Che era egli avvenuto di Arrigo da Carmandino? Era caduto vittima del suo temerario valore? Erano di lui quegli avanzi mezzo abbrustoliti, in cui temeva di averlo avvisato Gandolfo del Moro?
Ricordate chi fosse Gandolfo, e pensate con che sincerità potesse egli aver manifestato quel suo desiderio di essersi ingannato. Caffaro, che bene lo conosceva e lo sapeva rivale di Arrigo, era il primo a dubitare di quella sincerità e di quella testimonianza. Ma un fatto era vero; che nella presa di Cesarea il povero Arrigo era scomparso; che era rimasto in balìa dei nemici, nel furore di quella disperata difesa; donde si poteva argomentare facilmente che lo avessero fatto a pezzi, vendicando su lui lo scorno di una prima sconfitta.
Anch'egli, Caffaro, espugnata la seconda cinta di mura e posate le armi, aveva chiesto nuove del suo povero amico. Ma tra per la diversità della lingua, quantunque già allora i pellegrinaggi e le guerre avessero dato vita a quella parlata bastarda che faceva intender tra loro Cristiani e Saracini, e per la confusione e lo smarrimento dei vinti, egli non aveva potuto saper altro che questo: i pochi Genovesi, entrati primi nella seconda cinta, essere stati colti in mezzo e aver venduto cara la vita, cadendo, stremati di forze e coperti di ferite, su d'un mucchio di cadaveri.
Niente adunque di più naturale che il loro capo fosse morto con essi, e che il bitume infiammato, onde usavano i difensori per respingere gli assalti, appiccandosi alle vesti e alle armature, avesse rosolato le carni dei morenti, sfigurati, resi irriconoscibili i corpi.
Così pensava anche messer Guglielmo. Povera la sua figliuola! Come avrebbe accolto ella il messaggio?
Nello avvicinarsi alle sue case, tra Macagnana e il Castello, il grand'uomo si smarriva d'animo, tremava in cuor suo, come avrebbe fatto un bambino.
Diana era sulla soglia ad aspettarlo, attorniata da tutti i congiunti, familiari e servi di casa Embriaca. Come una giovine matrona romana, essa era rimasta alla custodia dei lari domestici, mentre gli uomini attendevano agli obblighi loro fuor dei confini della patria, e aveva governato il suo piccolo mondo con senno e fermezza, rafforzata dall'autorità del suo nome e circondata dall'ossequio di tutti.
Abbracciò il padre, e confuse con quelle di lui le sue lagrime; lagrime d'allegrezza le sue, di mestizia e di tenerezza quelle del padre. Strinse di poi la mano ai fratelli, e fu lieta di non veder altri con uno di loro. Il fedele Gandolfo non aveva stimato prudente consiglio di accompagnare fin là il suo amico e protettore Nicolao.
Concessa la debita parte agli affetti domestici, Diana cercò degli occhi Arrigo, e non lo vide nel corteggio paterno. Forse era andato prima alle sue case. Ma che? Bene era egli tornato una prima volta di Soria, e la sua prima visita era stata per le case dell'Embriaco. Il cuore le si strinse d'improvviso, come per presentimento d'una sciagura. Volse gli occhi a suo padre e vide il volto di lui impresso di profonda pietà. — Arrigo! Arrigo! — balbettò essa, e si sentì venir meno.
Messer Guglielmo fu pronto a sostenerla nelle sue braccia.
— Animo, figliuola mia! — le susurrò egli all'orecchio, mentre cercava di condurla verso le scale. — Pensate che siete del sangue d'Ido Visconte, e che, dove la patria è in festa, debbono tacere i privati dolori. Diana, fate buona custodia al cuor vostro, in questi momenti solenni. Io sono addolorato al pari di voi. Venite, figliuola, e preghiamo Iddio che accolga nella gloria celeste i martiri della sua fede. —
La preghiera di suo padre era un comando per la nobilissima fanciulla. Mormorò alcune frasi sconnesse; rattenne le sue lagrime, le ricacciò indietro a forza, le sentì ridiscendere, gelarsi intorno al suo povero cuore. Non le reggevano le membra, ma il braccio del padre era saldo ed ella si trovò, senza pure avvedersene, nella sua fidata cameretta, dove aveva tanto pensato a lui, tanto pregato per lui, pel suo gentil fidanzato. Eppure non pianse, tanto era lo smarrimento dell'animo; non rispose parola alle molte ed amorevoli del padre, che, congedati i suoi famigliari, si era ridotto per quel giorno al fianco dell'amata figliuola.
Muta e fredda a guisa d'un marmo, ascoltava il suo fiero genitore, diventato un fanciullo per lei. Cogli occhi sbarrati e l'orecchio intento, beveva avidamente, più che non udisse, le dolenti notizie della presa di Cesarea e della sparizione di Arrigo. Il valore di lui, la fama acquistata, l'amore e l'ossequio dei compagni d'arme, cose tutte che ella sapeva e che le venivano ricordate nel racconto paterno, erano una vana memoria oramai, raggio di un sole che si dileguava, eco d'un suono che era cessato. E tutte quelle parole fatte di lui, come voci di là dalla tomba, le rimbombavano nell'anima, davano suono come di corda spezzata.
Povero cuore! Quale vi apparve da quel giorno la vita! Quella casa in cui si affaccendavano i servi, lieti pel ritorno del loro glorioso signore, era un chiostro per lei, un antico chiostro in rovina, tutto popolato di larve, che andavano e venivano, ma senza dar suono al suo orecchio, che gestivano e parlavano tra loro, ma in una lingua sconosciuta. Quella città, tutta piena di gente operosa ed allegra, tutta suoni e canti e rumori festosi, era un camposanto, nel quale ella si trovava, raccolta in un angolo, a pregare su d'una fossa, a piè d'una croce. La croce! la fossa! Ahimè, neppur quelle ci aveva, su cui raccogliere i suoi affetti desolati. Non c'era, in tutto quel mondo mutato, un luogo, un punto d'appoggio per lei. Diana stessa, la povera Diana, era una larva tra i vivi.
Le avete mai sognate, quelle solitudini ignude e fredde, in cui si rimpicciolisce il cuore e si smarrisce il pensiero? Il cielo, i monti, il piano, son tutti d'un colore; non un fil d'erba su cui posar l'occhio; non un batter d'ali a cui tener dietro sull'orizzonte; un senso di freddo vi corre per tutte le fibre; il sole è spento; si ha la certezza che non tornerà più. Bel sole, glorioso sole, che eri la vita del mondo, che facevi risplendere così puramente quel cielo, scintillare così allegramente quel mare, e variare per tante gradazioni di tinte quei colli, che avevi dato impulso e dettato un inno d'amore a tante umili esistenze, sei morto anche tu? Ancora una reliquia del tuo calore, che si andrà spegnendo a grado a grado, e poi regnerà in terra la notte. Oggi il male, domani il peggio; in lontananza il nulla, l'orrido nulla!
Tale apparve la vita a Diana. Non sorrisi, non carezze dei suoi, valsero a distogliere il suo spirito dai tetri abissi in cui si era sprofondato. Non piangeva: fu anzi veduta sorridere umanamente alle sue donne, che si facevano intorno a lei colle usate dimostrazioni di ossequioso affetto, e quel sorriso parve a tutti più doloroso del pianto. Che avveniva egli in quell'anima chiusa ad ogni sguardo indagatore? Si maturava la follia? O si preparava le vie lo struggimento della morte?
Per molti giorni e settimane, quella povera mesta non accennò il desiderio di ritornare sul doloroso argomento. Ma ognuno, al solo vederla, indovinava qual cura fosse presente nell'animo della infelice Diana.
Finalmente, un giorno, ella chiese di sapere per filo e per segno l'accaduto. Forse le si era snebbiata la mente e l'afflizione si era chetata un tratto nel suo cuore; forse una speranza le si affacciava allo spirito, una speranza lieve ed incerta, che un più assegnato racconto di tutti i particolari della espugnazione di Cesarea e un più diligente esame di tutti gli indizi raccolti dai compagni di Arrigo, avrebbe potuto rendere più salda, o far dileguare del tutto.
Ugo, il diletto fratello, si fece ad esporre partitamente le cose già dette in breve dal padre. Diana, sebbene rabbrividendo ad ogni tratto, come persona colta dalla febbre, pure ascoltò attentamente, e di molti particolari, che le erano sfuggiti dapprima, volle ripetuto il racconto.
— Infine, — diss'ella, quando si avvide che Ugo non aveva più altro a narrarle, — Arrigo da Carmandino non è stato più rinvenuto. Questo soltanto è accertato. —
Nicolao aggiunse, rispondendo alla tacita conchiusione del ragionamento di lei:
— Gandolfo del Moro lo ha riconosciuto tra i morti. —
Il cuore della fanciulla diè un balzo violento, a quell'accenno crudele e al ricordo di quel nome odiato, che, dall'ultimo ritorno dei crociati in poi, non le era più venuto all'orecchio.
— Consentite, sorella, — ripigliò Nicolao, — che il nostro amico Gandolfo vi racconti la cosa egli stesso. È doloroso, — soggiunse, notando il senso che la sua proposta aveva fatto sull'animo della fanciulla, — ma infine, se voi dovete sapere, e se è giusto, come io penso, che voi sappiate ogni cosa... —
Nicolao non ebbe tempo di finir la sua frase, perchè Diana, che a tutta prima non aveva saputo dissimulare un senso di ripugnanza, si era subito ravveduta e lo interrompeva a mezzo.
— Venga l'amico vostro, — diss'ella. — È ancora un omaggio alla memoria di Arrigo, che io ascolti chiunque mi parla di lui. —
Gandolfo del Moro non era mai troppo lontano dal suo fido Nicolao, e giunse più sollecito che la stessa Diana, dopo essersi risoluta di riceverlo, non avrebbe potuto desiderare.
Il giovine cavaliere dai capegli rossi e dalla torva guardatura si fece avanti tutto peritoso, severo all'aspetto, ma più azzimato del solito, colla sua gavardina di color pavonazzo aggiustata all'imbusto e colle calze divisate di bianco e di azzurro.
— Madonna, — diss'egli, sospirando, — la perdita di un così prode cavaliere è un lutto universale. La cristianità ne aveva pochi che gli stessero a pari, nessuno che gli andasse avanti per gentilezza e valore. —
Diana accolse le parole compunte di Gandolfo, con un gesto che voleva dire: — sta bene, ma venite al fatto, messere. —
Così dato sesto all'esordio, Gandolfo del Moro narrò come fosse entrata nell'animo suo la persuasione dell'orrida fine d'Arrigo. Quegli avanzi umani da lui veduti erano per l'appunto in una viuzza angusta e tortuosa, presso alla seconda cinta di mura. Colà il valoroso Arrigo e i suoi compagni di sventura dovevano essere stati arrestati dai difensori, trovatisi allora in numero soverchiante. Le armature, comunque ridotte, si riconoscevano essere di cristiani, e, sebbene in gran parte consumati dal fuoco, si potevano ancora distinguere alcuni brani di sorcotta, che era la clamide portata dai cavalieri sulla corazza, o sulla maglia d'acciaio. Come quel pugno di valorosi fosse stato ridotto in tal guisa, era facile argomentare. Avevano combattuto disperatamente, approfittando della strettezza del passo per non lasciarsi cogliere in mezzo, e i nemici non erano venuti a capo di finirla con quella meravigliosa difesa, se non col gittare, dai parapetti delle logge e delle altane, bitume infiammato sui combattenti.
Tutte queste erano prove generiche. L'indizio che colà e in quel modo fossero finiti parecchi dei Genovesi entrati con Arrigo entro la seconda cinta di mura, non poteva esser più certo. Ma chi in quegli avanzi miserandi, aveva riconosciuto il Carmandino?
Diana fissava i suoi occhi in quegli del narratore; e questi, non potendo sostenerne l'incontro, chinata la fronte, terminò il suo discorso cogli sguardi a terra.
— Guardatemi in viso; — diss'ella; — forse vi faccio paura? —
Gandolfo del Moro avrebbe voluto rispondere; ma bene intese che quello non era il caso di venir fuori con una gentilezza, e che Diana non gli aveva già chiesto un detto di quella sorte. Perciò, alzate le ciglia in atto di obbedienza, stette a guardarla perplesso.
— Giurate, — ripigliò la fanciulla con accento solenne, spiccando dalla parete un dittico di avorio, in cui era dipinta da un artista bisantino la passione di Cristo, — giurate su questa croce, che ha toccato le ceneri del Precursore, che voi siete certo di ciò che dite, e che in quegli avanzi avete riconosciuto il corpo di messere Arrigo da Carmandino.
— Ho sempre desiderato di aver preso abbaglio, — rispose Gandolfo, schermendosi; — ma pur troppo mi pare che non possa essere altrimenti. Tra i vivi non è tornato; i morti, dell'ardita comitiva, eran quelli; nè altri se ne sono trovati più lunge. Di certo il povero Arrigo è caduto insieme co' suoi.
— No, non è vero; — gridò la fanciulla, seguendo l'impulso del cuore, anzi che un barlume di ragione. — Non so come ciò possa essere; ma Arrigo da Carmandino non è morto. Credo ai presentimenti; — soggiunse a mezza voce, quasi parlando per sè.
Gandolfo si appigliò prontamente a quel filo.
— Se credete ai presentimenti, madonna, ho fede che crederete a quelli di messere Arrigo non meno che ai vostri. —
Diana lo guardò con occhio attonito.
— Che dite voi ora? — balbettò ella, non bene intendendo il senso delle parole di lui.
— Dico, madonna, che un amico del povero Arrigo ha un messaggio per voi. Egli è Caffaro di Caschifellone, suo compagno nell'assalto di Cesarea, fino al punto in cui la sorte li divise, dando ragione ai tristi presagi di Arrigo.
— Come sapete voi ciò? — chiese Diana, guatandolo con occhio diffidente. — E come avete voi primo un messaggio, che l'amico di Arrigo non ha creduto opportuno di recarmi finora?
— Lo ha detto poc'anzi a me; — rispose allora Nicolao, quantunque non fosse rivolta a lui la domanda. — Messer Caffaro di Caschifellone, giunto a mala pena di Sorìa, aveva dovuto recarsi in Polcevera, per abbracciare i suoi nel loro castello di Pontedecimo, donde è tornato per l'appunto stamane.
— Ed ha un messaggio per me? Di Arrigo? — chiese ella, smarrita.
— Di Arrigo. Egli non ardiva presentarsi qui, non essendo da voi conosciuto, e non ardiva domandarne licenza a nostro padre. Nè io, nè Gandolfo del Moro, che era con me quando Caffaro mi toccò di questo messaggio, avremmo osato parlarne a voi, se la necessità....
— Basta, fratello; — interruppe Diana. — Venga il signore di Caschifellone; mio padre non troverà mal fatto che un prode cavaliero della croce mi rechi le ultime parole, l'ultimo saluto del mio fidanzato. —
Quel medesimo giorno, Caffaro di Caschifellone adempiva l'ufficio pietoso che aveva accennato nel duomo di San Lorenzo al console Pagano della Volta, al fratello di sua madre.
Entrò nelle stanze di madonna Diana atteggiato ad una profonda mestizia, ben sapendo di dover rinnovare un acerbo dolore nell'animo di quella gentil creatura, che egli vedeva per la prima volta, e di cui non aveva mirato mai la più bella.
Imperocchè, lo sapete, la fanciulla degli Embriaci era un miracolo di bellezza, senz'altro. Caffaro, nella sua adolescenza, era vissuto lontano da Genova, nel castello de' suoi padri. Più tardi era passato in Genova, ma presso un congiunto, prete nella chiesa di San Teodoro, il quale lo aveva diligentemente ammaestrato nelle umane lettere, col proposito di farne un chierico. Ma l'uomo propone e il caso dispone. Caffaro di Caschifellone non doveva lasciare ai fratelli Oberto e Guiscardo il carico di continuare la stirpe; era destinato a far parlare di sè nelle istorie della sua patria. Del resto, gli studi fatti presso il suo consanguineo avevano a dare i loro frutti, poichè Caffaro di Caschifellone, soldato, ambasciatore e console, doveva riuscire anche uno scrittore, anzi il primo annalista d'Italia, nell'alba del suo risorgimento.
Tutte queste parole per chiarirvi come e perchè Caffaro di Caschifellone non conoscesse Diana, la perla di casa Embriaca, la bella tra le belle di Genova. Anche visitata così aspramente dalla sventura e abbattuta dalle sue afflizioni, madonna Diana era sovranamente bella, come certe Vergini addolorate, che derivano dalla espressione dell'interno affanno una nuova e più efficace bellezza.
Il giovane, affacciatosi appena all'uscio, e veduta la fanciulla degli Embriaci, avrebbe voluto ritirarsi. Ma era tardi, poichè essa pure aveva veduto lui; donde avvenne che rimanesse estatico a contemplarla.
Tutta nel suo dolore, la fanciulla non si avvide di quella ammirazione, che del resto era improntata d'un ossequio profondo, e gli fe' cenno di avvicinarsi.
— Madonna! — diss'egli, inchinandosi.
— Venite, cavaliere, e non temete di parlarmi liberamente. Son forte, credetelo. E poi, se Arrigo da Carmandino è morto, che altro può egli toccarmi di più? E non deve giungermi come un refrigerio ben meritato, — notò ella mettendosi una mano sul cuore, con gesto d'ineffabile angoscia, — quella parola sua che voi mi portate di Terra Santa?
— Sì, madonna, è vero ciò che voi dite; — rispose il giovane, facendosi animo a compiere l'ufficio suo. — Le ultime parole dei cari estinti sono continuazione del loro affetto ai superstiti. Arrigo da Carmandino, il mio sventurato e glorioso amico, pensava a voi, madonna, pochi istanti prima di abbandonarci. Salivamo ambedue per la medesima scala sulle mura di Cesarea, quando egli, a poca distanza dalla merlata, volgendosi a me, che mi stringevo al suo fianco, mi disse.... Ah, le sue parole mi suonano distinte all'orecchio, come se egli parlasse ancora in questo momento!
— Orbene, messere! Vi disse?....
— «Amico mio, ve ne prego, se io muoio, dite a madonna Diana che ho pensato a lei nell'ultima ora, e che l'anima mia, con licenza di nostro Signore, a cui mi raccomando, andrà a dirle tutto l'amore che io le ho portato vivendo.» —
Il viso della fanciulla, cosparso di un pallore mortale al cominciare delle parole di Arrigo, si era a mano a mano trasfigurato. Poi che ebbe finito di riferirle, Caffaro guardò Diana, e gli parve di non aver più davanti a sè una povera donna addolorata, ma una visione celeste; una martire sì, ma raggiante, levata sulle nubi in una gloria di spiriti.
Poco stante, la trasfigurata, la martire, ridiscese sulla terra. Un dubbio le si era affacciato alla mente.
— Avete detto questo a mio fratello Nicolao? — dimandò ella al messaggiero.
— Non rammento, madonna.
— Pensateci, messere; raccogliete i vostri ricordi, ve ne prego! —
E aveva un'aria così soavemente supplichevole, così cara nella sua mestizia, che Caffaro ne fu intenerito.
— Vidi messer Nicolao questa mane; — diss'egli. — Era coll'amico suo Gandolfo del Moro. Udito della vostra tristezza (ben ragionevole, madonna, ed ogni cuore ben nato la intende), accennai al messaggio che avrei avuto da compiere. E questo dissi, lo ricordo bene ora, dopo aver notato che Arrigo aveva il presentimento della sua morte.
— E non altro diceste? non altro?
— No, Messer Nicolao mi rispose che non avrebbe mai osato annunziarmi a voi. Ed io, in verità, non avrei creduto mai d'esser chiamato così presto.
— Oh grazie! grazie pel bene che mi fate! — esclamò Diana, giungendo le palme, quasi parlasse al serafino delle sue veglie verginali. — Tacete, ve ne supplico, tacete quind'innanzi le parole di Arrigo.... segnatamente le ultime.
— Perchè, madonna? — dimandò il giovane, non intendendo il senso di quella preghiera.
— Perchè? Mi chiedete il perchè? Ah, non sapevano davvero quello che si facessero, quando mi hanno accennato il vostro messaggio! Perchè... infine, a voi amico di Arrigo da Carmandino io lo dirò; quelle parole sue erano per me, per me sola; e qualcheduno, — soggiunse Diana, rabbrividendo involontariamente, — qualcheduno, in cui mio fratello Nicolao ripone una fede soverchia, non è degno di risaperle. Perchè Arrigo vive, intendete? vive, e ritornerà tra coloro che l'amano.
— Madonna, e che cosa vi fa sperare?....
— Sperare no, esser certa. Arrigo ha promesso di venirmi a recare il suo saluto di là dalla tomba, se era volontà del cielo che egli morisse. Arrigo non è venuto; Arrigo non è morto. —
Caffaro rimase muto e triste a guardarla. Temette allora di avere col suo racconto lusingato una vana speranza, di aver forse dato esca ad una pericolosa follia, ed una profonda compassione ricercò tutte le fibre del suo cuore.
— Madonna, — rispose egli, dopo un istante di pausa, — non vi fidate in questi argomenti. Le parole di Arrigo erano un saluto, un desiderio, non già una promessa. Ahimè, pur troppo non tornano gli estinti!
— No, no, non dubitate; — gridò la fanciulla degli Embriaci. — Dopo quella solenne promessa, se fosse morto, sarebbe venuto, e Iddio misericordioso avrebbe esaudito questo voto all'anima di un martire della sua fede. Oh signore onnipotente, — proseguì ella, inginocchiandosi davanti alla immagine del Crocefisso, — voi mi avete dunque veduta nella mia afflizione? —
E diede in uno scoppio di pianto. Erano le prime lagrime che quella poveretta avesse versato, dal giorno dell'annunzio fatale della morte di Arrigo.
Caffaro di Caschifellone, giovane com'era ed inesperto delle cose del cuore, non poteva argomentare come fosse benefico quello sfogo improvviso. E si sottrasse discretamente allo spettacolo di un dolore che credeva di aver rinfrescato, promettendo a sè stesso di non far parola a nessuno del messaggio che aveva recato a quella bella infelice.
Da quel giorno Diana non disse più verbo, non fece più atto, che accennasse alla memoria di Arrigo. Non tornò ilare già, nè serena, come era suo costume in passato; ma si mostrò tranquilla e rassegnata, umana con tutti, perfino con Gandolfo del Moro, che andava spesso alle case degli Embriaci, e incominciò a sperare, lo sciocco, di poter cancellare un giorno da quel cuore la immagine di Arrigo da Carmandino. Certi uomini hanno la insigne baldanza di credersi irresistibili; certi altri il torto gravissimo di credere che tutte le donne sian pari. Gandolfo del Moro teneva molto di questi e di quegli.
La fanciulla degli Embriaci non parve accorgersi di tutte quelle rinate speranze. I suoi modi erano aperti e pieni di cortesia per ognuno; la sua anima era chiusa. Unico accenno al segreto di quell'anima, era il lampo fugace degli occhi e un più soave sorriso, quando si presentava a lei il giovine Caffaro. Il quale non pensò davvero che tanta soavità di grazie celestiali andasse a lui, proprio a lui. Non era Gandolfo del Moro, per ingannarsi a quel segno, e, memore amico del Carmandino, ricacciò, seppellì nel suo cuore un sentimento involontario, che, nato appena, minacciava di comandare alla sua stessa ragione.
Passarono tre mesi. E finita la campagna, cioè il reggimento de' sei consoli che abbiamo accennati nel principio del nostro racconto, alle calende di febbraio del 1102, si designò un nuovo magistrato. Quattro furono i consoli nuovi: Guglielmo Embriaco, Guido Visconte, suo padre, che era stato il primo a portare il soprannome di Spinola, Guido di Rustico del Riso, e Ido di Carmandino, fratello maggiore del povero Arrigo. Era, come si vede, un consolato tra consanguinei, appartenendo tutti, salvo Guido del Riso, alla schiatta di Ido Visconte.
Anche Guglielmo Embriaco, datosi tutto alle cose del Comune, potè ingannarsi intorno allo stato dell'animo di sua figlia. E un bel giorno, mentre ella era a mala pena tornata dalla vicina chiesa di Santa Maria del castello, così le parlò il suo glorioso genitore:
— Figliuola mia, provvediamo al futuro. Fu triste il passato, e abbiamo dovuto rassegnarci ai decreti del cielo. «Dio lo vuole» fu il grido che ci ha condotti in Terra Santa e ci ha fatto meritar la vittoria; «Dio lo vuole» sia anche il nostro grido e la nostra forza nelle cose domestiche. —
L'esordio non prometteva niente di buono a Diana, che stette in silenzio, ma col cuore in soprassalto, ad ascoltare la fine.
Guglielmo Embriaco proseguì il suo discorso annunziando alla figliuola che essa doveva pensare a prender marito.
— Gandolfo del Moro — diss'egli — è un gentil cavaliere; ha congiunti in nobile stato, attinenze poderose e castella che lo fanno desiderabil partito per ogni padre che abbia una figliuola da accasare. I tuoi fratelli lo amano come se già egli fosse della famiglia; io lo pregio grandemente e lo amerò come figlio, se anche tu, come spero, lo vedrai di buon occhio. —
Al nome di Gandolfo, la fanciulla impallidì e sentì piegarsi i ginocchi. Resistere alla volontà di suo padre, quando si fosse chiaramente manifestata, sarebbe stato impossibile per lei. Sarebbe morta di crepacuore, ma non avrebbe ardito alzare la voce, per respingere la mano che a lui fosse piaciuto di unire alla sua. Per fortuna, le ultime parole di lui temperavano il rigore della paterna autorità, ed ella trovò ancora la forza di rispondergli, sebbene con voce tremante per la violenta commozione ond'era compresa.
— Padre, il mio cuore è spezzato, nè batterà più per altr'uomo. —
Messere Guglielmo fu scosso da quella confessione dolorosa.
— Diana! — esclamò egli, turbato. — Dici tu il vero?
— Per la santa croce di Cristo; — rispose ella con accento solenne. — Tu puoi uccidermi, o padre; ma io non amerò più nessuno. —
Messer Guglielmo non diede risposta a sua figlia. La guardò un tratto, corrugando le sopracciglia, come se volesse concentrar tutta in lei la virtù degli occhi e penetrare nel suo cuore. Indi si mosse, andando su e giù per la camera a passi disuguali, che dovevano certo rispondere ai varii moti dell'animo. Non era già crucciato, ma pieno di rammarico, vedendo sua figlia, una mite fanciulla fino a quel dì, mostrarsi donna in quella forma di dolore che egli bene scorgeva invincibile. Povera Diana! Come doveva aver sofferto, per rispondere in quella guisa a suo padre! E come, alla saldezza della fede, alla profondità del sentire, egli riconosceva in quella gentil creatura il suo sangue!
Diana, intanto, stava ritta ed immobile davanti a lui, bianca in viso come una statua di marmo, aspettando la risoluzione di suo padre.
Ma egli stesso non sapeva che risolvere. Si fosse trattato di muovere all'assalto d'una città, di vedere, così sui due piedi, il lato debole d'un esercito nemico schierato in battaglia davanti a lui e di dar dentro con tutte le forze in quel punto, manco male, era quello il fatto suo, perchè il Testa di maglio vedeva giusto, pensava pronto e colpiva sicuro. Ma là, davanti ad una povera fanciulla, padre, non capitano d'eserciti, messer Guglielmo titubava, non vedeva l'uscita.
— Ed ora, — diss'egli finalmente, fermandosi a un tratto, — che cosa intenderesti di fare? —
Diana raccolse le sue forze e rispose:
— Con tua licenza, padre mio, andrò in pellegrinaggio al sepolcro di Cristo; donde muoverò alla volta di Cesarea, in traccia di Arrigo. Se Arrigo è morto, e se in capo ad un anno io non avrò contezza di lui, fonderò un monastero là dove si narra esser egli caduto, e finirò la mia vita pregando per lui e per tutti. —
Messer Guglielmo capì che non c'era nulla a fare e che la risoluzione di sua figlia era immutabile. Avrebbe egli potuto negarle il suo assenso paterno; ma col suo rifiuto l'avrebbe anche uccisa.
Diana s'inginocchiò a' piedi del suo glorioso genitore.
— Padre mio, acconsenti; — gridò; — acconsenti, te ne prego per l'amore che portavi un giorno ad Arrigo. —
Si scosse a quella invocazione l'Embriaco, e una lagrima apparve sul ciglio del fiero soldato di Gerusalemme, dell'espugnatore di Assur e di Cesarea.
— Un giorno! — ripetè egli con accento di profonda amarezza. — Dite, figliuola mia, che l'immagine di Arrigo non è uscita mai dal mio cuore, come non è uscita dal vostro. Se l'ho amato! Fanciulla, il cuore del guerriero ha amori così gagliardi, che una donna, non che sentirli, non verrebbe a capo d'intenderli. Il compagno nostro di speranze, di fatiche, di pericoli e di glorie.... ma sai tu, Diana, ch'egli è più d'un fratello per noi? Avere nel tuo campo uno che t'intenda, che ti risponda anche da lunge, da un altro punto della battaglia, come ti risponde il tuo cavallo generoso ad un toccar di sprone, ad un premere di ginocchio; sapere che là, dove è più grande il bisogno, combatte un altro te stesso, che comparirà tra breve, guidando un pugno di valorosi, e ti porterà la vittoria, come tu la porterai a lui; che fa voti per te, come tu li stai facendo per esso; e tutto ciò senza dubbiezze, senza timori, senza invidia (perchè là, davanti alla morte, non c'è invidia, sai!), questa è l'amicizia del guerriero, questa è la fratellanza delle armi. E posso io dimenticare Arrigo da Carmandino? Mio figlio Arrigo? Pensa, immagina quel che vorrai; dimentica che poc'anzi ti parlava un padre, costretto a consigliarti pel tuo bene futuro; ma non giudicare il soldato, il soldato che ha il suo culto immutabile nel cuore, il soldato che ti risponde: un altro Arrigo non c'è; nessun altri prenderà il suo posto qui dentro. —
E si lasciò cadere su d'un seggiolone, il grand'uomo, e pianse come avrebbe pianto un bambino.
— Vedi, padre, vedi? — gridò ella, esaltandosi a quelle infiammate parole del console; — tu lo hai amato davvero, e non potresti più amarne un altro in sua vece.
— È vero. Ma il cuore dell'uomo può chiudersi; quello di una donna, di una fanciulla, come tu sei, non lo può, non lo deve. La donna, nel corso della vita, ha mestieri di appoggiarsi ad un uomo.
— O ad una memoria; — soggiunse Diana. — Ho veduto l'edera e la vite, a cui siamo spesso paragonate, appoggiarsi alle rovine. E la mia scelta è fatta. Se Arrigo non è morto, verrà, o noi dovremo rinvenirne le traccie.
— Le traccie! In che modo?
— Chiedi a Gandolfo del Moro. Egli, a cui tanto premeva di riconoscere un compagno d'armi in poche ossa non consumate dalle fiamme, egli sarà il primo a dirti, se tu lo interroghi col medesimo sguardo con cui fulminavi i nemici, il primo a dirti che Arrigo vive, e che egli ne ha la certezza.
— Che dici tu mai?
— Dico, padre mio, che Arrigo, sulle mura di Cesarea, fece voto di poter venire in ispirito a recarmi un ultimo saluto, se era destinato che egli dovesse cadere. Iddio, per la cui fede egli combatteva, Iddio lo avrebbe esaudito; io avrei veduto lo spirito di Arrigo, se egli veramente fosse rimasto tra i morti. Non deridere la mia fede, o padre; essa è più salda che mai. Arrigo non è venuto; egli è vivo, ed io debbo rintracciarlo, dedicare a lui la mia vita. Non me lo avevi tu concesso in isposo, e non doveva egli consacrarmi la sua? —
Messere Guglielmo rimase un tratto sovra pensiero.
— Hai risoluto? — le chiese, dopo un istante di pausa.
— Sì, padre mio; so di accorarti, ma invero non meriterei di essere tua figlia se pensassi altrimenti. O con lui, o su lui. —
Il console piangeva, ve l'ho detto. E le sue lagrime bagnarono la pura fronte di sua figlia.
Quel medesimo giorno l'Embriaco andò per le usate faccende alla casa del Comune. I quattro consoli avevano allora non pure il reggimento della signorìa, ma altresì quello delle controversie e delle cause civili, non essendo ancor l'uso, che venne pochi anni dopo, di separare i consoli dello Stato, o maggiori, dai consoli de' placiti.
Però, quel giorno, finito di render giustizia, Guglielmo Embriaco invitò i suoi colleghi a radunarsi in segreto, per vedere se non fosse il caso di allestire una nuova armata e mandarla a guadagnare altri allori ed espugnare altre terre in Sorìa.