Capitolo VII.LE OPERAZIONI FEDERALI.

La lotta continuava intanto e non aveva che cambiato luogo, da Asnières e da Neuilly essa è passata ad Issy, a Vanves ed a Montrouge. Padrone della penisola di Gennevilliers, solidamente stabilite ad Asnières e lontano un tiro di fucile dai federali, che stanno attualmente quasi addossati alla cinta, le truppe di Versaglia ripresero un'attiva offensiva contro i forti del Sud. Il piano d'attacco pareva fosse quello di ottenere su questo punto i risultati ottenuti al nord-ovest, e di riuscire di tal guisa a respingere i battaglioni federali sotto i bastioni di Parigi, in tutto il semicerchio che si stende dalle linee prussiane, dalla parte di Saint-Denis, alle linee prussiane dalla parte di Charenton.

«Da qui i combattimenti vivissimi ed assai ostinati degli scorsi giorni, nei dintorni di Clamart, di Chatillon, e di Bagneux; da qui il fuoco aperto da Chatillon, da Meudon e da Breteuil, sui forti d'Issy o di Vanves.

«Il rumore della fucileria proviene dal fuoco dei federali, sparpagliati alla cacciatora, per non lasciar tregua ai Versagliesi, che continuano sui diversi punti, e i lavori d'assedio dinanzi alla seconda parallela. La posizione dei federali ai Moulineaux tira anche essa assai per impedire i movimenti delle truppe di Versaglia, gli avamposti delle quali sono ad alcune centinaia di metri dalle sue trincee.»

Un decreto della Comune ordina che tutte le persone dell'età da 19 a 40 anni, le quali hanno abbandonato Parigi dall'epoca in cui scoppiò la rivoluzione, abbiano da pagare una multa giornaliera da 5 a 50 franchi. La rendita chiuse ieri con 51 80.

Un affisso del sindaco di St.-Denis avvisa che essendo stati tagliati in più luoghi i fili telegrafici, i colpevoli saranno assoggettati alle punizioni dettate dalla legge militare.

Alle 2 pomeridiane del 30, la Comune fu proclamata alla sezione della Guillotière, e un Comitato di cinque membri è stato nominato.

Alle 4 le truppe spedite per reprimere il movimento alzarono il calcio del fucile in aria. Alle sei la Comune è stata proclamata alla Croce rossa. Alle 8 altre truppe attaccarono la Guillotière e il cannoneggiamento vi cominciò. Alle 10 di sera le truppe presero il palazzo municipale di quella sezione e le barricate. Però il fuoco di moschetteria durò fino a questa mane alle 5. Si contano circa 200 morti. L'ordine è ristabilito e le truppe occupano la Guillotière.»

Il generale Cluseret mandava la sera del 29 il seguente rapporto alla Commissione esecutiva:

«Vengo dalla visita dei forti d'Issy e Vanves. La difesa del forte d'Issy è eroica. Il forte è letteralmente coperto di proiettili, eppure tutti ridono. È cosa grande! Mentre io ero al forte di Vanves, ho assistito a un combattimento di fucileria tra Versagliesi, che ha durato tre quarti d'ora. Meudon è in fiamme».

Le cannoniere della Comune hanno incominciato a prendere la loro parte attiva alla lotta.

Queste fortezze galleggianti, in numero di sei, sono ancorate sotto gli archi del ponte-viadotto del Point-du-Jour, e quindi completamente riparate dal fuoco degli artiglieri versagliesi. Una settima cannoniera, La Liberté, più piccola delle altre, facile a manovrarsi e che pesca assai poco, bordeggia tra il viadotto del Point-du-Jour e il Bas-Meudon. Questa piccola barca, montata dai migliori puntatori, si avanza da 2 a 400 metri sulla Senna, sprigiona la sua bordata, indi ritorna a tutto vapore a rifugiarsi dietro il viadotto, sino alla stazione dei battelli-mosca. Ivi si effettua ogni volta la carica dell'enorme cannone.

Un vaporetto non armato, facente servizio di battello esploratore, circola in mezzo alle barche, portando gli ordini e raccogliendo le indicazioni sul tiro, di cui gli ufficiali sorvegliano esattamente la precisione.

Durante la notte, questa piccola flottiglia aveva preso a bersaglio il Monte Valeriano, che in allora sturbava col suo incessante fuoco le batterie della Muette e del bastione d'Auteuil. Il cannoneggiamento durò senza interruzione cinque ore di seguito, e verso il mattino il fuoco del Monte Valeriano si è rallentato.

Oggi le cannoniere eseguirono una girata di bordo senza essere inquietate, e i loro cannoni furono puntati sul castello di Meudon e sulle alture boschive di Sèvres. Queste posizioni furono bombardate senza posa, segnatamente il terrapieno del castello di Meudon, a motivo dei lavori che vi si suppongono in corso. Abbiamo potuto vedere più volte le granate a scoppiare sul terrapieno stesso, oppure ad una distanza piccolissima, ed ogni volta l'equipaggio federale, riunito sul ponte del battello, applaudiva.

I Versagliesi che si erano impadroniti del cimitero d'Issy ne furono scacciati. Nuovi lavori rendevano formidabile quella posizione mantenuta dagli insorti a tutta oltranza e con tale coraggio da far comprendere ai signori di Versailles cosa fosse quel branco di miserabili e di vigliacchi, come il signor Thiers ostinavasi a qualificare i federali.

Il formidabile cerchio però delle truppe del governo di Versailles stringevasi come le spire d'un serpente intorno alla città.

Il comitato invano faceva sforzi terribili. Al movimento mancava una mente suprema che lo dirigesse. La diffidenza s'infiltrava dei membri stessi della Comune. L'oro dei partiti che tendevano ad un solo scopo a far abortire l'Internazionale, ad infamarne gli uomini, a contaminare le barricate erette per la difesa della libertà cittadina minacciata dalla reazione del governo di Thiers, amalgamava già agli onesti del Comitato centrale i maniaci del Comitato di salute pubblica il quale ricordando il tremendo Comitato del 93, non aveva di spaventevole che il nome, e non sapendo imporsi colla vigorìa di una di quelle estreme risoluzioni che possono salvare una causa, si minava col ridicolo. Si avvicendavano decreti sopra decreti, si ordinavano arresti, si privavano i punti minacciati delle braccia che li avevano fino allora difesi, si dubitava oggi di Cluseret, domani di Rossel. La dissoluzione guadagnava quel corpo in preda alla febbre. Si sentiva che nella Comune vi era il delirio. Il delirio dell'agonia. Le truppe di Versailles d'altra parte mettevano un accanimento spietato in quella terribile caccia alla macchia di uomini che pure dovevano aver comune la patria come l'idioma!... La strage di Clamart fu uno di quei primi atti di ferocia che fece inorridire il mondo, pure non doveva essere fatalmente che un meschino episodio di quegli orribili massacri che si perpetrarono poi in nome dell'ordine, e sotto l'egida dell'autorità legale fatta strumento d'inique vendette, e di infami mostruosità. Il 22° battaglione di cacciatori era riuscito a circondare la stazione e ad entrarvi senza aver sparato un colpo di fucile.

Con pertinacia felina quei soldati erano rimasti tre ore in imboscata, prima di lanciarsi sopra la condannata guarnigione. Fra le 11 e le 12 di notte la loro prima colonna s'avanzò. Quando essi si avvicinarono, una sentinella che faceva guardia fuori della stazione diede la solita chiamata: Qui vive? Uno dei cacciatori che si trovava nelle linee più avanzate della colonna rispose: «22° battaglione della guardia nazionale». Il soldato di sentinella cadde nella trappola e permise alla colonna di venir avanti. Egli venne tosto spacciato e la stazione circondata e presa.

I cacciatori trovarono, al loro entrare, due battaglioni di guardie nazionali ed una compagnia di franchi-tiratori. Circa la terza parte degli insorti erano immersi in un profondo sonno quando il massacro incominciò.

Essi balzarono in piedi e si rannodarono per fare una resistenza, che necessariamente fu molto debole, poichè ben pochi degli insorti avevano in pronto i loro fucili.

Quanto sia stata lieve tale resistenza, può venir giudicato dal fatto che il numero dei soldati di Versaglia feriti e morti, non fu che di cinque. Assai più di 100 guardie nazionali vennero uccise sul posto. Al resto riescì d'uscir fuori e si diressero, correndo, al forte di Issy ed a quello di Vanves. I soldati li inseguirono tirando su di essi e le guarnigioni dei forti, vedendo gli spari della moschetteria e sospettando un assalto, cominciarono una fucilata micidiale dai bastioni. Così esposti, in campo aperto, ad un fuoco terribile d'amici e nemici, gli sfortunati fuggiaschi caddero in tal numero da coprire un lungo tratto di terreno di morti e feriti, al di fuori della stazione.

Era una scena terribile dentro e fuori della stazione. I clamori dei non soccorsi feriti, che chiedevano di esser portati via o ristorati almeno di un sorso d'acqua venivano uditi a gran distanza dal luogo ove giacevano. Parecchie ore dopo, quando i cacciatori s'erano stabiliti alla stazione, alcuni di quegli ufficiali, commossi a quelle grida, diedero ordine a dei soldati di andar a prendere i feriti e di portarli dentro, ma il fuoco di moschetteria dei bastioni dei forti obbligarono i soldati che volevano eseguire tal ordine ad una frettolosa ritirata.

La reazione frattanto metteva fuori il capo dall'assemblea, da quello schifoso impasto d'uomini che ad ogni costo volevano essere il governo della Francia e la trascinavano intanto verso quell'abisso della disperazione che dovè aprendosi, trarla alla estrema rovina.

Il conte di Chambord poneva senza ambagi la sua candidatura al trono di Francia.

Il Times, passando in rassegna l'importanza numerica dei partiti che regnano nell'assemblea, conta 250 legittimisti, 160 orleanisti, 200 repubblicani d'ogni mistura, 5 bonapartisti e 10 imperiali.

Di fronte allo spirito reazionario dell'assemblea, la Comune minacciata dal tradimento interno e dall'assalto esterno dei forti di Parigi, abbandonavasi ad atti che sempre più staccavano da lei gli uomini stessi che prima eransi uniti al suo programma.

I federali battevansi però con indomito coraggio, nullostante le dissenzioni interne dei Comitati. – Il 14 maggio tre gendarmi travestiti offrirono i loro servigi al Comitato centrale che messo in sospetto ne ordinò l'arresto.

Uno fuggì, l'altro fu ucciso con un colpo di baionetta da una sentinella. Il terzo confessò che erano venuti allo scopo di assassinare Dombrowscki. – I pericoli crescevano da ogni parte.

Un attentato diffatti sul generale aveva avuto luogo. Dombrowscki era ai posti avanzati di Neuilly, quando un individuo di cattivo aspetto volle precipitarsi su lui e gli vibrò un colpo di pugnale che non lo colse.

L'individuo fu all'istante rovesciato e dovette la vita all'intervento del generale stesso.

Gli sforzi di Parigi d'altronde sono le convulsioni dell'agonia. – Ecco come ne parla Petrucelli della Gattina di cui abbiamo raccolto le corrispondenze che completeranno il quadro che ci siamo assunti di tracciare.

Ciò che più interessa non è la Comune... Essa può durare un mese, un anno, la è un'altra domanda che si affaccia al pensiero... una domanda terribile...

Non è questione della Comune. I suoi giorni sono contati. – Il signor Thiers vincerà. – Il signor Thiers ha già vinto.

Chiudiamo quindi il cuore alla pietà. Si sa ciò che la guerra e la rivoluzione producono. La città deve essere smantellata. Migliaia di vittime, combattenti o no, debbono esser spezzate dalla mitraglia e seppellite sotto le rovine; il patibolo spigolerà dietro le mitragliatrici, e se il patibolo ha pudore quattro uomini ed un caporale, in un angolo oscuro di mura, sbrigheranno la faccenda. Il mogog della deportazione inghiottirà quelle lunghe file di uomini, dal guardo torvo ed altiero, che s'incamminano verso Caienna, dove la febbre gialla delle canne ansiose li aspetta.

Siamo all'indomani di una vittoria cui neppure la Chiesa, che tutto osa, non osa santificare d'un Tedeum. Silenzio e solitudine, come sulle rive del Mar Morto. Il terrore ed il dubbio in tutti gli spiriti. La libertà, alla catena come un molosso arrabbiato. Lo stato di assedio, che si abbatte su città e dipartimenti come una cappa di ferro. L'Assemblea monarchico-clericale di Versailles, costituita a convinzione in nome del re e di Gesù. Intorno intorno, una fitta nebbiaccia striata di sangue; ed innanzi a quel Comitato di servitù pubblica, innanzi a quegli affiliati al sacro cuore di Maria e di Gesù; a Versailles, un esercito che non ha patria; a Parigi, un popolo che non ha più atelier; in provincia, una nazione che ha perduto la nozione del diritto della libertà e della morale; ed alla frontiera l'Internazionale che ringhia!

Io non offusco i colori a disegno e pingo spettri di fantasia. Io ho assistito alla tragedia del 2 dicembre. Ed al 2 dicembre, non lo si obblii, trionfava al postutto un capo umano e scettico, avvegnachè attorniato da masnadieri. Oggi, trionfa un partito – quel partito che dimandò il canonizzamento di Filippo II, che canonizzò Pio V, che benedì alla Sainte-Barthélemy, e che adora sugli altari Domenico di Guzman.

A Parigi non è la Comune che soccombe. La Comune è un accidente, una espressione infelice d'un concetto giusto; la palinodia ridicola d'un'idea e di diritto di giustizia. La Comune non soccombe, cade; non espia, è punita; non è vinta, si sfascia nel vuoto, perchè la non seppe trovare elementi di coesione per tutti. Passa, ma torna. A Parigi soccombe il diseredato, il proletario, che credette di battersi e morire per Issione, e combattè e morì per una nuvola. Ma col proletario parigino soccombe adesso il diseredato di tutta l'Europa. Ora, questo diseredato e questo proletario, a cui si lascia ancora una schedola di voto, a cui s'impone il fucile della coscrizione obbligatoria, a cui si sente la necessità di offrire un'istruzione gratuita, sono la maggioranza, e codesta maggioranza è costituita in un'associazione che chiamasi Internazionale, la quale non è sotto la mano dei figli di sant'Ignazio di Versailles.

Lo saprete voi bentosto, voi italiani che credeste Roma essere Italia e non il mondo, che occupazione saprà trovare il signor Thiers a questo esercito che non ha patria, e questo proletario che non ha più officina. Non parliamone adesso. In politica, il sole corica spesso sulla tempesta, e l'alba si leva coronata di rose e rugiada.

Alla quistione del giorno non vi è per ora che la Comune, e gli uomini che la compongono. Essi appartengono tutti all'Internazionale – tranne i quattro o cinque giornalisti che vi sono guizzati dentro – e coloro che per le dottrine dell'Internazionale soffersero condanne e prigionie. Eppure la sezione francese di quell'associazione non è più radicale!

Quale sarà la loro parte?...

Il più fortunato sarà colui che la deportazione ghermirà co' suoi artigli infernali e lo getterà a sparire sulle spiaggie mute e pestilenti dell'Africa. Il più attempato fra coloro ha 35 anni.

Ieri sera ho assistito dalla torretta di un fotografo nell'avenue della grande Armée ad un altro assalto dei Versagliesi. Il primo colpo fu tirato verso le 8 ½ di sera, ed alle 11 ½ qualche obice pigro e trainard solcava ancora l'aere attristato di Parigi. L'attacco restò circoscritto tra la Muette, al Bois de Boulogne e Clichy. I campi Elisi erano gremiti di gruppi di curiosi, che sempre più assottigliandosi si spingevano fino 200 metri dall'Arco della Stella. Vi era la luna, ed il cielo era qui e là tigrato di fiocchi di bianche nuvole. Un freddo ventuccio gemeva nelle foglie dei giovani platani dei viali. Di un tratto, l'azzurro del cielo si tinge di porpora, e quelle bianche nuvolette sembravano stillassero sangue. Tre incendi, l'uno dell'avenue della grande Armèe e due nel faubourg di Roule, poco discosto dall'arco di Trionfo, allietavano i signori dell'assemblea, che, dalla terrazza di Meudon, erano venuti a contemplare lo spettacolo col castigo di Parigi! Le bombe a petrolio del Monte Valeriano avevano illuminata la festa.

Il vano dell'arco della Stella era solcato o riempito dei fuochi delle bombe, e talvolta vi si scorgeva come un astro fugace un punto più luminoso. Intorno intorno, nel mezzo cerchio dell'orizzonte, due mezzi cerchi di fuochi, quello dell'attacco e quello della difesa, e nell'interstizio, delle miriadi di lingue di fiamma. La trottola infernale della mitragliatrice scandiva il ritmo del cannone e del mortaio, ed aizzava il crepitante tumultuoso della fucilata, che si sarebbe detta una plebaglia strepitante in un dì di sommossa. Niuna voce umana in quel muggito diabolico della polvere. I raggi della luna indicavano, come un formicolìo indefinibile, i battaglioni in movimento sull'avenue, tra la porta Maillot ed il ponte Neuilly, su i bastioni, e dietro la barricata della porta. L'aria violentemente scossa dava come un palpito nell'osservatorio del fotografo; ed è mestieri dire che le bombe fossero clementi, risparmiandolo da circa un mese che dura la battaglia.

L'assalto fu respinto. Alle 10 e mezza la moschetteria si spense, e non restò che il brutale, il quale continuò per più di un'ora ancora a risvegliare ed atterrire gli echi sonnolenti e misteriosi della notte. Il Bois de Boulogne sembrava come allagato dalla Senna; i vapori del fiume ed il fumo delle artiglierie vi ondulavano su mollemente ed indolenti. La linea dei fuochi avanzava e retrocedeva, girava di manca, quasi danzasse un minuetto; talvolta si spegneva affatto, talvolta si scompigliava. L'è dunque a ricominciare.

L'opera della scorsa notte potè danneggiare un poco ancora gli spaldi, uccidere e ferire qualche uomo, ed ecco tutto. Perchè dunque il presentimento mi dice che le ore della Comune sono contate?

Perchè credo che la reddizione di Parigi non può effettuarsi che per un'azione psicologica. Un momento di stanchezza, un impeto di panico, un istante di disperanza, un ordine mal compreso, un capo venduto che lascia sguarnito un varco prezioso, un singulto di noia... e Parigi è presa!

Tutto ciò alita nell'aria. Se ne fiutano i sintomi senza poterli specificare. È un magnetismo fatidico che scaturisce spontaneo da tutte le coscienze. Le ruine non hanno solo degli echi, hanno dei gemiti profetici.

Il forte d'Issy è come una pasta di terra e di pietre. Eppure si mantiene; eppure serve ancora di ricovero ai difensori, e di ostacolo agli assalitori. Vanves, Montrouge, porta Maillot, molti altri punti si reggono appena. Malgrado ciò la resistenza potrà prolungarsi ancora di un mese. E non pertanto, una voce indefinita ondula sulla città, penetra negli animi, blandisce le speranze o confonde i calcoli strategici, e dice: le ore della Comune sono contate!

Non si discutono i presentimenti. Se ne mena vanto, quando riescono, e se ne ride quando falliscono.

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