Capitolo V Dateci le armi

Il lunedì la città immensa s'è svegliata, ma non pel suo lavoro quotidiano; per un lavoro ben differente! L'uomo di lavoro è diventato un combattente; non ha che un bisogno: le armi. L'esercizio d'ogni mestiere s'è arrestato, tranne quello del fabbro, che con atteggiamento fiero martella le picche, e in un certo segno quello del cuoco occupato a cucinare rapidamente le vettovaglie, perchè la bouche va toujours. Anche le donne sono occupate a cucire coccarde; ora non più in verde, poichè essendo il colore di d'Artois, l'Hôtel-de-Ville ha dovuto immischiarsene, ma in rosso e bleu, i nostri antichi colori di Parigi: questi, messi su un fondo di bianco costituzionale, formano il famoso TRICOLORE; che (se la profezia non erra) «farà il giro del mondo».

Tutto le botteghe, eccettuate quelle dei fornai e dei vinai, sono chiuse: Parigi è nelle strade, impetuosa, spumeggiante, come un bicchiere di vino di Venezia in cui voi avete versato del veleno. La campana a stormo rimbomba furiosamente, per ordine, da ogni campanile. Armi, o Elettori Municipali, e tu Flesselles coi tuoi Échevins, dateci le armi! Flesselles dà quello che può; si hanno da Charleville promesse di armi, fallaci, forse insidiose; si danno ordini di cercare armi or qua or là. I nuovi Municipali danno ciò che possono; circa trecentosessanta fucili mediocri, l'armamento delle Guardie di Città: «un uomo cogli zoccoli, seminudo, immediatamente ne impugna uno e monta la guardia». Inoltre, si ordina a tutti i fabbri di darsi a far picche con tutta l'anima.

I Capi dei Distretti sono in ferventi consulti; il Patriottismo subordinato erra furioso nel suo avido desiderio di armi. Finora all'Hôtel-de-Ville non v'è che la piccola quantità di archibugi mediocri, come abbiam visto. Al cosidetto Arsenale non v'è che roba arrugginita, anticaglie e salnitro, – per giunta sotto la protezione dei cannoni della Bastiglia. Il Ripostiglio di Sua Maestà, detto Garde-meuble, viene forzato e rovistato: vi si rinvengono tappezzerie e ninnoli in gran numero; ma, quanto ad oggetti per combattere, pochi o nulla! due cannoni montati d'argento, un antico regalo di Sua Maestà del Siam a Luigi XIV; la spada dorata del Buon Enrico; armi e armature dell'antica cavalleria. Di questa roba e d'altra di simil genere un Patriottismo bisognoso si appropria avidamente, per mancanza di meglio. I cannoni siamesi procedono tirati sulle ruote, per uno scopo diverso da quello per cui furono costruiti. Fra gli archibugi mediocri si veggono lance di tornei, elmi e usberghi di principi che scintillano fra tante teste coperte da logori cappelli – come in un tempo in cui tutte le epoche e le loro produzioni si confondessero a un tratto!

Alla Maison de Saint-Lazare, Casa di Lazzaro un tempo, e attualmente una Casa di Correzione diretta da Preti, non v'era traccia di armi; ma, in cambio, vi si trovava del grano in una quantità che rivelava uno scopo colposo. Si metta fuori questo grano; si porti al mercato, nella presente carestia di grano! Ma, Dio buono, una lunga fila di «cinquantatrè carri» possono a stento trasportarlo alla Halle-aux-Bleds! Dunque, non c'è che dire, Reverendi Padri, i vostri magazzini eran pieni, pingui erano le vostre dispense, generosissimi vini racchiudevano le vostre cantine: voi cospirate a danno del Povero; traditori che monopolizzate il pane.

È vano il protestare, il supplicare in ginocchio: la Casa di San Lazzaro ha in sè ciò che non viene fuori con le proteste. Guardate come da ogni finestra essa vomita torrenti di derrate, di muggiti e di oggetti alla rinfusa; anche dalle cantine il vino scorre a ruscelli. Finchè, come era da aspettarsi, il fumo s'innalza, per opera, dicono alcuni, degli stessi Sanlazzaristi disperati, temendo di peggio; e lo Stabilimento sparisce da questo mondo, divorato dalle fiamme. Si noti per altro che «un ladro» (forse messo su dagli Aristocratici), colpito sul fatto, è «immediatamente impiccato».

Guardate anche la Prigione dello Châtelet. La Prigione dei Debitori, La Force, è scassinata dal di fuori, e quelli che vi si trovano rinchiusi per opera degli Aristocratici, ne escono liberi; il che udendo i Delinquenti dello Châtelet, vogliono fare lo stesso; «e smuovono i pavimenti», e si mettono sull'offensiva, fiduciosi di riuscire; senonchè il Patriottismo, passando di là, «fa una scarica di palle» sul mondo criminale, e lo rimette in cella. Il Patriottismo non fa causa comune col furto e col delitto; sicuramente, dunque, in questo giorno la Punizione segue il Delitto (se ancora lo segue) con piede spaventevolmente veloce! «Circa una quarantina» di disgraziati, stramazzati a terra per ubbriachezza nelle cantine di Saint-Lazare, sono sdegnosamente trascinati in prigione: il carceriere non ha posto disponibile; onde, non essendovi altro posto sicuro ove collocarli, «on les pendit , l'impiccarono» così è scritto. È laconica la espressione, ma significativa in se stessa, vera o non vera che sia!

In tali contingenze, l'Aristocrazia e il ricco non patriota fanno le valigie e si dispongono a prendere il largo. Senonchè non riusciranno a partire. La forza calzata di zoccoli s'è impadronita di tutte le Barriere, bruciate o no: chiunque entri, chiunque tenti di uscire vien fermato e trascinato all'Hôtel de Ville: cocchi, carri, mobilia, «molti sacchi di farina» e a volte «greggi e branchi di bestiame» ingombrano la Place de Grève.

Che muggito, che fremito, che strepito! Si batte il tamburo, i campanili fanno udire i loro rintocchi, i banditori si slanciano coi campanelli in mano: «Ascoltate, ascoltate; tutti gli uomini si tengano pronti nei loro Distretti per essere arruolati!». I Distretti si sono riuniti nei giardini e nelle pubbliche piazze e si stanno organizzando in truppe di volontarî. Nessuna palla infocata è giunta finora dal campo di Besenval; anzi i disertori con le loro armi vengono di continuo ad ingrossare il numero dei volontarî; e ora, oh gioia suprema, alle due pomeridiana, le Gardes-Françaises, ricevuto l'ordine di recarsi a Saint-Denis, ricusano apertamente, e vengono in corpo a unirsi ed essi! È un fatto degno più che altro mai di nota. Tremilaseicento dei migliori combattenti con equipaggiamento completo! non esclusi i cannonieri e il cannone! I loro ufficiali, rimasti soli, non riescono neppure ad «inchiodare i cannoni» Gli stessi Svizzeri, è a sperarsi adesso, lo Château-Vieux e gli altri esiteranno a venire a battaglia.

La nostra Milizia Parigina, che alcuni credono meglio di chiamare Guardia Nazionale – prospera come il cuore può desiderarlo. Essa prometteva di raggiungere il numero di quarantottomila, ma in poche ore raddoppierà, quadruplicherà questo numero: sarà invincibile, per poco che si abbiano armi!

Ma ecco le promesse casse di Charleville, con la scritta Artillerie! Avremo dunque armi a sufficienza? – Immaginate un po' il pallore del Patriottismo quando le trova piene di cenci, di biancheria sudicia, di mozziconi di candele, e pezzi di legno! Prevosto dei Mercanti, come va questo fatto? Neppure al Convento degli Chartreux, dove fummo mandati con un ordine firmato, vi era o vi era mai stata alcuna arma da guerra. Inoltre qui, in un battello della Senna, nascoste sotto le tele incatramate (ma il naso del Patriottismo è dei più fini) vi sono «cinque mila libbre di polvere»; che non è sul punto di entrare, ma d'essere esportata fraudolentemente! Che intendi fare, Flesselles! È un difficile giuoco quello di volerci «infinocchiare». Il gatto scherza col topo captivo; ma come può il topo scherzare col gatto arrabbiato, colla arrabbiata Tigre Nazionale?

Frattanto, battete più presto, o voi fabbri, dal grembiule nero, col braccio poderoso e col cuore anelante. Che ogni uomo si dia a battere, con quanta forza è in lui dalla testa alle piante, facendo echeggiare a vicenda e manovrando il gran martello della fucina, finchè l'incudine scintilla e tintinna, mentre a quando a quando, sulle loro teste, rimbomba il cannone d'allarme, – poichè la Città è ormai rifornita di polvere. Le picche sono state costruite; se ne sono fatte cinquantamila in trentasei ore: pensate se i Grembiuli neri se ne sono stati inoperosi! Scavate le trincee, disselciate le vie, voialtri uomini e donne, assiduamente; rimpinzate di terra le barricate di barili, ponete una sentinella volontaria presso ciascuna di esse; fate mucchi di sassi sulle soglie delle finestre e in ogni spazio elevato. Tenete pronta la pece scottante, o almeno l'acqua bollente, che voi donne vecchie e deboli verserete, scaglierete con impeto sul Royal-Allemand, con le vostre braccia vecchie e scarne, mentre non mancheranno, a compimento, le vostre acerbe maledizioni! – Le Pattuglie della nascente Guardia Nazionale, munite di torcie, perlustrano tutta la notte le strade deserte, quantunque ogni finestra, per ordine, sia illuminata. Strano spettacolo, come d'una Città dei Morti illuminata a bitume, con qua e là una volata di Spiriti smarriti.

Poveri mortali, come vi rendete reciprocamente più amara la dimora sulla Terra, come più spaventosa, orribile questa vita di meraviglie e di paure; e Satana ha il posto in tutti cuori! Tali agonie, tali furori, tali pianti noi abbiamo e abbiamo avuto in ogni tempo, per essere seppelliti alfine nel silenzio profondo; e il mare salato non è gonfio delle vostre lagrime.

Grande peraltro è il momento in cui gli echi della Libertà arrivano al nostro orecchio; quando l'anima lungamente oppressa dalle sue catene e dallo squallido ristagno, sorge, benchè ancora nella cecità e nello sbalordimento, e giura per Colui che la fece, che sarà libera! Libera? Rendetevene ben conto: è il profondo comandamento, più o meno indistinto o manifesto di tutto il nostro essere, esser libero. La libertà è il solo oggetto verso cui saviamente o follemente sono diretti tutti gli sforzi, tutte le fatiche, tutte le sofferenze di questa Terra. Sì, supremo è questo momento (se tu lo hai conosciuto); prima visione come d'un Sinai cinto di fiamme, in questo nostro deserto Pellegrinaggio – che d'ora in poi non ha bisogno della sua colonna di nuvole il giorno, o della sua colonna di fuoco la notte! È qualche cosa, in ogni modo – sì, qualche cosa di considerevole, allorchè le catene sono divenute corrosive, velenose, – il liberarci «dall'oppressione del nostro simile». Avanti, o furiosi figli della Francia; non importa a qual destino voi andiate incontro! Tutt'intorno a voi non v'è altro che la fame, la menzogna, la corruzione, il vischio della morte. Al punto in cui siete, non è possibile l'indugio.

L'immaginazione può difficilmente figurarsi come il comandante Besenval, al Campo di Marte, passasse quelle ore dolorose; mentre l'insurrezione infuriava dappertutto e i suoi uomini scomparivano! Da Versailles, ai più pressanti messaggi non viene risposta, o a volte solo qualche vaga parola di risposta, il che è peggio che nulla. Un Consiglio d'Ufficiali non può far altro che constatare che nessuna decisione è possibile. I Colonnelli lo informano «piangendo» che essi credono che i loro uomini non combatteranno. Momento di crudele incertezza! Broglie, il dio della guerra, siede inaccessibile lassù nel suo Olimpo, e, invaso dal terrore, non osa discenderne, nè fa eseguire la sua scarica di mitraglia, nè manda ordini.

In vero nello Château di Versailles tutto sembra misterioso; mentre nella Città di Versailles, ad esservi, tutto è rumore, allarme, indignazione. Un'augusta Assemblea Nazionale tiene seduta, per una lustra, minacciata di morte: cercando di sfidare la morte. Essa ha risoluto «che Necker porti con sè il rammarico della Nazione». Ha mandato una Deputazione solenne su al Castello, sollecitando che si facciano ritirare quelle truppe. Invano: Sua Maestà, con una pacatezza singolare, c'invita piuttosto ad essere attivi nel compiere il nostro dovere, facendo la Costituzione! Pandours stranieri, ed altri armati di simil genere, vanno scorrazzando su focosi cavalli, con un'aria da rodomonti; mettendo l'occhio, assai probabilmente, su la Salle des Menus; senonchè molte «figure minacciose» popolano le avenues circostanti. Siate fermi, o Senatori Nazionali; voi che siete la cinosura di un popolo fermo e dall'aspetto truce!

Gli augusti Senatori Nazionali decretano che debba esservi la Sessione Permanente almeno finchè tutto finisca. E considerate che in essa è il degno Lefranc de Pompignan, il nostro nuovo Presidente, che abbiamo nominato a successore di Bailly, un vecchio rifinito per molte cause. Egli è il fratello di quel Pompignan che meditò lamentevolmente sul Libro delle Lamentazioni:

«Savez-vous pourquoi Jérémie
Se lamentait toute sa vie?
C'est qu'il prévoyait
Que Pompignan le traduirait!»

Il povero Vescovo Pompignan si ritira, lasciando Lafayette per aiutante o sostituto; quest'ultimo, Vice-Presidente notturno in una casa sfornita e tetra, sta a vegliare con dei lumi non smoccolati, in attesa di ciò che porteranno le ore.

Così a Versailles. Ma a Parigi l'inquieto Besenval, prima di ritirarsi per la notte, s'è recato dal vecchio de Sombreuil, al vicino Hôtel des Invalides. Il de Sombreuil ha in deposito, ma è un gran segreto, circa ventottomila fucili nelle sue cantine; però non ha nessuna fiducia nei suoi Invalidi. Quest'oggi, per esempio, egli ha mandato laggiù venti persone a smontare quei moschetti; per tema che la Sedizione possa impadronirsene; ma appena in sei ore quelle venti persone hanno smontato venti cartelle dell'acciarino, o cani (chiens), uno per ogni Invalido! All'ordine di far fuoco, egli si figura, volgerebbero la loro canna contro di lui.

Sfortunati vecchi gentiluomini militari, è la vostra ora; ma non l'ora della gloria! Anche il vecchio Marchese de Launay, della Bastiglia, ha tirato su i suoi ponti levatoi da un pezzo «e si è ritrato nel suo interno», ponendo delle sentinelle a passeggiare sui muri merlati, che sotto il cielo di mezzanotte si disegnano nell'alto tra il bagliore di Parigi illuminata. Una Pattuglia Nazionale, passando di là, si prende la libertà di far fuoco verso coloro: «sette colpi tirati alle dodici della notte», senza effetto. Questo avvenne il 13 luglio 1789; un giorno peggiore, molti dicevano, che non fosse il 13 dell'anno precedente, allorchè fu solo la gragnuola che cadde dal Cielo, e non la demenza che si innalza dall'Inferno, ruinando qualcosa più d'un ricolto!

Proprio in quelle giornate, come la Cronologia c'insegna, quel vecchio ardente del Marchese Mirabeau giace annientato ad Argenteuil e non può aver sentore di quelle fucilate d'allarme, poichè non egli è là, ma solo il suo corpo che è ormai sordo e freddo per sempre. Fu sabato a notte che, esalando il suo ultimo respiro, rese l'anima – lasciando un mondo che mai gli sarebbe andato a genio, un mondo che ha tutta l'aria di scompaginarsi fino al delirio e corre verso la culbute générale. Che importa a lui che parte per un altro luogo, pel suo lungo viaggio? L'antico castello dei Mirabeau resta silente, lontano lontano, sulla sua roccia a picco, nella «gola di due vallate dominate dal vento». Quel castello diviene ora un pallido Spettro; e l'immenso Tumulto del Mondo e la Francia e il Mondo stesso si dileguano anche, come una nube sul grande e cheto specchio del mare; e tutto sarà come Dio vorrà.

Il giovane Mirabeau, col cuore mesto, poichè egli amava il suo vecchio padre, burbero eppur bravo, col cuore mesto e occupato in tristi cure, – s'è appartato dalla Pubblica Storia. La grande crisi avviene senza di lui.

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