Capitolo V L'USCIERE MAILLARD

Sì, in fiamme, – se quell'Usciere Maillard dal piè veloce e dalla testa pronta non fosse tornato!

Maillard, di propria iniziativa – poichè Gouvion o gli altri non vollero dare il loro consenso, – dà di piglio ad un tamburo; discende i gradini del portico, e ran-tan, batte forte, con alti rulli, la sua marcia astutamente architettata. A Versailles! Allons à Versailles! Come gli uomini battono su d'un paiolo o uno scaldino, quando v'è bisogno di far rientrare nell'alveare le api femmine stizzite, o piuttosto le vespe volano inferocite; e gli insetti inferociti lo odono e si raggruppano insieme, – come intorno a un punto di guida, laddove non ve n'era alcuno; – così adesso queste Menadi circondano l’astuto Maillard, Usciere a cavallo dello Châtelet. Le scuri restano sospese: L'Abbé Lefèvre è lasciato impiccato a mezzo; dal campanile in giù si riversa quanto v'è in esso. Che cos'è questo frastuono? Stanislao Maillard, l'eroe della Bastiglia, ci vuol condurre a Versailles? Gloria a te, Maillard; che tu sia benedetto su tutti gli Uscieri a cavallo! Avanti, dunque, avanti!

I cannoni presi sono aggiogati a dei cavalli da carri di cui si sono impadronite: la Demoiselle Théroigne dai bruni riccioli, con l'elmo e la picca, si asside da cannoniera: «ha lo sguardo altero e l'aspetto bello, sereno», comparabile, a dire di alcuni, alla Pulcella d'Orléans, oppure richiamante l'idea di Pallade Athena. Maillard (s'ode ancora il rullo del suo tamburo) è proclamato Generale con acclamazioni che vanno fino al cielo. Maillard sollecita la languida marcia, e battendo cadenzatamente il tamburo, con forti ran-tan, lungo tutti i Quais, mena innanzi con difficoltà il suo Menadico esercito. Un esercito che non marciava in silenzio! Il barcaiuolo si ferma sul fiume; tutti i carrettieri e i cocchieri fuggono, gli uomini appaiono alle finestre, – non le donne, per tema d'essere costrette a marciare. O vista portentosa! Le Baccanti in quell'epoca di formalismo! Enrico, in bronzo, guarda dal suo Pont-Neuf; il Monarchico Louvre, le Medicee Tuileries veggono un giorno come non ne hanno mai visti finora.

Ed ora Maillard è giunto con le sue Menadi negli Champs Élysées (o piuttosto Campi Tartarei); e l'Hôtel-de-Ville non ha sofferto quasi nulla. Delle porte sfondate; un Abbé Lefèvre, che mai più distribuirà polvere; tre sacchi di moneta, che nella maggior parte (poichè il Sanculottismo, quantunque affamato, non è sprovvisto d'onorabilità) sarà restituita: questo è tutto il danno. O grande Maillard! Un piccolo nucleo d'Ordine è intorno al suo tamburo; ma i suoi estremi fluttuano come l'oceano in tempesta; poichè la canaglia maschile e femminile affluisce a lui da quattro punti cardinali: non v'è altra guida che la sua testa e due bacchette da tamburo.

O Maillard, dacchè esiste la guerra ebbe mai un Generale della Forza un còmpito innanzi a sè pari al tuo in questo giorno? Gualtiero senza quattrini ancora commuove i cuori pieno di sentimento: ma Gualtiero aveva una sanzione: aveva lo spazio intorno a sè; e di più i suoi Crociati erano di sesso maschile. Tu, quest'oggi, sconfessato dal Cielo e dalla Terra, sei Generale di Menadi. Tu devi, sotto l'impulso del momento, tradurre in parole articolate la loro inarticolata frenesia, tradurla in azioni che non abbiano niente di frenetico. A qualunque partito t'appiglierai, rischierai di trovarti male! La Burocrazia officiale, coi suoi codici e le sue penalità, è innanzi a te; le Menadi tempestano alle tue calcagna. E se quest'ultime tagliarono la testa melodiosa d'Orfeo gettandola nelle acque di Peneo, che faranno mai di te che non hai nulla di ritmico, che non possiedi altra musica che un tamburo di pelle di pecora? – Maillard peraltro non si disorientò. Rimarchevole Maillard, se la fama non fosse un accidente, e la storia una distillazione del Rumore, quanto mai rimarchevole tu saresti!

Ai Campi Elisi si fa una sosta e v'è una certa indecisione, ma, per Maillard, non v'è possibilità di ritorno. Egli persuade le sue Menadi, che tumultuano volendo recarsi per armi all'Arsenale, che non vi sono punte armi all'Arsenale; e che un'attitudine inerme e una petizione all'Assemblea Nazionale, saranno la cosa migliore. Egli nomina d'un subito e sancisce le nomine di generalesse, capitani di decine e di cinquantine; e così, nell'ordine più scompigliato, al ritmo di circa «otto tamburi» (avendo messo da parte il suo), coi volontarî della Bastiglia alla retroguardia, una volta ancora si mette in cammino.

Chaillot, che prontamente dispensa le pagnotte uscite dal forno, non è saccheggiato; nè sono danneggiate le porcellane di Sèvres. Le vecchie arcate di Ponte de Sèvres echeggiano sotto i passi delle Menadi; la Senna effonde il suo perpetuo mormorio; e Parigi ci lancia alle spalle il rimbombo della campana dall'arme e del tamburo d'allarme, – che non possono essere uditi adesso, per via del rumore delle turbe in moto, e per lo scrosciare insistente della pioggia. A Meudon, a Saint-Cloud, a dritta e a manca, s'è divulgato questo avvenimento; e i focolari domestici avranno questa sera un soggetto di conversazione. L'arruolamento forzato delle donne ancora continua, poichè, si tratta della causa di tutte le figlie d'Eva, di quelle che sono già madri, e di quelle che dovranno divenir tali. Non c'era vera signora, che, per quanto avesse i nervi eccitati, non dovesse discendere dalla carrozza, nelle vie fangose con le sue scarpe di seta, e camminare a piedi. Per tal modo, col tempo aspro di quell'Ottobre, esse, selvaggio stuolo di cicogne senz'ali, al cospetto del paese attonito, percorrono la loro via. I viaggiatori d'ogni specie debbono fermarsi; specialmente i viaggiatori e i corrieri provenienti da Parigi. Il Deputato Lechapelier, nel suo elegante abbigliamento, dalla sua elegante vettura, guarda sbalordito a traverso i suoi occhiali, temendo per la vita; – e s'affretta a dichiarare che egli è il Deputato Patriota Lechapelier, il Vecchio Presidente Lechapelier, che presiedette nella Notte di Pentecoste, uno dei socî fondatori del Club Bretone. A questo si levano «alte grida di Vive Lechapelier, e parecchie persone armate si slanciano avanti e dietro di lui per fargli scorta».

Frattanto, notizie comunicate per dispaccio da Lafayette, o vaghi rumori, sono giunti per vie traverse. Nell'Assemblea Nazionale, mentre si è tutti occupati a discutere l'ordine del giorno, in cui si deplora che vi siano pranzi anti-nazionali nelle sale dell'Opéra e che sua Maestà ancora esiti circa l'accettazione dei diritti dell'Uomo, e ponga delle condizioni e si mantenga indeciso, – Mirabeau sale i gradini e si avvicina al Presidente che era per caso il savio Mounier; e a voce bassa gli dice: Mounier, Paris marche sur nous (Parigi marcia su noi) «Può darsi (Je n'en sais rien!)». «Che voi lo crediate o non lo crediate, per me non monta; ma io vi dico che Parigi marcia su noi. Dite che v'è sopravvenuto un malore subitaneo; andate su, allo Château; e fate sapere questa cosa. Non v'è un momento da perdere». «Parigi marcia su di noi?», risponde Mounier, con un accento strabiliare; «ebbene, tanto meglio! Vuol dire che presto avremo la Repubblica». Mirabeau lo lascia, come si lascia un savio Presidente che va ciecamente per acque profonde; e l'ordine del giorno continua come prima.

Sì, Parigi marcia su noi; e qualcos'altro oltre le donne di Parigi! Appena fu andato via Maillard, messaggi di Gouvion a tutti i Distretti, la campana d'allarme e lo stamburinare della générale, cominciarono a produrre il loro effetto. Le Guardie Nazionali armate di tutti i Distretti, specialmente i Granatieri del Centro, che sono le nostre antiche Gardes Françaises, arrivano, seguendosi rapidamente, sulla Place de Grève. «Un immenso popolo» è là; Saint-Antoine con la picca e il fucile arrugginito si affolla in quel luogo, bene o male accolta che sia. I Granatieri del Centro sono ricevuti con acclamazioni. «Non sono acclamazioni che noi vogliamo», rispondono essi in tono triste: «la Nazione è stata insultata, prendete le armi e venite con noi a ricevere gli ordini!» Ah, è così che si mette il vento? Il Patriottismo e il Pattuglismo sono ormai una cosa!

I Trecento tengono seduta; «tutti i Comitati sono in attività»; Lafayette è intento a dettare dispacci per Versailles, quando una Deputazione di Granatieri del Centro s'introduce da lui. La Deputazione fa il saluto militare; e così gli parla, non senza sentimento: «Mon Général, noi siamo delegati di sei Compagnie di Granatieri. Noi non crediamo che voi siate un traditore, ma crediamo che il Governo ci tradisca; è tempo che ciò finisca. Non possiamo volgere delle baionette contro delle donne che gridano chiedendoci il pane. Il popolo è miserabile, la sorgente del male è a Versailles. Noi dobbiamo andare a cercare il Re per condurlo a Parigi. Noi dobbiamo sterminare (exterminer) il Régiment de Flandre e le Gardes-du-Corps che osarono calpestare la coccarda nazionale. Se il Re è troppo debole e non è in grado di portare la corona, la deponga. Voi incoronerete suo figlio nominando un Consiglio di Reggenza; e tutto sarà pel meglio». Lo stupore e il rimprovero si dipingono sul volto di Lafayette; e si traducono in parole che escono eloquenti dalle sue labbra cavalleresche; ma invano. «Mio Generale, noi verseremo per voi fino all'ultima goccia del nostro sangue; ma la radice del male è a Versailles; noi dobbiamo andare per condurre il Re a Parigi; tutto il popolo lo desidera, tout le peuple le veut.»

Il mio Generale discende la scalinata esterna, e arringa, ancora una volta invano. «A Versailles, a Versailles!» Il Maire Bailly, che hanno mandato a chiamare, attraversando torrenti di Sanculottismo arrischia un'accademica orazione dalla sua dorata carrozza di gala; ma non ricava altro che infiniti gridi rochi di: «Pane! A Versailles» Ed è felice di svignarsela. Lafayette monta il suo bianco cavallo di battaglia; e arringa e torna ad arringare, con eloquenza, con fermezza, con accento d'indignazione, con tutto ciò che gli è dato di adoperare, meno che con la sua persuasione. «A Versailles!» E tutto ciò si prolunga d'ora in ora, – per lo spazio d'una mezza giornata.

Il grande Scipione Americano non può far nulla, neppure fuggire. «Morbleu, mon Général» gridano i Granatieri, stringendo le loro file, come il bianco corsiero fa un movimento in quel senso, «voi non ci lascerete, voi resterete con noi!» Una pericolosa congiuntura: Il Maire Bailly e i Municipali tremano nell'interno; il mio Generale è prigioniero fuori: la Place de Grève, coi suoi trentamila Regolari, e tutti i suoi Irregolari di Saint-Antoine e Saint-Marceau, è una massa minacciosa, di acciaio lucente ed arrugginito; tutti i Cuori mirano con una cupa attenzione ad un oggetto. Cupi, attoniti son tutti i cuori: nessun cuore è tranquillo, – se si eccettua quello del bianco corsiero, che zampetta e se ne sta col collo arcuato, rodendo con compostezza il suo freno; quasi che nessun Mondo con le sue Dinastie e le sue Ere fosse sul punto di precipitare nell'abisso. Il giorno piovigginoso volge all'occaso; il grido è sempre: «A Versailles!».

Di più adesso giunge di lontano l'eco de' più sinistri gridi; gridi rauchi, che si ripercuotono in lunghi e cupi mormorii, con sillabe che purtroppo somigliano a quelle di «Lanterne!», od altro. Il Sanculottismo irregolare può marciare da solo, di sua iniziativa, con le picche, o addirittura col cannone. L'inflessibile Scipio alla fine, per mezzo d'un aiutante di campo, fa domandare ai Municipali: può o non può andare? Gli viene passata una lettera di sopra alle teste degli armati; sessantamila sguardi si fissano sul suo volto; regna un silenzio profondo, e nessuno fiata finchè egli non abbia finito di leggere. Per Dio, egli impallidisce rapidamente! Che forse i Municipali permettano? «Permettono, non solo, ma ordinano». Quindi, egli deve sottomettersi. Applausi clamorosi lacerano l'aria. Alle vostre file, dunque: marciamo!

Sono, secondo il nostro calcolo, circa le tre pomeridiane. Le Guardie Nazionali indignate possono per una volta almeno desinare con le provvigioni dei loro sacchi; ma, quand'anche non si possa mangiare, marciano con un sol cuore. Parigi spalanca le sue finestre, batte le mani, al passar dei Vendicatori coi loro tamburi squillanti e il loro scalpitio; dopo, essa resterà pensosa, preoccupata, e passerà una notte quasi senza sonno. Sul bianco corsiero, Lafayette, come più lentamente può, va avanti e indietro, arringando eloquentemente tra le file, e procede innanzi coi suoi trentamila. Saint-Antoine, con la picca e il cannone, lo ha preceduto; una moltitudine varia con ogni specie d'armi e senza armi sta ai suoi fianchi e gli tien dietro; il paese una volta ancora si ferma e guarda a bocca aperta: Paris marche sur nous.

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