Quanto la minaccia bolscevica fosse assillante negli ambienti supremi del magistero cattolico romano, lo si potè vedere del resto a pochi anni di distanza, quando il 19 marzo del 1937, giorno festivo di San Giuseppe, patrono della Chiesa universale, il medesimo Pio XI divulgava una solenne ampia Enciclica, dalle parole iniziali «Divini Redemptoris Promissio», tutta diretta contro il «comunismo ateo».
È senza dubbio l'Enciclica più organica, più impegnativa, dottrinalmente più forte, che Pio XI abbia diretta al mondo cattolico durante tutto il percorso dei suoi diciassette anni di pontificato. Dal punto di vista della chiarezza e della saldezza dottrinale la si può senza esitazione paragonare l'Enciclica Pascendi Dominici Gregis di Pio X. Qui come là il medesimo sforzo di appoggiare la condanna teorica e pratica dell'errore preso di mira con argomentazioni stringenti e con riferimenti ai presupposti lontani. Nell'Enciclica Pascendi si era fatto di tutto per ridurre a linearità le enunciazioni di un movimento complesso come quello che i polemisti ortodossi avevano intenzionalmente designato col qualificativo globale di «modernismo». Nella «Divini Redemptoris promissio», dopo avere sommariamente rievocate le precedenti condanne papali anticomunistiche, si riportava, con mossa polemicamente felice, il movimento complesso del comunismo al materialismo marxista.
«La dottrina, affermava in sugli inizi l'Enciclica, che il comunismo nasconde sotto apparenze talvolta così seducenti, in sostanza oggi si fonda sui principî già predicati da Marx, del materialismo dialettico e materialismo storico, di cui i teorici del bolscevismo pretendono possedere l'unica genuina interpretazione. Questa dottrina insegna non esserci che una sola realtà, la materia, con le sue forze cieche, la quale, evolvendosi, diventa pianta, animale, uomo. Anche la società umana non è altro che un'apparenza e una forma della materia che si evolve nel detto modo, e per ineluttabile necessità tende, in un perpetuo conflitto delle forze, verso la sintesi finale: una società senta classi. In tale dottrina, com'è evidente, non vi è posto per l'idea di Dio, non esiste differenza fra spirito e materia, nè tra anima e corpo; non si dà sopravvivenza dell'anima dopo morte, e quindi nessuna speranza in un'altra vita. Insistendo sull'aspetto dialettico del loro materialismo i comunisti pretendono che il conflitto, che porta il mondo verso la sintesi finale, può essere accelerato dagli uomini. Quindi si sforzano di rendere più acuti gli antagonismi che sorgono fra le diverse classi della società, e la lotta di classe, con i suoi odî e le sue distruzioni, prende l’aspetto di una crociata per il progresso dell'umanità. Invece, tutte le forze, quali che esse siano, che resistono a quelle violenze sistematiche, debbono essere annientate come nemiche del genere umano».
«Inoltre il comunismo spoglia l'uomo della sua libertà, principio spirituale della sua condotta morale, toglie ogni dignità alla persona umana e ogni ritegno morale contro l'assalto degli stimoli ciechi. All'uomo individuo non è riconosciuto, di fronte alla collettività, alcun diritto naturale della personalità umana, essendo essa, nel comunismo, semplice ruota e ingranaggio del sistema; nelle relazioni poi degli uomini fra loro è sostenuto il principio dell'assoluta uguaglianza, rinnegando ogni gerarchia ed ogni autorità che sia stabilita da Dio, compresa quella dei genitori; ma tutto ciò che tra gli uomini esiste della così detta autorità e subordinazione, tutto deriva dalla collettività, come da primo ed unico fonte. Nè viene accordato agli individui diritto alcuno di proprietà sui beni di natura e sui mezzi di produzione, poichè, essendo essi sorgente di altri beni, il loro possesso condurrebbe al potere di un uomo sull'altro. Per questo appunto dovrà essere distrutta radicalmente questa sorta di proprietà privata, come la prima sorgente di ogni schiavitù economica».
«Rifiutando alla vita umana ogni carattere sacro e spirituale, una tale dottrina naturalmente fa del matrimonio e della famiglia una istituzione puramente artificiale e civile, ossia il frutto di un determinato sistema economico; viene rinnegata l'esistenza di un vincolo matrimoniale di natura giuridico-morale, che sia sottratto al beneplacito dei singoli o della collettività, e, conseguentemente, l'indissolubilità di esso. In particolare, per il comunismo non esiste alcun legame della donna con la famiglia e con la casa. Esso, proclamando il principio dell'emancipazione della donna, la ritira dalla vita domestica e dalla cura dei figli, per trascinarla nella vita pubblica e nella produzione collettiva nella stessa misura che l'uomo, devolvendo alla collettività la cura del focolare e della prole. È negato infine ai genitori il diritto di educazione, essendo questo concepito come un diritto esclusivo della comunità, nel cui nome soltanto e per suo mandato i genitori possono esercitarlo».
«Che cosa sarebbe dunque la società umana, basata su tali fondamenti materialistici? Sarebbe una collettività senz'altra gerarchia che quella del sistema economico. Essa avrebbe come unica missione la produzione dei beni per mezzo del lavoro collettivo e per fine il godimento dei beni della terra in un paradiso in cui ciascuno darebbe secondo le sue forze e riceverebbe secondo i suoi bisogni. Alla comunità il comunismo riconosce il diritto, o piuttosto, l'arbitrio illimitato, di aggiogare gli individui al lavoro collettivo, senza riguardo al loro benessere personale, anche contro la loro volontà e persino con la violenza. In essa tanto la morale quanto l'ordine giuridico non sarebbero se non un'emanazione del sistema economico del tempo, di origine quindi terrestre, mutevole e caduca. In breve, si pretende di introdurre una nuova epoca e una nuova civiltà, frutto soltanto di una cieca evoluzione: un'umanità senza Dio».
Naturalmente, come è di prammatica, l'Enciclica papale investiva il comunismo in quelle che sono le sue formulazioni astratte e genericamente programmatiche. In realtà, il comunismo russo, contro cui palesemente si dirigeva la condanna papale, era già venuto nel 1937 a quegli accomodamenti pratici e a quelle attenuazioni concrete cui non può sottrarsi nessun movimento che si esponga al cimento quotidiano della sua pratica realizzazione tra gli uomini. A pochissimo tempo di distanza dalla Enciclica «Divini Redemptoris Promissio» il comunismo avrebbe dato prova sui campi di battaglia di una tale consistenza interna, di una tale tenacia nell'assolvimento dell'immane compito militare, nella fedeltà ad un ideale etnico e politico, da far riflettere molto seriamente sulla misura in cui la pregiudiziale condanna pontificia fosse in grado di investire positivamente un movimento, rivelatosi già così saldamente impiantato nella realtà di una comunità federale pletoricamente ricca di forze demografiche come di capacità tecniche ed industriali.