Capitolo II. IDEALI REALIZZATI

Una Francia così mutata noi abbiamo, un così mutato Luigi. Un vero mutamento, più grande che tu non veda! All'occhio della storia, nella camera di Luigi infermo, sono ora visibili molte cose che sfuggivano ai cortigiani ivi presenti; perchè ben si dice che «ogni oggetto ha in sè una quantità inesauribile di significati e l'occhio scorge in esso solo ciò che è capace di vedere». Per Newton e pel suo cane Diamante quali differenti universi! Eppure la riflessione della retina ottica di entrambi era presso che eguale! Si soffermi il lettore in questa camera di Luigi ammalato e cerchi di guardare anche cogli occhi della mente.

Fuvvi un tempo in cui gli uomini a guisa delle api potevano (per così dire) farsi un re d'uno di loro: lo nutrivano, lo decoravano convenevolmente, conforme al suo grado e, quel che è più, l'obbedivamo lealmente una volta fatto. L'uomo così nutrito e decorato, d'ora innanzi chiamato regale, ha infatti il comando, e si dice, e forse anche si pensa che egli «prosegua, per esempio, le sue conquiste nelle Fiandre», quando lo si trasporta colà come un bagaglio, e un bagaglio punto leggero, che ingombra miglia e miglia di via. Poichè egli ha con sè la sua impudica Châteauroux con le sue scatole e i suoi belletti, di maniera che ad ogni sosta bisogna aggiungere una nuova galleria di legno ai loro alloggi. Lo accompagnano, non solo il suo esercito di cuochi (Maison-Bouche) e il servidorame numerosissimo (Valetaille) senza fine, ma anche la sua compagnia di attori con relativo scenario di cartone, e saette, e timballi, e violini, e vestiario scenico, e dispense portatili; tutta roba ammucchiata, fra un continuo mercatare e litigare, in vagoni, carri, calessi, bastevoli a conquistare, non le Fiandre, ma la pazienza del mondo. Con un tal diluvio di oggetti pesanti e rumorosi egli muove stentatamente al proseguimento delle sue conquiste nelle Fiandre. Meraviglioso spettacolo! Pure così si faceva e così si è continuato a fare: a qualche solitario pensatore potrebbe parere strano, ma anche a lui parrà inevitabile, non contro natura.

Perchè il nostro mondo è proprio fatto d'argilla, e l'uomo è la più plastica delle creature: un mondo che non si può fissare, non si può analizzare, qualche cosa d'incommensurabile, che è un fuor di noi, col quale noi lavoriamo, in mezzo al quale viviamo adattandolo miracolosamente al nostro essere miracoloso e chiamandolo Mondo. Ma, se le stesse rocce, gli stessi fiumi, come la metafisica insegna, sono fatti, nello stretto significato della parola, dai nostri Sensi Esterni, con tanta più ragione dovrà dirsi che tutti i fenomeni di genere spirituale, come Dignità, Autorità, Sacro e Profano sieno fatti dal nostro Senso Interno; questo senso interno non è poi costante come quello esterno, ma soggetto a divenire ed a mutare. Non raccoglie il Negro africano bastoni ed abiti vecchi (roba frusta e portata per es. da Monmouth Street) e dopo averne fatta la scelta, abilmente li riunisce e si fabbrica un Eidolon (idolo o oggetto visibile), che chiama Mumbo-Jumbo, e gli rivolge d'ora innanzi, non senza speranza, la sua preghiera, guardandolo con occhi terrorizzati? Il bianco Europeo si burla di lui, senza considerare che al suo paese può ben accadergli di comportarsi poco più saviamente.

Così avveniva, abbiam detto, in quelle conquiste delle Fiandre trent'anni addietro, ma non è più così adesso. Purtroppo non è il solo Luigi che giace ammalato: non è il solo Re, ma la Monarchia di Francia, che dopo un lungo seguito di vicende, è anch'essa sul punto d'infrangersi. Il mondo è tanto cambiato: ciò che pareva pieno di vita s'è affievolito nella decrepitezza, tante cose che non esistevano cominciano ad esistere! Che sono mai questi suoni dall'apparenza sinistra, nuovi nel nostro secolo, che l'Atlantico reca all'udito semispento di Luigi, Re per grazia di Dio? Il porto di Boston è nero d'una quantità inattesa di tè, in Pensilvania si riunisce un congresso e fra breve sul Colle di Bunker la Democrazia, con ripetute scariche di schioppettate, annunzierà la sua nascita, seminando la morte, e sotto la sua bandiera stellata, al suono del Yankee-doodle-doo, avvilupperà il mondo intero come un nembo.

Muoiono i Sovrani e le Sovranità, come tutto muore e passa nel Tempo, e «il Tempo non è che un fantasma che s'atteggia a realtà»! I Re Merovingi dalla lunga chioma fluente, che s'aggiravano lentamente per le vie di Parigi sui loro carri tirati da giovenchi, lentamente sono scomparsi nell'Eternità. Carlomagno dorme ad Aquisgrana sepolto col suo scettro; e solo la Favola aspetta che si ridesti. Che sono divenuti ormai lo sguardo fiero e la voce imperiosa di Carlo Martello e di Pipino dalle Gambe Storte? Rollo e i suoi vellosi uomini del Nord non occupano più la Senna coi loro bastimenti, ma hanno salpato per un più lungo viaggio. La capigliatura di Testa di Stoppa (Tête d'étoupe) non ha più bisogno del pettine; Tagliaferro (Taillefer) non può più tagliare un ragnatelo; l'aspra Fredegonda, l'aspra Brunhilda hanno ormai troncate le loro ardenti contese e giacciono silenti nella calma gelida succeduta agli ardori frenetici. Nè più si vede dalla nera Torre di Nesle precipitar giù nelle tenebre il galante rinchiuso in un sacco, condannato a perire nelle acque della Senna; perchè la Dama di Nesle non cura più le galanterie mondane, nè ha più da nascondere al mondo lo scandalo: la Dama di Nesle anch'ella s'è dileguata nella Notte. Essi son tutti passati, andati giù giù col tumulto che suscitarono, e lo scalpiccio e la ressa delle generazioni che di continuo si rinnovellano passa su di loro, chè non odono mai più nulla di nulla.

Eppure, non si è forse realizzato qualche cosa? Considerate, a non dir altro, questi solidi edifizî di pietra e quel che contengono. La città fangosa dei Rivieraschi (Lutetia Parisiorum o Barisiorum), ora ben lastricata, s'è estesa su tutta le isole della Senna e in lungo e in largo su ogni sponda, ed è divenuta città di Parigi con la pretesa d'essere «l'Atene dell'Europa» e magari la «Capitale dell'Universo». Antiche torri di pietra si librano maestose nell'aere, rese orride da mille anni di esistenza. Vi sono i templi in cui è una Fede (o la memoria di una Fede); i Palagi e uno Stato e una Legge. Tu vedi il fumo che s'innalza com'alito inestinguibile di qualche cosa vivente. Mille martelli del lavoro battono l'incudine, mentre un altro prodigioso lavoro si compie silenziosamente; non dalla mano, ma dal pensiero. Abili lavoratori hanno in ogni mestiere, col talento e con la destrezza della mano, asserviti i Quattro Elementi, rendendoli loro ministri; hanno aggiogati i venti ai loro Carri marini, le Stelle sono divenute il loro Cronometro nautico; hanno scritta e formata una Bibliothèque du Roi, fra i cui libri v'è il Libro Ebreo! Qual meravigliosa razza di creature! Ecco quel ch'è stato realizzato, e quanta abilità v'è in tutto questo: non chiamiamo dunque il Tempo Passato, con tutte le sue miserie confuse, un tempo perduto.

Osserva, ad ogni modo, come, di tutti gli acquisti e i beni terrestri dell'uomo, i più nobili siano i suoi simboli, divini o dall'apparenza divina, sotto la cui guida egli si avanza e combatte, con vittoriosa sicurezza, in questa battaglia della vita; quei simboli noi possiamo chiamarli i suoi Ideali realizzati. Dei quali Ideali realizzati, omettendo gli altri, considera solo questi due: la Chiesa o la sua Guida spirituale; la Sovranità, o la sua Guida temporale. La Chiesa: quale parola più ricca di Golconda e dei tesori del mondo! Nel cuore delle più remote montagne s'eleva la piccola Chiesa, i morti riposano intorno ad essa, sotto le bianche lapidi, «nella speranza d'una risurrezione felice»: tu hai il cuore insensibile, o lettore, se mai, in nessun momento della tua vita, come, per esempio, in una triste mezzanotte quando questa Chiesa s'erge immagine spettrale nel cielo e l'Essere è come inghiottito dalle Tenebre, non ti ha parlato quell'indicibile linguaggio che penetra nel più profondo dell'anima. Fu forte chi ebbe una Chiesa, quella a cui noi possiamo dare questo nome; per essa l'uomo si mantenne «benchè nel centro dell'Infinito, al confluire dell'Eternità», umano verso Dio e l'uomo; l'Universo incerto, senza sponda è divenuto per lui una stabile dimora, un'abitazione conosciuta. Tale virtù era nella Credenza, in queste parole ben profferite: io credo. A buon diritto gli uomini rendevano onore al loro Credo, innalzavano in suo omaggio magnifici Templi, costituivano reverenti gerarchie, dedicavano ad esso la decima parte delle loro sostanze; valeva la pena di vivere e morire per esso.

Nè fu men degno di considerazione quel momento in cui uomini selvaggi in armi elevarono per la prima volta sul trono formato di scudi il più Forte di loro, e, fra lo strepito delle armi e i battiti del cuore, solennemente dissero: Sii riconosciuto il più Forte! Quest'uomo riconosciuto il più forte (ben detto King, Re, Kön-ning, Canning o uomo abile) era il simbolo che li illuminava, significativo dei destini del mondo! Un simbolo di vera guida ch'era ricambiato di un'amorevole obbedienza, primo bisogno dell'uomo quando lo conobbe. Un simbolo che poteva ben dirsi sacro; e non v'è infatti qualche cosa di indistruttibilmente sacro nell'omaggio che rendiamo a chi ci è superiore? Ciò posto, era naturale che si dicesse esservi un diritto divino in Colui che era riconosciuto il più forte, come potrebbe esservi infatti nel più forte anche non riconosciuto, chi lo fece forte. Fu così che nel mezzo di confusioni e indicibili incongruenze (poichè ogni crescenza è confusa), ebbe origine la Regalità e con essa la Fedeltà che la circonda, e crebbe misteriosa, soggiogando e assimilando tutto (poichè era in essa un principio di vita), finchè fu grande come un mondo e divenne uno dei principali Fatti della nostra esistenza moderna. Tale un Fatto che potè far rispondere, per esempio, da Luigi XIV, alle lagnanze di un Magistrato, col suo: «L'Etat c'est moi» (Lo Stato? Sono io lo Stato); parole che furono ascoltate silenziosamente e a fronte china. A tale si era giunti un po' per opera del caso, un po' per avvedutezza; per opera d'un Luigi XI dalla Vergine di piombo al cappello e sotto i piedi le ruote della tortura e le oubliettes coniche (mangia uomini), e d'un Enrico IV con le sue profezie di millennio sociale, «quando ogni contadino avrebbe il suo pollo in pentola»; ma sopratutto per l'azione feconda di questa tanto produttiva Esistenza (detta del Bene e del Male) nella sua applicazione alla Regalità. Meraviglioso fenomeno! A questo proposito non è giusto ripetere che nell'immensa massa di Male che, come flutto, si accavalca e si gonfia, è alcunchè di Bene che, costretto nel suo seno, lavora e si svolge tendendo verso la liberazione e il trionfo?

Come tali Ideali si realizzino e crescano, uscendo mirabilmente dal viluppo del caos incongruo e fluttuante dell'ora presente, è quanto la storia, se pur qualche cosa insegna, deve insegnarci. Come essi crescono, e dopo un lungo e tempestoso sviluppo fioriscono in tutto il loro rigoglio; indi, con rapidità (chè breve è la vita del fiore) appassiscono consumandosi tristemente, fin che si riducono in polvere o volano via, dileguandosi turbinosamente o in silenzio. È tanto breve la vita del fiore, e in ispecie quella del fiore del cactus centenario, che, dopo essersi fatto attendere per un secolo, non brilla che per qualche ora! Così, dal giorno in cui il feroce Clodoveo, nel Campo di Marte, al cospetto di tutto il suo esercito, spaccò la testa di quel rozzo Franco con un colpo d'ascia d'arme, accompagnando l'atto con le parole: «Fu così che tu rompesti il vaso (di S. Remigio e mio) a Soissons», fino a Luigi il Grande e al suo famoso motto L'Etat c'est moi, contiamo circa dodici secoli, ed ora il più prossimo dei Luigi è morente, e chissà quante cose muoiono con lui! Eppure, se il Cattolicismo collegato al Feudalismo o contro di esso (ma non contro la Natura e i suoi doni) dette a noi Inglesi uno Shakespeare e un'êra Shakespeariana, fiore del Cattolicismo, non fu che all'epoca in cui il Cattolicismo medesimo potè essere abolito in questo paese, almeno in quanto la Legge potè abolirlo.

Ma che diremo di quelle età decadenti in cui nessun Ideale cresce o fiorisce? Di quei periodi in cui la Credenza e la Fedeltà sono scomparse nel passato e non ne è rimasta che l'affettazione e una falsa eco; quando ogni solennità è ridotta a una Mostra spettacolosa e la Fede nelle persone autorevoli è divenuta Imbecillità o Machiavellismo? La Storia del mondo purtroppo non può occuparsi di siffatti periodi, che vengono ristretti a poco a poco fin che sono soppressi addirittura dagli Annali del Genere Umano, rinnegati come degeneri, quali realmente sono. Disgraziate epoche, in cui è più che mai doloroso venire al mondo: nascere per apprendere con la forza dell'esempio e della tradizione, che l'Universo di Dio è invece di Belial ed è una Menzogna; che il «Ciarlatanismo Supremo» è il gerarca degli uomini! E non vediamo purtroppo intere generazioni (due e qualche volta anche tre di seguito) che sotto l'impeto d'un così deplorevole dogma di fede vivono, se pur possiamo chiamar vita un'esistenza di tal genere, e poi scompaiono senza speranza di resurrezione?

Fu proprio in una di queste epoche di decadenza, o a un dipresso, che nacque il nostro povero Luigi, il quale, dato che la Monarchia di Francia, per necessità di Natura non poteva aver lunga vita, fu l'uomo più atto ad accelerare l'opera della Natura. In Francia il fiore della Regalità aveva avuto, come quello del cactus, uno sviluppo meraviglioso. Al tempo del fatto di Metz era ancora rigoglioso, ancora adorno di tutti i suoi petali, benchè offuscato dalla Reggenza degli Orléans e da Roués Ministri e Cardinali; ma ora, nell'anno 1774, lo vediamo spogliarsi e perdere ogni vigore.

Quale aspetto disastroso assume omai il Potere Regio insieme a tutti gli altri «Ideali realizzati»! La Chiesa, che sette secoli addietro, all'apogeo della sua potenza, potè costringere un Imperatore ad attendere per tre giorni, a piedi nudi, sulla neve, e in saio di penitenza, assisteva già da secoli alla sua lenta rovina ed era ridotta, dimenticando gli antichi propositi e le inimicizie, a collegarsi con la Regalità, nella speranza che questa più giovane forza potesse essere un sostegno alla sua decrepitezza; così d'ora innanzi si sosterranno o cadranno insieme. La Sorbonne ha sede ancora nella sua vecchia magione; ma, purtroppo, non fa che biascicare in un gergo senile: non è la guida della coscienza degli uomini; non è più la Sorbonne; è l'Encyclopédie, la Philosophie; tutta un'accozzaglia di scrittori da strapazzo, Cantori profani, Romanzieri, Commedianti, Disputanti e Libellisti, che ora forma la Guida spirituale del mondo. Anche la Guida pratica del mondo s'è perduta o è del pari caduta nelle mani d'una tal miscellanea. Chi resta più da guidare a colui che si chiama Re, Uomo Valoroso, Roi o Direttore? A lui non resta che il comando dei suoi cacciatori a piedi ed a cavallo; di guisa che quando non gli accade di recarsi a caccia, giustamente si dice: Le Roi ne fera rien (oggi sua Maestà non farà nulla). Così egli vive, così langue in una vita inoperosa, che conserva sol perchè niuno ha ancora portato la mano su di lui.

I nobili hanno del pari quasi cessato dal guidare, come bene o male facevano, ed ora, al pari del loro Signore, son quasi ridotti a far da figure ornamentali; nè più intraprendono quelle lotte sanguinose fra loro o contro il loro Re, da lungo tempo andate in disuso. I lavoratori, coll'aiuto e l'incoraggiamento del Re, hanno da tempo protette di mura le città, ove esercitano i loro mestieri, non permettendo a niun Barone Ladro di sfruttarli con la prepotenza, e serbano la forca per impedirlo. Fin dall'epoca della Fronda il Nobile ha mutata la sua spada di combattimento in uno spadino di Corte e fedelmente accompagna il suo Re, qual ministro e satellite, e divide con lui il bottino, non più acquistato colla violenza e col sangue, ma frutto della scaltrezza e dell'intrigo. Sono questi gli uomini che si dicono il sostegno del trono: strane cariatidi di cartone dorato in quello strano edificio! I loro privilegi, del resto, vanno sempre più restringendosi. Quella legge, per esempio, che autorizzava il signore, di ritorno dalla caccia, ad uccidere due, non più di due suoi servi, per ristorarsi i piedi nel loro sangue caldo e nelle viscere loro, è completamente fuori uso; anzi non vi si crede più e quantunque il Deputato Lapoule si ostini a crederla vera e a domandarne l'abrogazione, noi non possiamo ammetterne l'esistenza. Nessun Charolois, per quanto amatore del tiro, ha mai pensato in questi ultimi cinquant'anni a tirare contro i terrazzieri e i piombieri su pei tetti, pel gusto di vederli precipitare al suolo; e s'è piuttosto appagato delle pernici e dei galli di montagna. La Nobiltà non ha ormai altro còmpito, altre attribuzioni tranne che vestire con grazia e mangiare lautamente; quanto poi alla dissolutezza, alla depravazione, non hanno riscontro che nei tempi di Tiberio e di Commodo. Nondimeno perdura ancora in qualche modo il sentimento che faceva dire alla Maréchale: «Siate certo, signore, Dio ci penserà due volte prima di dannare un uomo di tal qualità». Pure, questa gente vissuta nei tempi antichi doveva certamente avere delle buone qualità e dei costumi, o altrimenti non avrebbe avuto ragion d'essere. Anzi, una virtù è ancora tenuta in pregio (perchè l'uomo mortale non può vivere senza una coscienza): la virtù di battersi, senza esitare, in duello.

A tale son ridotti i pastori del popolo: che n'è dunque del gregge? Naturalmente le condizioni del gregge vanno di male in peggio; nessuna cura gli è più prodigata e non si fa che tosarlo. Esso è chiamato a compiere lavoro per lo Stato, a pagare le imposte allo Stato; è tenuto ad ingrassare coi suoi corpi i campi di battaglia (cui si dà il nome di «letti d'onore») per una causa che non lo riguarda; il suo braccio e l'opera sua sono di tutti fuorchè suoi, perchè esso non possiede nulla o quasi nulla. Ignoranti, sconfortati, mal nutriti e condannati a penare inerti in una fitta oscurità, nel più squallido abbandono e senza via d'uscita: tale è la sorte di milioni d'uomini; tale è questo peuple taillable et corvéable à merci et miséricorde. In Bretagna la popolazione si rivoltò al primo introdursi dell'orologio a pendolo, credendo che avesse qualche relazione con la Gabella. Parigi ha bisogno d'esser purgata periodicamente dalla Polizia perchè quell'orda di mendicanti affamati che l'invade sia mandata di tratto in tratto a vagare un po' di tempo pel mondo. «Durante uno di questi periodici spazzamenti – dice Lacretelle – nel maggio del 1750, la polizia s'era arbitrata a metter le mani addosso anche a figliuoli di persone rispettabili, nella speranza di estorcere ai parenti una taglia pel loro ricatto. Le madri allora occupano le pubbliche piazze gridando disperatamente, la folla si accumula, si eccita, molte donne corrono all'impazzata, esagerando il pericolo; una favola orrenda, assurda, sorge presto in mezzo al popolo: si dice che i dottori abbiano ordinato ad un gran personaggio dei bagni di giovane sangue umano per rinvigorire il suo sangue rovinato dalla dissolutezza». Lacretelle aggiunge poi con la massima freddezza: «Alcuni dei rivoltosi furono impiccati nei giorni seguenti». E la polizia continuò l'opera sua. O voi poveri disgraziati e nudi! Il vostro grido inarticolato s'eleva fino al Cielo, come quello d'un animale senza favella nello spasimo della tortura, un grido che parte dal punto più profondo del dolore e dell'avvilimento. E il cielo azzurro, come una volta cristallina inanimata, non farà altro che ripercuoterne l'eco di rimando? Risponderà a voi non altrimenti che con «l'impiccagione dei giorni seguenti»? No, non sarà così per sempre! Il Cielo vi ascolta; e la risposta dovrà pur venire nell'orrore d'una fitta oscurità, con una scossa che farà tremare il mondo; allora tutte le nazioni dovranno bere alla coppa del terrore.

Osservate intanto come dai frantumi e dalla polvere di questa decadenza universale nuove forze si sviluppano, conformi ai nuovi tempi, ai nuovi destini. A lato della vecchia Nobiltà, originariamente composta di guerrieri, sorge un'altra Nobiltà riconosciuta: quella dei Curiali, di cui questo è il giorno di festa e di battaglia. Vien poi la Nobiltà del Commercio, non riconosciuta, ma non meno potente, che procede con le tasche ricolme d'oro; e da ultimo, più di tutte potente, per quanto meno riconosciuta, la Nobiltà della letteratura, che non ha spada al fianco, non oro nella borsa, ma possiede «la grande, la taumaturgica facoltà del Pensiero» nella sua testa. È sorto il Filosofismo francese: che larghezza di significato non ha mai questa semplice parola! È in essa che si riscontra il vero sintomo cardinale della malattia che cresce e si espande. Scomparsa la Fede, è subentrato lo Scetticismo; il Male abbonda e s'accumula, e l'uomo non ha più la Fede per combatterlo, per correggerlo, per emendarlo, e per emendare sè stesso bisogna che, fatalmente, cresca, cresca sempre più. Un languore profondo e vacuo invade la classe alta; il bisogno e l'avvilimento toccano sempre al Povero. Certa cosa è la miseria universale; e che cos'altro v'è di certo? Che non si può credere ad una Menzogna! Il Filosofismo non sa che questo; l'altro suo dogma principale è che in materia spirituale, soprannaturale, nessuna Credenza è possibile. Disgraziati! E non pensate che la contraddizione d'una Menzogna è anch'essa una specie di Fede? Ma, spazzate via la Menzogna e la sua Contraddizione, che cosa rimarrà? Rimarranno i cinque sensi non sazî, e un sesto, insaziabile, il senso della Vanità; rimarrà tutta intera la demoniaca natura dell'uomo, che, libera d'ogni regola e d'ogni freno, governerà con veemenza cieca e selvaggia se anche fornita di tutti gli arnesi e di tutte le armi della civiltà: uno spettacolo nuovo nella Storia.

In questa Francia, che, come una polveriera in cui un fuoco semispento, e inestinguibile ormai, fumiga e cova tutt'intorno sotto la cenere; in questa Francia, Luigi XV viene a morire. Dal Pompadourismo e dal Dubarrismo il suo Fleur de lis è stato vergognosamente calpestato su tutte le terre e in tutti i mari; la Povertà invade anche il Regio Tesoro; nè l'appalto delle imposte ha più niente da spremere; da venticinque anni perdura una lite col Parlamento; la Miseria, la Disonestà, lo Scetticismo regnano sovrani, e i Saccenti dal cervello riscaldato fanno da medici dello Stato; l'ora è solenne.

Tutto questo può vedere l'occhio della storia nella camera di Luigi ammalato, mentre i suoi Cortigiani nulla scorgevano. A Natale si sono compiuti venti anni da quando Lord Chesterfield, riassumendo tutto ciò che aveva osservato in questa stessa Francia, scriveva e mandava per posta le seguenti parole che sono divenute memorabili: «In breve, tutti i sintomi che precedono i grandi Mutamenti di governo e le Rivoluzioni, da me riscontrati nella Storia, esistono ora in Francia e crescono di giorno in giorno».

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