ALL'INDOMANI DI JALTA

A distanza di pochi giorni dalla conferenza di Jalta, il noto giornalista Herbert L. Matthews mandava al suo giornale, il «New-York Times», una corrispondenza di cui mette conto riferire letteralmente il testo:

«Se voi vi mettete a riflettere in questi giorni ai rapporti ideali fra Vaticano e Kremlino, voi vi imbattete, immediatamente in uno strano paradosso. Perchè da una parte voi trovate che c'è uno scambio di vicendevoli accuse e recriminazioni. E dall'altra parte voi siete costretti a constatare che in linea generale Roma e Mosca sono più vicine l'una all'altra di quanto non si sia mai verificato dal 1917 in poi. Si ha la sensazione che volenti, nolenti, esse siano trascinate a riavvicinarsi. Preso atto di ciò, voi siete tratti immediatamente a far una netta ed esplicita distinzione. L'unica base sulla quale un accordo ha l'aria di poter essere raggiunto, è una base pratica, politica, diplomatica. Si tratterebbe puramente e semplicemente di uno stato sovrano come è quello della Città del Vaticano, che verrebbe a trattative con un altro stato parimente sovrano. Non è il caso affatto di parlare di incontro fra cattolicesimo e comunismo. La distinzione è fondamentale. La Chiesa cattolica ha condannato il comunismo fin da quando esso apparve come socialismo marxista. Era allora pontefice Pio IX. La più recente condanna del comunismo è quella pronunciata il 19 marzo 1937 da Pio XI nella sua Enciclica «Sul comunismo ateo». Questa Enciclica concludeva con queste parole: – Il comunismo è intrinsecamente errato e nessuno il quale voglia salvare la comunità cristiana può collaborare con esso in una qualsiasi maniera. Ecco parole molto forti. Ma evidentemente esse debbono essere interpretate in un significato esclusivamente religioso. Il fatto che il Governo russo è un Governo comunista non implica affatto che non possa instaurare relazioni diplomatiche con la Santa Sede. I giapponesi hanno stretto relazioni diplomatiche col papato nel fitto di questa guerra, e questo non ha voluto dire per nulla che il Vaticano abbia concepito simpatie per lo scintoismo. Dobbiamo ben tener presente allo spirito che la partita in giuoco non è un interesse religioso, ma è un problema politico. La libertà di milioni di cattolici risentirà il contraccolpo di quel che sta oggi accadendo. La libertà religiosa e il rispetto dei diritti religiosi dei cattolici sono ben finalità ecclesiastiche, le quali però possono essere tutelate solo attraverso mezzi diplomatici, i quali, a loro volta, non possono essere posti in atto che mercè la partecipazione alla politica internazionale. Sul piano politico c'è prominente un problema il quale spiega benissimo perchè gli organi sovietici hanno recentemente attaccato con tanta vivacità la Santa Sede. Stella rossa, organo delle forze armate sovietiche, lo ha mostrato chiaramente. Essa ha accusato il Pontefice di essere il portavoce dei tedeschi, di predicare una pace di compromesso, di opporsi alla democratizzazione dell'Italia e (qui secondo gli ambienti vaticani, è la chiave di tutto l'affare) ha conchiuso dicendo che il Governo sovietico si sarebbe energicamente opposto ad un qualsiasi intervento della politica vaticana, in Germania, in Austria, in Ungheria, in Polonia. Il nuovo Patriarca di Mosca a nome delle chiese ortodosse dipendenti dal Sinodo radunatesi attraverso i loro rappresentanti recentemente nella capitale sovietica, ha rivolto anche lui simili accuse alla Santa Sede. In altri termini Stalin non intende di consentire che il Vaticano spieghi un'azione qualsiasi nella sistemazione pacifica dell'Europa centrale. La Santa Sede, dal canto suo, non intende accettare una simile pregiudiziale. Si capisce perfettamente in Vaticano che finchè Stalin ha qualcosa da dire in argomento, nessun rappresentante della Santa Sede potrà partecipare a conferenze alleate. E di questo naturalmente non si parla. Pur tuttavia nessuno potrebbe pensare che il Vaticano possa disinteressarsi del destino di paesi o di regioni che contano milioni e milioni di cattolici. Se ne contano trenta milioni in Germania ed in Austria, altrettanti in Polonia, sei milioni in Ungheria, pure a prescindere dai dieciotto milioni popolanti la Czecoslovacchia, la Lituania, la Jugoslavia».

E il Matthews concludeva la sua corrispondenza con queste parole: «Non è necessario in questo articolo prender posizione. Le attuali circostanze esigono unicamente che ci si renda conto con chiarezza e lealtà delle alternative che sono in giuoco. Si ha la sensazione precisa che le attuali relazioni tese fra il Vaticano e il Kremlino, sono di natura altamente concreta e politica. Si tratta dei problemi immediati della sistemazione pacifica europea. Si tratta cioè di problemi la cui natura fa pensare che sarebbe alla fin fine di vantaggio per entrambe le parti se esse potessero trovare un terreno di contatto. Questi ottanta milioni di cattolici dell'Europa centrale rappresenterebbero una massa troppo cospicua per essere manovrata il giorno in cui Stalin si attentasse di dar l'abbrivo ad un altro movimento riformatore ad un formidabile «via da Roma». Da parte vaticana si riconosce senza esitazioni, il fatto che, quanto meno i cattolici polacchi, lituani, lettoni, ungheresi e croati stan per cadere sotto il controllo e l'efficienza di Mosca. E che non sarebbe di alcun vantaggio continuare a stare permanentemente in armi contro il Governo russo. La Santa Sede non può ignorare quella che è diventata la più potente nazione in Europa. E non può desiderare di aver sempre dinanzi a sè la Russia nemica. Pio XII è un fine diplomatico e se c'è una base possibile per un modus vivendi con la Russia nella sfera politica, si può essere sicuri che la troverà e la farà propria».

Non ci sembra che la corrispondenza del Matthews abbia bisogno di larghi commenti. È di per sè eloquente ed esplicita anche, specialmente diremo anzi nelle sue sfumature e nelle sue accortezze diplomatiche. La situazione europea è ormai chiarissima. A Jalta la Polonia che le truppe sovietiche hanno liberato dal giogo tedesco, non poteva non essere sacrificata al prevalente verdetto di Stalin. Il quale naturalmente, ha avuto ancora una volta modo di spiegare la sua astuzia ricca di risorse, appellandosi alla linea Curzon. Ma la linea Curzon nelle sue mani non è soltanto un abile argomento ad hominem di fronte all'Inghilterra e di rimbalzo di fronte agli Stati Uniti, ma è anche un provvido strumento per quelle rivendicazioni sociali ed economiche, che più o meno, bene o male, è evidente, sono sempre nel quadro generale delle prospettive politiche e internazionali sovietiche. Il distacco dei ruteni dalla Polonia significherà anche una insurrezione comunistica contro magnati polacchi: Ruteni, Uniati e Polacchi sono ugualmente cattolici. Ed ecco il grosso dramma della politica vaticana in questo momento.

Share on Twitter Share on Facebook