§ 1. – Fonti gnostiche.

Agli gnostici del primo secolo, Simone, Menandro, Cleobulo, Tebuti, Dositeo, Cerinto, Nicolaiti, Claudio, figure che si muovono in una rete leggendaria più o meno complicata la tradizione posteriore attribuì alcune opere, compilate molto probabilmente più tardi, ma circolanti col loro nome.

Noi ne conosciamo i titoli e qualche raro frammento. Le Apost. Const. VI, 16, dicono genericamente: «οἴδαμεν γὰρ ὅτι οἱ περὶ Σίμωνα ϰαὶ Κλεόβιον ἰώδη συντάξαντες βιβλία ἐπονόματι Χριστοῦ ϰαὶ τῶν μαθητῶν αὐτοῦ περιφέρουσιν, εἰς ἀπάτην ὑμῶν τῶν πεφιληϰότων Χριστὸν ϰαὶ ἡμὰς τοὺς αὐτοῦ δούλους».

Di Dositeo, Fozio (Bibl. 230) ricorda uno scritto sull'Ottateuco.

A Simone, i Filosofumeni (VI, 7-20; X, 12; IV, 51), attribuiscono un'opera, intitolata: la grande rivelazione, Ἀπόφασις μεγάλη, e ne riportano qualche brano.

A opere di Simone, accennano vagamente Girolamo (Comm. in Matth. 24, 5), una prefazione araba al Concilio Niceno (trad. Abr. Echellensis in T. II, Concil. Labbei Col. 386) e Mosè Bar-Kepha, nel suo De Paradiso III, c. 1 (Ed. Grabe, Spic. I, 308). Di Cerinto (Merinto, in Epif.), Ippolito ricordadegli scritti ὑπὲρ τοῦ ϰατὰ Ἰωάννην ἐυαγγελίου ϰαὶ ἀποϰαλύψεως. (III, XI, 1). Dalla setta dei nicolaiti emanarono, secondo la testimonianza di Filastrio (c. 33), e di Epifanio (h. 26, 1) numerosi scritti, fra i quali, ricordati a nome: i βιβλία ἐξ ὀνόματος τοῦ Ἰαλδαβαώθ;l'Εὐαγγέλιον τελειώσεως; le visiones e le profezie di Barkabbas; il libro di Noria.

Al secondo secolo, i maestri gnostici e le loro opere, più numerose, più organiche, appaiono in una luce più sicura e attraverso notizie più attendibili, perchè meno tardive, e, genericamente, autentiche. Di Basilide sono ricordati:

1. Un vangelo (Orig., in Luc. I).

2. Ventiquattro libri esegetici (Ἐξηγητιϰά) sul proprio Vangelo. Così li citano gli Acta Archelai (c. 55): «Fuit praedicator apud persas; etiam Basilides quidam antiquior non longe post nostrorum apostolorum tempora, qui et ipse cum esset versutus et vidisset, quod eo tempore iam essent omnia preoccupata, dualitatem istam voluit affirmare, quae etiam apud Scytianum erat. Denique cum nihil haberet, quod assereret proprium, aliis dictis proposuit adversariis. Et omnes eius libri difficilia quaedam et asperrima continent. Extat tamen XIII liber tractatuum eius, cuius initium tale est: "tertium decimum nobis tractatuum scribentibus librum necessarium, sermonem uberemque salutaris sermo praestavit. Per parabulam divitis et pauperis naturam sine radice et sine loco rebus super venientem, unde pullulaverit indicat". Hoc autem solum caput libri continet», ecc. (Cfr. Eus. IV, 7. 6).

3. Odi e incantesimi. (Ne fanno testimonianza: Orig. in Job. 21, 11 – e l'autore del canone muratoriano, in fine).

4. Ci sono poi parecchi scritti basilidiani, redatti però da Isidoro, figlio del caposcuola:

a) Ἠθιϰά (Clem. Strom. III. 1. 1: identici forse ai libri Παραινετιϰά di cui parla Epifanio, h. 32, c. 3);

b) Almeno due libri Ἐξηγητιϰά τοῦ προφήτου Παρϰὼρ (Strom. VI, 6. 53);

c) Περὶ προσφυοῦς ψυχῆς (Strom. II, 20. 113).

Infine vagamente accennati (Strom. VI): una profezia di Ham, libri ermeneutici di Petro, Glaukia, e apocrifi sotto il nome di Mattia.

La letteratura dei carpocraziani, comprende:

1.I Συγράμματα della setta, che Ireneo ha letto (I, 25).

2. Delle incantazioni (Ib.).

3. Lo scritto di Epifane, il precoce figlio di Carpocrate, Περὶ διϰαιοσύνης (Clem. Strom. III. 2. 5-10).

4. Gl'inni dedicati ad Epifane.

C'è poi, sempre al secondo secolo, e a principio del terzo, variamente ricordato dai padri, un numerosissimo gruppo di gnostici, che hanno assunto questo nome come per antonomasia o l'altro di Ofiti, e che sono suddivisi in innumerevoli sètte, disperse per tutto l'impero, di cui ecco una completa enumerazione: Borboriani, Barbelioti, Perati, Eufrate, Akembes, Severiani, Phibioniti, Koddiani, Hypitiani, Stratioki, Zacchei, Levitici, Entychiti, Haimatiti, Babilonii, Estotiani, Kainiti, Noachiti, Sethiani, Arcontici, Naasseni, Giustino, Antitakti, Prodiciani, Doceti, Monoimo l'arabo, Adamiani, Valesii, Angelici, Origeniani, Paolo: e gli pseudo-profeti, Marziade, Marsano, Nikoteo, Fosilampe. Da questi piccoli aggruppamenti eretici, sbocciati come fungaia sul suolo acquitrinoso della religiosità romana al secondo secolo, e invadenti, come una scarlattina, l'organismo giovane della Chiesa, emanarono una moltitudine di scritti, di cui Harnack fa un elenco approssimativo:

1-3. Tre fonti di cui Ireneo si è servito (I, 29-31).

4-6. Le fonti di cui Ippolito si è servito nel suo Syntagma, per gli Ofiti, Kainiti e Sethiani.

7-9. Le fonti per gli «gnostici» per antonomasia (Ofiti e Severiani) in Epifanio.

10-15. Scritti naasseni, peratici, sethianici, e altri relativamente allo gnostico Giustino, ai doceti e a Monoimo, utilizzati da Ippolito (Philos.).

16. Diagramma ofitico (citato da Celso).

17-27. Vangeli di Giuda (noto ad Ir.), di Eva (noto ad Epif. e forse alla Pistis), di Filippo, di Tommaso, degli Egiziani, il libro Γέννα Μαρίας (citato da Epif., e noto a Celso, Or. VI, 30), le grandi e le piccole questioni di Maria (contemporanee della Pistis), un Vangelo dell'Infanzia (utilizzato dallo gnostico Giustino e noto a Ipp.), le lettere del «frater Domini» Giacomo a Mariamne (Ipp. Fil), il Vangelo τελειώσεως (Ipp.).

28. L'Ἀναβατϰὸν Παύλου (in Epif., ma verosimilmente del secondo secolo).

29. L'Apocalissi di Abramo (pure in Ep., forse identica al «Testamentum Abrahae»).

30-31. L'apocrifo di Mosè con l'Apocalissi di Elia (adoperate dai Setiani, ma forse anteriori a loro).

32. L'Apocalissi di Adamo (Const. Ap. VI, 16).

33. Il libro di Baruch (2 libri, Ipp. a proposito di Giustino).

34. Sette libri di Seth (Epif., verosimilmente del secondo secolo).

35. I libri Ἀλλογενεῖς, identici forse ai libri coi nomi dei sette figli di Seth (Epif., ma forse sono del secondo secolo: v. Porf., V. Pl. 16).

36. Il libro Παράφρασις Σὴθ (Ipp., inizio del terzo secolo).

37-38. Le profezie di Marziade e di Marsano (Epif.).

39-40. Il grande e il piccolo libro Συμφωνία.

41. I libri εἰς τὸν Ἰαλλαβαώθ (Epif.).

42. Πράξεις Ἀνδρέου (Epif.).

43. La lettera di Monoimo a Teofrasto (Ipp.).

44.L'ἀπόφασις μεγάλη (fra i naasseni, d'Ipp.).

45. Inni e salmi naasseni e sethianici (Ipp.).

46. Il libro occulto, sotto il nome di Zoroastro (Clem.).

47. Un apocrifo di eretico antinomista (Clem.).

48. Syngrammata kainitici (Ir.).

49. Un libro kainitico (Epif.).

50-51. Scritti apocrifi anonimi circolanti fra Severiani e Origeniani.

52-54. Alcuni scritti anonimi dei Perati, Sethiani, Giustino.

55. Una scrittura di Seth.

A questo copioso gruppo di scritti gnostici bisogna aggiungere i noti scritti in lingua copta, dei quali lo Schmidt ha iniziato testè la traduzione tedesca. Sono: la Pistis Sophia, i due libri di Jeû, e, col secondo di questi, vari frammenti, tra i quali due di preghiere e il «transito dell'anima attraverso gli arconti della via di mezzo»: recentissimamente scoperti, il Vangelo di Maria, l'Apocrifo di Giovanni, e la Sophia di G. Cristo.

Di Valentino e della sua scuola (compresi i Marciani) sono ricordati:

1. I salmi (ne rimane un frammento).

2. Le lettere (una ad Agathopus).

3. Le omelie (una sull'amicizia).

4. Visioni e rivelazioni (forse comprese nelle altre opere).

5. Evangelium Veritatis Valentini.

6. Sophia Valentini (incerto).

7. Una lettera dottrinale valentiniana in Epifanio (forse desunta dagli «Excerpta ex Theodoto»).

8. Excerpta ex Theodoto sulla dottrina anatolia.

9. Syngrammata tolemaici.

10. Spiegazione del prologo giovanneo.

11. La lettera di Tolomeo a Flora.

12. Gl'Hypomnemata di Eracleone sul Vangelo giovanneo.

13. Uno scritto d'Alessandro, forse intitolato «Sillogismi».

14. Uno scritto di Theotimo sulla legge.

15. Formule marcianiche.

16. Libro di Marco.

17. Note alla disputa fra Origene e Candido.

18. Fonti per Ireneo, I, 11-12 e Ippolito, Syntagma.

Di Bardesane l'astrologo sono ricordati gl'inni (Ephraem, Sermo adv. haer. 53): ed è stato ritrovato il libro «delle leggi dei paesi», che appartiene forse a un suo discepolo, Filippo, ed è da identificarsi con il dialogo Περὶ εἱμαρμένης.

Infine sono celebri i maestri gnostici Cerdone e Marcione, quest'ultimo con i suoi numerosi scolari (Lucano, Polito, Basilico, Synero, Prepone, Pitone, Megezio, Marco, Ambrogio, Teodozione, Metrodoro, Asklepio, Apelle e Filomeno). Di Marcione sono ricordate dai padri parecchie opere: Commenti al Vangelo e alle epistole (Εὐαγγέλιον e Ἀποστολιϰόν); le Ἀντιθέσεις; le lettere; i salmi; dei συντάγματα; il «liber propositi finis». Il marcionita Prepone, scrisse contro Bardesane. Apelle scrisse un libro «Sillogismi».

Celso (Ori., VIII, 15) utilizza un Οὐράνιος διάλογος d'indubbia origine gnostica, ma di cui non conosciamo l'autore.

Come si vede, un catalogo accurato, ricavato dalle opere ecclesiastiche dove si parla di gnostici, ci rivela in questi un'attività letteraria veramente meravigliosa.

Questi uomini venuti dalle più varie scuole filosofiche e dalle più raffinate forme della religiosità orientale, avevano la mania dell'intellettualismo: e diffondevano, con generosità signorile, le loro idee, commiste ad elementi cristiani, che han dovuto esercitare sull'ambiente che li circondava una efficacia di prim'ordine. Disgraziatamente di questa immensa e varia letteratura, che si accresce ai nostri occhi in misura anche più eccezionale, se pensiamo che lo gnosticismo inoltre insinuò le sue traccie in opere (specialmente apocrife del N. T.) non genuinamente gnostiche, non è rimasto quasi che un indice freddo come uno scheletro. Dico quasi; perchè oltre ai frammenti conservatici dai padri, che già occupavano circa cinquanta colonne del Migne (P. G. VII. 1263-1322), la critica moderna è riuscita da una parte a ricuperare specialmente in Egitto, documenti gnostici originali d'immensa importanza, sia per il confronto che permettono di stabilire con le opere di polemica cattoliche, sia per condurci direttamente alla conoscenza dello spirito eretico: dall'altra, a isolare e raccogliere disseminati in documenti di vario genere, scritti gnostici, come gl'inni di Bardesane, negli atti di Tommaso, rivendicandoli al loro vero autore e alla vera setta, da cui emanarono.

Fra i documenti gnostici recentemente ritrovati, e più recentemente ancora interpretati, ci preme di dire qualcosa più in dettaglio della Pistis Sophia e dei Libri di Jeû, per la loro ampiezza, per la loro intrinseca importanza, per i numerosi problemi che essi sollevano.

La Pistis Sophia è compresa in un codice copto del Museo Britannico, detto Askewianus, dal suo primo possessore il dott. Askew, il quale lo riportò da un suo viaggio in Grecia e lo vendette al Museo verso la fine del sec. XVIII. Per primo diede notizia al pubblico del codice, il Woide, il quale anzi ne fece uso nella sua grande opera: «Appendix ad editionem N. T. graeci e codice ms. Alexandrino a Carolo Godofredo Woide descripti, in qua continentur fragmenta N. T. iuxta interpretationem dialecti superioris Aegypti quae Thebaidica vel Saidica appellatur», ecc. (Oxonii, 1799).

Nel 1848 lo Schwartze iniziava una ricognizione del codice, e ne preparava una versione latina: la morte gl'impedì di pubblicare il suo lavoro, che fu edito però per cura del Petermann (1851): «Pistis Sophia, opus gnosticum Valentino adiudicatum e codice manuscripto coptico Londinensi descripsit et latine vertit G. Sch. ed. J. Pet.», ecc. Fu l'edizione più consultata fino a questi ultimi anni. Nel 1895 l'Amélineau ne pubblicava una versione francese, di cui si servì il Mead per un'altra versione inglese.

Ma l'orientalista francese non sembra avere sempre dato il senso fedele del documento. Come versione migliore deve ritenersi quella dello Schmidt in tedesco, pubblicata ora in volume separato.

I libri di Jeû son compresi nel codice Bruciano (dal suo primo possessore James Bruce), ora nella biblioteca Bodleyana, già noto anch'esso a Woide. L'Amélineau ne ha trattato più volte, e ne ha dato infine una versione francese. Questa fu attaccata violentemente in Germania, e può dirsi sopraffata dalla versione tedesca pubblicata dallo Schmidt, prima nei T. u. U. (1892), ora insieme alla Pistis Sophia.

Di questa noi ci serviremo.

Sul tempo di redazione e sul luogo di origine della Pistis Sophia, A. Harnack ha fissato dei termini, accettati anche dallo Schmidt, che ci sembrano definitivi:

1. Terminus ad quem: è il tempo della persecuzione (p. 277 ed. Schwartze), ma l'autore scrive in un tempo di momentanea quiete; dunque il libro è di composizione anteriore al 302-303.

2. Terminus a quo: i quattro Vangeli e le lettere paoline sono scritti sacri per l'autore («verbum domini per os Pauli»); la dedizione di questa gnosi ai quattro Vangeli canonici della grande Chiesa; la conciliazione di questa gnosi col V. T.; V. T. e Vangelo considerati come successivi gradini; tali caratteri mostrano che il libro non è di composizione anteriore al principio del terzo secolo.

3. Lo gnosticismo che vi traspare è uno gnosticismo di mezza età: da una parte imbevuto delle più sfrenate dottrine e concezioni storiche (gli apostoli salvatori del mondo; essi preesistevano; avevano due nature); dall'altra simpatizzante col canone ecclesiastico e con i genuini detti di Gesù; conciliante le nuove rivelazioni fatte negli anni che, dopo la risurrezione, il Cristo ha impiegato in una più alta istruzione dei discepoli, con le antiche.

4. Il carattere fondamentale del libro che è il sacramentalismo, rivela il terzo secolo.

5. Solo le cinque odi salomoniche, d'intonazione più misurata, e messe in dignità allato ai salmi davidici, son da riportarsi a un'epoca più antica, alla fine del secondo secolo.

6. Un passo mostra che la redazione dell'opera cade precisamente nella seconda metà del terzo secolo. A pag. 311 si dice: «Rex hodiernus... remittit φονευσιν et concubitantibus cum masculis et reliquis peccatis gravissimis, dignis morte». Tale dichiarazione mostra la preesistenza di leggi severe contro i vizi monosessuali, cadute però in disuso. Ora noi sappiamo da Aurelio Vittore (de Caesar., 28) che Filippo l'arabo «usum virilis scorti removendum honestissime consultavit;» e da Lampridio (Al. Sev. 24. 39) che Alessandro Severo aveva pensato di far lo stesso. Dunque il libro cade fra la morte di Filippo e Diocleziano.

7. L'opera è d'origine egiziana. Il fatto che l'originale greco della traduzione copta fu ritenuto meritevole di questa, presuppone l'esistenza di lettori in Egitto.

8. Il calendario adoperato è l'egiziano: al cap. 3 e 4 dice che la Trasfigurazione avviene il 15 Tyby.

9. Le odi salomoniche sembrano alludere al Nilo.

10. I numerosi nomi barbarici degli eoni, e specialmente le invocazioni del IV libro, ricordano i così numerosi papiri di magia egiziana.

11. La dea Bubasti, e la rappresentazione della nave solare sono specificamente egiziani.

12. La setta gnostica che ha così oscuri riti nella cena, cui accenneremo fra poco, richiama alla mente l'Egitto, dove Epifanio imparò a descrivere questi eretici, assurdamente libertini.

13. In quanto ai documenti del papiro Bruciano, sono strettamente imparentati con la Pistis, che ne discende: quindi le sono anteriori.

14. Vi si accenna al profeta Marsane (pag. 341) degli arcontici (Ep. 40. 7), e all'altro, Nicoteo, noto a Plotino (Porf. Vit. Plot. 11). Dunque dobbiamo dire che la setta gnostica combattuta da Plotino, è quella appunto da cui è emanato questo documento, almeno il secondo libro, fra il 170 e il 200: il primo libro forse è datato dai primi anni del terzo secolo.

Se poi analizziamo queste fonti nel loro contenuto, subito ne scorgiamo l'immensa portata. Noi dovremo più in là esporne dettagliatamente i particolari rituali: ma è necessario che fin d'ora ci arrestiamo un po' ad analizzarne i caratteri, specialmente etici, che ci portano a giustificare le severe condanne pronunziate dai padri contro le aberrazioni gnostiche. Onde, sebbene non appartenenti alla primitiva storia gnostica, sono tuttavia del più alto interesse. Infatti la fusione di elementi dottrinali e rituali, la franchezza con la quale ci sono descritte le pratiche segrete delle sètte, ci rivelano in una luce mirabile la costituzione e la vera essenza di queste. La Pistis Sophia è divisa in due parti, la prima delle quali a sua volta ne contiene altre tre, uniformi fra loro e quindi di un'unica fonte. La seconda comincia al cap. 83 (p. 119, ed. Sch.) ed è giudicata dallo Schmidt un po' più antica dell'altre. Il Bruciano pure consta di due libri, di cui il primo può suddistinguersi in due parti.

La situazione caratteristica ma sempre uniforme di questi scritti è una pia finzione. Gesù, risuscitato (che efficacia doveva avere per questa società satura d'idealismo il concetto della persistenza vitale al di là della tomba!), circondato dagli apostoli, dai discepoli e dalle sante donne, comunica le supreme rivelazioni. I suoi discorsi sono frequentemente interrotti dai problemi avanzati dagli ascoltatori. Talora egli interrompe il discorso per celebrare qualche mistero solenne.

Tuttavia, le varie parti, pur convenendo sostanzialmente in questa uniformità di narrazione, hanno una fisionomia propria. Il primo libro della P. S. tratta quasi unicamente del mondo trascendentale, e descrive: l'ascensione di Gesù risorto attraverso le sfere; la caduta e la redenzione di P. S.; la gerarchia delle essenze celesti; i domini sovrapponentisi dalle tenebre del caos fino alla luce suprema. Il secondo invece descrive minutamente i riti presieduti da Gesù stesso, dà la spiegazione della loro virtù, specula sui destini dell'anima defunta. Similmente il primo libro del papiro Bruciano (il libro del grande(ϰατὰ μυστήριον λόγος) mostra Gesù che rivela a' suoi discepoli le emanazioni successive del principio supremo: esse si compiono per mezzo di Jeû, vicario del principio supremo. Queste emanazioni si ramificano all'infinito. Una delle curiosità di questo scritto sono i disegni simbolici che esprimono le principali emanazioni, da cui, come in serie, ne scaturiscono a loro volta altre innumerevoli. Di più ci si presenta Gesù che conduce i suoi discepoli attraverso i «luoghi» e i «tesori» che si succedono nel cielo della speculazione gnostica: ne rivela il nome segreto, il sigillo, infine la formola magica, pronunciata la quale gli ostacoli cederanno e i «guardiani» dei tesori lascieranno passare: infine Gesù declama una magnifica liturgia. Il secondo libro invece tratta solo di riti e formole magiche. Gesù celebra con i discepoli le cerimonie che li purificheranno e li renderanno atti a sollevarsi fino alla luce suprema. Egli amministra loro i tre battesimi d'acqua, di fuoco, di spirito. Un quarto mistero segue: Gesù deve preservare i discepoli dalla malevolenza degli arconti, quindi deve spiegare ciò ch'essi dovranno fare quando abbandoneranno il corpo. Ebbene: dovranno presentare un sigillo, dire un nome, recitare un'apologia, ogni volta che perverranno ad un eone. Gli arconti di questo eone li lasceranno passare. Infine, essi dovranno ricevere l'ultimo mistero, quello del perdono dei peccati: entreranno così nel tesoro di luce.

In quei segni simbolici e grafici, di cui sono disseminati questi scritti, l'Amélineau ha creduto di poter ravvisare veri geroglifici, imitati da quegli egiziani. E poichè secondo lui carattere peculiare della gnosi è l'origine egiziana, egli ha concluso che questi documenti sono contemporanei dei grandi capi-scuola Basilide e Valentino, forse anzi appartengono direttamente a quest'ultimo. Ma quel riavvicinamento fra segni e geroglifici è del tutto fantastico; i caratteri interni portano i documenti a un'età tarda, all'età della decomposizione gnostica; e la stessa affinità dello gnosticismo con l'antico culto egiziano è, come vedremo, molto discutibile. Più seriamente, lo Schmidt pensa agli ofiti, tanto più che questi erano divisi in due frazioni, che, pur professando lo stesso fondo di idee speculative, seguivano due diverse morali. Gli uni (Severiani, Arcontici, Sethiani) praticavano l'ascetismo più rigoroso; gli altri si davano sistematicamente ai vizi contro natura (Nicolaiti, Cainiti, ecc.). Ora i documenti in questione condannano queste oscenità. Al capo 147, Tommaso domanda: «Audivimus esse nonnullos in terra qui sumentes σπέρμα maris et menstruum feminae indant ea in lentes ad edendum, dicentes: πιστεύομεν in Esaù et Iacobum. Bene est hoc, vel non? Iesus, ira accensus, dixit Thomae: Ἀμήν ego dico: ista peccata maiora sunt quam omnia alia peccata et ἀνομίαι. Tales homines ejcientur in tenebras exteriores».

Al cap. 127: «Respondens σωτήρ dixit Mariae: ducunt nullam ψυχήν ad δράϰοντα per haec ostia, ἀλλά ψυχήν blasphemantium et versantium in doctrina πλάνης et uniuscuiusvis docentis in πλάνασις atque etiam concubitantium cum maribus atque etiam hominum inquinatorum et ἀσεβέων et hominum omnium impiorum» (Trad. Schw.). 2° libro di Jeû, § 55: «Non comunicate (i misteri) a uomo e donna che credono in qualche modo a questi 72 arconti o ad essi offrono culto; nè rivelateli a coloro che venerano otto potenze del grande arconte, cioè che mangiano il sangue dei mestrui della loro impurità e la semenza dei maschi, dicendo: noi possediamo la vera conoscenza e adoriamo il vero Dio».

Insieme a queste condanne recise delle oscene degenerazioni cainitiche, la P. S. e il pap. di Bruce contengono magnifiche descrizioni rituali. Ai c. 141-142 Gesù risorto appare fra i discepoli, e istituisce un cerimoniale simbolico che ricorda nello stesso tempo il battesimo e l'eucaristia: «dabo vobis μυστήριον regni coelorum ut vos quoque faciatis ea (misteria) hominibus». I discepoli portano il fuoco e il vino. Gesù offre l'oblate: poi pone una coppa di vino a destra, un'altra a sinistra; quindi colloca una coppa d'acqua dinanzi al vaso di vino che è a destra, e un'altra coppa di vino dinanzi a quello di sinistra. Tra le due coppe pone tanti pani, quanti sono i discepoli; dietro ad essi, altra coppa d'acqua. Gesù è davanti alla offerta; i discepoli, vestiti di candido lino, dietro a lui: essi tengono nelle loro mani il numero (ψῆφος) del nome «del Padre del tesoro di luce». Poi Gesù prega, con parole strane, vuotedi senso: «ϊαω · ϊουω · ϊαω · αωϊ · ωϊα · ψινωθερ · Θερωψιν · ωψιθερ · νεφθοαμω, ecc. Infine la preghiera è esaudita, e Gesù dichiara ai discepoli che i loro peccati sono perdonati, e che appartengono ormai al regno del Padre.

Lo stesso rito è descritto anche nel § 45 del 2° l. di Jeû e al § 62 della P. S., dove Gesù grida: «Gaudete, laetemini, quod remiserunt vestra peccata... atque eorum peccata eorumque ἀνομίας delebunt usque ad hunc diem, dantibus vobis iis hoc μυστήριον. Hoc est μ. ἀλήθειας βαπτίσματος horum qui remittent eorum peccata et occulent eorum ἀνομίας. Hoc est βαπτίσμα primae προσφοράς introducentis in τόπον ἀλήθειας et intus in τόπον luminis».

Analizzate a mente fredda, queste brevi citazioni possono dar l'idea di documenti paradossali, coniati da una mente esaltata in un eccesso di follia, privi di senso comune e di consistenza psicologica. Ma trasportiamoci nell'ambiente religiosamente fecondo del secondo o terzo secolo, uno di quei momenti storici in cui lo spirito umano, quasi smarrendo il senso reale delle cose, si abbandona, dopo sforzi angosciosi, a ebbrezze mistiche stranamente confuse con raffinamenti sessuali, indici di una sensibilità stanca e spossata; e intenderemo come questi documenti siano quanto altri mai istruttivi, e come la critica che li ha ritrovati sia altamente meritoria della conoscenza di quel periodo storico, che coincide, ricordiamolo, con l'età adolescente del fatto cristiano.

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