Capitolo II L'Assemblea Costituente

Una sola cosa quest'Assemblea eletta di Milleduecento persone è in grado di fare: Distruggere. Ciò invero non è che una più decisa manifestazione del suo talento naturale che si esplica nel non far Nulla. Non far Nulla, mantenere soltanto l'agitazione, disputare; e le cose si distruggeranno da sè stesse.

In questo modo e non altrimenti si comportò l'augusta Assemblea Nazionale. Essa prese il nome di Costituente, quasi che la sua missione e la sua funzione fossero state quelle di costruire o di edificare; il che con tutta l'anima sua cercò di fare: eppure nel fato, nella natura delle cose, le era serbata una funzione tutta apposta. Ai più strani vangeli gli uomini crederanno, anche ai vangeli secondo Jean Jacques! Era una fede ostinata in quei Deputati Nazionali, come in tutti i pensatori francesi, che la Costituzione si potesse fare: e che essi in quel luogo e allora erano chiamati a farla. Come con la tenacia degli Ebrei o del Musulmano Ismaelita, quel Popolo altrimenti volubile e incredulo, poteva persistere in quel suo Credo quia impossibile; e affrontare con esso il mondo armato, divenendo fanatico, eroico magari, e combattere per esso! La Costituzione dell'Assemblea Costituente, e parecchie altre, stampate e non manoscritte, sopravviveranno alle future generazioni come un documento del Tempo, istruttivo, incredibile: la più significante pittura della Francia d'allora; o almeno la pittura della pittura fatta da quegli uomini.

Ma, a dire il vero e seriamente parlando, che avrebbe potuto fare l'Assemblea Nazionale? La cosa a farsi era, come si diceva allora, di rigenerare la Francia: abolire la vecchia Francia, farne una nuova, quietamente o con forza, per via di concessioni o con la violenza: questo per forza di Natura era divenuto inevitabile. Quanto al grado di violenza, tutto dipende dalla saggezza di coloro che ne hanno la direzione. Con una perfetta saggezza da parte dell'Assemblea Nazionale la cosa sarebbe andata altrimenti; ma, in ogni modo, se poteva essere pacifica e tutt'altro che sanguinosa e convulsiva, è un problema che anche ora resta insoluto.

Dato, frattanto, che questa Assemblea Costituente continui fino all'ultimo ad essere qualche cosa, con un sospiro si vede incessantemente sottratta a viva forza dal suo compito infinito, divino, di perfezionare «la Teoria dei verbi irregolari» – per sopperire a dei còmpiti finiti, terrestri, che dopo tutto hanno un significato per noi. È la cinosura della Francia rivoluzionaria quest'Assemblea Nazionale. Ogni lavoro di governo è caduto nelle sue mani e sotto il suo controllo; tutti gli uomini hanno gli occhi rivolti ad essa per essere guidati. In mezzo a quella smisurata Rivolta di Venticinque Milioni di uomini essa si libra sempre in alto come il Carroccio o lo Stendardo di battaglia, in atto di dare l'impulso o di riceverlo, nella maniera più confusa: e, se non è in grado di prestare molto aiuto, ha almeno l'aria di darne. Essa emette non pochi Proclami pacificatori; con più o meno risultamento. Autorizza l'arruolamento delle Guardie Nazionali – per tema che i Briganti non vengano a divorarci o a mietere il nostro ricolto non mietuto. Manda emissari per domare le «effervescenze», per liberare gli uomini dalla Lanterna. Ascolta gli indirizzi congratulatorî che arrivano quotidianamente col sacco ricolmo, la più parte sullo stile del re Cambise; ascolta le Petizioni e le Querele di tutti i mortali, onde ogni doglianza, se non ottiene lenimento, può almeno trovare pietà. Di più, un'augusta Assemblea Nazionale può produrre l'eloquenza parlamentare e eleggere le Commissioni. Commissioni per la Costituzione, pei Resoconti, per le Ricerche e per tante altre cose, le quali producano alla loro volta montagne di Carta Stampata: tema d'una Eloquenza parlamentare, che prorompe a scatti, e scorre copiosa, abbondante, uguale come una corrente. E così dal vortice disordinato, in cui tutte le cose turbinano e si stritolano, le Leggi Organiche, o la similitudine di esse, lentamente emergono.

Dopo discussioni senza fine, otteniamo che i Diritti dell'Uomo siano scritti e promulgati: vera base di carta d'ogni Costituzione di carta. Trascurate, però, di dichiarare i Doveri dell'Uomo! gridano gli oppositori. Dimenticate di accertarvi delle Possibilità dell'Uomo!, rispondiamo noi, e questa è una delle più fatali omissioni! Senonchè qualche volta, come il Quattro Agosto, la nostra Assemblea Nazionale, accesa d'un subitaneo entusiasmo, quasi soprannaturale, vuole sbrigarsi di tutta la massa del lavoro in una notte. Notte memorabile quella del Quattro Agosto: Dignitari temporali e spirituali; Pari, Arcivescovi, Presidenti parlamentari, ognuno sorpassando l'altro nella devozione patriottica, vengono a gettare successivamente le loro possessioni ormai insostenibili «sull'altare della patria». Con grida sempre più alte di evviva – poichè a dir vero è un «dopo pranzo» – essi aboliscono le Decime, i Privilegi feudali, la Gabella, l'eccessivo diritto di Caccia Riservata; e ancora i Privilegi, le Immunità; insomma ogni radice, ogni ramo del Feudalismo poi deliberano un Te Deum all'uopo, e si sciolgono alfine alle tre del mattino, raggiungendo le stelle con le loro teste sublimi. Una tal notte, imprevista, ma per sempre memorabile, fu quella del 4 Agosto 1789. Ad alcuni pare una cosa miracolosa o quasi miracolosa. Forse una nuova notte di Pentecoste, diremo noi, modellata secondo i nuovi tempi e la nuova Chiesa di Jean Jacques Rousseau? E come aveva le sue cause, così ebbe i suoi effetti.

In tal modo lavorano i Deputati Nazionali, perfezionando la loro Teoria dei Verbi Irregolari; governando la Francia e lasciandosi governare da essa; con travaglio e rumori; tagliando netti gli antichi legami ormai intollerabili; filando assiduamente corde di sabbia pei nuovi. Se il loro lavoro era un nulla o un qualche cosa, poco importa: gli occhi di tutta la Francia erano fissi con reverenza su di loro; onde la Storia non può mai lasciarli molto a lungo da parte.

Pel momento, se noi spingiamo lo sguardo in quella loro Aula dell'Assemblea, la troveremo, com'è naturale, «infinitamente irregolare». Un centinaio di membri sono in piedi contemporaneamente; nessuna regola nel presentare le mozioni, e neppure i rudimenti d'un regolamento; agli spettatori della Galleria è permesso di applaudire ed anche di fischiare; la elezione del Presidente, fatta ogni quindici giorni, spesse volte mette a galla le teste non serene. Nulladimeno, come in tutte le umane adunanze, il simile si appiglia al suo simile; la regola perenne, Ubi homines sunt, modi sunt si dimostra vera. Dei rudimenti di Metodi cominciano a farsi strada e così dei rudimenti di Partito. Vi è una Destra (Côté Droit), e una Sinistra (Côté Gauche), a seconda che siede alla destra del Presidente o alla sua sinistra; il Côté Droit è conservatore, e il Côté Gauche distruttivo. Intermediario è il Costituzionalismo Anglomaniaco o il Realismo delle due Camere, coi suoi Mounier e i suoi Lally, che precipitano verso la non entità. Emerge, a destra, difendendo e perorando, Cazalès, Capitano dei Dragoni, eloquente e dolcemente bollente, che lavora per l'ombra di un nome. Anche vi strepita Mirabeau-Tonneau, il più giovane Mirabeau, che non manca di spirito: il fosco D'Espréménil non fa altro che aspirare fortemente e sbuffare; egli potrebbe – piace il pensarlo – accoppare anche il maggiore dei Mirabeau, se volesse, – ma non lo fa. Ultimo e più grande di tutti, guardatelo per un momento, è l'Abbé Maurry; coi suoi occhi gesuitici, la sua impassibile faccia di bronzo, «immagine di tutti i peccati cardinali». Indomabile, inesauribile, egli combatte con la retorica gesuitica, coi polmoni e col cuore d'acciaio, pel Trono e specialmente per l'Altare e per le Decime. Al punto che una voce squillante esclama una volta dalla Galleria: «Signori del Clero, voi dovete essere tosati, ma, se vi dimenate troppo, sarete tagliati».

La Sinistra è ancora chiamata la parte di d'Orléans; e qualche volta per burla il Palais Royal. Eppure tutto è così confuso, le cose reali sembrano immaginarie, al punto che «è dubbio», dice Mirabeau, «se lo stesso D'Orléans appartenga al partito D'Orléans». Quello che può essere constatato e visto è la sua faccia di luna, che manda lontano i suoi raggi da quel punto dello spazio. Siede parimenti colà il Verdemare Robespierre; egli mette fuori il suo bagaglio leggero con decisione, ma non ancora con effetto. Un esile e sparuto Puritano e Rigorista, che vorrebbe mettere al bando le formule; e che pur vive e si muove nelle formule ha il suo essere impastato di formule, per quanto di un altro genere. «Peuple», tale secondo Robespierre dovrebbe essere il metodo Regale nel promulgare le leggi, «Peuple», questa è la legge che io ho fatta per te; l'accetti tu? A queste parole la Destra, il Centro e la Sinistra rispondono con una interminabile risata. Pure, gli uomini perspicaci intuiscono che quel Verdemare può forse andare lontano; «Quest'uomo» osserva Mirabeau, «farà qualche cosa; perchè ha fede in ogni parola che dice».

L'Abbé Sieyès non s'occupa che del Lavoro Costituzionale; ma, disgraziatamente, i suoi compagni di lavoro sono meno arrendevoli di quel che dovrebbero con chi ha completata la Scienza della Politica. Nondimeno, coraggio, Sieyès! Una ventina di mesi di lavoro eroico, di contraddizione degli sciocchi, e la Costituzione sarà edificata; la pietra culminante sarà collocata fra gli evviva. La pietra? Ma sarà meglio dire la carta della sommità, poichè tutto è Carta; tu hai fatto quanto Cielo e Terra potevano richiedere, e quanto era in te di fare. E notate ancora questo Trio; memorabile per varie cose; memorabile non foss'altro perchè la sua storia è scritta in un epigramma: «Si dice di qualunque cosa questi Tre abbiano per le mani, che: «Duport la pensa, Barnave la manifesta, Lameth la fa».

E il regale Mirabeau? Eminente fra tutti i partiti, in alto grado, al disopra di tutti, quest'uomo sale e sale sempre. Come noi spesso diciamo, egli ha un occhio, egli è una realtà, mentre gli altri sono formole e occhi di vetro. Nel Transitorio egli scoprirà il Perpetuo; troverà qualche punto d'appoggio anche nei vortici della Carta. La sua fama è andata lontano per tutti i paesi; e giunse fino a rallegrare il cuore di quel rude, vecchio Amico degli Uomini, prima che morisse. Anche i postiglioni degli alberghi hanno udito parlare di Mirabeau: quando un viaggiatore impaziente lamenta che il tiro è insufficiente, il suo postiglione risponde: «Sì, monsieur, i cavalli delle stanghe sono fiacchi; ma il mio mirabeau (cavallo principale), come vedete, è eccellente, mais mon mirabeau est excellent».

Ed ora, Lettore, tu devi lasciare questa rumorosa discrepanza dell'Assemblea Nazionale; non senza pietà, se hai la mente umanitaria. Milleduecento uomini, milleduecento fratelli son là nel centro di Venticinque Milioni, che combattono fieramente col Destino e l'uno contro l'altro, logorando la loro esistenza come fanno molti figli d'Adamo per una cosa che non dà nessun utile. Anzi, nel complesso, bisogna ammettere ch'era una ben triste cosa. «Triste come l'Assemblea d'oggi», disse qualcuno. «Perchè datare, Pourquoi dater?» rispose Mirabeau.

Considerate che essi sono milleduecento; che non solo parlano, ma leggono i loro discorsi; e magari si fanno prestare o rubano addirittura i discorsi da leggere! Con milleduecento parlatori fluenti e la loro numerosa Arca di Noè di banalità, quel silenzio che non si può conseguire, deve sembrare addirittura la sola benedizione della Vita. Immaginate milleduecento scrittori di pamphlets, che mettono fuori perpetuamente pamphlets, e nessuno chiude loro la bocca! Nè, come nei Congressi americani, l'ordinamento appare perfetto. Un Senatore qui non ha il suo scrittoio e i suoi giornali; di tabacco (e tanto meno di pipe) non v'è la più piccola provvigione. Fin la conversazione deve procedere a bassa voce, con interruzioni continue; solo i «Biglietti a lapis» circolano liberamente; «in una quantità incredibile, finanche a piè della tribuna». Tale è il lavoro che deve rigenerare una Nazione, perfezionandone la Teoria dei Verbi Irregolari!

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