Il Sillabo del 3 luglio.

Roma frattanto procedeva nella logica ferrea della sua repressione. Con la data del 3 luglio, veniva pubblicato verso il 18 di questo mese, un decreto della S. Inquisizione contro i nuovi errori.

Il nuovo Sillabo comprendeva 65 proposizioni ed era preceduto da alcuni periodi nei quali si esponevano le ragioni che l'avevano determinato, il desiderio cioè che le opinioni dei critici liberali non si diffondessero nella massa dei fedeli. Le prime otto proposizioni riguardano i rapporti del cattolico di fronte all'autorità ecclesiastica in materia scientifica. C'è, fra le altre, condannata questa proposizione di attualità: «devono ritenersi immuni da ogni colpa coloro che ritengono di nessun valore le condanne emanate dall'Indice e dalle altre congregazioni romane». Seguono altre undici proposizioni che riassumono le opinioni degli esegeti cattolici sull'ispirazione della Scrittura. È condannata per esempio questa proposizione (n. 11) che ricorda molto da vicino la teoria di Newman sugli obiter dicta: «la divina ispirazione non si estende a tutta la Sacra Scrittura, sicchè tutte le sue parti siano immuni da errore».

Le proposizioni 16, 17 e 18 sono le stesse conclusioni del Loisy e anche di studiosi italiani sul quarto Vangelo attribuito a San Giovanni e sul suo valore esclusivamente simbolico.

È condannata pure la dottrina che il Simbolo degli apostoli non fosse inteso come oggi nei primi secoli della Chiesa.

Le proposizioni 25 e 26 sono le principali opinioni del Le Roy nel suo recente volume Dogme et critique.

La 27 dice: «La divinità di Gesù Cristo non si prova con gli Evangeli, ma è dogma che la coscienza cristiana trae dalla nozione del Messia».

Le proposizioni che seguono riproducono le teorie dei critici liberali sulla divinità di Gesù Cristo sulla sua risurrezione, sulla fondazione della Chiesa e sul primato romano.

La 53 dice: «La costituzione organica della Chiesa non è immutabile».

La 56 dice: «La Chiesa Romana non si è fatta capo di tutte le Chiese per volere della divina provvidenza, ma per condizioni politiche».

Le ultime due sono le più generali ed affermano che la Chiesa per riguadagnare la sua perduta vitalità deve rinunciare ad alcune forme del suo dogmatismo medioevale.

L'impressione del documento inquisitoriale fu varia nei vari ambienti cattolici. Alcuni tendevano a diminuirne l'importanza, bramosi di cullarsi fino alla fine nella dolce illusione di un'autorità tollerante, condiscendente, modificabile. Gli altri levarono la loro voce di dolore, certi ormai che le cose volgevano al peggio.

Un anonimo collaboratore del Giornale d'Italiavi scriveva nel numero del 17 luglio:

La Congregazione del Sant'Ufficio ha emanato il Sillabo delle proposizioni che la critica moderna, anche cattolica aveva formulato, e che Pio X con uno dei suoi atti più solenni e più categorici, dichiara ora «condannate e proscritte». Il Sillabo era preveduto e atteso da un anno, ma produrrà certo molta impressione in tutti coloro che nelle nuove affermazioni della critica religiosa avevano trovato la conciliazione della loro fede antica col loro pensiero moderno. Tanto più che alcuni caratteri del Sillabo lo rendono particolarmente notevole.
Innanzi tutto esso non contiene alcuna proposizione d'indole sociale e politica. Si era detto che col Sillabo sarebbero state condannate tutte e tre le forme del modernismo: forma critica, forma apologetica, forma sociale. Invece tutto ciò che riguarda la democrazia cristiana e il suo programma politico ed economico, non è neppure accennato nel recente decreto. Il che sembra dimostrare che il Vaticano vede un pericolo per il cattolicismo dogmatico e autoritario assai più nel movimento ascensionale della moderna critica religiosa che nella azione politica, talora incerta o intermittente, della Lega Democratica.
Il Sillabo condanna nove proposizioni di indole generale, le quali mirerebbero a portare il cattolico in una relativa indipendenza dagli organi burocratici dell'autorità ecclesiastica nelle sue ricerche scientifiche: fra le altre è ripudiata nettamente la proposizione che ritiene legittima la noncuranza delle condanne emanate dall'Indice. Tutte le altre proposizioni sono conclusioni di critica neo-testamentaria e di storia primitiva del Cristianesimo: ma qua e là vengono intercalate, senza un vero diretto rapporto con le proposizioni precedenti e seguenti, alcune affermazioni della recente filosofia religiosa come la proposizione 20a che riassume l'opera del Le Roy sul valore etico del dogma, e la 52a sulla variabilità delle dottrine religiose. Tutto ciò rivela chiaramente la molteplicità dei compilatori del Sillabo.
Gran parte del lavoro è dovuta al P. Fleming, che durante quest'anno si è trattenuto lungamente a Roma, nel convento irlandese di S. Isidoro, assorbito in una occupazione febbrile costante, su cui manteneva il segreto con i suoi stessi frati. Un colto amico nostro ricorda d'aver visitato l'illustre francescano nel maggio scorso, pochi giorni prima ch'egli partisse da Roma per Londra. Parlarono a lungo, nella sua stanzetta prospiciente su via degli Artisti, delle attuali condizioni del cattolicismo. A un certo punto il nostro amico domandò a padre Fleming, a bruciapelo se veramente, come si diceva egli stesse preparando il Sillabo. La maniera evasiva con cui egli rispose, non lasciò dubbio in proposito. Al lavoro compiuto dal Fleming altri collaboratori debbono aver aggiunte le proposizioni ricavate man mano dalle polemiche e dalle discussioni che ormai senza interruzione agitano la critica cattolica. È lecito supporre che le recentissime questioni dibattute sulle colonne del Giornale d'Italia a proposito del Le Roy e del suo Dogme et critique abbiano affrettato la pubblicazione di questo Sillabo. Rilevasi per esempio, fra le proposizioni condannate una frase come questa: «la verità non è immutabile più dell'uomo, evolvendosi in lui e per lui» che sembra quasi ricavata dalle brevi note apparse nel Giornale d'Italia sul libro del Le Roy e che provocarono le vivaci risposte della Civiltà Cattolica.
Certo è che il primo compilatore del Sillabo ha ricavato dai due famosi libretti rossi del Loisy (L'Evangile et l'Eglise e Autour d'un petit livre) la serie delle sue proposizioni più originali e più importanti.
Si potrebbe dimostrare che delle 65 proposizioni comprese nel Sillabo, 50 almeno sono tolte di peso dalle opere dell'illustre esegeta francese. La sua maniera di considerare l'ispirazione degli scrittori israeliti, le sue asserzioni sul carattere mistico e non storico del IV Vangelo, sul contenuto esclusivamente escatologico della predicazione di Gesù, sull'equivalenza dei titoli Messia e Figlio di Dio, attribuiti dal Vangelo a Cristo: sull'origine paolina della teoria della Redenzione, sono fedelissimamente trascritte in questo Sillabo. Ma ormai queste e simili teorie non sono più personali di Loisy, ma comuni a tutti gli studiosi sacri e spassionati di antica storia biblica e cristiana. La proposizione che suona: «la rivelazione che costituisce l'oggetto della fede cattolica, non fu chiusa con gli apostoli» è stata difesa in Italia con molto calore da scrittori come il Fracassini e il Lanzoni; la proposizione 22a «i dogmi della Chiesa non sono verità cadute dal cielo, ma sono una interpretazione soggettiva di determinati fatti religiosi» fu sostenuta dal Bonaiuti in un articolo della sua Rivista di scienze teologiche, il quale gli fruttò la perdita della cattedra di storia all'Apollinare; la proposizione 29a, con la quale si afferma che il Cristo della fede è ben diverso dal Cristo della storia, è ormai comune in Francia come in Italia fra i critici del Nuovo Testamento; infine la teoria sullo sviluppo della disciplina sacramentaria, raccolta in una diecina (40-50) delle proposizioni condannate, è invece ritenuta come indiscutibile dai più eruditi cultori di storia dei dogmi. Ma è appunto questa intima e insopprimibile energia di diffusione, manifestata dalle nuove idee, la ragione ultima che ha determinato il Vaticano a un provvedimento così grave e di così difficile attuazione, come il presente Sillabo.
Il quale è senza dubbio per il pensiero religioso (non per il pensiero civile) di più grande importanza che il Sillabo famoso del 1854 emanato da Pio IX che aveva tuttora la sovranità temporale. Quel Sillabo del 1864 accompagnato dall'enciclica Quanta cura, raccoglieva da precedenti allocuzioni e lettere pontificie le 80 proposizioni, riguardanti ogni genere di dottrine religiose, filosofiche e politiche. Redatto a quel modo il Sillabo del '64 ha aperto l'adito a una lunga e ancora non definita questione sul proprio valore. Era esso un documento infallibile, o pure aveva il medesimo valore, transitorio e fallibile, che gli atti precedenti da cui le 80 proposizioni erano state ricavate?
La soluzione data comunemente, favorevole a questa seconda ipotesi, ha permesso ai cattolici, nell'ultimo quarantennio una sufficiente libertà di movimento anche sui problemi toccati dal Sillabo di Pio IX. Accadrà altrettanto per il Sillabo attuale? Noi temiamo fortemente che no. Pio X è questa volta intervenuto col pieno esercizio della sua autorità per dichiarare proscritte proposizioni mai contemplate nei suoi sermoni o nelle sue encicliche: di qui innanzi ogni avversario delle nuove idee, quando vorrà troncare sul labbro di un libero studioso cattolico la parola della scienza, non avrà da far altro che appellarsi al Sillabo del 3 luglio 1907.
Grande e dolorosa sarà la ripercussione tra le moderne coscienze cattoliche.
Mentre scriviamo, la notizia del nuovo Sillabo si è già dispersa per il mondo, e ha senza dubbio raggiunto coloro che troveranno nelle 65 proposizioni la parte più viva e più indiscutibile del loro pensiero. Essi si domanderanno come mai la Chiesa che da venti secoli compie il suo pellegrinaggio nella terra adattandosi ad ogni ambiente e ad ogni psicologia sembra avere smarrita proprio oggi la meravigliosa capacità di adattamento, che le ha fatto sfidare trionfalmente venti secoli di storia. Indubbiamente il Vaticano pensa che il miglior modo per vincere nella lotta col mondo moderno, sia il rinchiudersi sempre più nelle posizioni del suo dogmatismo rigido e assoluto.
Di fronte alla critica neo-testamentaria, che ha esumato con innegabile limpidezza dai documenti evangelici il messaggio messianico di Gesù, di fronte alla critica storica, che studiando l'evoluzione del Cristianesimo, ha segnalato i suoi stadi successivi: giudaico, paolino, giovanneo, ellenistico, scolastico; di fronte alla scienza contemporanea che esige una trasformazione radicale delle dottrine sulla creazione e sulla rivelazione; di fronte a tutto questo, un manipolo di uomini religiosi e colti, aveva esplicitamene dichiarato:
«Noi accettiamo, senza restrizioni, i risultati della scienza ma non crediamo con questo di venir meno al nostro dovere di cattolici, perchè il cattolicismo non è che la continuazione dello spirito religioso inaugurato da Gesù e non è che l'unione degli uomini nell'attuazione progressiva del regno di Dio e della giustizia».
Così avevano detto i moderni studiosi nel campo cattolico e forse confidavano che la loro voce sarebbe stata ascoltata e che la loro buona intenzione sarebbe stata riconosciuta. Ma è avvenuto il contrario. Col recente Sillabo, il Vaticano respinge da sè queste anelanti coscienze e le costringe a sottoscrivere la rinuncia del loro pensiero. Obbediranno esse? Non sappiamo in quale maniera si vorrà l'adesione dei cattolici più in vista, al Sillabo: se l'adesione tacita a cui sono tenuti tutti i fedeli, un'adesione pubblica con la sottoscrizione esplicita alla condanna delle 65 proposizioni. Se il Vaticano scegliesse questa seconda via, forse il Sillabo lungi dall'essere la pietra sepolcrale del modernismo segnerebbe invece l'inizio di una vasta e impressionante scissione.
Lo scienziato deve cedere il passo al credente o il credente allo scienziato? Ecco l'oscuro dilemma che in questo momento si presenta alla coscienza dei neo-cattolici.

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