IV. LA GEOGRAFIA NELLA SCUOLA

dovrebbe essere un riflesso di ciò che è nella Scienza e rispondere ad un bisogno della vita sociale; dovrebbe occupare una posizione egualmente centrale non solo per le ragioni dogmatiche ora svolte, ma anche per ragioni di metodo e di educazione mentale. Invece il suo assetto attuale nei nostri ordinamenti scolastici rimane una conseguenza della qualità e del livello della nostra cultura alla vigilia della rivoluzione italiana.

Per gli Italiani più colti e che diressero il movimento del pensiero fra noi nella prima metà del secolo XIX, la Geografia era una disciplina a tipo storico secondo la vecchia concezione delle scuole, oppure si confondeva con la Statistica sotto l'influenza immediata del Büsching, il geografo tedesco che primo parve concepire la nostra scienza come una sistemazione della Statistica. La Geografia era per quei nostri scrittori, economisti, uomini politici, patrioti, un gran repertorio di nomi e di cifre, una raccolta di materiale statistico-politico senza organismo proprio, senza alcuna ricerca di causalità, ma alla quale però essi amavano associare il sentimento dell'unità nazionale, consacrata appunto dalla forza oramai incoercibile della «espressione geografica».

Anche la legge Casati che nel 1859, con vedute molto larghe per quel tempo, regolava la materia della pubblica istruzione del nuovo Regno (allora nel periodo più laborioso di sua formazione) porta l'impronta di quella prima concezione della Geografia, che è rimasta senz'altro in tutti i nostri ordinamenti. Fin d'allora furono istituite le attuali cattedre universitarie di Geografia con una liberalità che sembra un vero presentimento dei tempi nuovi.

Ma alla Geografia così fissata nelle Facoltà di lettere mancava una corrispondente relazione con le discipline dalle quali attinge maggior copia di materiali, in particolar modo la Geologia e la Biologia. Questa sua sistemazione non devesi tanto all'atteggiamento statistico degli scrittori politici e geografi che hanno contribuito a preparare il nostro Risorgimento, quanto alla vecchia tradizione classica che faceva della Geografia un occhio, il famoso «occhio della Storia». Ma, intanto, con l'indirizzo «storico» e, direi quasi, umanistico, dato alla Geografia dai seguaci di Carlo Ritter in Germania, cioè nel paese che è alla testa della cultura geografica moderna, parve ad un tratto perfettamente al suo posto.

Non fu più così quando il Peschel, nel decennio fra il 60 e il 70, accentuò il carattere naturalistico conferitale già dall'Humboldt. Se non che il recente indirizzo scientifico degli studi storici e filologici, fecondati anch'essi dai nuovi metodi di ricerca, e, d'altra parte l'azione esercitata sugli spiriti dalla vasta concezione geografico-sociale del Reclus e dall'opera innovatrice del Ratzel, che diede nuova e più salda base alla Geografia umana, sembra spostare un'altra volta il centro focale della visione geografica verso il gruppo delle scienze storiche e politiche.

Ma per quanto i nuovi intimi rapporti della Geografia con le scienze filologiche tendano a confermare il posto antico che essa conserva nella «Facoltà di lettere» accanto alla Storia, in questa sua posizione rimane però sempre ostacolata e soppressa la sua più alta funzione unificatrice fra il gruppo delle «scienze morali» e quello delle «scienze fisiche».

La vecchia divisione per «Facoltà» dovuta a ragioni di specializzazione e di divisione nel lavoro scientifico, resa più rigida da necessità professionali e da difficoltà pratiche d'indole interna, rappresenta – specie in relazione alla Geografia, e fors'anche alla Filosofia, di fronte alle esigenze degli studi moderni – un ostacolo al libero movimento della Scienza e, sto per dire, una forma vera e propria d'ignoranza ufficiale organizzata.

Tutti coloro che hanno avuto occasione d'interessarsi alle belle pubblicazioni della benemerita «Società per il progresso delle Scienze» e di scorrere i volumi degli «Atti» dei Congressi annuali, avranno certamente rilevato il nobile sforzo dei nostri più illustri scienziati per togliersi dalle abitudini del rigido bigottismo dottrinale del secolo passato, quando pareva una condizione quasi assoluta di serietà scientifica la professione di ignoranza su qualsiasi altro ramo del sapere che non fosse la propria talora limitatissima specializzazione, quando ognuno si chiudeva nel guscio del proprio egoismo dogmatico, fisso lo sguardo in una sola direzione, con i paraocchi, come i cavalli da tiro.

In questi tempi, pure da noi non tanto lontani, si sentiva nell'aria quasi una proibizione di quello sguardo laterale che si suoi chiamare «la coda dell'occhio» e nel quale risiede appunto ciò che è l'accorgimento, non solo nella vita e in mezzo a una strada affollata, ma anche nella Scienza.

Però nei Congressi della Società delle Scienze, come nell'ordinamento della nostra istruzione, la Geografia non ha ancora potuto prendere il posto, che le è dovuto, di unione e di controllo nella vasta collaborazione del sapere. Forse da un diverso assetto degli studi, unito ad una fede più alta da parte dei geografi, dipende l'efficacia nuova che è serbata alla nostra disciplina come forma necessaria di convergenza dei tanti «rivoli sottili nei quali si è diviso il lavoro scientifico per fecondare i campi del pensiero umano».

In una importante relazione su «le riforme urgenti per la Geografia nelle università italiane» firmata da un gruppo di geografi, al quale conferisce una particolare autorità il nome del senatore Giuseppe Dalla Vedova, è fatta larga ragione allo stato presente degli studi geografici in Italia, e sono fissati con chiarezza i caposaldi per una fondamentale riforma.

Si è molto parlato della costituzione di una grande Facoltà filosofica a tipo germanico, nella quale la Geografia potrebbe esercitare il suo ufficio unificatore e l'utilità dei suoi metodi potrebbe essere riconosciuta più largamente nel campo scientifico. Si è pure accennato ad un gruppo di scienze che dovrebbero costituire più specialmente la cultura del geografo moderno, e che ora si trovano divise fra le diverse «Facoltà» in modo che nessun contatto possono avere fra di loro e con la Geografia. Si è pure affacciata più volte la quistione di un razionale raggruppamento di tutte queste discipline, almeno in alcune Università dello Stato, ove questi corsi potessero far capo ad una laurea o diploma speciale di Geografia.

Si teme, nella Geografia resa autonoma, una specializzazione nuova, che viene ad aggiungersi alle altre nelle Scuole medie, così da rendere più grave il pesante bagaglio enciclopedico che pur troppo già ingombra e paralizza la nostra cultura media, come se invece non fosse proprio questa la dottrina ordinatrice di tutto quell'informe arruffio di cognizioni diverse senza legame fra di loro, che costituisce la caratteristica di una siffatta cultura superficiale, mentre il nostro spirito sente che la luce di un'idea dovrebbe animare dinanzi a noi il quadro vivo del sapere.

Perchè mai la Geografia deve essere assorbita dalle scienze speciali e non piuttosto queste della Geografia medesima? Non è forse compito universalmente riconosciuto della nostra disciplina, messo in rilievo dalla relazione ufficiale sopracitata, una così fatta opera unificatrice della Scienza? E dove, meglio che nelle Scuole medie di qualsiasi grado e natura, può essere utilizzato questo magnifico sistema di coordinazione e di sintesi, il quale – nel caso nostro – si converte in una funzione pedagogica che solo la Geografia può esercitare?

Nulla più contrasterebbe col principio didattico della tendenza nazionale a unificare, fin dove è possibile, gli insegnamenti in una sola persona per conseguire la tanto desiderata unità di indirizzo, ove si ammettesse che le materie scientifiche – come appunto è detto nella relazione menzionata – fossero impartite da un laureato in scienze «che desse prova altresì di una buona preparazione in Geografia» e verso di essa sapesse far convergere i suoi insegnamenti.

Anche prima della istituzione eventuale di una grande «Facoltà filosofica» ciò non sarà difficile a ottenere, con una semplice disposizione regolamentare che fissi l'obbligo delle iscrizioni su questa base. Ma non vorrei escludere certamente i laureati in Lettere e in Filosofia dalla possibilità di esercitare questo ufficio nelle scuole medie in generale, qualora sia stato fatto l'obbligo di alcuni corsi della Facoltà di scienze, fondamentali per la Geografia.

Si tratta di educare tutta una scuola di giovani insegnanti, sviluppando in essa quello «spirito geografico» integratore di ogni scienza, che consiste nell'abitudine a cogliere i rapporti spaziali di fronte alla vasta coesistenza dei fenomeni sulla superficie terrestre.

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