Il IV Vangelo e la “Commissione biblica„.

Pubblicata nella 2a quindicina di maggio, la lettera aperta dei preti romani a Pio X ebbe senza dubbio una larghissima eco in seno al giovane clero italico. Poca però o nessuna ne ebbe in Vaticano.La politica reazionaria continuò il suo cammino, indisturbata. La pontificia commissione biblica, resasi già pochi mesi prima famosa con il suo responso arcaico sul Pentateuco, emanava verso la fine del maggio un altro responso sul Vangelo giovanneo.

È ormai acquisito per la critica neo-testamentaria che il IV vangelo, profondamente dissimile dagli altri tre, indicati insieme col nome di sinottici, non rappresenta affatto una pittura storica della vita e della predicazione di Gesù, bensì il frutto della riflessione teologica di parecchie generazioni sul contenuto primitivo dell'annuncio messianico che aveva, più di mezzo secolo prima, sconvolto la Galilea. Naturalmente una simile conclusione critica ha delle gravi ripercussioni nel mondo teologico. La teologia infatti ha ricavato sempre dal IV Vangelo la maggior copia di argomenti in favore del dogma cristologico. Sicchè, vedendo nelle basi di questo, non già le testimonianze inoppugnabili di un testimone oculare, che riferisce i fatti della vita di Gesù, ma la speculazione di un mistico, interprete di una collettività esaltata, mentre non toglie nulla al valore psicologico del simbolo, rovina invece la pretesa che la teologia avanza di fondarsi sulla realtà storica. Ma, poichè la critica è indiscutibile, non è essa che deve cedere il passo alla teologia, bensì questa che deve cedere il passo alla critica.

Invece la commissione biblica ai dubbi proposti sulla autenticità e la storicità del IV Vangelo, rispondeva rivendicando l'una e l'altra.

Ignoranza più supina dello stato attuale della critica in proposito non si poteva manifestare. Quell'ultimo responso finì di screditare la già screditata commissione: e agli studiosi cattolici di critica neo-testamentaria fu creato un nuovo, gravissimo imbarazzo.

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