudini sociali lo rendono altero il francese, lungi dall'essere un pericolo per l'Europa, ne sarà una forza, un elemento di civiltà. Clericale e monarchico, qual è oggidì, il francese è al di sotto del turco nella scala della civiltà europea, malgrado le belle intelligenze che noverano le alte sfere scientifiche e politiche della nazione.

La repubblica in Francia è la pace e la civiltà non turbata in Europa, la prosperità. Imperciocchè l'Europa è oggidì talmente solidale nell'azienda sociale, politica ed economica, che la scossa pronunziata in un punto si propaga con celerità irresistibile come nei corpi sonori, fino alle estremità. Il bilancio di tutti gli Stati d'Europa non risente forse dello stato di guerra, benchè localizzato? Il bilancio del commercio e dell'industria europea non è desso affetto profondamente dallo squilibrio che si è prodotto nel sistema economico delle due nazioni belligeranti? Queste son verità triviali. Epperciò l'Europa tutta dovrebbe accogliere con la soddisfazione la più completa la manifestazione, il voto espresso delle città francesi: il consolidamento della repubblica!

L'espressione di questa volontà conturberà forse la maggioranza dell'Assemblea di Versailles e disordinerà le sue file di cospirazione monarchico-clericale. Però, qualunque sia la sua fellonia interiore e la sua collera mal celata, noi non la crediamo di taglia a consumare del 18 brumaio.

La repubblica non sopprime, è vero, alcune delle difficoltà, non scioglie alcuna delle questioni sociali che turbano la nazione, ma dessa la semplifica e porge il capo del bandolo per un aggiustamento leale, legale e nei sensi della giustizia.

Da tre giorni la lotta civile ha perduto la selvaggia energia che aveva assunto la settimana scorsa. Si combatte tuttavia, ma nessuno vince. I Versagliesi progrediscono; il cerchio della resistenza si stringe ogni dì; ma l'ultima parola è lontana, ben lontana ancora dall'esser detta, militarmente. Se alcuno di quegli incidenti psicologici imprevisti, non sopraggiunge, se il petit rien che mena le cose del mondo non interviene, Parigi non cadrà così presto sotto l'impeto del cannone, anche quando i forti saranno in potere dell'esercito regolare, ciò che non è ancora, benchè li avesse ridotti allo stato di spugna, e forellati come una pietra pomice.

Ma il petit rien spunta nell'orizzonte sempre più visibilmente largo e si spande, e procede oltre; lo si può di già indicare e definire.

La Comune fa bene ad arrestare i Cluseret; i Cluseret sbucciano come i funghi nei terreni melmosi delle rivoluzioni che soccombono. Uno avulso non deficit alter!

La Comune ha costituito un Comitato di salute pubblica per scongiurare le tempeste tenebrose. È l'ultimo ridicolo che si è dato; benchè avesse dichiarato che questo comitato non ha altro senso che quello di un comitato di controllo.

Vi sono delle istituzioni che non si rinnovano: degli uomini che non si rimpiazzano.

Il papato di Pio IX, che convoca concilii, che scomunica popoli e re, che chiama l'Europa contro l'Italia, non è il papato di Innocenzo IV; il meeting del Vaticano non è il concilio di Lione; Vittorio Emanuele non è Federico II; l'Europa del 1871 non è quella del 1245, e Mastai non è il terribile Sinibaldo dei Fieschi.

Il Comitato di salute pubblica del 71 non ha nessuna analogia con quello del 93; ed i Ranvier, i Pyat, gli Arnauld... sono in faccia ai Robespierre, ai Saint-Just, ai Couthon, ai Carnot, come dei granelli di sabbia in faccia alle Piramidi, come la lucertola in faccia all'antidiluviano ignanodon.

Mettiamo dunque da banda la Comune, la quale non è più se non un ostacolo d'ore.

L'esercito di Mac-Mahon entrerà in Parigi. La reazione vi si installerà. Il signor Thiers sarà mandato via con la stessa durezza che egli ha messa in umiliare il bestiame monarchico-cattolico della maggioranza. L'Assemblea si proclamerà costituzionale e si metterà all'opera della costituzione definitiva del reggimento nazionale. L'Assemblea rurale, rappresentando il contado, è monarchica. Le grandi città, le piccole città, i grossi borghi essi stessi hanno con l'elezione dei consigli municipali manifestato che sono repubblicani moderati. Che ne pensa su tutto ciò il principe di Bismark?

Nel suo discorso del 12 maggio al parlamento vi è questa frase significativa; un grande insegnamento per i poveri spiriti dell'Assemblea versagliese, ed un avvertimento di cui saria stoltezza non tener conto. «Il governo francese attuale, ha detto il gran cancelliere, è il migliore in istato di soddisfare i voti del popolo francese. Qualunque altro governo che vorrà sostituirvisi avrà a temere di non assicurare la pace con eguale completezza.» Bismark dunque vuole la repubblica; teme complicazioni, se la si vuole rovesciare; diffida della restaurazione sia di quel prezioso Henri che si crede sul punto di essere chiamato, sia dagli Orléans che han mostrato durante la guerra, spiriti troppo guerrieri e gareggiato di contumelie contro l'Alemagna col Figaro e la Libertè. Laonde siccome il principe di Bismark è il giudice in ultimo appello della sicurezza dell'ordine e della stabilità del nuovo regime, se l'Assemblea si avvisa di scoccargli contro uno spettro qualunque delle dinastie cadute, quando gli si dirà: Ora andate via! egli potrà rispondere, e non è uomo a peritarsene: Non possumus!

Il trilemma è dunque così: o occupazione indeterminata della Francia; o repubblica; o dissoluzione dell'Assemblea di Versailles.

Nè l'occupazione dei forti di Parigi, che si «prolungherà per un altro anno, o per lo meno fino a dicembre,» è bastata al principio di Bismark. Egli ha detto: «che le truppe tedesche, nell'interesse della loro sicurezza avessero la disposizione della zona neutra situata tra la linea di demarcazione alemanna e la cinta di Parigi sulla riva destra della Senna.» L'Alemagna comincia dunque alle porte nord-est di Parigi.

Bismark infine ha stipulato delle condizioni commerciali che solo poteva dimandare: essere trattato, cioè, come le nazioni le meglio favorite.

Il ministro delle finanze attuale – l'archimandrita del protezionismo – fa grandi assegni sul reddito delle dogane. Dovunque potrà, e' riformerà le tariffe. Ed il trattato con l'Inghilterra è di già condannato a morte. Pouyer-Quartier, se resta al posto, prepara un Sédan finanziario alla Francia. Tal sia di lei. Il mercato di Francia non è indispensabile che per pochi oggetti. Le nazioni lo tratteranno, fino al punto che torna loro utile, con la legge della reciprocità, e compreranno e venderanno dove troveranno condizioni più miti. L'industria francese si troverà così esclusa poco a poco dai mercati europei e messa all'indice dalla concorrenza, per l'elevazione dei prezzi. Ciò profitterà all'Inghilterra, alla Svizzera, alla Germania ed a noi stessi, se sappiamo navigare con accortezza fra questi grandi cetacei industriali. Io sono convinto però, osservando il movimento economico che si opera in Francia, che il protezionismo non trionferà. Esso è il clericalismo e la monarchia nell'ordine economico.

Quando le elezioni suppletorie avranno avuto luogo, il centro diverrà il perno della Camera; e noi crediamo che allora si dichiarerà la costituente. Le nuove elezioni saranno repubblicane, di quella gradazione di colore cui rappresentano Jules Favre, Grévy, Simon, Picard, e i convertiti orleanisti del partito che segue il signor Thiers.

A questo partito si agglomerano il duca di Broglie, Malleville, Remusat e tutti i vecchi e nuovi parlamentari liberali i quali sono numerosi, influenti, capaci ed intraprendenti.

L'ingrossamento del centro ha di già disequilibrato le due estremità, le disorganizzerà completamente, quando i nuovi membri saranno arrivati. La maggioranza del signor Thiers conterà 500 voti per lo meno, e nelle quistioni amministrative anche di più.

La repubblica sarà proclamata da circa 600 voti.

E la Francia intiera vi si accomoderà.

Libero dalle esigenze minaccianti della maggioranza attuale, il signor Thiers si mostrerà allora meno retrogrado, meno clericale, meno protezionista. – Questo illustre clown è abituato alle evoluzioni, e non vi è scimia che sia più agile di lui – tranne Emile de Girardin – questo signor Thiers non officiale. Il signor Thiers ama la ebbrietà del potere, e sa che non può conservarlo se resta nelle panie astiose ed antidiluviane della destra. La Francia non è là. Poi, questo vecchio gamin de Paris vorrà ad ogni costo riconciliarsi con Parigi, e il signor Thiers sa che con Parigi non si riconcilia se diviene agente di papa e di re. Quel piccolo gnomo si crede il centro del mondo politico d'Europa, di cui resta uno degli ultimi così detti vecchi uomini di Stato.

Le conseguenze poi delle mutazioni che avvengono nell'Assemblea di Versailles saranno numerose e di grande portata. Innanzi tutto la vittoria sul comune di Parigi perderà l'asprezza della reazione trionfante, e le prescrizioni, le severità dello stato d'assedio saranno temperate. Il ritorno dei Bonaparte è scongiurato definitivamente, malgrado il loro tanto rimestare. L'amministrazione passerà per qualche riforma di economie anzi che di organizzazioni; perocchè il signor Thiers e il partito cui rappresenta è repubblicano e parlamentare-liberale, è centralista. La pace europea non sarà forse turbata, benchè la diplomazia europea, impastata di intrighi, cerchi di semplificare, di legare e aggruppare onde avere la magnimità di sciogliere.

La Francia avrà ancora un possente esercito permanente, ciò che, se annoierà l'Italia, non è, in definitivo, un male per l'Europa. E ciò potrà dare occasione ad un ministro italiano, se l'Italia avesse un bricciolo di ministro, che sapesse assicurare la nazione con una potente alleanza. Il signor Thiers vagheggia le alleanze a modo dell'antica diplomazia, e perciò rimuoverà i Gabinetti; e per la stessa ragione faciliterà il giuoco di quegli Stati che hanno a temere della smania d'interventi e delle turbolenze della politica straniera francese.

In una parola, l'Assemblea di Versailles, restando sempre un corpo politico retrogrado, è in via di tramutarsi, e le nuove elezioni assicureranno la maggioranza al partito repubblicano moderato, e l'esistenza alla forma repubblicana.

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