INTRODUZIONE

Era il dicembre 2004 e visitai presso la Fiera di Milano, padiglione 3 se ben ricordo, il 1° Salone del libro usato.

Fra i numerosissimi libri esposti, uno attrasse in particolar modo la mia attenzione anche se, o forse perché, era in deplorevole stato di conservazione, sbrindellato, privo di numerose pagine, con veste tipografica dimessa e di insolito formato.

Titolo? Il Confetturiere, l'Alchimista, il Cuciniere piemontese di Real Casa Savoia.

Autore? Teofilo Barla.

Luogo e anno di pubblicazione? Torino, 1854.

Lo acquistai e, complici i miei molteplici interessi, mi appassionai nel leggere le ricette riportate nel volume – alcune in verità molto insolite – e quindi mi posi all'opera per ricercare informazioni sull'autore, sconosciuto ai più.

Poche e frammentarie notizie si hanno su Teofilo Barla: oltre a quanto egli talvolta accenna circa le sue vicende nel corso del citato libro, è grazie a quanto scrisse in 18 lettere indirizzate alla madre Margherita Occhiena che è possibile tracciare a grandi linee la storia della sua vita.

Queste missive, facenti forse parte di un plico ben più consistente e smembrato, furono ritrovate alla fine del 1930 sotto le piastrelle del pavimento della cucina della casa dove la madre trascorse la vita, in seguito ad alcuni interventi edilizi effettuati nel quartiere San Rocco di Asti e successivamente pubblicate su un libricino intitolato Lettere a mamma Margherita dalla Corte Sabauda edito in esiguo numero di copie presso la Tipografia Vinassa (Asti, anno XI e.F., s.i.p.) a cura del geometra e storico Niccola Gabiani e che ho avuto modo di consultare grazie alla cortesia del suo possessore Giovanni Angelo Maria Burini, bibliofilo astigiano.

Infatti il cosiddetto Fondo Niccola Gabiani – acquisito dalla Biblioteca Civica di Asti nell'anno 1940 alla morte dello storiografo, già conservatore della medesima – purtroppo non contempla la raccolta di queste lettere, al pari di molte altre sue pubblicazioni di piccolo formato.

Come detto, ho potuto visionare il volumetto, ma di esso riporto solo due brevissimi stralci. Il gentile collezionista mi ha infatti lasciato intendere che forse potrebbe ripubblicare il testo a seguito dell'edizione del presente libro e ciò sarebbe una cosa veramente meritoria perché in esso sono riportate molte curiosità circa la vita della Corte Sabauda del tempo: una storia minima che viene narrata alla madre da un insolito testimone oculare.

Ho rintracciato poche altre informazioni su Teofilo Barla successive al 1854, anno dell'edizione del suo libro, nelle brutte copie di alcune lettere da lui inviate quasi certamente a Giovanni Vialardi e allegate agli atti dell'inchiesta sulla morte per annegamento del nostro autore (cfr. AA.VV., Almanacco dei principali eventi accaduti in Torino nell'anno 1872, Torino, Tipografia eredi Botta, s.d., s.i.p.) e poche altre ancora in una breve notizia di cronaca in merito a tale disgrazia apparsa sul settimanale astigiano Il Cittadino.

Come da Prefazione Autoriale al suo libro, Teofilo nacque ad Asti il 29 marzo 1796 nel quartiere di San Rocco e rimase orfano all'età di due anni quando suo padre, il nizzardo Jean Baptiste Barla, perì nel corso di una rissa causata da presunte violazioni di diritti di pesca alla carpa nel vicino fiume Tànaro.

Fu allevato dalla madre Margherita Occhiena e con lei rimase fino a quando la vedova conobbe nel 1810 un ufficiale che prestava servizio nel Corpo Reale degli Ingegneri di Casa Savoia, tale Filiberto Bodritti, che era stato inviato ad Asti da Torino con il compito di progettare la destinazione d'uso a caserma di tre antichi edifici di culto dismessi che sorgevano nel quartiere astigiano: il monastero di Sant'Anna e i conventi del Carmine e di San Giuseppe.

Filiberto Bodritti si adoperò affinchè l'orfano trovasse impiego presso la Corte Reale e in effetti, nel corso dello stesso anno, il giovane Teofilo venne accolto in qualità di guattero presso le cucine di Casa Savoia: da notare che a quei tempi il termine guattero (o sguattero) non aveva l'odierno significato spregiativo, ma stava a indicare uno dei numerosi e invidiati Ajutanti che collaboravano con il Capo di Cucina di Casa Reale.

Barla ricoprì questo incarico per 37 anni, regnanti Vittorio Emanuele I, Carlo Felice e Carlo Alberto fintanto che quest'ultimo, in seguito alla preparazione di una confettura da lui ideata che gustò con enorme piacere, gli conferì nel 1848 l'incarico di Maître Pâtissier et Confiseur Royal e lo pose alle dirette dipendenze del Capo di Cucina Giovanni Vialardi che in quell'occasione fu promosso Capo Cuoco e Pasticcere, grazie alla ricetta del suo collaboratore.

Il lavorare a fianco di un superiore che più che tale era un amico da lunga data – forse maggiormente abile di lui nel far valere a Corte il proprio operato – segnò l'esistenza lavorativa di Barla, specie quando Vialardi evitò che il suo sottoposto fosse allontanato con ignominia dalle cucine reali in seguito a un serio incidente occorso nel febbraio 1851 durante un banchetto che ebbe luogo nel castello di Garessio. In occasione di una battuta di caccia condotta in prima persona da Vittorio Emanuele II, Barla insistette per preparare una polenta alla moda della Valle di Aosta, ma la presentò maldestramente in tavola rovesciandone in parte sulle gambe di sette commensali, fortunatamente ancora in tenuta da cavallerizzi.

Declassato seduta stante a guattero, cercò di superare la cocente esperienza e, sperando di ritornare nelle grazie reali, decise di pubblicare un trattato di cucina: Il Confetturiere, l'Alchimista, il Cuciniere piemontese di Real Casa Savoia, come scrisse all'anziana madre (... al pari di quanto si narra circa il Santo di cui porto il nome m'adopererò fintanto che diverrò il siniscalco di questa Real Corte …).

E in effetti nel 1854 – prosciugando i propri risparmi – diede alle stampe un migliaio di copie del libro, suddiviso in tre tomi, presso un anonimo tipografo che era quasi con certezza qualcuno che ricopriva un incarico di alto rango nella stamperia reale di Torino.

Implorando di essere riconfermato nell'incarico che gli era stato revocato tre anni prima, dedicò l'opera a Sua Altezza Reale Vittorio Emanuele, Re di Sardegna (poi d'Italia) e all'Aiutante Capo Cuoco e Pasticcere di Real Casa Savoia Giovanni Vialardi, più volte citato nel corso di alcune ricette, che poco tempo prima si era ritirato a vita privata.

Non si sa quali furono le reazioni da parte di Casa Savoia, salvo quella di mandare al rogo un centinaio di copie che erano state destinate da Barla alla biblioteca reale e soprattutto non è dato sapere di come il libro venne accolto dai lettori, ammesso che ne abbia avuti, in quanto risulterebbe che quasi tutte le copie residue siano state ritrovate nell'ultima dimora dell'autore.

Però è noto che in quello stesso anno, pochi mesi prima e forse a insaputa di Barla, Giovanni Vialardi aveva pubblicato il suo Trattato di Cucina, Pasticceria moderna, Credenza e relativa Confettureria contenente oltre 2.000 ricette. Questo libro, effettivamente moderno e innovativo rispetto ad analoghi del tempo, ebbe grande successo e le sue numerose ristampe inducono a ritenere che in quel periodo non vi fosse molto spazio commerciale per altri testi su analoghi argomenti.

Teofilo Barla, che aveva sperato di rinverdire i favori reali con la sua pubblicazione, non raggiunse lo scopo prefissosi e il suo carattere, da riservato e solitario quale era, divenne abulico, indolente e litigioso e ciò causò il suo allontanamento dalle cucine dei Savoia come risulta da una delle brutte copie di alcune lettere forse inviate a Giovanni Vialardi e da un Regio Biglietto del settembre 1865: L'accidia e la superbia con le quali il guattero Barla ammesso nel 1810 al Nostro Servizio attende al disimpegno dei propri doveri ha incontrato la Nostra riprovazione, eppertanto egli sia destinato quale stalliere di lettiera presso la Nostra Reale Palazzina di Caccia di Stupinigi coll'annuo stipendio di lire trecentosessanta.

Se si considera che nel 1816 Barla percepiva 400 lire annue che divennero 1.050 quando ricoprì l'incarico di Maître Pâtissier et Confiseur (per poi essere ridotte prima a 560 e poi a 360 quando fu declassato), che il cibo e l'alloggio erano ben diversi da quelli cui era abituato e soprattutto che la sua mansione lo portava ad annusare profumi che certo non erano quelli delle amate cucine, si può comprendere quale potesse essere il suo stato d'animo dopo sette anni di servizio con l'incarico di stalliere di lettiera quando, in una torrida giornata dell'agosto 1872 (giovedì 29), si recò sulle rive del fiume Sangone per praticare l'abituale pesca di frodo alla carpa con cui integrava l'esiguo stipendio.

Scoperto, inseguito e catturato da due Carabinieri Reali, anzichè arrendersi ingaggiò una furibonda e tanto immotivata quanto drammatica colluttazione con le forze dell'ordine. Come riportato sul settimanale astigiano Il Cittadino, una delle guardie inciampò in un arbusto e, perso l'equilibrio, spinse involontariamente in acqua Teofilo Barla che, inabile al nuoto, perì tra i flutti.

Nell'articolo si dice inoltre che con sommo stupore degl'inquirenti tra i miserrimi beni del malandrino furon rinvenute molte centinaia di copie d'un identico libro di cucina a suo nome o di un suo omonimo, tutte in pessimo stato di conservazione in quanto rose dai ratti e dalle muffe per cui la Gendarmeria reputò necessario dar loro le fiamme.

Dopo vent'anni, il 29 agosto 1872 i destini dell’ex Maître Pâtissier et Confiseur e dell'ex Capo Cuoco e Pasticcere di Casa Savoia si incrociarono nuovamente: infatti nello stesso giorno Giovanni Vialardi si spegneva serenamente nella sua casa di Brusasco munito dei conforti religiosi, ricco, famoso e circondato dall'affetto dei sette figli e di oltre un centinaio fra nuore, generi, nipoti e pronipoti.

Come accennato, il libro di Teofilo Barla consta di tre tomi: Il Confetturiere piemontese di Real Casa Savoia ovverosia del modo di confettare frutti diversi in diverse maniere, L'Alchimista piemontese di Real Casa Savoia ovverosia del modo d'ottenere diversi elixir in diverse maniere e Il Cuciniere piemontese di Real Casa Savoia ovverosia del modo di cucinare diverse carni di terra, di aria e di aqua in diverse maniere seguito da: il modo d'approntare quattro bianco mangiare in quattro diverse maniere. Le ricette contemplate sono cento, 32 per ognuno dei primi due tomi e 36 per il terzo, di cui 4 espressamente dedicate al bianco mangiare.

Lo stato di conservazione del volume, probabilmente uno dei pochi esemplari che sono scampati ai due roghi che hanno perseguitato la pubblicazione, non è dei migliori: vi sono pagine mancanti o parzialmente strappate, nicchie e gallerie di anobidi, muffe, polvere ecc.

Purtroppo del I tomo sono intelligibili solamente 18 ricette e analogamente accade per quanto riguarda il II; del III tomo, 20 ricette su 36. Quest'ultimo è a sua volta suddiviso in: carni di terra (sono salve 10 ricette su 12), carni di aria (mancano le pagine di tutte e otto le ricette), carni di aqua (sono salve 6 ricette su 12) e bianco mangiare (salve 4 su 4).

Secondo quanto è riportato in alcune brevi notazioni poste dall'autore all'inizio di qualche ricetta, è possibile attribuire a esse i seguenti anni di riferimento in base a questi accadimenti:

1815 – nn. 11 e 12, tomo I: Gioachino Bellone e Giovan Battista Sales sono alla Corte dei Savoia;

1824 – nn. 7 e 8, tomo I: Carlo Alberto ritorna a Torino con la moglie e il figlio Vittorio Emanuele;

1826 – nn. 3, 4, 15 e 16, tomo I: Henri Braconnot divulga la sua scoperta della pectina;

1831 – nn. 7 e 8, tomo III: Giuseppe Gabetti compone la Marcia Reale d’Ordinanza;

1840 – nn. 27 e 28, tomo II: Gian Battista Pezziol ottiene il brevetto per il suo Vov;

1847 – nn. 19 e 20, tomo II: Michele Novaro compone la musica de Il Canto degli Italiani, detto anche Inno di Mameli;

1848 – nn. 1 e 2, tomo I: Teofilo Barla è promosso Maître Pâtissier et Confiseur Royal;

1848 – nn. 1 e 2, tomo III: Vittorio Emanuele II e Rosa Vercellana cenano alla Reale Palazzina di Caccia di Stupinigi;

1848 – nn. 7 e 8, tomo II: Gino Ferrero viene internato presso il Cottolengo;

1850 – nn. 11 e 12, tomo III: Maria Anna di Savoia, esule a Praga, si reca a Torino;

1851 – nn. 9 e 10, tomo I: Teofilo Barla viene declassato alla mansione di Guattero;

1852 – nn. 23 e 24, tomo II: Giovanni Nepomuceno Maria di Asburgo-Lorena viene alla luce;

1852 – nn. 9 e 10, tomo III: Giovanni Vialardi viene declassato alla mansione di Aiutante Capo Cuoco e Pasticcere;

1853 – nn. 35 e 36, tomo III: Maria Clotilde di Savoia si comunica per la prima volta.

Per le restanti ricette è difficile individuare con certezza a quali anni si possano riferire, anche perché quando Teofilo Barla accenna a Sua Maestà, a Sua Altezza Reale, al Sire, ecc. non specifica mai il nome del regnante.

Per quelle in cui Giovanni Vialardi è citato con la qualifica di Aiutante di Cucina, il periodo temporale è compreso tra il 1824 – 1845; Aiutante Capo di Cucina, tra il 1845 – 1847; Capo di Cucina, 1847 – gennaio 1848; Capo Cuoco e Pasticcere, 1848 – fine 1852.

A proposito della carriera di Vialardi, la ricetta 9, tomo III svela un piccolo mistero: molte delle sue biografie accennano al fatto che rassegnò nel 1853 le dimissioni dal suo incarico presso Casa Savoia con la qualifica di Aiutante Capo Cuoco e Pasticcere e in effetti quando pubblicò l'anno successivo il suo libro Trattato di cucina, pasticceria moderna, credenza e relativa confettureria, si definisce tale pur avendo ricoperto per 5 anni un ruolo gerarchicamente superiore.

Che cosa mai era accaduto? Grazie al libro di Barla ora è noto che nel 1852 e molto probabilmente verso la fine dell'anno, tenuto conto del tipo di ricetta eseguita, Vialardi fu declassato per ordine di Vittorio Emanuele II, come già capitato l'anno prima a Barla, a causa di un'affermazione giudicata dal Re più consona a un capo popolo che a un capo cuoco e forse è anche in seguito a questo fatto che, non ancora cinquantenne, decise di lasciare Casa Savoia e di ritirarsi a vita privata.

Per quanto riguarda Barla, si può notare che, forse ancora addolorato e adirato per quanto accadutogli, cita nella ricetta 9, tomo I, i nomi di coloro che ritiene essere stati la causa della sua disgrazia e sempre a proposito di consapevoli o inconsapevoli delazioni – salvo che si tratti di un errore di stampa – si veda la ricetta 23, tomo II in cui afferma di essere stato autorizzato da Vialardi al pagamento di 7.000 lire d’argento per conoscere gli ingredienti di una ricetta definita segreta e poche righe dopo si può leggere che il Re loda Vialardi per averne spese solo 9.000.

Per contro, un'apparente bontà d’animo (o rassegnazione?) trapela leggendo alcune ricette, a esempio quelle in cui egli afferma di essere orgoglioso che la sua preparazione è stata apprezzata a Corte e di essere felice di quanto accaduto anche se il merito, e talora il conseguente compenso economico, è stato attribuito ad altri.

Sarà ingenuità o malizia quando narra nella ricetta 2, tomo III, di aver giurato che non avrebbe mai parlato con alcuno di una scappatella di Sua Maestà, ma nel contempo informa il lettore di quanto accaduto alla Palazzina di Caccia di Stupinigi. In ogni caso, è molto probabile che fu a causa di ciò – e forse anche di quanto è riportato nella ricetta 7, tomo I – che le copie del suo libro destinate alla biblioteca reale siano state mandate al rogo per ordine di Vittorio Emanuele II.

Sempre nella ricetta 2, Barla accenna di supporre che l'amante del Re sia miope (le cronache e i pettegolezzi di Corte ci informano invece che a quel tempo era analfabeta) e di essere stato mosso al sorriso da alcune parole del sovrano, ma non specifica se la causa sia stata dovuta a un lapsus del re, alla sua vanteria amatoria o al fatto che il cibo coadiuvante d'Afrodite sia stato ritenuto erroneamente quello cucinato da Vialardi.

Vi sarebbero altre piccole curiosità e molti pettegolezzi narrati da Barla circa la convivialità della Corte Sabauda, ma lascio al lettore il piacere di rintracciarli.

Le ricette di Barla hanno una caratteristica peculiare e insolita, cioè la duplice versione di una medesima preparazione: quella ordinaria e quella sublime, cosa che non si riscontra in alcun trattato di cucina precedente e successivo al suo. L'esposizione di ogni ricetta ordinaria termina facendo riferimento a quella successiva (sublime) con l'esplicita menzione che si tratta di una preparazione afrodisiaca: in effetti viene suggerito l'utilizzo di una miscela di spezie ed erbe alcune delle quali oggi potrebbero essere sicuramente definite come stupefacenti e/o psicotrope, ma che nel corso del XIX secolo non erano considerate tali.

Secondo quanto afferma Barla, queste ricette riscossero un notevole successo presso la Corte Sabauda e talvolta accenna ad alcuni effetti collaterali indesiderati ma conseguenti allo scopo cui era destinata la loro esecuzione.

Oltre alle due versioni di una medesima ricetta, si può anche notare che ve ne sono alcune simili fra loro e, quasi per prevenire una critica a tale proposito, Barla ne fa cenno nella sua Prefazione Autoriale.

Da notare anche che sia in tale prefazione, sia nel corso di qualche ricetta compaiono alcune frasi che Barla presenta come proprie, ma che in realtà altro non sono che citazioni di varia fonte non menzionata.

Questa particolarità può far ritenere che avesse letto molte opere di carattere letterario, filosofico e religioso, come d'altronde scrisse in diverse occasioni alla madre, a esempio in una lettera del febbraio 1848 con cui comunica alla settuagenaria congiunta la sua promozione a Maître Pâtissier et Confiseur (... è da lunga pezza che m'applico su qualsivoglia libro io riesca a rinvenire e tanta è la mia brama del sapere che, come digià ammannii al Regio Bibliotecario Michele Saverio Provana del Sabbione, oggi ammannisco al Regio Bibliotecario Domenico Casimiro Promis i più ghiotti bocconi pei suoi pasti al fine che mi sieno procurate pel tramite suo acconce opere per lenire tale brama e eziandio trascuro Morfeo per questo studio matto e disperatissimo avendo disio di arrampicarmi vieppiù sull'albero della conoscienza...).

Barla e Vialardi pubblicarono nello stesso anno i loro libri, ma quanta differenza nella stesura delle ricette! A parte il numero (100 dell'uno contro le oltre 2.000 dell'altro, corredate da più di 300 incisioni), Vialardi è il primo autore di un ricettario in lingua italiana che utilizza il sistema metrico decimale, adottato dai Savoia nel 1845, per esprimere i pesi e le misure degli ingredienti.

Il suo linguaggio, pur superato col trascorrere degli anni, è quanto meno coerente con quello del suo tempo – anche se su questo punto quell'Olindo Guerrini citato da Pellegrino Artusi non sarebbe stato d’accordo – mentre quello di Barla, forse anche a causa dei suoi tanto volenterosi quanto disordinati studi da autodidatta, è impregnato di arcaicismi lessicali, di alcuni errori grammaticali e di numerose ripetizioni.

Da rimarcare anche che nel testo di Barla si raccomanda più e più volte di porre particolare attenzione all'igiene nell'eseguire le preparazioni alimentari, cosa abbastanza rara per analoghi trattati dell'epoca, ma tralascio ulteriori considerazioni per non privare chi mi ha seguito fin qui del piacere e della curiosità che può riservare la lettura di quel che resta di 100 ricette che il nostro sfortunato autore aveva sperato di tramandare ai posteri e per qualcuna di esse si potrebbe anche avere la fondata impressione che sia giunta fino ai nostri tempi, seppure con altro nome e diversa attribuzione.

E si potrebbe anche fondatamente ipotizzare che Teofilo Barla abbia conosciuto personalmente Alexandre Dumas (père) come accenna, senza citarne il nome, al termine della sua Prefazione Autoriale e che fra loro si sia concordata una collaborazione editoriale, peraltro mai realizzata. È assodato che lo scrittore si trovava a Torino nell’agosto 1852 e una tenue traccia a suffragio di questa tesi può essere data dalla citazione che si trova all'inizio dell'elenco alfabetico del suo Grande Dizionario di Cucina, pubblicato postumo: l'homme ne vit pas de ce qu'il mange, mais de ce qu'il digère, come già perentoriamente affermato da Teofilo Barla.

Un'ultima curiosità: sia il padre, sia la madre di Giovanni Vialardi e di Teofilo Barla hanno lo stesso nome.

Bruno Armanno Armanni

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