CAPITOLO VII. I caratteri generici della gnosi e sua origine.

Noi siamo molto imbarazzati nell'assegnare i caratteri generici e costanti della gnosi, nelle sue varie forme e nei suoi vari periodi, perchè quasi sentiamo che non ve ne sono. Essa è come una nebbia spessa e oscura, che l'analisi fa volatizzare, senza che riesca ad afferrarne gli elementi. Ad ogni modo, noi crediamo di dover distinguere un duplice contenuto nello gnosticismo: il contenuto sociale e antropologico, caratteristico; e il contenuto teologico e metafisico, molto probabilmente derivato da correnti di pensiero pre-cristiano.

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Dalla esposizione dei vari sistemi gnostici, che noi abbiamo fatto senza alcun partito preso, ci sembra di potere a diritto concludere che essi hanno tutti alla loro base alcuni postulati fondamentali, che servono magnificamente a delinearne il contenuto e la funzione storica.

Innanzi tutto noi dobbiamo osservare che lo gnosticismo è fenomeno dei grandi centri cittadini, e nello stesso tempo raccoglie manipoli più copiosi di seguaci nelle classi alte della società: in quelle classi che, avide di coltura ed educate a sentimenti affinati e a preoccupazioni scientifiche, costituiscono quella élite della società, a cui, secondo filosofi individualisti, spetta la missione di governare sulla turba anonima e ignara della plebe. Anzi noi possiamo dire che i centri del movimento gnostico, come i due fuochi di un'ellisse, sono Roma e Alessandria: le due più importanti città dell'impero. Questo non deve fare alcuna meraviglia: le città sono sempre nelle ore decisive della storia i propulsori delle grandi iniziative, e la guida delle forti correnti sociali. La grande agglomerazione di uomini, e insieme gli agi della vita cittadina, l'attenzione eccitata continuamente dalla facilità degli scambi e dalla comunione delle impressioni, fan sì che i centri urbani rappresentino senza eccezione, in tutti i grandi movimenti storici, la parte principale di attori. E come il cristianesimo è stato un fatto essenzialmente cittadino, così lo gnosticismo, che del cristianesimo è stata una deformazione infantile, e in fondo molto calcolata, è stato anch'esso fenomeno delle grandi città.

Anzi ha dovuto esser tale, per ragioni anche più particolari ed efficaci, perchè il cristianesimo è fenomeno di conversione popolare, lo gnosticismo fenomeno di reazione aristocratica. Abbiamo visto infatti come esso si diffonde nei ceti ricchi. Procedendo più oltre, possiamo anche constatare che Roma è stata il teatro della lotta gnostica col potere ecclesiastico costituito: gli gnostici vi vengono o per guadagnare alle loro idee la città dominatrice del mondo, o per guadagnare le altissime cariche della gerarchia: ma che il centro d'infezione intellettualistica è Alessandria. Gli eretici possono essere siri come Cerdone, od occidentali, come forse Marco: ma quasi tutti devono andare a fare un bagno di neoplatonismo ad Alessandria, o devono obbedire alla voce di chi li ammaestra, uscendo dalle soglie illustri del Serapeion.

Ora questo fatto è per noi molto significativo. Noi siamo persuasi, e speriamo presto di dare del nostro convincimento una prova esauriente, che lo svolgimento del cristianesimo antico sarà molto male conosciuto finchè non si tenga presente allo spirito, come criterio fondamentale di studio, che esso non si è realizzato su un piano uniforme, ma che, forza sociale duttile e accessibile a tutti gli adattamenti, il Vangelo ha obbedito agl'impulsi impostigli dai vari ambienti incontrati, e ha seguìto vie molteplici, dal cui incontro finale e armonico è sbocciato il cristianesimo ortodosso. L'unità del dominio romano non deve far credere che la vita sociale delle regioni coincidesse perfettamente: invece intere regioni risentivano dal dominio romano incalcolabili vantaggi, mentre altre ne risentivano cocentissimi danni. Di più, le condizioni intellettuali collettive, qua sviluppatissime, erano altrove arretrate, primitive, semibarbariche. Era impossibile che paesi di varia indole etnica e di diverso orientamento politico, rispondessero con la medesima eco all'appello luminoso del cristianesimo. Il quale, sì, si diffuse, date le facili comunicazioni fra i paesi del bacino del Mediterraneo, come un liquido in tanti vasi comunicanti: ma, con le sue membra tenere e le sue disposizioni tuttora incerte, assunse ben presto agli occhi delle varie popolazioni quell'aspetto maggiormente corrispondente alle loro aspettative e alle loro speranze. Nella Siria fu sogno millenario; nell'Africa proconsolare fu vasto movimento cooperativo di coscienze democratiche, piene di astio contro Roma imperiale; a Roma fu organizzazione di clientele; ad Alessandria fu dottrina innanzi tutto, dottrina di allegorie raffinate e di simboli magici. Alessandria, nell'impero, godeva una posizione di privilegio: città grandiosa, coltissima, capace di contrastare con Roma stessa, da cui riceveva e a cui trasmetteva la ricchezza, poteva dirsi il cervello dell'impero, focolare delle nuove idee, ma in fondo conservatrice e sprezzante delle idealità socialmente innovatrici. Ora tutti gli scrittori religiosi alessandrini sono imbevuti di neo-platonismo: amanti della ricerca astratta, pieni di sacra repugnanza per la materia corruttibile, amanti delle lunghe teorie immaginarie, pascolo delle menti oziose. Il cristianesimo stesso, approdando ad Alessandria, dovette subire la trafila della speculazione, e i suoi elementi dottrinali vi subirono un pericoloso processo di precipitazione. Non era così negli altri paesi, dove gli elementi etici o escatologici perduravano ancora sostanzialmente amalgamati con i metafisici. Ed è perciò che noi crediamo si debbano accuratamente distinguere i vari indirizzi della propaganda cristiana; si debbano studiare a parte i suoi molteplici provincialismi, non solo nel senso in cui l'Harnack, in una delle appendici alla 2a ed. della sua Mission ecc., studia il persistere di alcune abitudini locali nella conversione al cristianesimo, ma nel senso molto più ampio che ogni regione va studiata nella sua maniera particolare d'intendere il cristianesimo, e nella sua maniera personale, per dir così, di aderirvi. Ad ogni modo, non è qui il caso di entrare in simile ricerca, minuta e complicata: lo faremo altra volta. Per ora, ci interessava di porre in sodo questi fatti vari e connessi dell'origine cittadina, alessandrina, aristocratica, intellettualistica, della gnosi.

Questa constatazione ci porta subito a una singolare, ma solo apparente, contradizione. Come mai un movimento sorto da origini così spirituali e per obbedire a impulsi così nobili, quasi ascetici, è poi trasceso nella pratica a immoralità innominabili, e come mai la scia del suo progresso è accompagnata da così lurido gorgogliare di passioni carnali? Che il movimento gnostico sia contrassegnato da un furore quasi folle di passioni sensibili, è innegabile. Noi possiamo fare la debita tara alle pitture, a colori calcati, degli eresiologi ecclesiastici: ma la testimonianza di documenti come il libro di Jeû, o le parole così espressive di Epifane, sono argomenti sufficienti per ritenere inoppugnabilmente che gli gnostici si sono abbandonati a lascivie sfrenate, e hanno in genere cercato di soffocare, attraverso i cavilli ideologici più paradossali, la voce della coscienza morale, offesa da pratiche obbrobriose. Anche a priori è evidente che gruppi di persone così profondamente avvinte alle tradizioni dell'etica pagana, e così superficialmente tocche dalla propaganda cristiana, non possono aver seguìto i dettami della castità e dell'abnegazione corporea. Ma ciò non toglie che la gnosi abbia, a parole, mostrato il più cupo disprezzo per la materia, e il più insistente desiderio di affrancarsi dai suoi desiderii e dalle sue velleità naturali. Anzi io credo che è in questa ostentata denigrazione del sensibile da collocarsi l'essenza del movimento gnostico. Ireneo la combatte più aspramente di ogni altra concezione, e tutti i padri sono concordi nell'assegnarle un posto d'onore fra le molteplici idee da esso proposte. Di rimbalzo, la gnosi esalta l'operazione interiore dello spirito, la conoscenza dei segreti divini, la futura riunione dello pneumatico alla indefettibile vitalità del pleroma. «Mortem dicunt (gnostici) esse ignorantiam Dei, per quam homo mortuus Deo non minus in errore jacuerit quam in sepulchro. Itaque et resurrectionem eam vindicandam, qua quis adita veritate redanimatus et revivificatus Deo, ignorantiae morte discussa, velut de sepulchro veteris hominis eruperit: quia Dominus scribas et pharisaeos sepulchris dealbatis adaequaverit. Exinde ergo resurrectionem fide consecutos cum Domino esse, cum eum in baptismate induerint. Vae, qui non, dum in carne est, cognoverit arcana haeretica, hoc est enim apud illos resurrectio. Sed et plerique ab excessu animae resurrectionem vindicantes, de sepulchro exire, de saeculo evadere interpretantur, quia et saeculum mortuorum sit habitaculum, idest ignorantium Deum; vel etiam de ipso corpore, quia et corpus vice sepulchri conclusam animam in saecularis vitae morte detinet» (Tertull. De res car. 19). E Ireneo osserva scherzosamente, tramandandoci senza dubbio la macchietta di qualche gnostico incontrato chi sa quante volte: «Si aliquis deditum semetipsum ipsis (gnosticis) praebeat, imitationem illorum et redemptionem illorum consecutus, est inflatus iste talis: neque in coelo neque in terra putat esse, sed intra Pleroma introisse et complexum jam angelum suum; eum institorio et supercilio incedit, gallinacei elationem habens... Plurimi et contemptores facti, quasi jam perfecti, sine reverentia et in contemptu viventes, semetipsos spiritales vocant, et se nosse jam dicunt eum, qui sit intra Pleroma, refrigerii locum» (III, 15, 2). Giudicando severamente a fil di logica, c'è qui una vera contradizione. Da una parte gli gnostici gettano a piene mani il discredito sulla sensibilità corporea, considerata come prigionia dello spirito, e definiscono la materia come la secrezione di un essere soprannaturale, caduto in disgrazia; dall'altra indulgono compiacentemente ai diletti della carne e non sono sordi agli allettamenti della natura tangibile. Ma questa antitesi di atteggiamenti non deve in alcun modo meravigliare. Nè la vita, nè molto meno la storia, che è vita di vaste collettività, per buona o cattiva fortuna, secondo i gusti, possono ridursi a un sillogismo: caso mai, solo alla dialettica dei contrari. Pascal, che di psicologia se ne intendeva, ha detto che chi vuol far l'angelo, finisce col fare la bestia. E gli gnostici, che più fortemente hanno imprecato alle bassezze cui ci costringe la vita terrena, sono stati in pratica i più sfacciati adoratori dei sensi. Dal punto di vista sintetico poi, la gnosi doveva affettare quel disprezzo, vanamente rivestito di forme metafisiche, contro tutto ciò che è materiale, perchè sorgeva come tendenza religiosa in opposizione ad un'altra, che interpretava il cristianesimo prevalentemente come mezzo di guadagnare il trionfo e la beatitudine dell'età aurea sulla terra: il millenarismo. Bisogna leggere con attenzione il quinto libro dell'Adversus Haereses per intendere come alla corrente cristiana più fedele alla tradizione importava di non far apparire la carne come fonte e termine di peccato, e di tener salda nei cuori l'aspettazione fervida del regno! Ireneo accumula in quest'ultimo libro della sua opera, che è però il primo in ordine d'importanza, quanti più può argomenti per dimostrare che il corpo ha diritto anch'esso alla reintegrazione finale, perchè ha cooperato con l'anima all'opera della salvezza ed è stato nobilitato dall'Incarnazione del Cristo. Egli descrive, con accenti di sognatore entusiasta, il regno millenario, che, come il settimo giorno di riposo dopo la creazione, seguirà i 6000 anni dell'esistenza cosmica, dopo la breve crisi dell'anticristo. Egli crede nell'imminenza del trionfo dei giusti, e riporta le parole che i vecchi presbiteri, e fra essi Papia, l'ingenuo ricercatore delle antiche parole, giudicato dall'aristocratico Eusebio come un imbecille, hanno appreso da Giovanni l'antico, teste a sua volta di una predizione messianica: «Verranno giorni nei quali ci saranno vigne con dieci mila viti ciascuna, e ogni vite avrà dieci mila tralci, ogni tralcio dieci mila grappoli, ogni grappolo dieci mila chicchi, ogni chicco premuto darà venticinque misure di vino. E quando alcuno dei santi coglierà un grappolo, l'altro esclamerà: io sono migliore, prendimi, benedici in me il Signore! Similmente ogni grano di frumento genererà diecimila spighe, ogni spiga diecimila grani, ogni grano cinque misure di farina: lo stesso si dirà dei frutti, dei semi, delle erbe di ogni genere». Sulla terra così straordinariamente fecondata, gli animali realizzeranno un magnifico ideale di concordia e di prosperità. E il vescovo di Lione, l'antico emigrato dell'Asia minore, conoscitore di ambienti cristiani, insiste nel vietare di passi così eloquenti quelle interpretazioni allegoriche, care agli gnostici, che non intendevano premio cristiano oltre quello di essere fantasticamente ricongiunti al pleroma! Ora, attenti alle popolazioni che sperano e che sognano! O il loro ideale è un programma di conquista o di liberazione politica, da raggiungersi con l'opera fattiva della forza collettiva, e allora potranno insorgere, accendersi, divampare, come materia infiammabile. O pure il loro sogno è una radiosa speranza di bene, che si attuerà mediante l'intervento di forze soprannaturali, e allora potranno allontanarsi dalla cooperazione anonima al progresso della società, cui ogni membro deve contribuire, e si adagieranno nell'inazione, fiduciosi nell'imminente palingenesi. Nell'uno e nell'altro caso il potere costituito non può tollerare il dilagare del sogno, che accende le anime, ed esalta la psicologia delle folle. I cristiani millenari erano nel mondo romano un ostacolo al funzionamento degl'ingranaggi politici: essi, restii a figurare nei quadri dell'esercito, come nei ruoli della burocrazia; essi, facenti quasi lor motto di quelle placide parole della Didaché: «Adveniat gratia, et pereat mundus hic!» Ora i poteri costituiti hanno a loro disposizione un duplice modo di soffocare le correnti d'idealità sovvertitrici. C'è la piccola politica della soppressione violenta, dell'annientamento ad ogni costo; e c'è la grande politica dell'accorto buon viso, fatto alle idee stesse che si vogliono combattere e del susseguente tentativo di sgretolarne la consistenza, introducendovi elementi forieri di corrompimento e di morte. La prima politica può esser fatta dagl'individui: ma le collettività, che con un inconsapevole ma vivissimo istinto di conservazione presentono le opposizioni e ne intravedono i fini, preferiscono di solito la seconda. Ebbene, tanto il cristianesimo millenaristico, come lo gnosticismo, sono fenomeni di psicologia collettiva: e il loro contrasto è contrasto d'idealità politiche, travestito in contrasto di ideali religiosi. Perchè appunto è legge costante che le società o i ceti sociali in lotta, per un singolare ma spontaneo pudore, quasi mai combattono lealmente in nome dei loro reali interessi e mai confessano i motivi del loro operare, che sfuggono del resto alla loro stessa percezione: ma cercano sempre di nobilitare i moventi della lotta e trasportarli dal campo della prosaica realtà politica ed economica, in quello ben più elevato, ma fittizio, della spiritualità e dell'idea. Con ciò noi crediamo di aver espresso a sufficienza quel che ci pare il vero contenuto sociale dello gnosticismo. Contro il cristianesimo millenarista (che è gran parte del cristianesimo primitivo), lo gnosticismo si leva, in atto di custodire il patrimonio intellettuale e quindi politico dell'antichità pagana: ecco perchè le traccie cristiane sono in esso così tenui. Al sogno naturale della terra rigurgitante di frutti, contrappone il disprezzo della carne e della materia; all'aspettazione del premio, contrappone la fiducia in una partecipazione, conseguita per mezzo di sciocchi misteri, alla natura del pleroma; alla fede dell'uguaglianza nella virtù e nel battesimo, contrappone l'aperta distinzione degli uomini in materiali e spirituali: gli spirituali, s'intende, sono i beniamini del privilegio.

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In quanto al contenuto propriamente dottrinale dello gnosticismo, i suoi postulati fondamentali sono:

1. La trascendenza assoluta del divino. Secondo la concezione platonica, trionfante nel secondo secolo, Dio è un essere così al di sopra dell'universo, così puro nella sua sostanza, così maestoso nella sua sovranità, che nessun contatto, nessun passaggio è possibile, nè pure per creazione, da Lui alla creatura materiale.

2. Il secondo principio generico dipende dal primo. Poichè Dio è così remoto dal mondo per natura, e la materia non è suscettibile di alcun rapporto con Lui, deve esser compresa, fra il finito e l'infinito, una serie intermedia di esseri, variamente puri e variamente perfetti, i quali sono l'origine della formazione cosmica e del suo funzionamento nel tempo.

3. Infine, concepita la materia come risultato di una colpa e fonte eterna di peccato, la salvezza dell'uomo, vivente nella materia, ma pieno di reminiscenze del pleroma da cui è partito, consiste nell'eliminazione progressiva dei ceppi materiali, e nel riassorbimento finale nel pleroma.

Queste tre idee fondamentali, l'una teologica, l'altra cosmologica, l'ultima soteriologica, sono come cementate dalla persuasione che nulla distingue il mondo della natura da quello del soprannaturale, ma che entrambi hanno rapporti scambievoli di ascensioni e di efficacie perenni. Esse inoltre sono variamente completate, e specificate dal numero di eoni, dal modo di concepirne la derivazione dal Padre, dal nome, dal modo di entrare in rapporto con l'umanità in genere e con Gesù in particolare. Noi abbiamo sufficientemente esposto queste varie specificazioni gnostiche, vere varietà di una sola specie vivente.

Da quale fonte dottrinale esse erano scaturite? Il problema, sebbene diligentemente esaminato da parecchi critici recenti, ci sembra discretamente ozioso: lo confessiamo con candore. Innanzi tutto, qualora si voglia trovare l'origine vera della gnosi in un dato sistema di idee filosofico-religiose pre-cristiane, perchè non credere per esempio a Ippolito che stende una propria genealogia, dagli antichissimi filosofi greci a gli gnostici suoi contemporanei? Tutti riconoscono che i ravvicinamenti dei Filosofumeni sono arbitrari e cervellotici: saranno meno cervellotici i nostri? Qui non si tratta di giudicare criticamente se vi sono o no delle analogie fra la gnosi e correnti religiose anteriori: le analogie sono fra tutti i sistemi filosofici, e non costituiscono un argomento sufficiente per concluderne la vicendevole dipendenza. La gnosi in realtà ha molte analogie con religioni più antiche: l'Amélineau, colpito dai segni bizzarri da cui sono continuamente interrotti i documenti gnostici copti, e in cui aveva creduto di ravvisare dei segni magici egiziani e dei geroglifici, ha sostenuto che la gnosi deriva dall'antica religione egiziana; l'Anz, colpito dal modo di proporre l'origine degli esseri secondo i maestri gnostici, la fa sorgere da tradizioni zoroastriane; il Reitzenstein, studiando i documenti adoperati da Ippolito a proposito dei Naasseni, vi ha ritrovate testimonianze di una gnosi apertamente pagana, sbocciata intorno al culto di Attis; il Friedländer, arrestandosi specialmente alle diverse teorie degli eoni, e ai nomi più volte ripetuti degli angeli, vi ha intravisto una partecipazione di ebraismo della decadenza; infine, il Wobbermin, analizzando le accese pratiche di culto gnostico, vi scorge una derivazione genuina della misteriosofia greca. Ora, in tutto ciò, vi può essere del vero. E diciamo solo vi può essere, con intenzione. La critica stessa, infatti, si è già incaricata di indebolire la forza di queste ricerche. I segni, per esempio, che ad Amélineau sembravano una corruzione di geroglifici, sono semplicemente, secondo il decisivo giudizio dello Schmidt, dei tratti grafici crociformi, talismani misteriosi, la cui presentazione doveva assicurare all'iniziato la vittoria sulle potenze del male. Anche la ricostruzione dell'Anz ci sembra, se non arbitraria, certo inconcludente. Come decidere se la gnosi ha attinto direttamente a correnti zoroastriane, con semplici affinità, formali ed esteriori, di dottrina? L'origine di un sistema deve ricercarsi nelle forze vive ed operanti del tempo e dell'ambiente in cui si è sviluppato, non già in remote tradizioni, di discutibile vitalità. Ora noi possiamo trovare gli addentellati ideologici ai quali si riannoda la speculazione gnostica. Il neo-platonismo del secondo secolo, già portato da Filone a una fusione col pensiero stoico e con la religiosità giudaica, ed esso solo, ha avuto una reale e potente efficacia sulla formazione della gnosi. Noi non ci dobbiamo far illudere dall'antagonismo che è esistito fra le correnti neo-platoniche e le gnostiche: spesso i partiti più affini son quelli che si combattono più accanitamente, specialmente quando si tratta di guadagnare un primato sulle intelligenze. Ora, sebbene in continua lotta e in ripetute scaramuccie, la gnosi e il neo-platonismo, manifestazioni entrambi dello sforzo sincretistico compiuto dal pensiero e dalla politica imperiali nel secondo e terzo secolo, hanno postulati e aspirazioni comuni: credenza nel Dio invisibile e ineffabile, disprezzo della materia, sforzo verso il possesso della divinità, uso dei misteri. Quel che dice, per esempio, Plotino della παρουσία (intuizione di Dio), considerata da lui come la più potente fra tutte le prove dell'esistenza di Dio; della ἁπλῶσις (semplificazione, epurazione del nostro essere), suggerita come la via più sicura alla παρουσία; e della ἔνωσις (unione con Dio), considerata come il più alto culmine della felicità umana, corrisponde perfettamente ai concetti gnostici sulla destinazione finale dell'uomo e sui mezzi di pervenirvi. Questo solo esempio ci sembra già decisivo: perchè cade su quel punto che è costitutivo di ogni sistema filosofico-religioso, il modo cioè di pervenire alla conoscenza del divino. Se a ciò aggiungiamo la passione furibonda per i riti mistagogici, se noi ricordiamo la distinzione, comune al neo-platonismo e alla gnosi, dei diversi elementi costitutivi dell'uomo, e la conseguente distinzione dell'umanità in molteplici gruppi, secondo lo sviluppo dell'uno o dell'altro elemento, noi potremo dire a ragione che la gnosi è un neo-platonismo precoce ed informe con etichetta cristiana.

I critici, a cui abbiamo accennato, insistono molto per trovare una base positiva alle loro ipotesi, sui particolari dei documenti gnostici: come i nomi degli eoni, le parole rituali adoperate come scongiuri. Ma noi crediamo che questa base di confronti sia straordinariamente labile, e che ci possa esporre al pericolo di attribuire agli gnostici intenzioni da loro non sospettate. Trattandosi di fenomeni di esaltazione religiosa non è lecito supporre che ogni sua espressione abbia un significato voluto e uno scopo determinato. All'anima febbricitante nello sforzo della religiosità esaltata, una parola esotica, un vocabolo strano, una ripetizione monotona di monosillabi aspri, può assumere valore di formola magica, anche se insignificante. Ecco perchè val meglio lasciare la gnosi nella sua nebulosità di tesi e di preghiere, anzichè imporle un'interpretazione soggettiva.

Il fatto poi che le tendenze neo-platoniche predominano senza contrasto nel mondo religioso del secondo secolo cadente, che insinuano le loro infiltrazioni in tutti i pensatori, anche nei più profondamente educati allo spirito del Vangelo, come Clemente d'Alessandria, può costituire una riprova della inutilità di ricorrere a sistemi remoti e a religioni spente per spiegare la gnosi.

In conclusione non si può negare la presenza nella gnosi di elementi religiosi rabbinici (nomi degli angeli per es.) e mitologici. Nello gnosticismo è entrata una quantità d'idee religiose anteriori, ma per un processo di penetrazione naturale, di osmosi, si direbbe, non per una vera dipendenza causale. Sicchè, pur ritenendo alcune somiglianze, fatte risaltare dai critici summentovati, non ci sembra che si possa ammettere la tesi delle affinità reali tra la gnosi e l'uno o l'altro sistema religioso anteriore. In questo modo si circoscrive la portata morale di essa, come succede all'Anz che scorge un parallelismo astratto e inspiegabile tra i miti babilonesi di Istar e di Ea e le idee gnostiche di Σοφία e di βοθύς; e si corre rischio di vedere i medesimi documenti adoperati per dimostrare conclusioni opposte: come accade all'Anz stesso che trae la sua opinione da quegli stessi documenti ippolitiani, da cui il Reitzenstein trae la sua.

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