Capitolo VI Le trame di Loménie

Fuvvi mai uno sventurato Primo Ministro ridotto al punto di Loménie-Brienne? Le redini dello Stato sono abbandonate da sei mesi nelle sue mani; e non la più piccola forza motrice (della Finanza) per mettersi in cammino in una maniera o in un'altra! Egli agita la sua frusta, ma non si muove. In cambio di moneta contante, non vi sono che discussioni ribelli e recalcitranti.

Ben lungi dall'ottenere la calma, lo spirito pubblico va riscaldandosi ed eccitandosi sempre più; i forzieri regali oppressi dal Deficit che cresce d'anno in anno non contengono il becco d'un quattrino. Sinistri pronostici! Malesherbes, vedendo questa Francia così esaurita, così esasperata, in preda a un'esaltazione sempre crescente, parla di «conflagrazione». Mirabeau, senza parlare, possiamo vederlo, discende di nuovo a Parigi, alla retroguardia del Parlamento, per non più lasciare la sua terra natale.

E guardate di là dalle Frontiere: l'Olanda è invasa dalla Prussia; il partito francese è oppresso; trionfano l'Inghilterra e lo Stadtholder, con gran dolore del Ministro della Guerra Montmorin e di tutti. Ma senza il danaro, che è il nerbo della guerra, del lavoro, dell'esistenza medesima, che mai può fare un Primo Ministro? Le Tasse sono poco rimunerative; quella del Secondo Ventesimo non andrà in vigore che il prossimo anno, ed anche allora con la sua «rigorosa valutazione», sarà fonte più di controversie che di peculio. Le tasse che colpiscono le Classi privilegiate non si può ottenere che vengano registrate, perchè sono intollerabili ai nostri stessi Reggitori; le tasse che colpiscono le Classi non privilegiate non fruttano nulla, perchè da una cosa smunta fino all'aridità non v'è nulla da succhiare. Non v'è più speranza in nessuna cosa, se ne escludiamo l'antico rifugio del Prestito.

Mentre Loménie, aiutato dalla lunga testa di Lamoignon, considera profondamente questo mare di guai, gli vien fatto di pensare: Perchè non creare un Prestito Successivo (Emprunt Successif), un prestito rinnovabile d'anno in anno, secondo il bisogno, fino al 1792? La difficoltà di registrare questo Prestito sarebbe la stessa; ma si avrebbe tempo di respirare e del danaro per fare qualche cosa, non foss'altro per sostentarsi. Onde, l'Editto d'un Prestito Successivo dev'essere proposto. E per conciliarsi il favore dei Filosofi, lo precederà un Editto liberale per la emancipazione dei Protestanti, e gli terrà dietro una Promessa liberale che al compimento del nostro Prestito, nel 1792, saranno convocati gli Stati Generali.

Questo Editto liberale dell'emancipazione dei Protestanti, poichè il tempo n'è maturo, costerà a Loménie così poco, come d'aver messa in esecuzione la pena di morte. Dopo tutto, la Promessa liberale degli Stati Generali poteva essere adempiuta o meno: l'adempimento è lontano di cinque buoni anni, e in cinque anni accadono tante cose. Ma, la registrazione? Ah, davvero, qui è la difficoltà. Senonchè, noi abbiamo quella promessa degli Anziani, fatta segretamente a Troyes. Poi, con le debite gratificazioni, con le lusinghe, con gli intrighi dei dietroscena, mercè il vecchio Foulon detto «âme damnée», Demone familiare del Parlamento, si può forse fare il resto. Al peggio dei peggi l'Autorità Regale ha delle risorse; e non può forse valersene? Se non riesce a realizzare del danaro, l'Autorità Regale può dirsi morta della più secura, della più miserevole delle morti d'inanizione. Rischiare e vincere; senza rischiare, tutto è omai perduto! E poichè nelle grandi imprese l'inizio d'uno stratagemma può essere un buon mezzo di prova, Sua Maestà annunzia una Caccia Regale pel 19 del prossimo Novembre; e tutti quelli che vi debbono prender parte preparano con gioia i loro attrezzi.

Caccia Regale, di certo; ma una caccia di selvaggina implume, a due gambe! Alle undici del mattino di quel giorno di Caccia Regale, il 19 Novembre 1787, un inaspettato suono di trombe, tra un frastuono di ruote e uno scalpitar di cavalli, viene a turbare la Sede della Giustizia: Sua Maestà è venuta col Guardasigilli Lamoignon, coi Pari e col seguito per tenere una Seduta Regale e far registrare gli Editti. Quale cambiamento da che Luigi XIV entrava in quel luogo cogli stivali e con la frusta in mano, e comandava che si registrasse – con uno sguardo olimpico che nessuno osava affrontare; senza stratagemmi, senza tanti complimenti: a caccia come al registro! Per Luigi XVI la registrazione sarà abbastanza, dato che egli l'ottenga, e che basti a ciò la giornata.

Intanto, col debito cerimoniale, si espone il proposito regale: Due Editti, per l'Emancipazione dei Protestanti e pel Prestito Successivo; di entrambi i quali il nostro fedele Lamoignon spiegherà la sostanza e sui quali un Parlamento fedele è invitato a manifestare la sua opinione, avendo ogni membro il privilegio della libertà di parola. E così, avendo anche Lamoignon perorato non male e concluso con la Promessa degli Stati Generali, incomincia la sfera musicale dell'eloquenza parlamentare. È tutta una esplosione, un replicare incessante, un interrogarsi reciproco che fanno le varie parti, con un crescendo di tono. I Pari ascoltano intenti, in preda a sentimenti diversi: contrarî agli Stati Generali, contrarî al Dispotismo che non può ricompensare il merito e che sopprime le cariche. Ma, che cosa agita Sua Altezza d'Orléans? La rubiconda testa di luna si scuote, il viso di rame si fa sempre più cupo, come un calderone non forbito; nello sguardo vitreo si scorge l'inquietudine; egli si dimena inquieto sulla seggiola come se volesse dire qualche cosa. Nella sua sazietà indicibile s'è forse manifestato un improvviso, nuovo appetito per un nuovo frutto proibito? Ohimè, sotto quella pelle cosparsa di carbonchi, che cumulo di confusioni è racchiuso! Disgusto e voracità, ignavia incessante, futile ambizione, vendetta, mancato ammiragliato!

«Otto Corrieri», nel corso della giornata, vanno e vengono galoppando da Versailles, ove Loménie attende palpitando, e recano nuove che non sono delle più belle. Nelle corti estreme del Palais v'è uno smisurato bisbiglio di aspettazione; si vocifera che il Primo Ministro abbia perduto sei voti nel corso della notte. E dall'interno non si ripercuote altro che un'eloquenza forense, patetica, sdegnata anche, che fa appello con tutto il cuore alla clemenza regale, perchè Sua Maestà voglia convocare gli Stati Generali incontanente ed essere il salvatore della Francia. Fra quelli che gridano più forte emergono il fosco e ardente d'Espréménil e più ancora Sabatier de Cabre e Fréteau, chiamato poscia Commère Fréteau (Comare Fréteau). Sei ore mortali trascorrono così, e il tumulto infinito non accenna a diminuire.

Alfine, quando le tenebre del crepuscolo vengono a cadere a traverso le vetrate, e non se ne vede la fine; Sua Maestà, a un cenno del Guardasigilli Lamoignon, apre una volta ancora le sue labbra regali per dire, in breve, che egli vuole la registrazione del suo Editto sul Prestito. Segue pel momento un silenzio profondo! Ed ecco che Monseigneur d'Orléans si leva, e, volta la sua faccia di luna verso la piattaforma regale, chiede con una delicata graziosità di modi che copre il senso inesprimibile delle cose: «È questo, dunque, un Letto di Giustizia o una Seduta Regale?» Una vampata di sdegno gli è lanciata dal Trono e suoi dintorni, e si risponde: Ma, senza dubbio, «è una Seduta». In tal caso, Monseigneur chiede istantemente licenza di constatare che gli Editti non possono essere registrati a seguito d'un ordine in una Seduta, e desidera avanzare la sua umile Protesta individuale contro una tale registrazione. «Vous êtes bien le maître» (Fate come vi piace), risponde il Re, e dopo ciò esce in gran pompa, scortato dal suo seguito; e lo stesso d'Orléans, per dovere di cortesia, lo accompagna, ma solo fino alla porta. Compiuto questo dovere, d'Orléans torna al suo posto e redige la sua Protesta al cospetto d'un Parlamento che applaude, d'una Francia che applaude. E così si può dire che egli ha tagliata la gomena che lo legava alla Corte. Veleggerà ora in balìa delle onde, celeremente, verso il Caos?

O insensato d'Orléans, Uguaglianza che sarai un giorno! E la Regalità già divenuta un fantoccio di legno, su cui tu, corvo tignoso e petulante, puoi fermarti a tuo talento e beccare? Non ancora interamente.

Il giorno seguente una Lettre-de-Cachet manda d'Orléans a ricredersi nel suo Château di Villers-Cotterets, ove, purtroppo, non v'è una Parigi con le sue piacevoli soddisfazioni della vita; ove non v'è un'affascinante e indispensabile Madame de Buffon, moglie leggera d'un grande naturalista troppo vecchio per lei. Monseigneur, si dice, non fa che passeggiare, disperato, a Villers-Cotterets, maledicendo la sua sorte. Perfino Versailles udrà i suoi lagni di pentimento, tanto è dura la condanna. Con una simultanea Lettre-de-Cachet anche Commère Fréteau è sbalzato nel Forte di Ham fra le paludi piccarde; una terza manda Sabatier de Cabre sul Mont St.-Michel fra le secche normanne. Quanto al Parlamento, esso riceve l'intimazione di recarsi a Versailles col Registro sotto il braccio, perchè la Protesta sia biffée (cancellata). Un tratto d'autorità che faceva sperare si quietassero le cose.

Ma sventuratamente no: non fu che come un semplice tocco di frusta su cavalli inalberati, che li fa poi tornare più ribelli! Quando un tiro di Venticinque Milioni comincia a inalberarsi, che cosa è mai la frusta di Loménie? Il Parlamento non vuole per niun conto sottomettersi dolcemente, non vuol registrare l'Editto sui Protestanti e compiere il suo lavoro sotto la salutare intimidazione delle tre Lettres-de-Cachet. Ben lungi da ciò, comincia piuttosto dal mettere in discussione le Lettres-de-Cachet in genere, la loro legalità, la loro forza esecutiva, emette dolorose obiurgazioni, petizioni su petizioni perchè i suoi tre Martiri siano liberati; non può, fin che non ottenga questo, neppur pensare ad occuparsi dell'Editto sui Protestanti, che rimanda sempre «d'otto in otto giorni».

Parigi e la Francia seguono questa gamma di lamentele, o meglio, l'avevano preceduta, formando uno spaventevole coro. Ed ora anche gli altri Parlamenti aprono alfine la bocca, cominciano a collegarsi; e alcuni di essi, come a Grenoble e a Rennes, con un'enfasi portentosa, minacciano, per rappresaglia, d'interdire lo stesso Collettore delle Imposte. «In tutte le contestazioni del passato – nota Malesherbes – era il Parlamento che eccitava il Pubblico; ma qui è il Pubblico che eccita il Parlamento».

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