II. LA GEOGRAFIA NEL QUADRO SISTEMATICO DELLE SCIENZE.

Abbiamo veduto come la storia delle scienze si identifichi, in qualche modo, con la storia della Geografia, che è disciplina sintetica per eccellenza, benchè non nello stesso grado della Filosofia.

Mentre la Filosofia domina dall'alto il vario intrecciarsi delle molteplici correnti del pensiero e il diverso svolgimento delle attività umane, la Geografia abbraccia più da vicino questi moti intellettuali sotto una forma e con una veduta che le è esclusiva e caratteristica.

Ma se nell'epoca del Rinascimento, epoca di giovinezza intellettuale, il pensiero attendeva alle grandi unificazioni, nell'età che immediatamente la segue troviamo la dissoluzione degli elementi. Là prevaleva la sintesi e – per quanto la Geografia non avesse ancor ripresa la consistenza dogmatica che pareva possedere presso i Greci – pur troviamo una nuova e ampia concezione della superficie terrestre nelle rappresentazioni cartografiche mondiali condotte dai più insigni Cosmografi del Cinquecento, italiani e fiamminghi, come Bernardo Silvano e Abramo Ortelio, Giacomo Gastaldo e Gerardo Mercatore, coi quali si compie la mirabile trasformazione della Cartografia e si viene creando la Cartografia scientifica moderna nel vasto affluire dei rinnovati metodi matematici dei geografi alessandrini sulle forme empiriche della Cartografia nautica medievale.

Dobbiamo tuttavia aggiungere che – causa le imperfezioni dei mezzi meccanici coi quali gli Antichi potevano eseguire le misure degli angoli e del tempo – furono necessarie molte essenziali correzioni di posizione, non solo per quanto riguarda le latitudini, ma anche e più ancora per le longitudini.

Per le quali Galileo suggerì nel 1632 un metodo facile e preciso basato sull'osservazione dei satelliti di Giove, che egli stesso aveva scoperto fin dal 1610. Ma questo metodo non potè avere un principio di attuazione che dopo la pubblicazione delle famose tavole di G. D. Cassini, e più tardi con la nuova Scuola dei Geografi matematici francesi che, nel secolo XVIII, determinarono la vera forma e grandezza della Terra dando un rapido sviluppo alla Geodesia e fissando su base geometrica la costruzione della prima Carta geografica moderna: la gran Carta della Francia, conosciuta col nome di «Carta dell'Accademia».

Già verso la fine del Cinquecento un geografo italiano, il P. Matteo Ricci da Macerata, eseguiva nell'Impero cinese un memorabile itinerario a partire da Canton, con una correzione di latitudine fondamentale, fissando Pechino al 40° parallelo, ciò che portò una vera rivoluzione nella geografia dell'Estremo Oriente. E fecero pure opera di eccezionale importanza geografica i Matematici francesi e i Padri gesuiti che un secolo dopo condussero in Cina la più vasta delle triangolazioni, onde risultò un forte accorciamento della massa continentale asiatica nel senso della longitudine. Furono infine i geografi della Scuola di G. Domenico e di Cesare Cassini che riconobbero l'accorciamento definitivo del Mediterraneo da ovest a est nelle carte geografiche con la eliminazione dell'errore Tolomaico di oltre 20° in eccedenza che – sotto l'influsso classico – aveva viziato tutta la produzione cartografica dell'epoca moderna.

Facilmente si osserverà che questi progressi della Geografia matematica e della Cartografia si collegano intimamente non solo allo sviluppo della Geodesia e delle Scienze di osservazione nella loro parte strumentale, bensì anche al nuovo perfezionamento dell'Analisi dopo i lavori iniziati dai matematici italiani del Rinascimento, da Domenico Maria Novara fino a Bonaventura Cavalieri.

Cartesio aveva creata la Geometria analitica facendo della Geometria una «pittura delle equazioni» e conferendole un grado di generalità che nessuno avrebbe preveduto. Newton e Leibnitz pervenivano, per vie diverse, ad un'algebra più generale, che ha fornito gli elementi alla soluzione di tutti i problemi, cioè il Calcolo infinitesimale. Così si è fatta definitiva la costruzione di questo grande regno della verità scientifica nel campo delle astrazioni rigorose, dove si esplica un procedimento che non consiste, come nella logica scolastica, nel rimpastare sempre lo stesso materiale, ma nel creare un materiale nuovo, aprendo più vasti orizzonti alla mente umana.

E questo mondo ideale, che sorge per virtù interiore dello spirito, non forma un campo chiuso, separato dalla realtà, che anzi le verità matematiche trovano una corrispondenza sorprendente con le leggi fondamentali della natura. Galileo, scoprendo le leggi del moto, fondamento della Meccanica razionale, stabilì il principio che pone nella Matematica la base della certezza scientifica, ciò che forma in qualche modo la prima radice del pensiero di Kant in ordine alla conoscenza. Così la matematica interviene, sicura dominatrice, fra l'attività interiore e il mondo esterno, donde al pensiero la coscienza di possedere nella propria capacità la chiave del Tutto. È mancata per tal modo ogni base al naturalismo puro e al materialismo classico là dove la matematica insegna a vedere i fenomeni attraverso le forme del pensiero.

Esso adunque tiene fra le scienze un ufficio che venne particolarmente messo in luce da Augusto Comte, il fondatore del «Positivismo francese» nella prima metà del secolo XIX. Il Comte sostiene, come ognun sa, il passaggio dello spirito umano per tre stadi di formazione: teologico, metafisico e positivo; e applica questa legge alla storia delle scienze. Infatti, il carattere fondamentale della filosofia positiva sta nel considerare tutti i fenomeni come soggetti a leggi naturali invariabili, la cui scoperta e la cui riduzione al minor numero possibile sono lo scopo di tutti i nostri sforzi, escludendo qualsiasi ricerca delle cause prime, che furono l'obbiettivo della scienza allo «stato teologico».

La Matematica è l'indice del grado di positività delle scienze. Essa tiene, per così dire, il vertice della grande piramide del sapere. Con le altre scienze questa piramide viene allargando la sua base di appoggio nel mondo sensibile, dalla Meccanica e dall'Astronomia fino alla Fisica, fino alle Scienze biologiche, fino alle Scienze sociali, i cui fenomeni sono i più lontani da qualsiasi previsione e legge matematica. La base sperimentale è in basso, il dominio metodico e razionale è in alto.

Fra tutti i rami della Filosofia naturale l'Astronomia presenta i fenomeni più semplici, più generali e più capaci di larga deduzione. Keplero ridusse i moti celesti a fenomeni geometrici, Newton a fenomeni meccanici; Keplero li ordinò in tre leggi, Newton li raccolse in una sola: lo spirito matematico ha trovato nei fenomeni del ciclo la sua più felice applicazione. L'Astronomia è perciò la scienza che offre il massimo grado di positività – a parte l'Astrofisica, scienza recente, che considera fenomeni più complessi. Anche la legge di gravitazione – affermano i fisici – non basta più da sola a spiegare i moti attuali e la molteplicità delle forme, che invece potrebbe essere esplicata dalla legge elettro-magnetica di Gauss, per cui i pianeti sono macchine dinamo-elettriche e il sole fa da campo magnetico ai pianeti. Ma ciò non toglie però che con lo studio delle orbite delle coppie (particolarmente del satellite di Sirio) l'adempimento delle leggi kepleriane abbia conferita una completa universalità alla legge della gravitazione, cosicché la gloria di Newton, come dice il Millosevich, assurge all'empireo.

La condizione essenziale perchè i fenomeni naturali comportino leggi matematiche suscettibili di essere scoperte è questa: che le diverse quantità possano dar luogo a numeri fissi. Ora, confrontando le varie parti della filosofia naturale, si riconosce che la Biologia e alcuni rami della Fisica non sono per loro natura suscettibili dell'Analisi matematica, causa la estrema variabilità numerica dei fenomeni corrispondenti.

In ogni modo, siccome le scienze vanno classificate secondo l'ordine di coordinazione e di precisione che esse offrono – e quest'ordine è segnato dal grado di probabilità di un'applicazione generale dello spirito matematico – così, dopo l'Astronomia planetaria, collocheremo la Fisica, la Chimica, la Mineralogia, la Geologia; indi la Fisica organica, che comprende la Botanica e la Zoologia; ma siamo ancora molto lontani da quella che il Comte chiama, con un nome di particolare ardimento, la fisica sociale.

La Matematica ci fa conoscere le condizioni elementari della positività; l'Astronomia caratterizza nettamente lo studio della natura, la Fisica c'insegna la teoria dell'esperienza, mentre alla Chimica dobbiamo improntare l'arte delle nomenclature; e infine la Scienza dei corpi organizzati solo può darci il vero concetto delle classificazioni.

Il Comte determina l'ordine e la dipendenza delle scienze dall'ordine e dalla dipendenza dei fenomeni di cui esse si occupano; e le divide in astratte e concrete, separando i sistemi di leggi che governano i fatti elementari aventi una portata più comprensiva dell'esistenza reale, dalle coordinazioni delle esistenze, o superposizioni di fatti che l'esperienza rivela.

Questi fatti presentano fra di loro delle relazioni che permettono di classificarli in categorie naturali disposte in tal maniera che ciascuna categoria dipenda da quella che la precede è, alla sua volta, serva d'introduzione a quella che segue. Un siffatto ordine di generalità decrescente correlativo ad una complessità crescente, costituisce l'unità della dottrina filosofica e da alla classificazione delle scienze così concepita una omogeneità che nessun'altra ci ha presentata per lo innanzi.

Ma quest'ordine – osserva lo Spencer– non rappresenta il processo storico delle scienze stesse, le quali vanno concepite non già in una serie lineare, bensì come i rami di un tronco unico. E questi rami s'intrecciano, si sostengono fra di loro, si sviluppano seguendo non solo il processo dal semplice al composto, dal generale al particolare, ma facendo anche il cammino inverso. Infatti la Matematica è progredita, come abbiam visto, in un magnifico cammino ascensionale verso la più alta generalità con Cartesio, con Leibnitz, con Newton, con Lagrange, con Laplace, con Gauss, con Abel.

Anche nelle scienze sperimentali il principio della generalità decrescente è solo nell'oggetto non già nella dottrina che da esso deriva. Quando Marcello Malpighi eseguì le prime ricerche microscopiche sulla struttura dei vegetali e sulla costituzione del sangue dei mammiferi, aprendo nuovi campi alla scienza e preludendo alla scoperta della cellula, dava il primo fondamento alla Biologia moderna e compiva una straordinaria elevazione verso una generalità di dottrina di carattere subiettivo.

Così allorchè Becquerel scoperse i fenomeni della radiazione nelle prime albe di questo secolo, e i coniugi Curie, isolando il Radio, dimostrarono che l'Elio si ottiene mediante una trasformazione di questo e di altri corpi creduti elementari, il pensiero umano si è trovato di fronte ad una sorgente inattesa di enormi energie latenti della materia e ai più gravi dubbi su principi che oramai regnavano indiscussi nella scienza, onde l'Energetica prese quasi il posto della Meccanica, che perciò rimase accanto alle scienze fisiche e non può più apparire, come nel quadro sistematico di A. Comte, la base comune di queste scienze. La Fisicochimica è sorta a un tratto sugli avanzi di tanta parte teorica delle scienze di confine; mentre noi vediamo l'atomo chimico – già consacrato nella scienza dalla legge delle proporzioni definite e dall'opera fondamentale di Lavoisier – presentarsi sotto l'aspetto nuovo quasi di un sistema planetario a orbite chiuse, che si apre improvvisamente in iperboli e parabole, lungo le quali fuggono gli elettroni, misteriose comete dell'invisibile ultra-microscopico, per immergersi nel gran mare dell'etere universale.

Ecco adunque in qual modo da ricerche aventi per oggetto le ultime suddivisioni dei corpi possa uscir fuori, come al tocco di una bacchetta magica, tutto un mondo di dottrine sulla costituzione della materia e dell'Universo: il processo della generalità decrescente nell'oggetto si è trovato di fronte al suo correlativo crescente, veduta in proporzioni gigantesche.

Ora, comunque si vogliano giudicare le idee di Augusto Comte in relazione al suo modo di ordinare le scienze, e dato pure che si creda di sostituirvi il quadro di Herbert Spencer, che risulta da una larga e ben nota critica di tutta la concezione comtiana, noi ci troveremo dinanzi alle medesime difficoltà per quanto riguarda la collaborazione della Geografia nel concerto delle attività umane.

Il filosofo inglese rileva anch'esso nelle cose del mondo sensibile, come in quelle del mondo interno, un generale procedimento dall'omogeneo all'eterogeneo, dal semplice al complesso, o come direbbe Ardigò, dall'indistinto al distinto. Il progresso delle scienze è concentrico fino alle loro massime generalizzazioni, riattaccate alle concezioni astratte più alte, che tutte le presuppongono.

Nella sua Statica sociale lo Spencer espone il principio della tendenza della vita alla individuazione. Dagli esseri inferiori, destituiti di unità al punto da potersi suddividere con sopravvivenza delle parti, ciascuna per conto suo, fino ai vertebrati, nei quali la molteplicità degli organi aventi funzioni differenti, coordina le loro azioni in un'armonia che ci da il più alto tipo dell'unità, vi ha una scala immensa in cui tutti i gradi sono segni di «individuazione e di distinzione».

Quanto più l'organismo è basso nella scala degli esseri così concepita, tanto più è soggetto alle circostanze che tendono a farlo sparire, avendo esso nella sua scarsa individualità un debole potere di resistenza. L'uomo presenta la più alta manifestazione di questa tendenza: e il suo grado d'individualità è tanto più forte quanto maggiore è la resistenza a crederlo indistruttibile.

La Civiltà non è che un processo d'individuazione. L'unione di un gran numero di uomini per formare lo Stato, la mutua dipendenza che ravvicina le unità dapprima indipendenti, la divisione graduale dei cittadini in gruppi che adempiono a funzioni determinate e sono come gli «organi dello Stato» cosicchè si ha la formazione di un organismo composto di parti numerose, le quali risentono tutte insieme il male fatto ad una di esse, ecco i caratteri della individuazione sociale. Le diverse forme di movimento verso questo fine formano insieme ciò che chiamasi il progresso.

Un procedimento analogo noi troviamo nelle scienze, unite fra loro da un rapporto incessante, e formantesi a poco a poco per distinzione dall'amalgama primitivo delle cognizioni umane, si chiami questo col nome di Filosofia, oppure lo si consideri sotto i vari aspetti dell'Astronomia, della Geografia, o anche della Medicina, come erano intese queste scienze agli esordi della cultura. Nessuna soluzione di continuità esiste fra le diverse scienze speciali: il sapere umano è coerente ed uno. Esso è un organismo, i cui organi stanno uniti in un continuo scambio di servigi. Una scoperta in una scienza può determinare un progresso corrispondente in tutte le altre: così una lacuna in un particolar ramo del sapere può dar luogo ad un arresto di sviluppo in un intero gruppo di scienze. Per fare un'osservazione in un campo, sia pure specializzato, dello scibile, vuolsi non di rado il concorso, in grado diverso, di varie discipline. Tendere a organizzarsi in un sistema coordinato a sostituire le parti unite per sovrapposizione con parti specializzate unite dal legame armonico di una legge, ecco il procedimento naturale verso il progresso della Scienza presa nel suo insieme.

La ripartizione del sapere in molte scienze speciali non è soltanto un bisogno teorico dello spirito, ma una necessità pratica del lavoro. Però questa utile divisione del lavoro nel campo scientifico non deve essere troppo assoluta: e noi dobbiamo premunirci contro i danni della soverchia specializzazione.

Il Comte vorrebbe evitare l'inconveniente proponendo una grande specialità in più: lo studio delle generalità scientifiche, vale a dire, una vera e propria Scienza delle scienze, che avesse non soltanto un valore filosofico, ma anche tecnico.

Basterà – osserva il filosofo francese – che un gruppo di scienziati, preparati da una conveniente educazione, senza dedicarsi ad un ramo speciale di Scienza, si occupi unicamente dello studio delle scienze nel loro stato attuale, per determinare lo spirito di ciascuna, scoprire le loro relazioni e riassumere le loro leggi nel minimo numero di principi comuni, conformandosi alle massime fondamentali del metodo positivo. E nello stesso tempo basterà che gli studiosi prima di dirigersi alle loro ricerche speciali, siano resi atti a profittare di un'educazione dello spirito portata sull'insieme delle conoscenze naturali così da poter reciprocamente rettificare i propri risultati.

Quando una classe di cultori – continua il Comte – incessantemente controllata da tutte le altre, avesse la funzione permanente di legare ciascuna scoperta al sistema generale, non si dovrebbe più credere che il moltiplicarsi delle discipline speciali diventi un ostacolo insuperabile al riconoscimento dell'insieme.

Ora: non sembra a Voi, che la classe dei cultori designata dal Comte non possa essere precisamente quella dei geografi? Non forse la Geografia è quella scienza che – abbandonando lo studio dei fenomeni in se stessi alle scienze speciali, come Geologia, Meteorologia, Botanica, Zoologia – si spinge molto oltre la destinazione particolare di ciascuna per stabilire le relazioni reciproche di fatti fra loro disparatissimi, e risalire alle cause comuni senza perdere di vista le conseguenze più lontane? Il Cosmos di Alessandro Humboldt non fu forse l'opera di un geografo?

E, si badi bene: non solo nel quadro delle scienze del filosofo francese, bensì anche in quello dello Spencer, invano si cerca il nome della Geografia. Come ognun sa, il filosofo inglese pone in un primo gruppo le scienze astratte, cioè la Logica e la Matematica, in un secondo le astratto-concrete, cioè la Meccanica, la Fisica, la Chimica; nel terzo ed ultimo gruppo, che è quello delle scienze concrete, mette l'Astronomia, la Geologia, la Biologia, la Psicologia, la Sociologia.

Giovanni Marinelli, il compianto maestro che esercitò un'azione così decisiva nell'indirizzo degli studi geografici in Italia nell'ultimo ventennio nel secolo scorso, si meraviglia di questa esclusione, mentre forse la Geografia avrebbe potuto prendere posto nelle scienze dell'ultimo gruppo fra l'Astronomia e la Geologia, insieme con la Meteorologia, tenuto conto del fine immediato della nostra disciplina che è lo studio della superficie terrestre.

Se questa può sembrare la collocazione propria di essa nel quadro delle scienze sorelle, noi sappiamo però come la Geografia presenti pure larghe attinenze con la Matematica e l'Astronomia, dalle quali riceve sussidi fondamentali. Non occorre ricordare gli intimi legami con la Meteorologia, la Geologia, la Fisica terrestre, onde si esplicano le forze che concorrono a definire la morfologia geografica. E sopra tutto interessanti sono i contatti di nostra scienza con la Biologia, però che essa deve dar ragione della vasta coesistenza degli organismi vegetali e animali sulla superficie del globo. Nè ancora con lo studio complesso di tutte queste relazioni la Geografia avrebbe raggiunta la sua finalità massima ove non si considerasse il più interessante di tutti i problemi: quello dell'Uomo ne' suoi rapporti con la Terra. Cosicché all'intero gruppo delle Scienze storiche e sociali si collega pure strettamente la nostra disciplina, la quale – secondo l'Antico detto di Strabene – è uno studio degno del filosofo.

La multiforme materia abbracciata dalla Geografia potrebbe facilmente conferirle il carattere enciclopedico che, come abbiam visto, ricevette da Plinio nell'antichità e conservò attraverso il Medio Evo e il Rinascimento, ove non si tenesse conto della sua attuale organizzazione verso un intento bene determinato: la superficie terrestre; con un metodo tutto proprio: il metodo corologico. Essa rappresenta, secondo l'espressione del Dalla Vedova, il momento distributivo di tutte le scienze, ed è, sopra tutto, un vasto sistema ragionato di localizzazione corografica, nel quale si considera la coesistenza spaziale dei fenomeni nelle loro azioni reciproche e nei loro rapporti col suolo. E questo suo largo carattere di generalità ben può assicurare alla Geografia un posto elevato nel quadro delle scienze come forma sistematica di equilibrio contro gli attentati della soverchia specializzazione: essa è veramente la forma intermediaria di dottrina attraverso la quale le varie scienze – secondo il pensiero di A. Comte – possono comunicare fra loro in una comparazione feconda dei proprii risultamenti.

È vero: ad un ufficio siffatto di generalità superiore dovrebbe bastare la Filosofia, se per le sue origini e per il suo carattere eminentemente speculativo, da Platone fino ad Hegel, la Scienza che tutto riduce ad un solo principio supremo, non fosse rimasta quasi sempre troppo lontana dalle abitudini dell'osservazione e dell'esperienza.

La Geografia invece non lavora soltanto sulle osservazioni degli altri, ma anche sulle proprie; ed i materiali forniti dalle scienze ausiliarie dispone e utilizza in un modo tutto suo, che può servire di efficace sistema di comparazione fra elementi per loro natura diversissimi, e con vedute nuove e inattese.

Essa è perciò la scienza di controllo e di vigilanza la più vicina all'intento designato da A. Comte.

Verso la fine del secolo XVII veniva fondata in Venezia una Società Geografica, la prima fra tutte in ordine di data. Si chiamò l'Accademia degli Argonauti, come volle il P. Coronelli, cosmografo della Serenissima, secondo la moda del tempo, che fu quello delle accademie più o meno inutili. Ma intanto quel nome risveglia in noi un'immagine, che è un simbolo, non senza allusione al mito di Argo dai cent'occhi: la Geografia infatti volge lo sguardo non in una, ma in tutte le direzioni.

Dicono i geologi che fu un tempo un crostaceo, dominatore delle prime lunghe albe marine di formazione della corteccia terrestre. Esaminato nelle sue parti, si presenta diviso in tre sezioni; il clipeo, che è la testa, l'addome, che è la parte di mezzo, il post-addome che è la coda. I due addomi sono divisi longitudinalmente da due profondi solchi in tre lobi ineguali, rimanendo più ristretto quello di mezzo. Perciò appunto venne chiamato trilobito. Il clipeo presenta due parti laterali che portano all'estremità di due prominenze ciò che il trilobito ha di più rilevante: gli occhi, forse i soli ben conservati di tutto il Paleozoico. L'occhio del meraviglioso crostaceo si calcola composto, nei tipi più recenti, di 15.000 lenti sferiche, e apparisce singolarmente ordinato per la visione orizzontale in qualsiasi direzione.

Tale, a mio vedere, può dirsi l'occhio e tale può essere considerata la posizione della Geografia nella Scienza.

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