Il biondo scudiero non aveva anche lasciato la sala d'udienza del re di Gerusalemme. Era rimasto là ritto, colle braccia prosciolte sui fianchi, cogli occhi fissi, ma senza guardar nulla davanti a sè, nell'atteggiamento di chi medita, cercando la soluzione d'un dubbio. Era bello, il giovine scudiero, d'una bellezza fin troppo soave e delicata per un uomo. La sua carnagione bianca si era leggermente abbronzata al sole di Palestina, e questo era bene, perchè altrimenti egli sarebbe apparso un po' scolorito. Ma il pallore del suo volto prendea lume da due occhi turchini così profondamente espressivi e da una doppia cascata di capegli biondi così fine e copiosa, che la sua vista non destava certamente pensieri di compassione amorevole, come accade sempre ai cuori bennati, quando s'incontrano in un bel viso che porti le traccie d'un interno dolore. L'armonica leggiadria delle forme, non potuta dissimulare affatto da una lunga tunica a crespe i cui lembi gli giungevano fin oltre al ginocchio, tradiva una rara eleganza, che a Fidia, a Prassitele, e a tanti altri felici adoratori della bellezza, avrebbe strappato un grido di ammirazione e destato in cuore il desiderio che quel biondo garzone fosse da Giove mutato in donna, per offrire il modello al simulacro della più castamente bella tra le sue divine figliuole.
Senza esser Fidia, nè Prassitele, il giovine Caffaro doveva pensare alcun che di simigliante, perchè, essendosi a bello studio ritirato per l'ultimo, come fu sulla soglia, si volse ancora indietro a guardare il biondo e pensoso scudiero.
Il silenzio che si era fatto d'intorno a lui, scosse dalla sua meditazione quest'ultimo. Il suo sguardo, tornato d'improvviso alle cose circostanti, s'incontrò allora in quello di Caffaro.
— Signore di Caschifellone, — disse lo scudiero, facendo un passo verso di lui, — una parola, vi prego. —
Caffaro tremò tutto a quella inattesa chiamata. Sapete già che il suo cuore non era di smalto.
— Che cosa desiderate da me, Carmandino... poichè così volete esser chiamato? — soggiunse egli, con un mesto sorriso.
— E ben fate, messere; — ripigliò lo scudiero; — questo nome ha da essere il mio per elezione, quando non lo sia per altro modo. Ditemi, avete notato l'ardore insolito e nuovo di Gandolfo del Moro?
— Sì, e vi confesso, mad... Carmandino, — riprese subito, correggendosi, il giovine Caffaro, — vi confesso che mi ha colpito di stupore.
— Ah, voi pure?
— Certo, e non poteva essere altrimenti, vedendo lui, così freddo per solito, infiammarsi in quella maniera. Ma già, lo ha detto egli stesso, ogni privato rancore, ogni pena segreta, — e facendo questa giunta alla frase di Gandolfo, il giovine non potè rattenere un sospiro, — deve cessare davanti all'obbligo di soccorrere un prode concittadino, un gentil cavaliere.
— E voi credete, — disse, dopo un istante di pausa, il biondo garzone, — che quelle parole fossero sincere?
— Non so; — rispose Caffaro, sconcertato da quella domanda; — so bene che il mio cuore si è commosso a quelle parole, che rispondevano così giusto a ciò che credo e sento io medesimo. —
Lo scudiero chinò la fronte, confuso.
— So anche un'altra cosa; — soggiunse Caffaro a cui pareva di aver detto un po' troppo.
— Quale? — dimandò lo scudiero, levando le ciglia e interrogando coi suoi grandi occhi azzurri il volto amico di Caffaro.
— Che io pure andrò con Gandolfo del Moro; — rispose questi, con accento deliberato. — Arrigo da Carmandino era il mio compagno d'armi, il più caro che io m'avessi. Insieme, sulla medesima scala siamo saliti, abbiamo afferrato il ciglio delle mura di Cesarea. Il destino ha voluto che io giungessi alla saracinesca, in quel punto che essa si chiudeva dietro a lui; ma certo, se l'obbligo di volgermi indietro, per chiamare i compagni, non mi avesse trattenuto un istante, io sarei penetrato nella seconda cinta con lui, ed avrei corso la sua medesima sorte. Egli è vivo e sano, coll'aiuto del cielo ed io debbo essere dei primi a vederlo. —
Lo scudiero era rimasto intento, palpitante, ad ascoltarlo. Ma, come il giovine Caffaro ebbe finito di parlare, egli si avvicinò, gli prese ambe le mani e le strinse tra le sue, con effusione di affetto fraterno.
— Non sarete solo, messere! — gli disse poscia, mentre Caffaro, fortemente turbato, rispondeva a mala pena a quella stretta amichevole.
— Che dite voi, Carmandino? — chiese questi, come si fu riavuto.
Ma lo scudiero non si pigliò cura di rispondergli direttamente.
— Messere, — riprese egli, — vorrei domandarvi una grazia.
— Quale? Parlate, comandate al vostro servitore, al vostro amico devoto.
— Desidero di avere un colloquio... Non indovinate con chi?
— Non saprei. Porse con Gandolfo del Moro?
— Con lui. Vedete, messere; anche voi correte col pensiero a quel nome; anche voi sospettate, al pari di me. —
Caffaro non poteva rispondere di no, perchè infatti, anche a lui aveva fatto senso quel mutamento improvviso del rivale di Arrigo. Perciò, scambio di rispondere, pensò di sviare il discorso.
— Volete parlare con lui subito?
— Appena egli sarà uscito dalle stanze del re.
— Dove?
— Io vado là, — rispose il biondo garzone, con accento impresso di solenne mestizia — a pregare sul Calvario, ai piedi del santo sepolcro di Cristo. Vi aspetterò.
— Sta bene, — disse Caffaro inchinandosi, — io rimango in vedetta. —
Lo scudiero si allontanò, dopo avergli fatto colla sua bella mano un cenno d'amorevole addio.
Rimasto solo, il giovane signore di Caschifellone pensò alla novità, o, se meglio vi torna, alla gravità del suo caso. Amava di schietta e salda amicizia il suo concittadino Arrigo, e si era invaghito, senza volerlo, sì, ma perdutamente eziandio, della bella Diana. Come se un simil contrasto non bastasse ancora alla infelicità di un giovinotto, anche più maturo e più sperimentato di lui, Caffaro di Caschifellone era diventato l'uomo in cui la fanciulla degli Embriaci fidasse di più, non esclusi i suoi fratelli medesimi. Convenite che lo stato di Caffaro non era il più lieto di tutti, nè, per conseguenza, il più invidiabile.
Che cosa avrebbe egli fatto? Come sarebbe uscito dal ronco? Se Diana, ritrovato il suo Arrigo, fosse andata sposa a lui, il disgraziato giovane avrebbe chinato la testa alla ferrea necessità, ma non disegnava certamente di rimanere a Genova, spettatore della felicità di Arrigo, del suo ottimo amico. Se Arrigo non fosse tornato tra i suoi, e Diana avesse dovuto prendere il velo, come infatti aveva accennato di voler fare, il nostro Caffaro, disgraziato del pari, non avrebbe già chinato la testa, l'avrebbe perduta senz'altro. E questo si nota per dimostrarvi che, comunque l'andasse, il nostro povero amico si vedeva a mal partito. E guardate disdetta! Gli toccava anche di peggio; gli toccava di essere il confidente, l'aiuto, il protettore di amori che gli passavano il cuore.
I miei lettori lo avranno osservato qualche volta nella vita; ci sono degli uomini a cui vanno di giusta ragione tutti i dolori e tutti i sacrifizi, come rondini al nido. Nessuno si avvede che soffrono; tutti si volgono a loro per consiglio o soccorso e non c'è caso che si avvedano di tormentarli. Eppure, tanto è vero che ogni spino ha il suo fiore, anche qui c'è la sua parte di bene. A quella incudine così assiduamente martellata si temprano i forti caratteri, che poscia domineranno il tempo loro, se la fortuna si ricorda una volta di essi, o alla peggio non ne saranno dominati, se avviene che la cieca dea passi davanti a loro, senza la limosina d'un sorriso. Nell'un caso o nell'altro, costoro sono uomini davvero; e chi sa? forse c'è un libro in cui si tien conto di ciò. E se pure non ci fosse, che importerebbe? La solitaria libertà dell'anima non è essa il primo dei beni e la ricompensa più certa?
Questa è filosofia, e Caffaro di Caschifellone non era anche giunto allo stadio filosofico delle sue mestizie. Per fortuna, ad interrompergli il filo delle tristi meditazioni, uscì Gandolfo dalle stanze del re. Caffaro gli andò incontro, non senza un tal poco di titubanza, bene argomentando che il secondo colloquio non gli avrebbe fatto piacere come il primo.
Gandolfo non lo amava di certo. La rivalità in amore, come in ogni altra ragione di cose, non ha mestieri di vederci chiaro; essa è naturalmente istintiva.
Eppure, Gandolfo del Moro, vedendo il giovane che si spiccava dal suo posto, nel vano d'un finestra, per muovergli incontro, andò sorridendo verso di lui.
— Messere, — diss'egli, — mi aspettavate? Che volete da me?
— Due cose; — rispose Caffaro, niente raffidato da quel sorriso, che poteva essere simulato; — una v'ho a dire per conto mio, l'altra per conto d'una persona che preme ugualmente a noi tutti.
— Sta bene; — disse Gandolfo, inchinandosi; — cominciamo dalla....
— Dalla prima, — interruppe Caffaro, temendo che l'altro fosse per lasciarsi sfuggire di bocca mezza scortesia.
— Stavo per dirlo; — soggiunse Gandolfo del Moro.
— Io verrò con voi alla spedizione di Gaza; — ripigliò il signore di Caschifellone.
E buttata fuori la sua proposta, stette ad aspettare ansiosamente l'effetto che avrebbe fatto sul suo interlocutore.
— Grazie! — rispose brevemente Gandolfo, senza punto scomporsi.
Caffaro rimase sconcertato. Si aspettava una cera scontenta, e vedeva in quella vece un amabile sorriso.
— E non basta; — soggiunse egli, diffidando ancora. — Vi offro la mia galèa, per tentare l'impresa con voi. La Caffara ha una ciurma numerosa e un palamento di trenta remi per lato.
— Non solo, — interruppe Gandolfo, — ma è anche miglior veliera della Mora.
— Non osavo dir questo; — rispose Caffaro, ringraziando con un cenno del capo.
— Eh, non c'è niente di male a riconoscere la verità. La Mora non l'ho fatta io; l'ho comperata tal quale da Ingo di Flessa. Ha l'arrembata troppo pesante, che la fa beccheggiare più del consueto, e con mare un po' grosso c'è sempre da temere per l'alberatura. Sono difetti che ho riscontrato a mie spese; — soggiunse Gandolfo del Moro, con un accento di melanconia che non pareva tutta da padron di galèa; — tanto che in ogni impresa giungo sempre per l'ultimo. —
La considerazione di messer Gandolfo veniva così naturalmente dal contesto del discorso, che Caffaro, anche rilevando l'allusione, la trovò affatto casuale.
— Siamo dunque intesi?
— Sì, messere, col permesso di Ugo Embriaco, che abbiamo tutti riconosciuto nostro capitano, come una continuazione dell'autorità e della fortuna del glorioso Testa di maglio. —
Caffaro andava di meraviglia in meraviglia.
— Posso dunque venir difilato alla seconda parte; — diss'egli.
— Come vi piace.
— Lo scudiero desidera parlarvi.
— Lei? — chiese Gandolfo, non potendo reprimere un moto di stupore.
— Sì; — rispose Caffaro; — non so veramente che cosa abbia a dirvi, ma mi ha raccomandato di avvisarvi subito, appena foste uscito dalle stanze del re, e voi vedete che mi sono piantato in vedetta. Lo scudiero Carmandino, poichè questo è il suo nome, è andato poc'anzi verso la chiesa del Santo Sepolcro e ci aspetta colà.
— Andremo insieme? — chiese Gandolfo che aveva notato l'intenzione duale della particella usata da Caffaro.
— Sì, se non vi dispiace; — rispose questi urbanamente.
— Anzi, l'ho caro; — proruppe Gandolfo, infiammandosi ad un tratto. — Per qualunque cosa al mondo, non avrei amato andar solo.
— Perchè? — dimandò Caffaro, inarcando le ciglia a quella uscita inattesa.
— Messere; — disse quell'altro, senza risponder subito alla domanda; — voi non avete amicizia per me. —
Caffaro rimase muto, chè veramente non avrebbe saputo negare.
— E mi duole; — soggiunse Gandolfo.
— Vi duole? — ripetè Caffaro, cercando di prender tempo. — Ma, anzitutto, donde lo argomentate?
— Da molti indizi, e, per non dirne che uno, dalla meraviglia con cui mi avete chiesto perchè io non amassi andar solo, a vedere.... lo scudiero. Se aveste amicizia per me, — incalzò Gandolfo del Moro, — intendereste il mio cuore e mi vedreste infelice... oh, sì, molto, senza fine infelice. Ora sono tranquillo, mi sono vinto, non dubitate; ma la prova è stata dura, e non poteva essere altrimenti. Aver veduta una volta la fanciulla degli Embriaci e non essersi innamorato perdutamente di lei, era impossibile, non solo a me, ma ad ogni uomo di cuore. —
Caffaro pensò che Gandolfo ragionava diritto. E senza volerlo, mise fuori un sospiro.
— Voi m'intendete ora, non è egli vero? — chiese Gandolfo.
— Sì, messere, v'intendo; — rispose Caffaro, che temeva di essersi tradito e voleva mettere in chiaro ogni cosa. — Ma il vincersi era necessario per voi, come lo sarebbe stato per ogni gentiluomo, anzi, userò la vostra medesima frase, per ogni uomo di cuore. Farei torto a madonna Diana se dicessi, o pensassi, che vi sono altre donne come lei. Non ce n'è una, mi capite? non ce n'è una, messere Gandolfo del Moro, e sono io il primo a riconoscerlo. Ma è d'una donna simile il non destare che nobili e santi pensieri nel cuore d'un uomo, e il miglior modo d'amarla, dirò meglio, d'averla amata, è quello di operare nobilmente, anche a patto di dover soffocare nel petto l'amore che si è sentito per lei.
— Beato chi lo ha potuto far subito, — esclamò Gandolfo del Moro, coll'aria di un uomo che parlasse sui generali, o solamente per contrapposto al suo caso particolare. — Quanto a me, ho durato, ve lo confesso, una battaglia più lunga; il cuore ha dato fiamme, ha gittato molta scoria, prima che vi si affinasse il prezioso metallo. Ma basti di ciò; son vincitore oramai, son vincitore, e ve ne faccia testimonianza l'offerta di quest'oggi. Godo che voi siate all'impresa con me, perchè, dopo la stima di Arrigo, non ce n'è altra che mi stia a cuore come la vostra. Ma perchè sono stato debole, vedete, perchè ho combattuto così fieramente tanti anni, mi duole oggi di dovermi presentare a quel ritrovo che mi avete accennato. Avrei voluto partire senza vedere.... nessuno; ritornare con Arrigo, con Arrigo libero e sano, per dire: Ecco qua, ho messo a repentaglio la mia vita coi ladroni e colle fiere del deserto; ma l'ho trovato, l'ho condotto alla sua fidanzata;» ciò detto, lasciarli ambedue felici e sparire.
Gandolfo parlava con tanto ardore, che Caffaro non ebbe più modo o ragione di dubitare.
— Voi avete un animo grande, Gandolfo del Moro; — diss'egli, stringendogli la mano. — Il viaggio che faremo insieme alla ricerca di Arrigo Carmandino avrà gioie per me, che non avrei osato sperare. —
Uscirono ambidue taciturni dalla porta verso maestro, detta fin dai tempi d'Isaia la porta del campo del gualchieraio, e si avviarono per l'erta del Calvario.
Calvario in latino, Gulgultha in antico ebraico, corrispondono al Golgota della Vulgata, e ricordano, nella loro etimologia, che il monte aveva derivato il suo nome dalla somiglianza della sua cima con un teschio, o cranio umano denudato di capegli. Il Golgota non era per anche nel centro della città, come lo si vede nei giorni nostri, ma non si vedeva già più quel colmo tondeggiante di rupi, che gli aveva meritato il suo nome.
Fin dal secondo secolo dell'êra volgare, Adriano aveva edificato sul Golgota un tempio a Venere, e i pellegrini, che in folla accorrevano nei primi secoli del Cristianesimo a visitare il luogo del martirio di Cristo, si rammaricavano di scorgere i simulacri pagani sulle cime del Calvario e del Moria, dove anticamente sorgeva il tempio di Salomone. Elena, la madre di Costantino, fece murare sul Golgota la prima chiesa cristiana, e il culto del santo Sepolcro ebbe principio da lei. Arso nel settimo secolo, il magnifico tempio fu riedificato, e dal famoso califfo di Bagdad, Arun al Rascid, l'eroe delle Mille e una notte, donato in giurisdizione al suo amico Carlo Magno. Ma il terribile Hakem, terzo califfo d'Egitto, non rispettò la vecchia politica dell'Abasside, e fece radere al suolo la chiesa. Più mite di lui, il suo successore Daher, ordinò che fosse riedificata, e Abu Tamin la vide condotta a termine, l'anno 1048, ma nelle proporzioni d'una meschina cappella.
Durava in quella forma, quando sopraggiunsero i Crociati, che non indugiarono ad innalzare un tempio sontuoso, in quella forma che oggi ancora si vede, quantunque l'incendio del 1808 abbia resi necessari alcuni restauri, anche nella parte esteriore.
Al tempo di cui narro, il nuovo tempio non era anche sorto, e la meschina cappella di Daher, il califfo fatimita, era tutto quello che i devoti cristiani potessero avere di meglio, per confortarvi la loro pietà. Per altro, in fondo al piccolo tempio, si vedeva già, incavato nel sasso, il forame sferico nel quale era stata piantata la croce del Nazzareno; a destra e a manca del quale, e formanti un triangolo con esso, i buchi per le croci minori dei due ladroni; dentro al triangolo la fenditura del sasso, cagionata dal tremuoto di cui raccontano gli Evangelii. Nel mezzo del tempio era poi la tomba di Cristo, antro ristretto, scavato nel macigno, secondo l'antico costume dei popoli orientali. Non mancava la cripta, nelle viscere del monte, colla sua tomba di porfido, che dicevasi contenere le ceneri del pontefice Melchisedec, e coll'altra assai più modesta, ma altrettanto più autentica, di Goffredo di Buglione.
Il biondo scudiero, inginocchiato in un angolo, pregava. Davanti a lui, i frati del santuario, gli avevano detto essere il luogo in cui l'angelo aveva annunziato alle Marie la risurrezione del loro dolce Maestro. Ed egli, con lagrime che gli erano spremute dal cuore, supplicava quell'angelo, suo fratello all'aspetto, che si degnasse di guidare Arrigo, di restituirlo ai suoi cari, come l'angelo Raffaele aveva ricondotto l'adolescente Tobia.
Il rumore dei passi e lo strepito delle armature tolse dal suo raccoglimento il giovane scudiero. Si volse allora, e, veduti i due che aspettava, si alzò per muovere incontro a loro.
— Grazie, messere; — diss'egli a Gandolfo; — avevo qualche cosa a dirvi, per cui bisognava un luogo più solitario e un'ora più tranquilla. —
Gandolfo del Moro s'inchinò, ma senza rispondere parola. Egli era profondamente turbato.
Lo scudiero uscì dalla cappella, per una postierla che era accanto all'altare, e i due cavalieri lo seguirono all'aperto.
Il dorso del monte era scabroso e frastagliato; qua e là si vedevano larghe fenditure nel masso, non intieramente colmate dalla polvere e dal terriccio di undici secoli, poco lunge, muti testimoni dell'accorgimento romano, stavano i ruderi d'un tempio a Venere, e tra gli architravi caduti, i capitelli infranti, le colonne rovesciate, crescevano le eriche e i tamarischi, inconsapevoli eleganze che la natura frammette alle rovine per temperarne l'orrore.
Colà, presso l'attico di una colonna, che era rimasta in piedi e gettava un po' d'ombra sul campo, lo scudiero si fermò, e Gandolfo che lo seguiva, del pari.
Caffaro aveva capito che la parte essenziale della conversazione doveva restringersi a quei due, e, quantunque fosse invitato egli pure ad assistervi, si trattenne alcuni passi indietro, facendo le viste di osservare una iscrizione latina, che correva lungo un pezzo di architrave, e di cogliere un ramo di quelle eriche tutte gremite di fiori.
Lo scudiero non parve badare a quella fermata. Egli del resto poteva vedere, come spesso accade di vedere senza bisogno di guardare, il suo amico Caffaro di Caschifellone, intento a curiosare fra le rovine, a dieci passi dai suoi compagni. E si rivolse intanto a Gandolfo del Moro, che stava cogli occhi bassi davanti a lui.
— Guardatemi in viso, messer Gandolfo; — diss'egli, con accento risoluto.
Gandolfo alzò gli occhi smarriti, tentando di fissarli negli occhi del biondo scudiero; occhi azzurri, limpidi e scrutatori, che gli parvero quelli dell'angelo che indaga e misura le colpe degli uomini.
— Voi dunque, — proseguì lo scudiero, — andate in traccia di Arrigo da Carmandino? —
— Sì, — rispose timidamente Gandolfo.
— Perchè? Perchè voi e non altri? —
Gandolfo si armò di coraggio. Quell'incalzar di domande voleva una pronta e adeguata risposta.
— Per essergli utile; — diss'egli di rimando. — Perchè nessun'altri ci ha pensato, od ha mostrato di pensarvi. E infine, — aggiunse, con un sospiro, — perchè sento di dover espiare qualche cosa. —
Lo scudiero abbassò gli occhi a sua volta.
— Sì, — continuò Gandolfo del Moro, animandosi, — espio il delitto di aver osato amare una donna che non poteva esser mia. Eppure, avrei fatto volentieri ogni sacrifizio, tentata di gran cuore ogni impresa più temeraria, per meritare l'amor suo. Disdegnato da lei, son divenuto il più infelice uomo che sia sulla terra; sono stato sul punto di diventare altresì il più malvagio.
— Vile amore, se a tale può condurre un uomo! — esclamò lo scudiero. — Dovevate ricordare, messer Gandolfo, che quella donna aveva conosciuto Arrigo da lunga pezza e non poteva esser d'altri. Quale animo bennato avrebbe potuto farle una colpa di ciò?
— Oh, non aggiungete più altro, lo so; — interruppe Gandolfo; — quello che voi mi dite ora, io me lo son ripetuto le migliaia di volte, nelle mie veglie disperate. Se almeno ottenessi il suo perdono! pensai. Se ella potesse cessare di odiarmi! Questo il fine dei miei tristi amori; il buon angelo ha vinto. Ma perchè nulla mi ritiene alla vita, perchè il meglio ch'io possa fare è di morire, utile almeno ad altri, io sono l'unico forse tra tutti i vostri compagni che possa tentare l'impresa di giungere per la via del deserto, ad Arrigo, e di ricondurlo tra' suoi.
— Non sarete solo, — disse lo scudiero. — Caffaro di Caschifellone vi accompagnerà. Forse a quest'ora lo avrete già saputo dalle sue labbra. E anch'io sarò a parte del vostro tentativo. —
Un lampo balenò dagli occhi di Gandolfo del Moro; ma non fu altro che un lampo. Ed egli stesso, vedendo lo sguardo indagatore dello scudiero, si affrettò a mostrargli intieramente l'animo suo.
— Voi dubitate di me! — diss'egli, con accento improntato d'amarezza.
— No, messere, — rispose quell'altro, — vi mostro come sappia anche correre animosamente un pericolo chi potrebbe oggi di bel nuovo amare la vita.
— Ma pensate che il cammino è difficile; che forse non riusciremo....
— Ho pensato.
— E che cosa diranno i vostri d'una risoluzione così temeraria?
— Diranno che appartengo ad Arrigo da Carmandino, e che ho il diritto di morir con lui. Dove correte un pericolo, voi e il signore di Caschifellone, non potrò correrne anch'io?
— Sia fatto il voler vostro; — disse Gandolfo, chinando la fronte.
Il biondo scudiero si mosse, e andò su d'un rialto del masso, donde si scorgeva la valle di Giosafat e l'erta d'un monte, di là dal torrente di Cedron.
— Vedete laggiù quegli olivi? — diss'egli a Gandolfo.
— Li vedo; — rispose questi, mentre collo sguardo interrogava a sua volta il suo interlocutore.
— Laggiù, — prosegui lo scudiero, con accento solenne, — alle falde di quel monte, il redentore degli uomini fu tradito ai suoi nemici, da un uomo, che appunto allora lo baciava nel viso.
Gandolfo del Moro diede un sobbalzo.
— Che volete voi dire? — esclamò.
— Che mi fido di voi; — rispose lo scudiero. — Se voi mentiste, se voi covaste il tradimento nell'anima, qui, sulla vetta del Calvario, davanti al Getsemani, ove Cristo fu preso, non lunge dal campo dal sangue, ove Giuda vendicò da sè stesso il cielo oltraggiato, neanche tutta l'acqua del sacro Giordano, neanche il pianto di tutti gli angioli del cielo, basterebbe a riscattare il vostro tradimento. —
A quelle parole dello scudiero, Gandolfo sentì come una stretta al cuore; ma fece il viso dell'uomo che si sentiva sicuro di sè e non temeva la maledizione.
Caffaro di Caschifellone, a cui quelle parole percossero l'orecchio, pensò al brutto senso che dovevano fare nell'animo di Gandolfo del Moro; ma non potè altrimenti trattenersi dal mormorare un «bene!» che gli sgorgava proprio dal cuore.