CAPITOLO II MARCIAMO!

Ma, a nostro modo di vedere, il più notevole di tutti questi fenomeni di movimento è quello dei «Seicento Marsigliesi di Barbaroux che sanno come si muore».

Pronta alla richiesta di Barbaroux, la Municipalità di Marsiglia ha messo insieme quegli uomini; il mattino del 5 Luglio, la Municipalità dice loro: «Marchez, abattez le Tyran, Marciate, atterrate il Tiranno»; ed essi, con un feroce e appropriato «Marchons», si mettono in cammino. Lungo viaggio, incerta missione: Enfants de la Patrie, che un buon genio vi guidi! Li guida il loro cuore selvaggio e la fede che è in esso; e non è questo il monito d'un qualche genio buono o cattivo? Sono cinquecentodiciassette uomini validi con dei Capitani per ogni cinquantina e decina; tutti ben armati, col fucile in ispalla e la sciabola a lato, che recano anche tre pezzi di cannone: perchè chi sa mai quel che può capitare! Vi sono Municipalità paralizzate dal Ministro della Guerra; Comandanti che hanno l'ordine di arrestare anche i Volontarî della Federazione; è bene, quando con gli argomenti non si riesce a far aprire la Porta d'una Città, avere un petardo per frantumarla! Essi hanno lasciata la loro città Foceana piena di sole, col suo Porto di mare, il suo movimento e la sua fioritura; hanno lasciato il Corso affollato con le fronzute Avenues, l'arsenale dall'odor di catrame, i boschetti di mandorli e d'ulivi; son già lontani da loro gli aranci alla sommità delle case e le bianche e scintillanti bastides che coronano le colline. Vanno innanzi per le vie selvagge, dall'estrema terra di Francia, a traverso città sconosciute, incontro a un destino ignoto; con uno scopo che essi conoscono.

Fenomeno veramente sorprendente; come mai in una pacifica Città commerciale, tanti padri di famiglia abbandonino ognuno il proprio mestiere, gli ordegni della loro industria; si cingano d'armi da guerra e intraprendano un viaggio di seicento miglia, «per abbattere il tiranno»; – voi cercate in tutti i Libri di Storia, in tutti i Pamphlets, in tutti i Giornali per trovare qualche lume in proposito; ma, disgraziatamente, invano. Il Rumore e il Terrore precedono questa marcia, che avrà un'eco in voi, essendo la marcia stessa una cosa sconosciuta. Weber ha appreso nelle scale segrete delle Tuileries che sono Forçats, Forzati e malandrini, nè più nè meno, quei Marsigliesi; tali, che mentre attraversavano Lione, la popolazione chiuse le botteghe; – oltre il loro numero si diceva che fosse di Quattromila. Ugualmente vago è Blanc Gilli che parla di Forzati e del pericolo di saccheggio. Essi non erano Forçats, nè vi fu saccheggio, o pericolo di saccheggio. Uomini di vita regolare o dalla borsa ben fornita difficilmente potevano essere costoro; la sola cosa occorrente in loro era che «sapessero morire». L'Amico Dampmartin li vide coi propri occhi marciare «per ordine» a traverso i suoi quartieri a Villefranche nel Beaujolais; ma li vide in maniera assai vaga, preoccupato com'era, e col pensiero di dovere egli medesimo proprio allora – attraversare il Reno. Profondo era il suo stupore nel pensare a quella marcia senz'alcun ordine, senza alcuna regola di tappe o di razione; del resto erano «gli stessi uomini che egli aveva veduti altra volta nei torbidi del Sud, perfettamente civili»; i suoi soldati, tuttavia, non potettero a meno di venire a discorso con loro.

Sono così vaghi tutti questi; il Moniteur e l'Histoire Parlamentaire è come se passassero la cosa sotto silenzio: la loquace Istoria, come avviene di solito, non vi dirà mai nulla dove voi più desiderereste che vi parlasse! Se la Curiosità illuminata prenderà una volta visione dei Registri del Consiglio di Marsiglia non vorrà forse ricercare questa procedura che è una delle più strane procedure Municipali? E non sarà tratta a fare delle ricerche sulle Biografie, più o meno degne di fede, di quei Cinquecentodiciassette, e non ancora irrevocabilmente ingoiate dalla corrente del Tempo?

Il fatto è che questi Marsigliesi rimangono inarticolati, indistinti nelle loro forme; una Massa arcigna, piena di terribile fuoco, che va con un tempo caldo, soffocante: veramente curiosa a contemplare. Vanno fra i dubbî infiniti e foschi pericoli; essi che non sono dubbiosi. Il Fato e l'Europa Feudale avevano deciso di venire ad accerchiare del difuori; essi avevano alla loro volta deciso di marciare nell'interno. Col volto coperto di polvere, con viveri frugali, s'inoltrano faticosamente; instancabili, risoluti a non lasciarsi sopraffare. Questa marcia diverrà famosa. Il Pensiero, che lavora senza voce in quella massa arcigna e nera, è stato, da un ispirato Colonnello dall'anima di Tirteo, Rauget de Lisle, che la Terra ancora conserva, tradotto col ritmo d'una fiera melodia nel suo Inno o Marcia della Marsigliese: la più felice composizione musicale mai apparsa. Quella musica farà formicolare il sangue nelle vene; in tutte le riunioni sarà cantata con occhi pieni di lagrime e di fuoco, e col cuore sfidante la Morte, il Dispotismo e il Diavolo.

Si vede bene che questi Marsigliesi arriveranno troppe tardi per la Festa della Federazione. Infatti non sono Giuramenti del Campo di Marte che hanno in vista. Hanno una tutt'altra cosa da compiere: mettere in moto un paralitico Esecutivo Nazionale. Essi debbono «distruggere» qualunque Tiranno, qualunque Martyr-Fainéant che lo paralizzi; distruggere o essere distrutti; riuscire, insomma, e saper morire.

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