Capitolo III.

Breve anzi che no pei lettori, ma sugoso per Arrigo da Carmandino.

Come la brigata fu giunta alle case degli Embriaci, il giovine Arrigo tolse commiato, non senza promettere a messer Guglielmo che sarebbe andato a visitarlo. Il lettore intenderà che Arrigo dicesse al padre, ma che il discorso, nella sostanza, andasse alla bella figliuola. Ed io glielo lascierò credere, sebbene avrei buono in mano per dimostrare che l'ossequio ad un uomo come l'Embriaco c'entrava per la sua parte.

Arrigo, dunque, tornò una e più volte in quella casa; e, bisogna dirlo a sua lode, ogni qualvolta ei metteva il piede sul limitare, il cuore gli batteva forte, come gli era battuto alla prima. Soltanto gli uomini della nostra generazione stracca possono affogare la delicatezza dell'affetto nelle acque morte della consuetudine; laonde a me, figliuolo del mio secolo, non fa gran senso vedere un amico mio passeggiare con aria uggiosa accanto alla moglie, non ricordando più i giorni ch'egli era tutto fuoco e fiamma per lei, ed affrettava col desiderio l'ora in cui gli fosse dato vederla, fanciulla ancora, in quella conversazione, dove si era introdotto con tanta fatica.

Ogni giorno, al cadere del sole, il nostro giovane era al fianco di messer Guglielmo, il quale si ristorava, conversando con Diana ed Arrigo, dalle quotidiane fatiche per l'allestimento del suo naviglio. L'ospite toccava di sovente il liuto, alla maniera dei trovatori, cantando qualche cobla o serventese nella lingua di Provenza; e Diana, che avea risaputo il discorso fatto da suo padre ad Arrigo, si sentiva la più felice tra le donne.

La sua allegrezza era, a dir vero, turbata dal pensiero della partenza di Arrigo. Ogni giorno ella udiva dalla bocca del padre come andassero solleciti gli apprestamenti navali, e non era quella per fermo una consolazione per lei. Ma non s'ha a credere, per altro, che la fanciulla degli Embriaci fosse una delle nostre Malvine, che dànno negli spasimi per ogni cosa, e si strappano i capegli dalla disperazione. Diana avrebbe commesso un peccato mortale a strappare i suoi, che erano bellissimi, e, nata di padre guerriero e marinaio, in tempi d'avventure e di zuffe continue, si sarebbe mostrata indegna del proprio sangue, se troppo si fosse doluta che il suo fidanzato partisse, per andare in Soria, a romper lancie contro le schiere infedeli.

La bella Diana, scambio di pregare, lavorava assiduamente a metter punti d'oro su d'una fascia di seta. Nessuno le aveva chiesto per qual santo ella usasse tanta diligenza, ma lo indovinavano tutti. In casa di messer Guglielmo non si era anche annunziato solennemente; ma tutti sapevano, congiunti, amici e famigliari, che non si poteva dare nè immaginare una coppia meglio combinata di quella.

Un uomo solo se ne rodeva, un uomo solo guardava di mal occhio il trapunto di madonna Diana. Gandolfo del Moro era amico di Nicolao, il primogenito di Guglielmo Embriaco, e Nicolao gli aveva promesso di aiutarlo presso il padre suo ad ottenere la mano della sorella. Perciò quell'altro si tenne sicuro del fatto suo; e quando tra giovani cavalieri si lodavano le grazie della bella Diana, invidiando anticipatamente il fortunato mortale che l'avrebbe condotta in moglie, messer Gandolfo tronfiava, faceva la ruota, come a dire: «invidiatemi pure, io sono quel desso.» Ma durò poco la sua gloria, ed egli si trovò scavalcato, mentre si credea fermo più che mai sull'arcione. Arrigo da Carmandino s'era fatto avanti, e gli era bastato presentarsi, per vincere. Gandolfo del Moro non volle già persuadersi che il cuore di Diana fosse libero di darsi a cui più gli piacesse, e tutta la sua rabbia si volse contro di Arrigo, come se Arrigo gli avesse rubato una cosa che apparteneva a lui, a lui, Gandolfo del Moro.

Il nostro geloso aveva pensato da prima di romperla apertamente con Arrigo e disfarsene con un buon colpo di spada. Ma il Carmandino era un osso duro da rodere, e Gandolfo era certo di averne la peggio. Allora gli venne fatto un nuovo disegno, che gli parve il migliore, tanto che volle mandarlo subito ad effetto, appostando due ribaldi in una viottola presso la torre dei Della Volta (che ancora non avevano assunto il nome di Cattanei), da dove il Carmandino, tornando da casa gli Embriaci, soleva passare ogni sera. Senonchè, la mattina dopo l'agguato, si trovò un morto sulla strada, e il superstite non ardì ritentare la prova.

Arrigo aveva indovinato donde gli venisse il colpo, ma non fece motto ad alcuno di quel suo rischio notturno, contentandosi da quella sera in poi di girar largo ai canti per esser pronto ad ogni evento e non lasciarsi cogliere alla sprovveduta. In quanto a messer Gandolfo, si può argomentar di leggieri che non andasse attorno a menar vanto della disfatta.

Intanto, l'armata genovese era in assetto per prendere il mare. La partenza fu assegnata pei primi di luglio del 1097, sotto il comando di Guglielmo Embriaco. Erano dodici galere armate di tutto punto, piene di cavalieri e di arcadori, scelti tra i riputati di Liguria, e le seguiva un sandalo, nave oneraria di quei tempi. Padroni di quelle galere erano i cittadini che ho nominati più sopra, uomini prodi e navigatori esercitati nella caccia continua ai pirati, che infestavano allora il Tirreno.

Questo, come ho detto, avveniva nel 1097. Capi dei Crociati erano (lo accennerò brevemente per chi non ne avesse ricordo) Goffredo di Buglione, duca di Lorena, Baldovino ed Eustachio, fratelli di lui, Ugo fratello del re di Francia, due Roberti, l'uno figlio al re inglese e duca di Normandia, l'altro conte di Fiandra, Raimondo conte di Tolosa e Stefano conte di Bles, tutti seguiti da un numero stragrande di Tedeschi, Francesi, Inglesi, Scozzesi, Italiani. Non andarono Spagnuoli, perchè, travagliati da guerra continua coi Mori, si potea dire che avessero la Crociata in casa. Ugo, passato in Italia, aveva rappattumati i due fratelli normanni, Boemondo di Taranto e Ruggero di Puglia, in discordia tra loro pel principato di Melfi. Con essi e con Tancredi, nipote a Ruggero, partivano ventimila uomini; anch'essi gente italiana.

Giunti per vie diverse a Costantinopoli, passato il Bosforo e calati in Bitinia, i Crociati espugnavano in cinquantadue giorni la città di Nicea; donde spartivano l'esercito in due corpi, l'uno destinato a correre la Licia e la Panfilia, l'altro a penetrare in Cilicia, dove occupava Tarso, Malmistro, seguitando poi alla volta d'Antiochia, capitale della Siria, a dodici miglia dal mare, dove era il porto detto allora di San Simeone. Colà approdavano i Genovesi, mentre l'esercito si travagliava nel difficile assedio. Ma di questo a suo luogo; rifacciamoci ora al porto di Genova, dove sta l'armata, sul punto di salpare le ancore.

La sera innanzi la partenza, Arrigo fu, come di consueto, alla casa di messer Guglielmo. L'Embriaco stava a consiglio coi notabili della città presso il vescovo di Ciriaco, e non v'ebbe che Diana a ricevere Arrigo.

— Madonna, — le disse il giovane, — domani si parte.

— Lo so; — rispose Diana, chinando i suoi begli occhi a terra, per nascondere due lagrime. — Addio dunque, messere! Il cielo v'abbia in custodia, e laggiù, tra le donne di Sion, che hanno fama di tanta bellezza, non vi faccia dimenticare di me.

— Oh, non temete! — esclamò egli con accento solenne. — Voi dovete credere, madonna, che Arrigo da Carmandino vi terrà la sua fede, come credete in Dio e nella lealtà del vostro genitore. Io vi amo, Diana, come la più santa cosa che al mondo sia, e un amore cosiffatto non può affievolirsi per volger di tempo nel mio cuore, dove esso rimarrà come sacro suggello ad ogni cosa che io pensi o faccia in futuro. Io, per contro, — soggiunse egli umilmente, — so quanto poco valgo al paragone delle grazie vostre, e temo.... temo che gli occhi di Diana degli Embriaci non abbiano a cadere su altri, migliori a gran pezza di me.

— Perdonatemi, Arrigo! — ripigliò la fanciulla, dicendo assai più cogli occhi supplichevoli che non facesse colle parole. — La donna che vi ama voleva celarvi le sue lagrime e nella confusione non ha trovato miglior cosa a dirvi che una scortesia. Ma non so parlare, io, come si dovrebbe parlare ad un uomo come voi; tutto il meglio dei miei pensieri mi resta qui, dentro il cuore. Ora sappiate che qui dentro c'è pure, e ben custodita, l'alterezza del sangue d'Ido Visconte, donde scendiamo ambedue, e la figlia di Guglielmo non può amare che un prode. O come vorreste, messere, che mentre mio padre, mio zio Primo di Castello, i miei fratelli, e con essi il fiore dei cavalieri di Genova, fossero in Terra Santa a sostenere il buon nome della nostra città (la frase è vostra, messer Arrigo), io potessi volger gli occhi intorno.... o al basso, — aggiunse ella prontamente, — per guardare i rimasti? —

Diana aveva profferito queste ultime parole con molta veemenza. Era forse quella la prima volta che sotto i sembianti della fanciulla trasparisse la donna. Del resto il momento era solenne, e amore è gran maestro d'eloquenza per tutti. Anche Arrigo fu eloquente a rispondere.

— Di ciò non dubitavo io punto; e voi, madonna, non dubitate di Arrigo. Son vissuto finora senza amare altra donna fuor quella da cui nacqui; vivrò il restante della mia vita non amando che voi. —

Non ripeterò ai lettori tutto ciò che, seguendo un bandolo così bene avviato, andavano dipanando i due giovani in quell'amoroso colloquio. Chi non è stato innamorato? E chi dunque non sa che cosa potessero dirsi quei due nobili cuori, in un momento solenne, che era il primo e poteva anche esser l'ultimo delle loro espansioni?

Diana trasse fuor da uno stipo la fascia di seta, trapunta di sua mano, la baciò e la porse ad Arrigo; il quale la prese divotamente, come vi sarà facile argomentare, baciandola a sua volta.

Il giorno seguente, sul far dell'aurora, le galere salparono le ancore, sciolsero i provesi e si misero alla via. Tutta Genova era sulla spiaggia a salutare i suoi cari.

Il mare era cheto e scintillava tremolando ai primi raggi del sole, apparso allora allora di là dall'azzurro promontorio di Portofino. Una brezza leggiera spirava da ponente, come impromessa di fortunato viaggio alle galere della croce.

Diana accompagnò fino al lido il padre, lo zio Primo di Castello e il fratello Ugo e Nicolao. Gandolfo del Moro partiva anch'egli per Terra Santa, e stava al fianco dell'amico. Ma Diana nol vide, o nol curò; ben vide Arrigo, che stava al fianco di suo padre.

La fanciulla si sentìa venir meno; pure, si fece animo, fino a tanto i suoi le furono vicini. L'addio di Guglielmo Embriaco fu quello d'un padre e d'un eroe; il che vuol dire che egli non ebbe vergogna di bagnare con una lagrima amorosa il candido fronte della sua bella figliuola.

— Le vostre preghiere, madonna, ci portino ventura. —

Furono queste le ultime parole di Arrigo; a cui Diana rispose con un gesto eloquente, alzando gli occhi al cielo, quasi lo chiamasse a testimonio del voto.

Ella stette colà, ritta, immobile, senza lagrime, sulla punta del molo, fino a tanto le galere non si dileguarono sull'orizzonte. La povera derelitta aveva la morte nel cuore.

Quando fu giunta alle sue case, nella sua fida cameretta, le forze l'abbandonarono, e pianse, pianse lungamente, colla faccia ascosa sul guanciale del suo letticciuolo. Indi, alzati gli occhi ad una immagine di Maria, che pendeva dalla parete, e che la volgare credenza attribuiva al pennello di San Luca, si fece a pregarla in tal guisa:

— Madre santa, essi vanno a riscattare il sepolcro del vostro divino figliuolo. Ma qui rimane una donna, una povera donna, senza padre, senza fratelli, senza.... Oh Maria, madre d'amore, fate voi che ritornino! —

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