IL CONCETTO CRISTIANO DELLA PROPRIETÀ

Comunque, la Quadragesimo anno tornava a ribadire l'inviolabile inattaccabilità della proprietà privata, pure mettendone in risalto la funzione sociale. «Voi conoscete, ammoniva Pio XI, rivolgendosi ai vescovi di tutto il mondo, come il nostro predecessore di felice memoria abbia difeso gagliardamente il diritto di proprietà contro gli errori dei socialisti del suo tempo, dimostrando che l'abolizione della proprietà privata tornerebbe, non a vantaggio, ma ad estrema rovina della classe operaia. E poichè vi ha di quelli che con la più ingiuriosa delle calunnie accusano il sommo Pontefice e la Chiesa stessa quasi abbia preso o prenda ancora le parti dei ricchi contro i proletari, e poichè tra i cattolici stessi si riscontrano dissensi intorno alla vera e schietta sentenza leoniana, ci sembra bene ribattere ogni calunnia contro quella dottrina, che è la cattolica, su questo argomento, e difenderla da false interpretazioni».

Questa difesa si riduceva in sostanza a insistere sulla funzione sociale della proprietà, sulla necessità che le condizioni degli operai fossero tutelate dal capitale, sicchè il salario fosse conguagliato a quelle necessità di vita che solo consentono ad un aggregato familiare il necessario al sostentamento, all'educazione, al dignitoso vivere morale. Un certo idilliaco ottimismo sembrava ispirare al riguardo l'Enciclica pontificia. Scriveva Pio XI nella sua Enciclica: «La quantità del salario deve contemperarsi col pubblico bene economico. Giova a questa prosperità o bene comune che gli operai mettano da parte la porzione di salario, che loro sopravanza alle spese necessarie, per giungere a poco a poco ad un modesto patrimonio; ma non è da trasandare un altro punto di importanza forse non minore e ai nostri tempi affatto necessario, che cioè a coloro i quali e possono e vogliono lavorare, si dia opportunità di lavorare. E questo non poco dipende dalla determinazione del salario; la quale, come può giovare là dove è mantenuta tra giusti limiti, così alla sua volta può nuocere se li eccede. Chi non sa infatti che la troppa tenuità e la soverchia altezza dei salari è stata la cagione per la quale gli operai non potessero aver lavoro? Il quale inconveniente, riscontratosi specialmente nei tempi del Nostro Pontificato in danno di molti, gettò gli operai nella miseria e nelle tentazioni, mandò in ruina la prosperità delle città e mise in pericolo la pace e la tranquillità di tutto il mondo. È contrario dunque alla giustizia sociale che per badare al proprio vantaggio senza aver riguardo al bene comune, il salario degli operai venga troppo abbassato o troppo innalzato; e la medesima giustizia richiede che, nel consenso delle menti e delle volontà, per quanto è possibile, il salario venga temperato in maniera che a quanti più possibile sia dato di prestare l'opera loro e percepirne i frutti convenienti per il sostentamento della vita».

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