CAPITOLO VII. “Non addio, ma arrivederci, Nello”

Pepy aveva fatto la conoscenza di Mister Giga senza un eccessivo spavento. Si può anzi dire, ad onore della monelleria californiana, che Pepy avesse ricevuto dall'apparizione del mostro, un'impressione divertentissima.

I monelli di tutti i paesi si divertono sempre delle cose che possono spaventare i grandi.

Mister Giga, per quanto colossale, era sempre un fantoccio: e nulla fa ridere maggiormente un monello di un fantoccio che voglia imitare l'uomo o di un uomo che voglia imitare un fantoccio.

La prima impressione di Pepy fu allegra:

— Uh! che bamboccio mal foggiato! – esclamò in segno di saluto il monello californiano quando Mister Giga venne a ficcare il naso, che viceversa non aveva, nello spuntino sulla tenera erbetta. E non aveva smesso di mangiare il biscotto spalmato di marmellata. Soltanto quando l'ebbe finito di scantucciare, volle prendere parte attiva alla battaglia.

E prese parte in varie maniere. Incominciò a lanciargli sul viso una scatola vuota di marmellata, e poichè in fondo ve n'era ancora un rimasuglio, il Gigante risultò fornito d'un bel baffo a sinistra; poi gli lanciò una scatola di sardine e vari rami spezzati. Ma abbandonò presto l'esercizio di tiro, per dedicarsi ad un altro sport, più divertente, ma senza dubbio più pericoloso.

Mentre il Gigante correva a grandi e rigidi passi per la foresta cercando di afferrare qualche marinaio, Pepy gli passava e ripassava sotto le gambe, come se questo fosse stato il compito assegnatogli dal destino: e di quando in quando esclamava:

— Uh! che brutto bamboccio!

Il mostro non gli badava, o forse non si avvedeva nemmeno di lui, intento com'era a mettere in fuga i marinai.

Pepy non desistè dal suo giuoco se non quando sentì chiamarsi dal suo amico Tom Fred.

— Vieni qui, Pepy!

Il monello sgusciò un'ultima volta di tra le gambe del Gigante e corse dietro il cespuglio dove Tom Fred, con Nello Sorasio, stava terminando di fabbricare la piccola!bomba.

— Vuoi fare un grazioso scherzetto a Mister Giga? – gli chiese Tom Fred.

— Magari!

— Si tratta di una cosa semplice, ma nello stesso tempo molto pericolosa – fece l'acrobata.

— Dite su, mister Tom!

— Questa è una piccola bomba – spiegò Tom Fred. – Si tratta di gettarla nel buco che gli vedi sullo stomaco, dopo averne accesa la miccia.

— È presto detto! E come fare? Bisognerebbe che Mister Giga mi lasciasse arrampicare fino allo stomaco senza protestare: ma, a quanto sembra, quel bamboccio ha un cattivo carattere ed inoltre è stato molto male educato...

— Oh! Ha ricevuto una pessima educazione; e per questo bisogna metterlo in castigo: fargli saltare lo stomaco ed il cuoraccio di bronzo... Stammi a sentire... Noi ci postiamo di dietro al mostro: io ti faccio fare un boomerang: tu ti aggrappi al suo collo, ti siedi sulle spalle, tiri fuori la bombetta che ti sarai messa in tasca, ne accendi la miccia, e poi, allungando una mano, la introduci nel buco ovale... E poi, via... spicchi un salto ed io ti ricevo sulle mie braccia...

— Bellissimo! – esclamò pieno di entusiasmo il monello. – Datemi la bomba e la scatola degli svedesi... Bene... Ora andiamo dietro il Gigante...

Mister Giga, si era fermato in mezzo allo spiazzo, come se stesse studiando qualche astuzia per vendicarsi della vana caccia a cui lo avevano costretto i naufraghi. Questi, intorno, avevano incominciato anche loro a prendere la cosa con una certa allegrezza. Visto che con una buona agilità di gambe, era possibile salvarsi dalla rincorsa del tardigrado, essi pensarono che, dopo tutto, non bisogna considerare il Gigante con terrore... L'esempio del monello Pepy era comunicativo, e quegli uomini, poco prima terrorizzati, sentivano che l'antico monello dei bei tempi antichi saltava fuori dai loro vecchi petti...

E qualcuno, anche, si mise a sghignazzare.

La psicologia dei giganti meccanici non è ancora molto ben conosciuta: e, probabilmente, nemmeno la famosa psicoanalisi gioverà a farla conoscere: ma a giudicare dal brontolio di collera che uscì dalla bocca rettangolare di Mister Giga, non è arbitrario affermare che i giganti di tal natura sono molto suscettibili e si offendono a sentirsi dileggiare. Il Gigante dell'Apocalisse urlò:

— Voi ridete perchè non ho in questo momento a disposizione i fulmini che hanno già danzato intorno alla nave altrimenti il riso vi morrebbe presto sulle labbra...

Il capitano Haver si era fatto avanti:

— Senti, maledetto Gigante – gridò – tu mi hai colato a picco il yacht.

— Non hai voluto ubbidire...

— Restituisci almeno la fidanzata a Nello Sorasio soggiunse il capitano.

Il Gigante non rispose.

Sembrava non aver udito la domanda.

In quel mentre Tom Fred lanciò il boomerang vivente.

Pepy partì e si afferrò al collo del Gigante.

Rapidamente egli si sedè su una spalla di questo e trasse di tasca la bomba: accese un zolfanello e poi, con esso, il capo della miccia; si protese a mezzo busto in basso, per gettare nell'oblò la bomba, quando un braccio del Gigante si alzò all'altezza della spalla, l'avambraccio si ripiegò all'indietro e la mano uncinata afferrò per la schiena il ragazzo, sollevandolo poi in alto.

Un grido d'orrore uscì da vari petti.

— Getta via la bomba, Pepy! – gridò Tom Fred. Ti scoppierà in mano!

Pepy gettò via la bomba. Tom Fred, con un balzo, fu sopra la miccia e ne spense il fuoco col piede.

— Via monello, questo volo ti serva di lezione! – urlò il Gigante altoparlante.

E lanciò Pepy lungi da sè.

Lo lanciò, ma senza nessuna regola d'arte; per cui Pepy non funzionò da boomerang e non fece il viaggio di ritorno. Cosa, del resto, che gli importava poco. Egli preferì di cadere nelle braccia di Tom Fred.

— Colpo mancato! – mormorò il monello. Sarà per un'altra volta.

Il Gigante era rimasto immobile, come sorpreso da un pensiero: poi cadde all'indietro, con un gran tonfo metallico.

— Che è successo? – chiese Tom Fred.

— Gli è mancata l'energia – disse Haver.

— Non avviciniamoci – suggerì Din Gimmy. – Non è prudente.

Il Gigante rimaneva interamente immobile. La sua vita meccanica era forse interrotta? Che cosa era successo nel lontano covo dove forse Yoko-Hito, o chi per lui, faceva agire l'orribile fantoccio?

La luce verdastra che dianzi brillava nei grandi occhi cristallini, quasi semisfere infisse in orbite enormi, era sparita.

— È il momento di catturare il mostro – propose Nello Sorasio.

Un uguale pensiero era passato per il cervello dei compagni. Tuttavia bisognava procedere in tutta cautela.

L'aviatore si avvicinò al fantoccio, lentamente, scrutandolo negli occhi vitrei: continuavano a mantenersi incolori.

Con un piede urtò il fianco del Gigante disteso e ne uscì un suono metallico.

Ma come se questo urto avesse ridato la vita al mostro, le pupille semisferiche si accesero del bagliore verdastro. Il braccio si sollevò rapido come una leva, subito l'avambraccio si piegò e l'orrida mano imprigionò il collo di Nello Sorasio.

Poi, d'un colpo solo, il Gigante dell'Apocalisse fu in piedi, sollevò al livello dei suoi occhi vitrei il volto del giovane.

Un fremito d'orrore percorse gli astanti. Ogni grido gelò sulle loro bocche. I cuori palpitarono violentemente.

Certamente, il mostro stava per strangolare Nello Sorasio.

E nessuno scorgeva il mezzo di torlo dalla mano orrida!

— Signor Nello Sorasio – urlò la nera, spaccatura rettangolare con una voce che pareva uscire da un potente diffusore propagandosi per tutta la foresta. – Vi contemplo molto da vicino. Siete un bel giovane e non mi stupisce che Tanagra vi abbia scelto per fidanzato. C'è però un ostacolo al vostro matrimonio, ed è che io non voglio che si faccia. In un certo vecchio romanzo del tuo paese, se ben ricordo, c'è un prepotente signorotto che non vuole che due fidanzati si sposino. Il signorotto mandò due bravi ad intimare al parroco di non fare quel matrimonio. Io, più moderno, ho mandato il Gigante dell'Apocalisse. Questo matrimonio non si farà, anche per una semplicissima ragione: che Tanagra è ben custodita e tu sei in procinto di venir strangolato. Tu hai voluto prendermi a calci, sbadato giovanotto: tu non conosci le astuzie dei giganti: tu, col tuo calcio, mi hai ridato la vita... C'è qui, vicino a me, la soave Tanagra che ode anche lei questo discorsetto e ti vede nella poco allegra posizione in cui ti trovi... Ella non vuol saperne di me, bene inteso; ma io mi vendico su di te... Quando tu avrai cessato di vivere, forse, chissà... ella muterà parere e si deciderà ad accettare le mie grandi ricchezze e la mia potenza... Dà un addio ai tuoi compagni tu hai avuto la disgrazia di venirti a porre nelle mie mani... hai presunto troppo, giovanotto: ed anche Tanagra che assiste alla tua fine... Signor Nello Sorasio, spero che tu serva di lezione ai tuoi amici i quali abbandoneranno la loro chimerica spedizione...

Nello Sorasio rivolse uno sguardo di addio ai suoi compagni.

La sua ultima ora era venuta! E nella speranza che Tanagra, dietro al carnefice, come aveva detto il fantoccio, potesse udirla, mormorò:

— Addio, Tanagra... mia cara Tanagra!...

Ed una voce, alta, ma pure dolce, una voce femminile, uscì dalla spaccatura rettangolare del fantoccio, esclamando con accento in cui si sentiva vibrare la speranza

— Non addio, ma arrivederci, Nello!

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