CAPITOLO VIII. Parla Tanagra!

Era la voce di Tanagra!

Indubitatamente era la voce della «Donna scomparsa in cielo!».

Benchè emessa dall'orribile bocca altoparlante del mostruoso bamboccio, la voce di Tanagra aveva una inflessione inconfondibile!

Lo stupore invase l'equipaggio naufragato dell'Edison, nell'udire che una voce femminile si era sostituita a quella del Gigante: ma per Nello Sorasio, Tom Fred e Din Gimmy che conoscevano Tanagra e ne udivano le confortevoli parole, non si poteva parlare più di stupore, ma di folle meraviglia.

Per quale miracolo era successo il mutamento di scena, l'inesplicabile colpo di teatro?

Si avvicinarono tutti al Gigante, sospinti da un'intensa curiosità, da un febbrile desiderio di veder salvo il giovane prigioniero della poderosa mano uncinata.

E la poderosa mano si allargò: Nello Sorasio cadde tra le braccia di Tom Fred che fu pronto a raccoglierlo.

— Tanagra! Tanagra! – proruppe l'aviatore. – Parla ancora, Tanagra! Che è successo?

— In quanto a parlare, posso farlo abbondantemente e ve lo proverò raccontandovi quanto m'è successo e mi succede: ma in quanto a far agire con qualche profitto e qualche apparenza di logica il bestione che vi sta dinanzi, mi riuscirà oltremodo difficile... Per fortuna, sono riuscita a premere il tasto giusto che gli ha fatto rallentare la stretta che ti soffocava, caro cuginetto: lo tenevo d'occhio da cinque minuti, quel tasto!... Se premevo quello vicino, era proprio l'addio per sempre! ... La manaccia ti avrebbe stritolato il collo!... Tremo tutta!... Vi sono centinaia di bottoni su questa maledetta tastiera... Bene, bisogna che ne apprenda l'uso... Figuratevi una immensa macchina da scrivere con infiniti tasti, ciascuno dei quali fa agire un organo del Gigante, con una emissione di onde sintonizzate... Ma son mica certa di spiegarvi scientificamente la faccenda...

— Parlaci di te... della tua avventura... del tuo rapitore – esclamò Nello Sorasio. – l'apparecchio lo studieremo sul posto...

— Ma sì! Ma sì!... Vi dirò tutto, ma vi è qui una numerosa compagnia e di essa non conosco che te, Tom Fred e Din Gimmy... Non vuoi fare una regolare presentazione, Nello?

— Il signor Murray... un detective dilettante che si è unito a noi tre sull'Edison per andare alla tua ricerca...

— Piacere, signor Murray!... Ve ne sono riconoscentissima! Non vi stringo la mano, per timore di stritolarvela...

L'agente politico si inchinò con un garbato sorriso.

— Miss Tanagra – disse Murray – spero di poterla presto baciare la vostra mano.

— Mister Haver, il capitano dell'Edison.

— Così miseramente naufragato! – esclamò Haver, avanzandosi ed inchinandosi.

— Tipo perfetto del bravo capitano che sfida uomini e tempeste... Leggo sul vostro viso una travagliata esistenza marinara – disse il Gigante. – Il gaglioffo vi ha speronato nella speranza di perdervi tutti... ma glielo faremo rifare a sue spese, l'Edison... Bravo, capitano! Fate conto che vi abbia stretto calorosamente la mano, alla marinara!...

— L'ufficiale in seconda, Topler – continuò Nello Sorasio.

— Gradite anche voi i miei ringraziamenti, che estendo a tutto il valoroso equipaggio dell'infelice yacht... Ma chi è lo scugnizzo che si arrampica sulla gamba sinistra del bestione?

— Pepy – rispose Nello Sorasio – uno sbarazzino che si è clandestinamente imbarcato sull'Edison...

— Per venirvi a cercare, miss! – fece Pepy. – Desidero diventare il vostro groom...

— Nella posizione in cui ti trovi non ti posso vedere in viso, Pepy – fece Tanagra.

Rapidamente il monello californiano si arrampicò sulle spalle di Tom Fred e così in piedi arrivava all'ombelico del Gigante.

— Ora, per mezzo degli occhi semisferici del Gigante, ti vedo il viso... Sei intelligente ed hai l'aria di amare molto i dolci... Bene, signori, ed ora vi prego di sedere tutti attorno a me ... Non vorrete certo udire la mia conferenza in piedi... Così... bravi... Ora cerco di orizzontarmi, per potermi sedere anch'io... intendo far sedere il bestione... aspettate... Dinanzi a me c'è uno schermo di metallo lucido; su questo schermo si riproduce tutto quanto si riflette negli occhi semisferici del mostro... La televisione è perfettamente stereoscopica: tutto è proiettato in rilievo... Al di sopra della tastiera vi è un nano dell'Apocalisse: cioè vi è una riproduzione in piccolo del Gigante, alta 80 centimetri, credo... Mi son dimenticata di dirvi che sono immersa nell'oscurità e che i tasti sono fosforescenti. Premendo un tasto, una piccola luce rossa si accende nel corpo del nano, in rispondenza del muscolo che si è voluto far agire... Ecco, per esempio, io premo il tasto che ti ha liberato il collo, caro cuginetto: una luce rossa appare sulla mano destra del nano. E voi potete vedere che la mano si allarga... Premo un altro tasto ed una luce rossa appare sull'avambraccio del nano... e voi vedete che il braccio del Gigante si abbassa... Aspettate, per far sedere il mostro bisogna prima farlo coricare: per ottenere questo, si premono due bottoni... Così...

E infatti il Gigante si coricò a terra piegandosi rapidamente all'indietro, tutto d'un pezzo.

— Ora – continuò Tanagra per l'altoparlante del mostro – premo un altro bottone.

Infatti Mister Giga si sollevò a mezzo busto e lo costrinse a rimaner seduto sulle ali ripiegate.

Seduto, il Gigante domato dalla mano affusolata della lontanissima Tanagra, appariva ancora alto quasi due metri e dominava fantasticamente i suoi ascoltatori.

Senza dubbio, fu per divertire questi, che Tanagra fece imprimere al Gigante alcuni movimenti di testa, come se numerasse i convenuti alla spettacolosa assemblea.

Pepy si era comodamente accoccolato tra le enormi gambe di Mister Giga, con in mano un lungo ramo, col quale andava solleticando le orecchie del mostro – i due ricevitori telefonici che gli servivano di orecchie.

— Non farmi il solletico! – gridò questi. – Lo strusciamento del tuo ramo sulle orecchie mi giunge come un fragore che mi assorda... Smettila Pepy, se vuoi che restiamo amici!

Pepy la smise e Tanagra continuò:

— Quando al Lago d'Oro, udii quel pronto infernale e vidi sbucare dall'aggroviglio degli alberi ed arbusti, il bestione, dissi fra me: «Che scherzo è questo?». Ma quando poi vidi avanzare verso l'automobile il Gigante e mi sentii afferrare alla vita, pensai: Non ho digerito bene... sogno, ma voglio subito svegliarmi. Come succede in sogno, tentai di gridare, ma non potei... Quando mi vidi sollevare e mi sentii rinchiudere nel petto del mostro, pensai: Sono stata rapita da un abitante del pianeta Marte... Sentivo di venire portata in alto. Ero immersa in una semi oscurità, perchè colla schiena ostruivo l'oblò che vedete qui... Ma a poco a poco, distinsi la mia strana prigione. Era una minuscola cabina, dove non potevo stare in piedi, ma soltanto coricata diagonalmente, su una specie di elastico a cuccetta. Vidi subito alle pareti un armadietto a vetri con varie bottiglie ed un piccolo servizio di sandwiches, in un reparto e, nell'altro, un flacone d'acqua di Colonia col quale poi... a proposito, ignoro qual fine abbia fatto il mio messaggio.

— È stato rinvenuto in mare – spiegò Nello Sorasio, ed ha servito a renderci esperti a sciogliere gli anagrammi.

— Non capisco – fece l'altoparlante.

— Granata sta come Tanagra – disse Tom Fred.

— È vero! gridò il Gigante – Non ci avevo pensato,.. È un omaggio del gaglioffo... Benissimo... Dunque, presto mi accorsi che ero rinchiusa in un ambientino abbastanza confortable. V'era un piccolo telefono, ed appena mi convinsi di non sognare, ma di vivere l'avventura più strana e sensazionale che mai sia occorsa a un'artista cinematografica, mi decisi a chiedere qualche spiegazione all'apparecchio telefonico... L'afferrai. – «Pronto?» – chiesi. – «Pronto» – mi rispose una voce. – «Che desiderate, miss Tanagra?».

— Era Yoko-Hito? – chiese con voce soffocata dalla collera Nello Sorasio.

— Sì, cuginetto... Ed allora la situazione mi si illuminò. Mi ricordai della minaccia di Yoko-Hito, la scarica di pugni che gli somministraste, Tom...

— Non è stato che un acconto – grugnì Tom Fred. – Spero bene che me lo presenterete presto perchè gli dia il saldo.

— Lo tengo qui a vostra disposizione – rispose Tanagra mentre il mostro volgeva il capo grottesco verso l'acrobata.

— Ed anche un po' alla mia! – soggiunse Nello Sorasio.

— Naturalmente – fece Tanagra.

— Miss Tanagra non vorrà dimenticare l'umile ricorrente – disse Murray. – Però io non mi interesso tanto al giapponese, quanto al tedesco.

— Ah! voi sapete che nell'Isola di Granata c'è un tedesco? – gridò Tanagra in tono di viva sorpresa.

Lo sguardo che tutti gli ascoltatori, e specialmente Tom Fred, Nello Sorasio e Din Gimmy rivolsero a Murray, conteneva altrettanta sorpresa.

Murray sorrise, e come distratto, soggiunse:

— Ho dunque indovinato? Ho parlato a caso, lo confesso, pensando che soltanto un tedesco poteva costrurre... Ma seguitate, miss Tanagra, parleremo, se mai, di ciò più tardi... In questo momento siamo tutti presi dall'ansia di conoscere la vostra avventura...

— «Che desidero? – risposi a voce concitata al trasmettitore. – Desidero di sapere cosa significa questo scherzo!». – «Sono lieto che voi lo prendiate per uno scherzo – rispose Yoko-Hito – ciò mi prova che non vi siete spaventata... Non è però uno scherzo. Mantengo la promessa che vi ho fatto e che ho giurato a me stesso. Voi acconsentirete a sposarmi. Vi dimostrerò che sono un partito conveniente». – «Questo non mi interessa – risposi. – Voglio sapere dove mi conducete». – «Miss Tanagra, vi permetterò di trovare l' «erba voglio» quando sarete mia moglie. Per ora, sono io soltanto che debbo volere. Ditemi invece: desidero sapere dove mi conducete». – «Va bene... Desidero sapere dove mi conducete col vostro pazzesco Gigante». – «All'Isola di Granata... Miss Tanagra, avete osservato che c'è una bottiglia di cocktail? Vi sono anche dei sandwiches di carne fredda nell'armadietto... Inoltre troverete alcuni libri che vi aiuteranno a trascorrere meno male il tempo della traversata aerea... L'ultimo romanzo uscito: Il Figlio di due Madri di Bontempelli... Non conosco bene i vostri gusti». – «Grazie, signor Yoko-Hito, vi dico subito qual è il mio gusto, o quale sarebbe: sarebbe quello di rompervi il grugno».

— Benissimo! – gridò Pepy battendo le mani dalla gioia.

— «Malissimo – mi rispose invece Yoko-Hito. – Il mio grugno non si lascerà rompere da voi, nè da tutti gli americani riuniti della Repubblica stellata... Miss Tanagra, volgetevi e gettate uno sguardo dallo spioncino. Potrete avere un'idea della elevata posizione che vi ho fatto raggiungere».

Macchinalmente mi voltai e vidi attraverso l'apertura dello stomaco un'azzurra immensità, non altro che un infinito azzurro. Dovevo trovarmi ad una quota elevatissima!

Non avevo la sensazione di percorrere lo spazio. Udivo un ronzìo strano che doveva esser quello del motore sopra il mio capo: ma non era certo il solito motore dei velivoli. L'ombra delle ali oscurava di quando in quando il microscopico salotto.

Non potevo avere una esatta nozione della mia posizione: a volte mi sembrava di essere coricata parallelamente al corpo del Gigante, ora perpendicolarmente, ora diagonalmente. Comunque, non subivo alcuna scossa.

Dove si trovava l'Isola di Granata? Non ne potevo avere la minima idea.

Tentai di interrogare il giapponese.

«Pronto?». – «Pronto». – «Desidero sapere dove si trova l'Isola di Granata». – «No, miss, per ora, no – rispose Yoko-Hito. – Quando sarete mia moglie, l'isola sarà anche vostra, ed avrete il piacere di abitare un piccolo territorio sul quale vi eleggerò Regina del mondo».

Murray ebbe un sorriso misterioso del quale nessuno si accorse.

— Le parole di Yoko-Hito – seguitò Tanagra – mi parvero in quel momento quelle di un pazzo. Che cosa intendeva dire?

Ero nervosa. Credo che ne avessi ben diritto: posai indispettita il ricevitore e meditai. Che cosa meditai? Non lo saprei dire: il fatto si è che la meditazione, a quell'altezza, ha effetti strani su di me. Avevo appetito, come quando discesi dal cielo. Mi gettai sui sandwiches. Divorandoli, pensai al modo di far pervenire agli abitanti del globo un messaggio.

Strappai un lembo della fodera del mio giubbetto, tolsi una spilla che fermava la mia cravatta a svolazzi, mi punsi un braccio e scrissi col sangue il messaggio ai popoli della terra. Vuotai fuori del finestrino l'acqua di Colonia, profumando così l'Oceano, introdussi nel flacone il biglietto e... spedii la mia lettera, indirizzata al signor Destino, mormorando: speriamo che non sia «sconosciuto al portalettere».

Sono lieta di non avere inutilmente versato il mio sangue e che il messaggio sia stato raccolto.

Appena affidato all'Oceano il mio appello ai popoli, mi rimisi a mangiare i sandwiches e li consumai: tutti ottimi, tra parentesi.

Quante ore erano trascorse? Non ne avevo la più piccola idea. Avevo lasciato l'orologio nella borsetta.

— A proposito: – fece Tom Fred – essa è a mani di mister Brenon.

— Bene... la riprenderò al mio ritorno ad Hollywood. Smaltiti i sandwiches, dovetti consumare il cocktail: sono vergognosa di doverlo confessare: ho vuotato la bottiglia.

Questo è un po' eccezionale per una signorina: ma è anche eccezionale che una signorina si trovi in simile situazione.

Qualche altra ora certo dovè passare. Il sole tramontava e indorava tutto il mondo a me visibile. Chiamata al telefono, «Pronto». – «Signorina Tanagra... ora prendo due piccioni con una fava – disse la voce di Yoko-Hito. – Risparmio energia elettrica e permetto a voi di fare due passi e prendere un po' d'aria». – «Grazie – borbottai, – purchè non siano due passi fuori dello sportello... sul viale aereo...». – «No, miss Tanagra... voi potrete fare due passi sul ponte dell'Hirosina, il mio yacht che voi avete il torto di non conoscere ancora, ma che presto avrà l'onore di ospitarvi».

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