Dopo l'enciclica.

Ad ogni modo qualche vantaggio l'enciclica lo portò senza dubbio: primo fra gli altri questo, di costringere le varie correnti muoventisi promiscuamente nella vasta corrente del modernismo, a prendere posizione netta e risoluta: ad additare l'atteggiamento pratico che, dopo l'inquisitoriale documento, ogni tendenza di rinnovamento religioso era costretta ad assumere.

Giorgio Tyrrell parlò prima e più francamente di ogni altro. I due articoli ch'egli pubblicò nel Times del 1 e del 3 ottobre furono una succinta ma vigorosa difesa della libertà religiosa contro il potere di Roma, malauguratamente ostinata nel voler ricacciare lo spirito contemporaneo nelle logomachie e negli apriorismi della scolastica medioevale.

Ne riproduciamo i tratti più salienti.

Un'accurata esposizione riassuntiva del contenuto della nuova Enciclica, renderà presso che superfluo ogni commento. Si tratta della condanna radicale e integrale di ciò che la Civiltà Cattolica ha caratterizzato col nome di «modernismo». Il nome non è felice. Anche il Cristianesimo una volta è stato condannato come moderno, e così pure, a suo tempo, lo scolasticismo: ogni cosa che ora è vecchia fu nuova; e quindi il termine «liberalismo» avrebbe potuto avere un significato più chiaro e più durevole; ma poiché si tratta di negare arditamente ogni verità e valore a tutto quello che l'umanità intera stima come progresso intellettuale e morale di questi ultimi secoli, e di affermare solennemente che tutto quanto lo svolgimento operatosi in seno alla Chiesa non è se non l'estrazione meccanica di ciò che ci fu consegnato come compresso in un pacchetto circa due mila anni fa, si può riconoscere il termine «modernismo» come significativo del contrario, cioè di fede nel tempo, nel progresso e nell'evoluzione creatrice e feconda di vita. Il credere che il presente sia più ricco, più vecchio e più saggio del passato da esso assimilato e superato, è stato sempre, in qualsivoglia età, lo stesso che dichiararsi «modernista».
L'Enciclica condanna siffatta interpretazione «moderna» del cattolicesimo per favorire quell'interpretazione scolastica la quale in tutto e per tutto viene identificata col cattolicesimo, e in tal guisa attribuita fino all'età apostolica. Il tentativo di separare il cattolicesimo dalle sue interpretazioni filosofiche, come da alcunché di plastico e di indifferente alla sua essenza, è appunto il «modernismo»; così che dove l'Enciclica si sforza di mostrare che il modernista non è cattolico, tutt'al più arriva a dimostrare ch'egli non è seguace della scolastica: cosa ch'ei ben sapeva.
Se i provvedimenti ordinati nell'Enciclica saranno applicati con successo, il che non è facile credere, è da temere che il modernismo, alla cui sorprendente energia, versatilità e diffusione rende a malincuore testimonianza anche l'Enciclica, sarà semplicemente cacciato nell'ombra delle catacombe, per ivi rinvigorirsi e crescere, e poscia, in un giorno non lontano, irrompere con tutta la forza accumulata; non ostante l'argine di sabbia, la corrente entrerà, e non dolcemente, ma con impeto raddoppiato. Per annientare il giansenismo ci vollero due secoli; ed esso aveva radici assai meno forti e profonde di quelle che ha il modernismo, e anzi che conforme era opposto all'indirizzo della civiltà progressiva. Se il papa farà, o sembrerà fare, dei martiri e dei confessori, avvicinerà in vincolo sempre più stretto di simpatia l'ala destra del modernismo con quella di sinistra, e procurerà a questo corpo compatto l'appoggio morale di tutti quelli che, non solo fuori, ma anche dentro la chiesa, quantunque non favorevoli o indifferenti per il modernismo, sono però tanto moderni da detestare ogni tentativo di violenza morale e d'intolleranza, e ancor più l'arbitrio di attribuire gli errori intellettuali a cattiva coscienza e a cattive intenzioni, delle quali solo Iddio è giudice. È poi chiaro che l'Enciclica desidera raccogliere anche la simpatia di altre società religiose con la condanna dei «modernisti», insistendo fortemente e a più riprese nel dire che i loro principi sovvertono qualsivoglia forme di religione. Ma l'Enciclica non fa che confondere il cattolicesimo con lo scolasticismo; e dà chiaramente a capire che non conosce una posizione logica intermedia tra l'ultraconservatorismo e il rancido ateismo. Quanto ai protestanti, essi vedranno anche troppo chiaramente che cosa possono aspettarsi da una «instaurazione di tutte le cose» secondo la mentalità dell'Enciclica; nè vorranno darsi premura di imbarcare tutto quanto il loro patrimonio religioso su così fragile legno, costruito con una teoria scientifica per essi antiquata.
L'invettiva, il sarcasmo e la satira non guadagneranno gli uomini di carità e di pietà a un sistema religioso il quale per sorreggersi sembra avere bisogno delle armi del mondo. L'arido intellettualismo e il fiero antagonismo contro ogni esperienza religiosa e unione con Dio, che pervadono l'Enciclica, le alieneranno la simpatia di molti i quali, non ostante mille repugnanze, sono tuttavia attirati verso la Chiesa cattolica come madre dei santi e dei mistici, e veggono nel misticismo quella solida base della religione che nessuna logica, nessun «argomento desunto dal moto» potrà mai sostituire. E come le anime buone devono esserne urtate, così le intelligenze colte devono sentirsi disgustate dal colpo che l'Enciclica mena non solo contro i «modernisti» di oggi, ma, in fatto di principi, anche contro i loro avi spirituali, cioè contro quei nomi del passato che i cattolici molto volentieri ricordano per provare che la loro Chiesa ha contribuito all'opera di luce e di progresso compiuta dalla civiltà. Non sono essi fieri, e giustamente, dei nomi di Newman e Rosmini, di Pascal e Mabillon, di Richard Simon, dei Bollandisti, e della innumerevole schiera di pionieri nel campo della critica storica, del metodo dinamico del pensiero e della filosofia antirazionalista? uomini che in vita e dopo morte sono stati perseguitati e calunniati dai teologi scolastici, ma che gloriosamente combatterono per un cattolicesimo più profondo, e guadagnarono rispetto a una causa che i loro avversari avevano resa puerile e ridicola. Questo legittimo orgoglio è tacitamente ferito nell'Enciclica, la quale vorrebbe costringerci a dire che uomini tali erano nella Chiesa ma non della Chiesa.
In un altro campo l'Enciclica sarà accolta con gioia esplicita e molto significativa. Scettici e scolastici, figli di una stessa madre – del principio «o tutto o niente» – si sono sempre dati la mano, e hanno dimenticato la mutua ostilità per rallegrarsi del fiaccato difensore di una via media: si odiano scambievolmente, ma lui odiano ancor più. Godano pure in pace la loro alleanza. Lo scettico più accanito è sempre lieto quando ha una nuova prova dell'intima assurdità del cattolicesimo: è sempre indignato contro coloro che si sforzano di separare il cattolicismo della sua interpretazione medievale, e dimostrare che si adatta a tutti i tempi. E Roma ingenuamente plaude a tanto sdegno, immemore della cagione che lo genera e dei motivi che lo accompagnano; e ghiottamente accoglie gli accigliati complimenti de' suoi nemici, nella brama di accumulare testimonianze d'ogni genere contro l'odiato difensore della via media.
Una cosa è certa, che cioè, non a dispetto, ma a motivo delle misure repressive di Pio X, il «modernismo» ha fatto progressi sorprendenti e rapidi più in questi ultimi cinque anni che non nel passato ventennio. Resta a vedere se una dose più abbondante della stessa medicina guarirà o aggraverà la malattia. Per solito l'efficacia di una ricetta dipende dalla verità della diagnosi. L'Enciclica, mentre attribuisce all'orgoglio ed alla curiosità la malattia modernista, oblia di spiegare come queste cagioni, in attività sempre e dovunque, siano divenute improvvisamente così feconde in questo determinato momento e in questa determinata maniera. L'Enciclica lamenta, ma non spiega, come siasi formata «quella lega che, non tenendo conto delle differenza di razza e di religione, unisce in così stretto vincolo tutti gli storici e i critici». Essa fa rilevare, come inesplicabile, l'intensa energia, l'unità e la versalità dei modernisti; ma non si domanda perchè mai «lo zelo per le nuove idee via via si diffonde sempre più insieme con l'odio per il metodo scolastico». Bisogna risalire alle cause delle cause, e fino a tanto che non si giunga alla causa madre, i rimèdi applicati possono riuscire molto più facilmente nocivi che benefici.

Al contrario tutte le profonde simpatie scolastiche, che io avevo avuto occasione di segnalare in una delle mie lettere come vegetanti nella mentalità di D. Murri ebbero agio di manifestarsi completamente in questa occasione, con un articolo sfortunato, in cui l'antico leader del movimento democratico-cristiano, prendeva posizione in favore dell'enciclica. Lo riproduciamo per intero, quale fu pubblicato nella Rivista di Cultura del 1° ottobre.

L'ultimo documento della Chiesa romana è il tentativo che questa fa, di espellere dal suo seno una filosofia che le è nociva e dai cui progressi essa si vede minacciata alle origini della sua dottrina.
Lo sforzo immane con cui il tentativo è compiuto, la gravità di questa crisi, in un momento storico veramente decisivo per il cattolicismo romano, appariscono dal tono stesso della lettera pontificia, che è, come non era di solito, in documenti simili, aspro e crudele e tradisce una irritazione profonda; essa è un grido di angoscia e di collera, come solo un possente e tenace istituto che ha dietro a sé tanta storia ed in sé tanto vigore, ancora, di coesione e di resistenza può gettarlo; e le misure prese per ottenere l'effetto di questa espulsione, dal recinto del pensiero cattolico, d'un pensiero filosofico estraneo ed ostile, sono così gravi, così straordinarie e delicate e pericolose, che se il tentativo non riuscisse, Roma si verrebbe oramai a trovare a corto di armi e di espedienti.
Questo conflitto fra la fede cattolica ed una filosofia interessa in sommo grado anche la nostra rivista che, estranea alle questioni meramente teologiche, è rassegna di principi generali, di logica, di metodi nelle scienze dello spirito.
L'atteggiamento nostro filosofico è sufficientemente noto; la filosofia della contingenza, il relativismo neo-critico, il nominalismo, l’immanentismo, il criticismo agnostico, il prammatismo, la filosofia dell'azione, l'intuizionismo mistico, tutte insomma le varie filosofe zampillate dall'idealismo soggettivo e dalla critica della conoscenza noi le abbiamo, a volta a volta, su queste colonne, analizzate e criticate.
Ed è noto anche come i principi filosofici che c'è parso dover opporre a queste scuole contemporanee sono stati da noi desunti dalla filosofia tradizionale cristiana; la quale abbiamo sempre dichiarato essere filosofia viva e vitale, purché la si attinga non negli scritti aridamente sistematici degli epigoni ma nelle fresche fonti originarie: e, con una possente e sicura revisione critica, la si spogli da tutta la parte caduca, attraverso la quale il mondo la conosce ancora, per coglierne i fecondi principi essenziali, per usarne non come di un corpo di entità astratte, campate nell'aria e recise dalia cultura, ma come un gruppo di strumenti logici, di meravigliosa finezza, per l'esame del reale.
Noi possiamo dunque dire, e la cosa non è priva di interesse per noi, che il nuovo atto pontificio, nella sostanza sua, lungi dal farci dispiacere, è precisamente sulla nostra rotta; la filosofia che esso condanna noi la avevamo, senza incertezze e senza possibili equivoci, criticata e respinta; la filosofia che esso vuole ripresa e applicata, è, nei suoi elementi costitutivi e nel suo atteggiamento classico di fronte al reale, la nostra filosofia.
Se, dunque, il modernismo è tutto in quei principi filosofici che questa enciclica espone e condanna, se tessera certa di antimodernismo è l'adesione alla filosofia tradizionale, sola capace di darci una sicura filosofia del domma, la nostra Rivista di Cultura, benché – ripetiamo – non si occupi di materie teologiche, può dichiarare di essere la rivista più intimamente e scrupolosamente antimodernistica.
Ma noi ci siamo imposti, come dovere essenziale della nostra attività intellettuale, la sincerità; dinanzi alla nuova lettera pontificia non ci facciamo illusioni e non lasceremo che altri se ne facciano sul nostro conto.
La gravità di questa lettera e delle preoccupazioni acutissime che essa rivela non è spiegata dal valore intrinseco della filosofia contro la quale essa rivolge i suoi colpi; questa è una filosofia di reazione, largamente diffusa nel mondo filosofico contemporaneo, ma che, anche fuori della Chiesa, si trova di fronte la valida affermazione di filosofie diverse ed opposte; essa è in parte un fugace ritorno al kantismo più radicale, una reazione alla eccessiva fiducia nella scienza, che ha dominato così fortemente il secolo scorso, e al determinismo positivistico: spesso è più psicologia che filosofia; ed, in fondo, è come una anti-metafisica, come una negazione di quel dommatismo a rovescio, credulo e superficiale, intollerante e pedante, che dominava il materialismo scientifico di ieri. C'è, nelle oscillazioni del pensiero fra la materia e lo spirito, come un punto morto, equidistante dai due termini estremi dell'oscillazione; un momento in cui le due metafisiche tentano di confondersi in una e la momentanea neutralità sembra negazione e superamento della metafisica; questo momento, nella storia della filosofia, è la philosophie nouvelle, la filosofia della contingenza; e con essa tutte le correnti di pensiero affini e sorelle. Ma il pensiero non ci si arresta.
Poi ancora. In fondo a questa filosofia è un desiderio quasi nostalgico, un tentativo di salvare la libertà e, con essa, la vita vera dello spirito; e, seguendo il suo corso naturale, essa tornerà forse alla antica e tradizionale filosofia dello spirito che è negli antichi scolastici. Non è quindi meraviglia che una tale filosofia abbia esercitato una grande influenza su di alcuni cattolici, in Francia sopratutto e qua e là altrove, in proporzioni assai minori: in Italia essa aveva fautori alcuni poderosi ingegni ; ma a contrastarle il terreno e trattenere le menti era appunto sorto questo nostro periodico; di che ci rimproverava proprio l'ultimo numero, luglio-agosto, degli Studii religiosi, abbastanza vivacemente.
Perchè quindi questa filosofia abbia potuto eccitare da parte della Santa Sede un atto di così violenta opposizione è necessario dire – ed infatti la lettura del documento pontificio prova chiaramente che così è – che in questa filosofia essa abbia veduto come il nodo centrale di tutti i fili di pensiero sui quali è tessuto il modernismo: che la critica biblica, la critica storica, le dottrine politiche e sociali della democrazia, e sino la tendenza delle organizzazioni politiche di cattolici all'autonomia, dipendano tutte da quella filosofia riprovata; donde una accusa di insincerità a tutti coloro che tacendo i loro principi filosofici e forse anche professando appunto quelli che piacciono alla Chiesa, si sono mostrati, su qualunque altro punto di dottrine e di ricerche, rei di modernismo. E questo è che, nell'enciclica, addolora e fa timorosi: l'ombra di sospetti e di diffidenza, più ancora la condanna generica ed indiretta che da una filosofia speciale e caduca si vuol far discendere su tutto un movimento di pensiero e di ricerche vastissimo; la sottigliezza di uno sforzo dialettico che, cercando di mettere a nudo i principi e i loro legami, rinnega e riprova, non solo lo sforzo sincero che anche i cattolici dediti alla filosofia condannata facevano per restare cattolici, diremmo quasi malgrado essa filosofia (ciò potrebbe essere in qualche senso logico e fatale), ma altre correnti di studio che, al più, con quella filosofia non hanno avuto se non contatti momentanei ed occasionali, perchè sorta, come pareva, dalla critica dell'esperienza, si offriva come più adatta alle sintesi scientifiche e filosofiche dei vari rami di questa; più ancora, l'enciclica cerca di allargare e gittare il sospetto anche contro di quelli che, consapevolmente, all'infuori di una tale filosofia e contro di essa, lavoravano pazientemente e volenterosamente ai progressi del sapere.
E forse questa ampiezza paurosa del documento apparirà nell'esecuzione stessa che la gerarchia deve cercare nell'enciclica; i nuovi mezzi di lotta che questa pone in mano a quella saranno assai facilmente rivolti contro ogni iniziativa, contro ogni vita ed agilità di pensiero che spaventi uomini la cui dottrina non sia uguale allo zelo. E quindi noi guardiamo con più timore che speranza all'avvenire prossimo.
Ma per quello che riguarda, in particolare, questa nostra Rivista di cultura, siamo lieti di constatare ancora una volta di non avere, dinanzi al pensiero cattolico, altra colpa che quella di aver precorso i tempi.
La scolastica che la Santa Sede torna a raccomandare non sarà ritrovata da molti, osservatori superficiali o prevenuti, nella nostra filosofia. La lettera stessa pontificia sembra dire che basta rimuovere dall'antica scolastica alcune questioni oziose e sottili ed alcune dottrine fisiche errate, per esempio la ricerca sulla natura del pomo di Adamo o l'incorruttibilità de' corpi celesti, perchè essa basti al consumo intellettuale di oggi.
Ma già sul principio del suo pontificato Leone XIII aveva vigorosamente inculcato e promosso un ritorno alla scolastica, ed il male da allora, in luogo di sparire, si è aggravato, e la filosofia che si insegna nei seminari è ancora una cosa sterile e morta, incapace di resistere ai più leggeri contatti con il pensiero moderno. La filosofia vera è nella tradizione, è nella età classica della scolastica: ma il vomere de' gesuiti e dei noti manualisti non la raggiunge, non agita che bacche morte e zolle inaridite. E il terreno dà poco grano e molte erbacce. Più profondo, più profondo...

L'articolo di D. Murri, sebbene non nuovo nel suo contenuto, riempi di amaro stupore i suoi amici di sinistra. Non era, per lo meno, inopportuno il momento in cui esso appariva? Quale utilità, che non fosse individualistica, poteva scaturire da questa professione di anti-modernismo nell'ora più saliente del conflitto? Questa impressione di sorpresa fu comunicata in un'intervista, pubblicata dal Giornale d'Italia nel 4 ottobre, col prof. P. Baldini del Rinnovamento.

— Sono molto addolorato – egli scrisse sul Giornale d'Italia – per il pubblico congedo che Murri prende da noi. In questo momento, criticissimo per quanti lavorano al trionfo del nuovo spirito della Chiesa, la sua mossa mi sembra inopportuna e anche un po' ingenerosa. Don Murri sa bene quanto autorevole suoni la sua parola per molti, e di quanto potere disponga presso i suoi seguaci. Perciò avrebbe dovuto essere molto circospetto prima di affermare apertamente il suo consenso con l'enciclica nella condanna di così vitali indirizzi scientifici e filosofici, come son quelli da noi professati. Egli sa inoltre che il numero e la qualità degli amici da cui si distacca non sono trascurabili e che finora egli, col suo vago neo-tomismo, è senza dubbio più isolato di noi. Questa separazione fra noi e Murri sarà causa di confusione e di turbamento. Basta vedere, per persuadersene, come un redattore della Rivista di Cultura, E. Carpani, abbia bistrattato il Minocchi, reo di aver denunciato nei suoi Studi religiosi l'opera confusionaria che il Murri si è accinto a fare con la predicazione del suo neo-tomismo.
— E crede lei vitale questa... predicazione?
— Tutt'altro. Forse potrà sul principio, incontrandosi con le disposizioni dell'enciclica, avere un lieve successo fra i giovani studiosi ecclesiastici. Sarà un principio di involuzione nel nostro movimento intellettuale. Null'altro che un principio: perchè il Murri per primo si troverà imbarazzato nell'assegnare i limiti della parte che egli ritiene ancora vitale del tomismo.
— Ma da che cosa arguisce lei l'infecondità dell'atteggiamento filosofico assunto dal Murri?
— Da molti indizi. Innanzi tutto dalla tendenza irresistibile che ci spinge a una revisione integrale del nostro patrimonio scientifico e religioso: noi sentiamo che nell'insegnamento attuale della Chiesa vi sono molteplici elementi depostivi dalla cultura medioevale che dobbiamo assolutamente eliminare, per rivestire la tradizione cristiana, anteriore alla fusione operata dagli scolastici con l'aristotelismo, con le forme del pensiero contemporaneo. A questa tendenza naturale del cristianesimo di penetrare gli spiriti mediante i mezzi di comunicazione spirituale a volta a volta preferiti, non si può ovviare, senza condannarsi ad un'opera di sterile ritardamento. Di più, io che seguo da molto tempo le evoluzioni filosofiche di Murri, ho notato in lui delle dichiarazioni contraddittorie, le quali rivelano l'insostenibilità del suo atteggiamento. Guardi, per esempio. Nell'articolo stesso che il Giornale d'Italia ha riprodotto, Murri ad un certo punto parla dei principi della scolastica come di «strumenti logici, di meravigliosa finezza, per l'esame del reale», vale a dire riconosce in essi delle ottime ipotesi da lavoro, come suol dirsi oggi, delle buone formole capaci di aiutarci nell'analisi e nella classificazione dei fenomeni esteriori. Ma questo è del pragmatismo della più bell'acqua: e il Murri parla a quel modo proprio poche righe dopo aver rifiutato il pragmatismo con le altre forme della filosofia spiritualistica contemporanea.
Una cosa mi preme di far risaltare: l'incongruenza con la quale il Murri, auspicando una nuova politica sociale della Chiesa, sognando una partecipazione fervida ed efficace del cattolicismo al conflitto di tendenze che si delinea nel mondo contemporaneo del lavoro, s'illude di poter conciliare questo onesto proposito con una restaurazione del pensiero, religioso medioevale. Egli si lamenta che la condanna pronunciata dalla Chiesa contro una determinata filosofia possa riflettersi sinistramente su metodi di studio e su indirizzi pratici, novatori sì, ma estranei se non contrari a quella filosofia.
— Ma pure la democrazia cristiana si sviluppava indipendentemente dalla vostra filosofia.
— Oh, se il movimento democratico cristiano vuol limitarsi a fare del patronato e dell'organizzazione, ad erigere casse rurali o circoli di cultura, può benissimo stringersi intorno ai neo-tomisti, come potrebbe armonizzare benissimo con qualsiasi altra forma di dommatica religiosa. Ma se vuole contare per qualche cosa nel movimento generale della democrazia, se vuole rappresentare una parte non trascurabile in questa lotta formidabile di tendenze morali che sta per occupare la vita politica dei nostri paesi, non può fare a meno di una più libera, meno autoritaria, più personale intuizione della vita; occorre che senta il postulato fondamentale della coscienza contemporanea, la quale esige che le forme della religiosità e le nozioni filosofiche appaiano come qualcosa di omogeneo, di naturale, di voluto, dalla nostra costituzione interna e dalle esigenze della vita circostante; occorre che porti nel concetto di religione quel senso di ottimismo, di intensificazione dell'energia individuale, che la mentalità contemporanea presuppone.
Tutti questi elementi di progresso nella vita Murri li chiederà invano alla tradizione autoritaria e assolutista del tomismo. Tranne alcune formole precise che rappresentano ancora la migliore espressione di alcune nostre intuizioni della realtà, la filosofia medioevale non può fornirci che uno strumento di depressione morale e d'insuperbimento inerte della ragione.
Sicchè, più profondo, sì, più profondo, direi a don Murri: non nel solco della scolastica, solco arido e duro. Ma più profondamente scendiamo nelle tendenze dello spiritualismo moderno, per ritrovare in esso i filoni di religiosità pura che la tradizione del fatto cristiano vi ha lentamente deposto».

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