AL LETTORE

Quid dignum tanto feret hic promissor hiatu?

(Hor., Ep. ad Pis., 138.)

Lettor mio cortese, dopo aver veduto il titolo del libro io metto pegno che ti verrà in mente il citato verso di Orazio, di che promettendoti maggior cose, ch’io attenerti non possa, e trovandoti, come abbi letto l’opera, della aspettazione ingannato, avrai a soggiungere quest’altro che segue: Parturiunt montes nascetur ridiculus mus. Acciocchè dunque non accada siffatto sconcio con mio biasimo, e con dispiacer tuo, io ti vo’ ammonire fin da principio, che il mio libro non è, nè pretende essere un gran fatto, sebbene porti un titolo alquanto fastoso, e che io non ho inteso in niun modo d’allacciarmi la giornea, e farla da maestro a chicchessia, potendo anzi per età e per dottrina essere scolare di ognuno. A che dunque, dirai, venir fuori con coteste tue chiacchere? tu potevi bene startene ed attendere ad altro. Ecco: mi parve, che la commedia classica delle tre nostre letterature non fosse avuta in quel conto ch’ella si merita, e da molti fors’anche poco conosciuta: onde, trovandomi aver fatto sopra di essa qualche studio un po’ accurato, disegnai di stendere questo scritto e pubblicarlo, acciocchè d’una parte servisse a chi ne sappia meno di me come a dir d’una guida in tale studio, e dall’altra muovesse a trattar più degnamente questo soggetto chi sia fornito d’ingegno più balioso del mio, e di più soda dottrina nutrito. Ho trattato adunque della commedia classica, e questo aggiunto ti farà intendere perchè, quanto alla commedia italiana, io non sia andato più in là del cinquecento, poichè soltanto all’epoca detta della rinascenza delle lettere, come in ogni altro genere, così nel comico si ormeggiarono i Greci ed i Latini, mentre dappoi i modelli si trassero d’altronde, e sull’esempio del francese Molière si creò in Italia un nuovo modo di commedia.

Ma come io n’abbia trattato, tu, o lettore, giudicherai. I difetti di lingua e di stile (lasciando alla tua indulgenza quelli di stampa), le inesattezze di dottrina e di erudizione, le mancanze di ordine lucido e di acconcio metodo essendo per avventura più che io non mi figuri, faranno a più d’uno torcere il viso; ond’è ch’io voglio o lettore, affidarmi alla tua discretezza, e ricordarti, che anche a far male si dura fatica, e, se non altro, si dà ad altrui occasione di far bene e meglio; ed anche m’è d’uopo pregare chi nelle lettere sia più innanzi di me a volermi correggere ed insegnare, cosa ch’io non avrò altro che cara, poichè posso almeno dir col Petrarca (Trionfo d’Am., cap. I.) ch’altro diletto, che ’mparar, non provo.

Vivi felice.

DELLA COMMEDIA PRESSO I GRECI, I LATINI E GLI ITALIANI

Share on Twitter Share on Facebook