È questo certamente il tempo di un «deus ex machina»; v'è un nodus degno di esso. È questione solo di vedere: qual Dio? Dovrà essere Marte de Broglie dai suoi cento pezzi di cannone? Non ancora, risponde la prudenza: tanto è mite, irrisoluto Re Luigi. Sia piuttosto il messaggero Mercurio, il nostro Usciere Supremo de Brézé!
La dimane, che è il 20 di giugno, i Centoquarantanove Curati infidi, che a Sua Grazia di Parigi non è più possibile di trattenere, disertano in massa; che de Brézé intervenga pure e operi – a porte chiuse! Non solo si avrà la Seduta Regale in quella Salle des Menus; ma nessuna adunanza sarà tenuta, nessun lavoro sarà fatto (eccettuato quello dei falegnami), fino a quel tempo. Il Terzo Stato, che si è dato il titolo di «Assemblea Nazionale», presto si vedrà espulso dalla sua Aula, con l'abile trovata dell'intervento dei falegnami, e ridotto all'inerzia, non potendo neppur riunirsi o articolare un lamento, fin che Sua Maestà con la sua Séance Royale e con nuovi miracoli non sia pronta! In tal modo interverrà De Brézé, qual Mercurio ex machina; e, se l'Oeil-de-Bœuf non s'inganna, scioglierà il nodus.
Senonchè, il povero Brézé, possiamo notarlo, non ha fatto nessun progresso nelle sue trattative coi Comuni. Cinque settimane addietro, quando vennero a baciare la mano di Sua Maestà, la maniera da lui adottata non raccolse la censura; e poi quel suo «sincero attaccamento» come fu spregevolmente respinto! Questa sera, prima di cena, egli scrive una nuova Lettera al Presidente Bailly, da recapitarsi subito dopo l'alba di domani, in nome del Re. Ma Bailly, compreso dalla dignità del suo ufficio, non fa che cacciarsi in tasca la lettera, come una cambiale che non intenda soddisfare.
In conseguenza, al mattino, sabato 20 giugno, Araldi dalla voce acuta proclamano per le strade di Versailles che vi sarà la Séance Royale il prossimo Lunedì, e nessuna adunanza degli Stati Generali fino allora. Eppure, noi osserviamo il Presidente Bailly, che, mentre ascolta ciò, e ha in tasca la lettera di De Brézé, procede seguìto dall'Assemblea Nazionale verso la consueta Salle des Menus, quasi che De Brézé e gli Araldi fossero nient'altro che vento. Questa Salle è chiusa e le Gardes Françaises l'occupano. «Dov'è il vostro ordine, Capitano?» Il Capitano mostra il suo ordine regale: gli operai, è dolente di doverlo dire, sono tutti affacendati nel situare la piattaforma per la Séance di Sua Maestà; disgraziatamente nessuno può essere ammesso; tutt'al più possono avervi accesso il Presidente e i Segretarî, perchè portino via le carte, che i falegnami potrebbero distruggere! Il Presidente Bailly entra coi Segretari, e ritorna portando via le carte: ohimè, nell'interno, in luogo dell'eloquenza patriottica, non s'ode altro rumore che quello del martello e della sega, e lo stridere, il mormorar sordo dell'opera che ferve! Una profanazione che non ha l'uguale.
I Deputati formano capannelli sulla Strada di Parigi, nell'ombreggiata Avenue de Versailles; dolendosi a voce alta dell'indegno trattamento loro usato. I Cortigiani, si suppone, guardano dalle finestre e sogghignano. La mattinata non è delle più piacevoli: c'è un umido e pioviggina di tanto in tanto. Ma ogni viandante fa sosta; i patrioti frequentatori della galleria, e gli spettatori di vario genere vanno ad ingrossare i gruppi. I consigli violenti si alternano. Alcuni Deputati esasperati propongono di tenere la seduta nella grande scala esterna di Marly, sotto le finestre del Re; poichè Sua Maestà, a quel che pare, s'è trasportata lassù. Altri parlano di rendere lo Château Forecourt, che chiamano Place d'Armes, un Runnymede e nuovo Champ de Mai dei Francesi liberi; anzi, di destare addirittura con la voce del Patriottismo indignato gli echi dello stesso Oeil-de Bœuf. Si rende noto che il Presidente Bailly, aiutato dal savio Guillotin e da altri, ha trovato posto al Jeu-de-Paume della Rue St.-François. Colà, in lunghe file, con un bisbiglio roco, come gru librate a volo, se ne vanno adirati i Deputati dei Comuni.
Strano spettacolo fu quello che si vide nella Rue St.-François della vecchia Versailles! Un locale nudo quello del Jeu-de-Paume, quale ancora ce lo rappresentano le pitture del tempo; quattro mura nude; solo in alto una meschina tettoia di legno o galleria coperta, sospesa tutt'intorno, per gli spettatori: sul pavimento, non più il riso faceto e il rumore delle palle e delle racchette, ma il mugghiare assordante d'una indignata Rappresentanza Nazionale, scandalosamente relegata in quel luogo! Frattanto, un nugolo di testimoni tien gli occhi su di essa dall'assito, dalla sommità del muro, dai tetti e dai fumaioli attigui; accorrendo in quel luogo da tutti i quartieri, mandandoli ad alta voce appassionate benedizioni. Si procuri qualche tavola da scrivere, qualche sedia, se non per sedere, per montarvi su. I Segretarî sciolgono le loro stringhe; Bailly ha costituita l'Assemblea.
L'esperimentato Mounier, non completamente nuovo a tali cose, cioè alle rivolte parlamentari, per avervi assistito o per averne sentito parlare, crede che sia bene in tali lamentevoli e minacciose vicende di unirsi l'un l'altro col vincolo del Giuramento. Segue un'acclamazione universale, che è l'espressione dei cuori lungamente compressi! Il Giuramento vien formulato, ed è pronunziato ad alta voce dal Presidente Bailly con un tono talmente sonoro, che il nugolo dei testimoni l'odono anche all'esterno e risponde con un muggito. Seicento mani si alzano con la mano del Presidente Bailly, per chiamare come testimone Iddio dall'alto, che mai essi si separeranno sulla terra, ma che si troveranno uniti in ogni luogo, in ogni evento, ovunque sia possibile di riunirsi in due o in tre, fin che non avranno fatta la Costituzione. Fare la Costituzione, Amici! È un ben lungo còmpito! Intanto seicento mani firmeranno ciò che hanno giurato: seicento meno una; un Abdiele Lealista, ancora visibile da questo solo punto di luce, e per questo ancora nominato, il povero «M. Martin d'Auch da Castelnaudary in Linguadoca». Gli permisero di firmare o dichiarare il suo rifiuto; e lo salvarono dal nugolo degli spettatori, dichiarando che «la sua mente era sconvolta». Alle quattro, le firme sono tutte apposte; il nuovo convegno è stabilito pel mattino di Lunedì, prima dell'ora della Seduta Regale; non si lascino traviare i nostri centoquarantanove disertori clericali: noi ci riuniremo alla «Chiesa dei Récollets o altrove», con la speranza che i nostri Centoquarantanove vogliano unirsi a noi; – e ora è tempo d'andare a pranzo.
Tale è dunque la seduta della Pallacorda, la famosa Séance du Jeu de paume, la cui fama è giunta in tutti i paesi. Tale è la comparsa di Mercurio de Brézé qual Deus ex Machina; tale è il frutto che produce! Il riso beffardo dei Cortigiani dell'Avenue de Versailles s'è già spento in un cupo silenzio. Immaginava forse quella Corte ammattita insieme al suo Garde-de-Sceaux Barentin, al Triunvirato e Compagnia, di poter dissipare seicento Deputati Nazionali pregni d'una Costituzione Nazionale, come si fa con un branco di pollame privo d'alcuna forza, con la verga bianca o nera dell'Usciere Supremo? Un branco di pollame fugge starnazzando; ma i Deputati Nazionali presentano la loro faccia di leoni; e con la mano destra levata in alto, pronunziano un giuramento che fa tremare i quattro angoli della Francia.
Il Presidente Bailly s'è condotto con onore; e avrà la sua ricompensa. L'Assemblea Nazionale è ora doppiamente, triplicatamente l'Assemblea della Nazione; non solo militante e martire, ma trionfante; insultata e non meritevole d'insulto. Parigi straripa ancora una volta per assistere, «con guardo torvo», alla Séance Royale , la quale, fortunatamente ancora, è di nuovo rinviata a Martedì. I Centoquarantanove, che contano ancora dei vescovi in mezzo a loro, hanno avuto tutto l'agio d'uscir fuori processionalmente per andare a raggiungere con tutta solennità i Comuni, che seggono nella loro Chiesa aspettandoli. I Comuni danno loro il benvenuto fra gli evviva e gli abbracci, commossi fino alle lagrime poichè ormai comincia ad essere questione di vita o di morte.
Quanto alla Séance, pare che i falegnami abbiano compiuta la loro piattaforma, ma tutto il resto rimane incompiuto. Cosa futile, e noi potremmo dire fatale, fu quella. Re Luigi entra, fra un mare di popolo arcigno nel suo silenzio, irritato da molte cose, perchè vi è anche una pioggia molesta. Entra, e incomincia nel Terzo Stato lo stesso silenzio torvo; i suoi componenti si sono tutti bagnati, aspettando sotto gli angusti portici delle entrate, posteriori, che la Corte e i privilegiati passassero per l'entrata di fronte. Il Re e il Garde-des-Sceaux (non v'è indizio della presenza di Necker) fanno conoscere, non senza lungaggini, le determinazioni della regale volontà. I Tre Ordini debbono votare separatamente. D'altra parte la Francia può riscontrare considerevoli largizioni costituzionali specificate nei Trentacinque Articoli, leggendo i quali il Garde-des-Sceaux divien rauco. I quali Trentacinque Articoli, soggiunge Sua Maestà levandosi di nuovo in piedi, se i Tre Ordini per malaventura non saranno concordi nell'approvarli, io stesso metterò in esecuzione: «seul je ferai le bien de mes peuples»; il che, interpretato, può significare: Voi, litigiosi Deputati degli Stati Generali, non avete probabilità di durare a lungo a quel posto! Ma, finalmente, tutti debbono ritirarsi per oggi, per riunirsi di nuovo domattina, ciascun Ordine nel suo luogo separato, pel disbrigo degli affari. Questa è la determinazione chiara e ferma della regale volontà. Indi il Re, la Corte, la Nobiltà e la maggioranza del Clero sfilano via, quasi che tutto si fosse compiuto in maniera soddisfacente.
Sfilano tra un mare di popolo silenzioso e torvo Solo i Deputati dei Comuni non sfilano via, ma restano ivi immersi in un triste silenzio, incerti su quello che hanno a fare. Uno solo fra loro è deciso; uno solo fra loro discerne ed osa! È giunto il momento: il Re Mirabeau si slancia sulla tribuna e fa udire la sua voce leonina. E invero quella parola è opportuna; poichè in tali scene l'attimo è il genitore delle epoche! Se Gabriele Onorato non si fosse trovato colà – si può ben immaginare che i Deputati dei Comuni, spaventati dal pericolo che li circondava d'ogni parte, e divenendo ognuno più pallido alla vista del pallore di tutti, molto presumibilmente, l'un dopo l'altro, se la sarebbero svignata; e tutto il corso della Storia Europea sarebbe stato diverso!
Ma egli è là. Ascoltate il ringhiare di quella voce regale della foresta, angosciosa, lene, e poi repentinamente forte, fino a divenire un ruggito! Gli occhi s'accendono allo scintillio dei suoi occhi: – I Deputati Nazionali dovevano adempiere la missione avuta da una Nazione; essi avevano pronunziato un giuramento, essi. – Ma ecco! Mentre la voce del leone rugge più alto, che è mai quest'Apparizione? È l'apparizione di Mercurio de Brézé, che mormora qualche cosa fra i denti. – «Parlate forte!», gridano parecchi. «Signori», esclama de Brézé, ripetendo con voce acuta: «Voi avete udito gli ordini del Re!» Mirabeau, col volto tutto in fiamme, gli lancia un'occhiata di fuoco, scuotendo la sua nera criniera leonina: «Sì, signore, noi abbiamo udito ciò che il Re disse per altrui consiglio, e voi che non potete essere l'interprete dei suoi ordini presso gli Stati Generali, voi che non avete nè la facoltà nè il diritto di parlare qui, voi non siete quello che può rammentarcelo. Andate, signore, e dite a coloro che v'hanno mandato, che noi siamo qui per volere del Popolo e che nulla, tranne la forza delle baionette, può mandarci fuori di questo luogo!». Il povero de Brézé si dilegua tremante dall'Assemblea Nazionale; – e anche (se si eccettua un suo debolissimo barlume qualche mese più tardi) finalmente dalla pagina della Storia!
Sfortunato de Brézé, destinato a sopravvivere per molte età nella memoria degli uomini, in questa maniera codarda, colla sua tremula e bianca bacchetta! Egli fu ligio all'Etichetta, che costituì la sua Fede su questa terra; fu martire del rispetto alle persone. I corti mantelli di lana non potevano baciare la mano a Sua Maestà come la baciavano i lunghi mantelli di velluto. E quel che è più, quando il povero piccolo delfino ultimamente giaceva morto, e veniva qualche visita di cerimonia, egli non mancava di annunziarla perfino al corpo morto del Delfino; «Monseigneur, una deputazione degli Stati Generali!» Sunt lacrymae rerum.
Ma che fa l'Oeil-de-Bœuf quando de Brézé ritorna tremante di paura? Spedisce quella tale forza delle baionette? Nè punto nè poco. L'onde di popolo sempre più numerose son tutte intente ad osservare ciò che avviene, e si slanciano e si accalcano con un alto muggito fin nelle Corti dello Château, poichè si vocifera che Necker debba essere congedato. E quel ch'è peggio, le Gardes Françaises pare non siano disposte ad agire: «due Compagnie di esse non fanno fuoco quando vien loro ordinato!». Necker, perchè non prese parte alla Séance sarà acclamato, portato a casa in trionfo; nè deve essere congedato. Quanto a Sua Grazia di Parigi, deve fuggire cogli sportelli della sua carrozza rotti, e dovrà la sua vita alla rapidità furiosa della corsa. Le Gardes-du-Corps (Guardie del Corpo) mandate in distaccamento, meglio farebbero a rientrare. Non bisogna neppure pensare all'invio delle baionette.
In cambio di soldati, l'Oeil-de-Bœuf manda... falegnami ad abbattere la piattaforma. Inutile espediente! Dopo pochi momenti, gli stessi falegnami smettono di strappare e martellare la loro piattaforma, e son là col martello in mano ad ascoltare a bocca aperta. Il Terzo Stato va decretando che esso è, fu e sarà nient'altro che un'Assemblea Nazionale; ed ora per di più sarà inviolabile, e inviolabili saranno tutti i suoi membri. «Infame, traditore della Nazione, reo di delitto capitale è ogni persona, ogni corporazione, ogni tribunale, o corte, o commissione che ora o in appresso, durante la presente sessione o dopo, osi di perseguitare, interrogare, arrestare o causare l'arresto, detenere o causare la detenzione di qualcuno dei membri, etc., etc., da parte di chiunque ne venga l'ordine». Ciò fatto, noi possiamo concludere con questa confortante riflessione dell'Abbé Sieyès: «Signori, voi siete oggi ciò che eravate ieri».
Schiamazzino pure i Cortigiani, ma il fatto sussiste e resta sempre tale. La loro ben nudrita esplosione è scoppiata a traverso il focone, coprendoli di scottature, di confusione, di vile fuliggine! Povero Triunvirato, povera Regina, e sopratutto povero marito della Regina; il quale dopo tutto ha buone intenzioni, malgrado qualche idea fissa! Stolta è la saggezza che si appalesa dopo il fatto. Pochi mesi addietro quelle Trentacinque Concessioni avrebbero riempito la Francia d'un contento che sarebbe potuto durare parecchi anni. Ora è cosa vana: nient'altro che a menzionarle, s'incontra il dispregio; gli ordini espressi di Sua Maestà sono ridotti a zero.
Tutta la Francia è in rumore; una moltitudine di persone, che può ascendere a «diecimila» si aggira tutt'oggi nel Palais Royal. Il resto del Clero e Quarantotto della Nobiltà, tra cui d'Orléans, sono andati immediatamente a congiungersi ai Comuni vittoriosi; – dai quali sono ricevuti, com'è naturale, «fra le acclamazioni».
Il Terzo Stato trionfa; la Città di Versailles l'acclama; i diecimila gironzano tutto il giorno nel Palais Royal; tutta la Francia sta in aspettativa, non senza il proposito di agitarsi! Stia attento l'Œil-de-Bœuf. Quanto al Re Luigi, egli trangugerà le ingiurie, temporeggerà, serbando il silenzio; vuole a tutti i costi la pace del momento. Fu martedì, 23 giugno, che egli pronunziò quel perentorio decreto regale; e la settimana non era ancora trascorsa che egli scriveva a quella parte della Nobiltà tuttora intransigente, che anche essa doveva fargli cosa grata arrendendosi. D'Espréménil manda i suoi ultimi aneliti di rabbia; Mirabeau-Tonneau «spezza la sua spada», pronunziando un voto, – che sarebbe stato bene mantenere. La «Tripla Famiglia» è ormai completa; la terza sorella traviata, la Nobiltà, vi si è unita; traviata, ma degna di perdono; raddolcita, per quanto è possibile, dalla dolce eloquenza del Presidente Bailly.
Così trionfa il Terzo Stato; e gli Stati Generali sono divenuti Assemblea Nazionale; e tutta la Francia può cantare il Te Deum. Con una savia inerzia e una savia cessazione dell'inerzia s'è avuta la grande vittoria. È la ultima notte di Giugno: durante tutta la nottata voi non incontrate per le vie di Versailles che uomini «che corrono, con le torcie», acclamando e abbandonandosi alla gioia. Dal 2 Maggio, allorchè essi baciarono la mano a Sua Maestà, a questo 30 Giugno, in cui si corre con le torcie, contiamo otto settimane e tre giorni. Per otto settimane il Carroccio Nazionale s'è visto di lontano ritto in piedi, facendo echeggiare molti segnali; e ora che ha raccolto tante cose intorno a sè, può sperare di continuare a star saldo.