IL MATERIALISMO STORICO

Preoccupata soprattutto di battere in breccia la concezione materialistica della storia e la visuale della implacabile lotta di classe, risolubile soltanto mercè la dittatura del proletariato, l'Enciclica insisteva, con tutto il possibile calore, sulla necessità di un'azione pubblica e statale che favorisse l'armonia delle classi e la solidarietà tra capitale e lavoro: «Questa deve essere la prima mira, questo lo scopo e dello Stato e dei migliori cittadini: mettere, fine alle competizioni delle due classi opposte, risvegliare e promuovere una cordiale cooperazione delle varie professioni dei cittadini... Quantunque il lavoro, come spiega egregiamente il Nostro Predecessore nella Sua Enciclica non sia una vile merce, anzi vi si debba riconoscere la dignità umana dell'operaio e quindi non sia da mercanteggiare come una merce qualsiasi, tuttavia, come stanno ora le cose, nel mercato del lavoro l'offerta e la domanda divide gli uomini in due schiere; e la disunione che ne segue trasforma il mercato come in un campo di lotta, ove le due parti si combattono accanitamente. E a questo grave disordine, che porta al precipizio l'intera società, ognuno vede quanto sia necessario portare rimedio. Ma la guarigione perfetta si potrà ottenere allora soltanto, quando, tolta di mezzo una tale lotta, le membra del corpo sociale si trovino bene assestate, e costituiscano le varie professioni, a cui ciascuno dei cittadini aderisca, non secondo l'ufficio che ha nel mercato del lavoro, ma secondo le diverse parti sociali che i singoli esercitano».

Tutto questo può apparire piuttosto astratto e teoretico. Quando l'Enciclica Quadragesimo anno, era mandata per il mondo, il 15 maggio del 1931, il comunismo, da quindici anni, non era più una utopia irreale e un bando lungi dalla sua attuazione: era al contrario un regime concreto che si era instaurato in un immenso territorio, come quello sovietico, che aveva avuto ragione di tutti i movimenti inscenati e patrocinati per abbatterlo, che andava diramando per tutto i tentacoli della sua sottile penetrazione e della sua formidabile propaganda. La Santa Sede prendeva nettamente posizione. E lo faceva in vari modi.

In uno dei documenti pubblici più largamente commentati nel mondo, la Federazione delle repubbliche socialistiche sovietiche aveva fatto proprio il motto di San Paolo nella Lettera ai Tessalonicesi: «Chi non vuole lavorare non mangi». Pio XI trova la applicazione del motto indebita e abusiva. "Egli spiega nell'Enciclica: «Fuori di argomento e bene a torto applicano alcuni le parole dell'Apostolo – Chi non vuole lavorare non mangi – perchè la sentenza dell'Apostolo è proferita contro quelli che si astengono dal lavoro, quando potrebbero e dovrebbero lavorare e ammonisce a usare alacremente del tempo e delle forze del corpo e dell'anima, nè aggravare gli altri, quando da noi stessi ci possiamo provvedere; ma non insegna punto che il lavoro sia l'unico titolo per ricevere vitto e proventi».

In verità si potrebbe sussumere qualcosa. È vero che nella fattispecie San Paolo ha di mira quei cotali fedeli di Tessalonica che, prendendo troppo materialmente alla lettera l'insegnamento dell'Apostolo sulla imminenza dell'avvento del Regno di Dio, si erano abbandonati ad un ozio indolente ed infingardo. Ma è pur vero che il suo aforisma sembra trascendere le circostanze peculiari che gliene hanno suggerito l'enunciazione ed assumere il valore di una vera massima universalmente normativa per tutti e sempre. Ad ogni modo non è su questo punto particolare che si arresta la polemica anticomunista della Enciclica Quadragesimo anno. Da un capo all'altro del documento il Pontefice Pio XI si dimostra costantemente preoccupato della minaccia incombente su tutto il mondo a causa della propaganda favorita da Mosca. Egli dice di aver voluto con tanta solennità rievocare e –ribadire i princìpi della Rerum Novarum proprio perchè, «se ora non si prende finalmente a metterli in esecuzione senza indugio e con ogni rigore, niuno potrebbe ripromettersi possibile un'efficace difesa dell'ordine pubblico e della tranquillità sociale contro i seminatori di novità sovversive».

Queste novità sovversive Pio XI le bolla energicamente, più energicamente si direbbe di tutti i suoi predecessori. Pio XI mette in un fascio comunismo e socialismo e li dichiara entrambi i minacciosi pericoli dell'ora: «Il comunismo, è scritto nella Quadragesimo anno, insegna e persegue due punti, nè già per vie occulte o per rigiri, ma alla luce aperta e con tutti i mezzi, anche più violenti: una lotta di classe la più accanita e l'abolizione assoluta della proprietà privata. E nel perseguire i due intenti non v'ha cosa che esso non ardisca, niente che rispetti; e dove si è impadronito del potere, si dimostra tanto crudele e selvaggio, che sembra cosa incredibile e mostruosa. Di che sono prova le stragi spaventose e le rovine ch'esso ha accumulato sopra vastissimi paesi dell'Europa orientale e dell'Asia. Quanto poi sia nemico dichiarato della santa Chiesa, e di Dio stesso, è cosa purtroppo dimostrata e a tutti notissima. Non crediamo perciò necessario premunire i figli buoni e fedeli della Chiesa contro la natura empia e ingiusta del comunismo, ma non possiamo tuttavia, senza un profondo dolore, vedere l'incuria e l'indifferenza di coloro che mostrano di non dar peso ai pericoli imminenti, e con una passiva fiacchezza lasciano che si propaghino per ogni parte quegli errori, da cui sarà condotta a morte la società tutta intiera, con le stragi e la violenza. Ma soprattutto meritano di essere condannati coloro che trascurano di sopprimere o trasformare quelle condizioni di cose, che esasperano gli animi dei popoli e preparano con ciò la via alla rivoluzione e alla rovina della società...

Più moderato è l'altro partito che ha conservato il nome di socialismo; giacchè non solo professa di rigettare il ricorso alla violenza, ma se non ripudia la lotta di classe e l'abolizione della proprietà privata, la mitiga almeno con attenuazioni e temperamenti. Si direbbe quindi, che, spaventato dei suoi principî e delle conseguenze che ne trae il comunismo, il socialismo si pieghi e in qualche modo si avvicini, a quelle verità che la tradizione cristiana ha sempre solennemente insegnato; poichè non si può negare che le sue rivendicazioni si accostino talvolta, e molto da vicino, a quelle che propongono a ragione i riformatori cristiani della società».

Pur rilasciando al socialismo questo certificato di minore capacità attossicatrice, la Enciclica non concedeva per questo al socialismo medesimo un lasciapassare perchè potesse essergli riconosciuto il diritto di cittadinanza nell'ambito della tradizione e della vita cristiane. A pochi periodi di distanza, dopo avere così riconosciuto una certa divergenza fra socialismo e comunismo, l'Enciclica infatti ribadiva ugualmente il suo verdetto di ostracismo «Che se il socialismo, come tutti gli errori, ammette pure qualche parte di vero (il che del resto non fu mai negato dai Sommi Pontefici), esso tuttavia si fonda in una dottrina della società umana, tutta sua propria e discordante dal vero cristianesimo. Socialismo religioso e socialismo cristiano sono dunque termini contraddittori: nessuno può essere buon cattolico ad un tempo e vero socialista».

E perchè il verdetto di ostracismo potesse apparire più cogente, la Enciclica lo accompagnava con una formale minaccia. «È nostro dovere pastorale, diceva Pio XI, mettere in guardia dal danno gravissimo imminente e ricordare che del socialismo è padre bensì il liberalismo, ma l'erede è e sarà il bolscevismo».

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