Che Francia in quei mesi d'inverno dell'anno 1787!
Perfino l'Œil-de-Bœuf è malinconico, inquieto: è sentimento generale, nei Soppressi, che meglio sarebbe trovarsi in Turchia. Soppresse le mute per la caccia al lupo, soppresse le mute per la caccia all'orso, soppressi i Duchi di Coligny e di Polignac. Nel piccolo paradiso del Trianon, Sua Maestà la Regina, una sera, prende il braccio di Besenval e gli chiede la sua franca opinione. L'intrepido Besenval – non avendo, come egli spera, niente del sicofante – dichiara schiettamente che, con un Parlamento in ribellione e con un Œil-de-Bœuf in soppressione, la Corona del Re è in pericolo. A queste parole, strano a dirsi, la Regina, quasi offesa, cambiò argomento, et ne me parla plus de rien!
E invero, a chi mai può parlare questa povera Regina? Mentre avrebbe bisogno di savî consigli più di qualunque mortale, trovasi circondata solo dal Tumulto del Caos! La sua abitazione è così luminosa a vedersi, eppure la confusione e i più neri pensieri l'oscurano. Dolori di Sovrana, dolori di donna, una folla di dolori l'avvince sempre più da presso. La La Motte, la Contessa dalla collana, in questi ultimi mesi è fuggita, e forse è stata fatta fuggire dalla Salpétrière. Fu vana la speranza che Parigi potesse con questo mezzo dimenticarla e che tutte le menzogne, un cumulo di menzogne sempre crescente, si potessero attenuare. La La Motte, con un V (Voleuse, Ladra) impresso su tutti e due gli omeri, è andata in Inghilterra, ove canterà bugie su bugie, insozzando il più alto nome di Regina; bugie insulse; ma che la Francia, nelle sue presenti disposizioni, accoglierà avidamente.
Del resto, è anche troppo evidente che il nostro Prestito Successivo non si sconta. E di certo, in tale stato di cose, un Prestito registrato mediante cancellazione di Proteste non era proprio fatto per iscontarsi. Le denuncia delle Lettres-de-Cachet e del Dispotismo in genere non accennano a scemare: i Dodici Parlamenti sono in moto; le centinaia di redattori di manifesti, di cantori di ballate e di libercolisti si danno un gran da fare. Parigi è, come dicesi in linguaggio figurato, «inondata di pamphlets (regorge de brochures)»; marea che sale e scende. Addirittura un diluvio bollente prodotto da tanti Patrioti, scrittori d'occasione, tutti giunti al punto fervido o punto d'ebollizione; e ora, al momento dell'eruzione, ciascuno di questi scrittori esplode come un Geyser dell'Islanda! Contro tutto ciò, che mai possono fare un savio amico Morellet, un Rivarol, uno squilibrato Linguet (ben pagato all'uopo) dall'eloquenza a freddo?
Ed ora viene finalmente in discussione l'Editto sui Protestanti; di qui nuovi garbugli, opuscoli e contro opuscoli, fatti per accrescere la follia degli uomini. Neppur l'Ortodossia, che pare inchiodata a letto, vuol rinunziare a portare la sua mano in questa confusione. Essa, una volta ancora, sotto la forma dell'Abbé Lenfant, «dal quale si recano i prelati a far visita e a congratularsi», fa udire sensibili note dal suo pulpito risonante. E notate d'Espréménil, che in tutte le sue cose rivela il suo fare sconclusionato; egli, a un dato punto d'un'arringa parlamentare, tira fuori un Crocifisso tascabile ed esce nell'apostrofe: «Volete voi crocifiggerlo di nuovo?» Crocifiggere lui, o d'Espréménil; ma, senza scrupolo, considerando di qual vile materia, d'avorio e filigrana, egli è fatto!
Si aggiunga a tutto questo che il povero Brienne è caduto malato tant'era esaurito dalla sua gioventù peccaminosa e dalle agitazioni violente, incessanti della sua imprudente vecchiaia. Ridotto alle strette, svillaneggiato da tante gole, Sua Grazia soffre di consunzione e d'infiammazione (con humour de dartre) e deve seguire la dieta lattea. Egli è esasperato, quasi in preda alla disperazione, perchè «il riposo» prescrittogli come rimedio indispensabile, diviene impossibile per lui.
In complesso, che mai può fare un povero Governo se non retrocedere una volta ancora nell'impotenza? Il Tesoro del Re quasi tocca il fondo; e Parigi «rigurgita di una piena di pamphlets». Comunque sia, aspettiamo che la piena venga scemando! D'Orléans ritorna a Raincy, più vicino a Parigi e alla bella e fragile Buffon; poi rientra addirittura in Parigi; nè Fréteau e Sabatier possono dirsi banditi per sempre. L'Editto dei Protestanti vien registrato, con grande consolazione di Boissy d'Anglas e del buon Malesherbes. Il Prestito Successivo, cancellate o ritirate tutte le proteste, rimane aperto; senonchè pochi o nessuno vengono a riempirlo. Gli Stati Generali, chiesti con tanto clamore prima dal Parlamento e poi dalla Nazione, seguiranno fra «cinque anni», se non addirittura più presto. O Parlamento di Parigi, perchè mai hai fatto tanto schiamazzo? «Signori – disse il vecchio D'Ormesson – voi volete gli Stati Generali, ma ve ne pentirete». Proprio come il Cavallo della Favola, il quale, per essere vendicato del suo nemico, ricorse all'Uomo. L'Uomo lo montò, e fece rapida giustizia del nemico; ma, malauguratamente, non volle più smontare! Lasciate che passino, non cinque, ma solo tre anni, e questo clamoroso Parlamento avrà visto il suo nemico combattuto e prostrato, e sè stesso cavalcato fino all'esaurimento (o piuttosto macellato per cuoiami e scarpe) e poi gettato su un letamaio.
Sotto tali auspicî, intanto, siamo giunti alla primavera del 1788. Il Governo non può trovare una via d'uscita; dappertutto è vergognosamente respinto. Bloccato dai Dodici Parlamenti ribelli, che sono divenuti gli organi d'una Nazione stizzita, non sa da qual parte rifarsi; nulla può compiere, nulla può ottenere; neppure quel tanto che occorre per sostenersi; eppure deve restar là, a quel che pare, per essere divorato dal Deficit.
È dunque quasi colma la misura delle Iniquità, delle Menzogne che si sono accumulate per tanti secoli! Almeno quella della Miseria è prossima a colmarsi! Dai tugurî dei Venticinque Milioni, la Miseria, che traspare e s'avanza da ogni lato, com'è sua legge, è dilagata ben lontano... fino allo stesso Œil-de-Bœuf di Versailles. Ogni mano d'uomo in questo cieco dolore è rivolta contro un altro uomo: non solo gli umili contro i più alti, ma anche i più alti sono schierati l'un contro l'altro; la Nobiltà della Provincia è invelenita contro la Nobiltà della Corte; la Toga contro la Spada; il Rocchetto contro la Penna. Ma contro il Governo del Re chi non s'è schierato? Non manca neppure Besenval in questi ultimi giorni. Verso il Governo tutti gli uomini e corporazioni d'uomini sono divenuti come nemici; esso è il centro su cui infinite contese convergono e cozzano. Che nuovo genere di movimento vertiginoso, universale, è mai questo? Movimento delle Istituzioni, dell'Ordinamento sociale, del Pensiero individuale; che un tempo si svolgevano in cooperazione, e ora s'avviluppano, si stritolano in una collisione frenetica. Fatto inevitabile: è il disfacimento d'un Solecismo del Mondo, che, logorato alfine, precipita nella bancarotta monetaria! E così, questa povera Corte di Versailles, che è il Solecismo principale o centrale, si trova di contro tutti gli altri Solecismi. Ed è ben naturale! Poichè il vostro Solecismo umano, sia esso Persona o Insieme di Persone, è sempre, per legge di Natura, disagevole; se poi tende alla bancarotta, è addirittura miserabile; e quando mai vorrebbe il più meschino dei Solecismi consentire a biasimare o emendare sè stesso mentre ve ne è un altro da emendare?
Questi segni minacciosi non terrorizzano Loménie, nè tanto meno gli servono d'ammaestramento. Loménie, quantunque leggero di natura, non è privo d'un certo genere di coraggio. Non solo; ma non abbiamo forse letto di creature leggerissime, di canarini ammaestrati, che poterono volare lietamente recando zolfanelli accesi, e dar fuoco a cannoni, dar fuoco a intere polveriere? Restar fermo e morire di deficit non è nei piani di Loménie. Il male è considerevole; ma non può egli allontanarlo, non può arrestarlo? Nella peggiore ipotesi, può arrestare il sintomo che ne deriva; può attaccare questi Parlamenti ribelli e forse domarli. Per Loménie v'è molto buio, ma due cose egli vede chiare: che questo duello tra il Parlamento e la Reggia diviene pericoloso, letale anzi; che sopratutto bisogna avere il danaro. Pensaci, bravo Loménie; e tu, Guardasigilli Lamoignon, che hai delle idee! Foste così sovente disfatti, crudelmente delusi, proprio quando vi pareva d'avere in pugno il frutto d'oro: raccogliete ora le vostre forze per un'ultima lotta. Domare il Parlamento, riempire i forzieri del Re: sono questioni di vita e di morte.
I Parlamenti sono stati domati più d'una volta. Mandato ad appollaiarsi «sul picco di rocce inaccessibili tranne che mediante lettighe», un Parlamento finisce col divenire ragionevole. O Maupeou, uomo sfacciato e cattivo, se avessimo lasciata immutata l'opera tua! Ma, a parte l'esilio o altri mezzi violenti, non v'è qualche altra cosa che tutto può domare, magari i leoni? V'è il mezzo della fame! Che avverrebbe se le risorse del Parlamento fossero troncate, cioè i suoi Processi?
Si potrebbero istituire Corti minori per la trattazione delle cause d'importanza minore: noi chiameremmo queste Corti Grands Bailliages. Il Parlamento, privato della sua preda, le riguarderebbe con disperato livore; ma il Pubblico, desideroso di giustizia a buon mercato, le accoglierebbe con favore e speranza. Quanto alla Finanza, per la registrazione degli Editti, perchè non adibire i nostri Dignitari dell'Œil-de-Bœuf: i nostri Principi, Duchi e Marescialli, che formerebbero qualcosa come una Corte Plenaria; ove, per così dire, ci faremmo da noi stessi le nostre registrazioni? Saint-Louis ebbe la sua Corte Plenaria di Grandi Baroni, tanto utile per lui; i nostri Grandi Baroni sono ancora qui (almeno il loro nome perdura), e la nostra necessità è maggiore della sua.
Tale è la divisa Loménie-Lamoignon, bene accetta al Consiglio del Re, come uno sprazzo di luce nelle tenebre fitte. Il progetto sembra attuabile ed è eminentemente necessaria la sua attuazione; dato poi che sia bene eseguito, c'è da ripromettersi una grande liberazione. Silenzio, dunque, e fermezza: ora, o giammai! Il Mondo vedrà un'altra Scena Storica, e un uomo singolare come Loménie Brienne qual Direttore di Scena.
Osservate, in conseguenza, come un Ministro dell'Interno, il Bréteuil, «abbellisce Parigi» nella maniera più pacifica, in quella stagione primaverile piena di speranze del 1788: i vecchi tugurî e le stamberghe scompaiono dai nostri Ponti; quasi che per lo Stato fosse un tempo alcionio e non avesse altro a fare che occuparsi d'abbellimenti. Il Parlamento ha l'aria d'un vincitore riconosciuto. Brienne non parla della Finanza, o magari dice e stampa che tutto va bene. Come si spiega tanta pace, tanta serenità, quando il Prestito Successivo non si colloca? In un Parlamento vittorioso il Consigliere Goeslard de Monsabert attacca «la levata del Secondo Ventesimo su stretta valutazione»; e fa decretare che la valutazione non sia stretta.... per le Classi Privilegiate. Nondimeno, Brienne sopporta tutto questo, e non lancia nessuna Lettre-de-Cachet per ciò. Come si spiega?
Sorride il tempo primaverile; ma è insidioso, intempestivo! Comincia a correre una voce sommessa che «gli Intendenti delle Provincie abbiano ricevuto ordine di trovarsi ai loro posti in un dato giorno». E che strano e continuo lavoro di stampa è quello che si compie al Castello del Re sotto chiave e chiavistelli? Delle sentinelle sono messe a guardia di tutte le porte e di tutte le finestre; gli stampatori non vengono mai fuori e dormono nelle loro stanze di lavoro, ove ricevono anche i cibi! Un Parlamento vittorioso fiuta un nuovo pericolo. D'Espréménil ha ordinato dei cavalli per Versailles; va e si aggira intorno a quella stamperia tenuta a guardia: indaga, fiuta per vedere se la sagacia e la destrezza dell'uomo possano penetrarvi.
Molte cose divengono penetrabili ad una pioggia d'oro. D'Espréménil discende nel seno della Danae d'uno Stampatore sotto forma di «cinquecento luigi d'oro». Il marito della Danae passa a costei di soppiatto una palla di creta, che ella consegna al dorato Consigliere del Parlamento. Per Dio! Ecco l'Editto regale di quella Corte Plenaria che si registrerà da sè; ecco l'Editto di quei Grands Bailliages che troncheranno i nostri Processi! Editti che saranno promulgati per tutta la Francia in un sol giorno.
Era dunque per questo che si ordinava agli Intendenti di tenersi pronti ai loro posti; era dunque per questo che la Corte se ne stava a covare il suo maledetto uovo di basilisco, senza volersi muovere, anche se provocata, fin che la covata non fosse compiuta! Affrettati, D'Espréménil, corri a Parigi: convoca all'istante la Seduta; fa' che la cosa sia nota al Parlamento, alla Terra, al Cielo.