La verità è che il Realismo si vede spinto verso tristi estremi, cui di giorno in giorno s'appressa. Di là del Reno viene la voce che il Re non è libero nelle Tuileries. Il povero Re non può contradire questa cosa con la bocca ufficiale, ma nel suo cuore spesso sente che è innegabile. La Costituzione Civile del Clero; il Decreto di espulsione contro i Dissidenti; e neppure per quest'ultimo, quantunque quasi ribelle alla sua coscienza, egli può dir questo. Fu il 21 Gennaio di questo 1791 che lo firmò; pel dolore di questo povero cuore v'è ancora un altro ventun Gennaio! Onde si hanno i Preti Dissidenti espulsi: per alcuni, Martiri inconquistabili, per altri, incorreggibili e cavillosi traditori. E così è avvenuto quel che noi una volta abbiamo presagito: con la Religione o col gergo e l'eco della Religione, tutta la Francia è divisa in due parti in una nuova soluzione di continuità, che complica e amareggia tutte le altre più antiche, – da curarsi con severo trattamento chirurgico, nella Vandea!
Disgraziata Regalità, disgraziata Maestà, Rappresentante Ereditario, Représentant Héréditaire, o come si voglia chiamarlo, dal quale molto si aspetta, al quale poco è dato! Le Guardie Nazionali Bleues circondano quelle Tuileries e Lafayette, molle Pedante costituzionale; puro, limitato, inflessibile, come acqua cambiata in tenue ghiaccio; che nessun cuore di Regina può amare. L'Assemblea Nazionale, con la sua tenda spiegata dove sappiamo, siede là vicino in un continuo tumulto. Dall'esterno, niente, tranne le Rivolte di Nancy, il sacco di palazzo Castries, ammutinamenti e sedizioni; ammutinamenti al Nord e al Sud, ad Aix, a Douai, a Belfort, Usez, Perpignan, Nîmes e in quella inguaribile Avignone dei Papi: uno schioppettio, un continuo schizzar di rivolte per tutta la superficie della Francia; che attesta il crescere incessante dell'elettricità. E per giunta un rigido inverno, gli scioperi degli operai affamati; quel continuo brontolìo in tono basso della Carestia, che è la nota dominante, la base di tutte le altre Discordanze!
Il piano della Regalità, in quanto si può dire che abbia un piano stabilito, è ancora, come sempre, quello di fuggire verso le frontiere. E a dir vero è il solo piano che può farle nutrire la benchè menoma fiducia! Fuggite presso Bouillé, circondatevi d'una siepe di cannoni, serviti dai vostri «quarantamila Tedeschi non corrotti»; intimate all'Assemblea Nazionale di seguirvi, intimatelo a quanto è in essa di Realista, di Costituzionale, di corruttibile col danaro; dissolvete il resto con la mitraglia, se è necessario. Fate che il Giacobinismo e la Rivolta con un gemito selvaggio si librino nello Spazio Infinito, lanciati dalla mitraglia. Tuonate sulla Francia con la bocca del cannone; comandando, non pregando, che cessi la rivolta. Governate poi con la massima Costituzionalità; facendo giustizia, abando la misericordia; rendendovi Pastore di questo Popolo indigente, non semplice Tosatore o sedicente Pastore! Fate ciò, se l'osate. Se poi non l'osate, in nome del Cielo, andate a dormire: più bella alternativa non vi si offre.
La cosa era forse possibile, con un uomo che fosse stato da tanto. Poichè se questo indescrivibile turbine di confusione Babilonica (quale è la nostra Èra) non può essere chetato dall'uomo, ma solo dal Tempo e dagli uomini; un uomo può moderare i suoi parossismi, può mantenere l'equilibrio e dominare, restando ritto alla cima senza farsi ingoiare – come fanno parecchi uomini, parecchi Re in questi giorni. Molto è dato di fare a un uomo; gli altri uomini prestano obbedienza all'uomo che discerne di più (Kens e cans) e lo chiamano con riverenza il loro Ken-ning o Re.
Non governò Carlomagno? Eppure considerate se avesse tempi sereni quando impiccava «quattromila Sassoni sul Ponte del Weser», in un momento critico. Del pari, chi sa che in questa medesima Francia sconvolta e fanatica non esista veramente l'uomo idoneo! È forse un uomo taciturno, dalla tinta olivastra, per ora Luogotenente d'Artiglieria, che un tempo studiava Matematica a Brienne? Quello stesso che il mattino andava a piedi a Dôle per corregger le bozze di stampa e per gustare una colazione frugale in compagnia di Joly? Questo tale è andato ove anche il famoso Generale Paoli suo amico è andato proprio in questi giorni, a vedere le antiche scene nella nativa Corsica, e ad esperimentare quanto bene, nel senso democratico, può farsi colà.
La Regalità mai esegue il piano dell'evasione e mai lo abbandona, vivendo in una speranza variabile, indecisa, finchè deciderà la sorte. Nel più gran segreto, si mantiene una corrispondenza attiva con Bouillé; vi è anche un progetto che risorge più d'una volta, di trasportare il Re a Rouen: progetti su progetti che fanno capolino e poi scompaiono, come ignes fatui in tempo burrascoso, che non menano a niente. «Verso le dieci di sera», il Rappresentante Ereditario, in partie carrée, con la Regina, col Fratello Monsieur, e Madame giuoca al «wisk», o whist. L'Usciere Campan entra misteriosamente, con un messaggio che egli comprende solo a mezzo: un certo Conte D'Inisdal attende con ansia nell'anticamera esterna: il Colonnello Nazionale, Capitano in servizio questa notte, è guadagnato; i cavalli di posta sono pronti lungo tutto la via; una parte della Nobiltà ha preso le armi con attitudine decisa; vuol consentire Sua Maestà a partire prima di mezzanotte? Profondo silenzio, Campan attende con l'orecchio teso. «Ha sentito Vostra Maestà ciò che ha detto Campan?», domanda la Regina. «Sì, ho sentito», risponde la Maestà e seguita a giuocare. «È stato un bel versetto quello di Campan», insinua Monsieur, che a volte faceva il bello spirito; e la Maestà, sempre senza rispondere, giuoca al wisk. «Dopo tutto, qualche cosa bisogna pur dirla a Campan», osserva la Regina. «Dite al Sig. D'Inisdal», disse il Re, e la Regina accentuò le parole, «che il Re non può consentire a lasciarsi portar via per forza». «Lo vedo», disse D'Inisdal, volgendo le spalle, al colmo dell'ira; «noi corriamo il rischio e ci esponiamo a ricevere tutto il biasimo in caso di non riuscita», – e scompare insieme al suo progetto, come un fuoco fatuo. La Regina stette in piedi fino a notte inoltrata, occupata ad imballare i gioielli; ma a nulla valse; poichè, in quella rabida fiamma di irritazione, il fuoco fatuo s'era dileguato.
In tutto questo v'è poca speranza. Ohibò, con chi fuggire? Le nostre fedeli Gardes-du-Corps fin dall'insurrezione delle Donne si sono sbandate; sono tornate alle loro case; molte hanno attraversato il Reno verso Coblenz e i principi esiliati; il bravo Miomandre e il bravo Tardivet, questi Due fedeli, hanno ricevuto in una intervista notturna con le Loro Maestà, il loro viatico in luigi d'oro, e vivi ringraziamenti dalle labbra d'una Regina, mentre sfortunatamente S. M. il Re stava in piedi con le spalle volte al fuoco senza parlare. Essi hanno ora pranzando d'una in altra provincia e narrando i pericoli scampati per miracolo, gli orrori dell'insurrezione. Grandi orrori, ma destinati a impallidire innanzi ad altri maggiori. Frattanto, tutto sommato, qual decadimento dagli antichi Splendori di Versailles! Qui, queste povere Tuileries, un Colonnello Nazionale Birraio, il sonoro Santerre, fa la sua comparsa ufficiale di parata dietro la sedia di S. M. la Regina. I nostri alti dignitarî tutti fuggirono di là del Reno; non essendovi più nulla da guadagnare a Corte, tranne speranze, per cui bisognava rischiare la vita! Oscuri uomini affacendati frequentano le scale segrete con le notizie di quel che si dice, coi loro progetti campati in aria, con le loro fanfaronate infruttuose. Dei Giovani Realisti, al Théatre de Vaudeville, cantano ariette; come se ciò potesse giovare a qualche cosa. Molti Realisti, Capitani in congedo, Seigneurs incendiati, si può incontrarne parimenti «al Café de Valois e al Ristorante di Méot». Ivi si esaltano a vicenda nel loro alto e leale ardore, brindano con quel vino che riescono a procurarsi, alla confusione del Sanculottismo; mostrano i pugnali d'un lavoro perfezionato che hanno acquistati previa ordinazione; e, tante cose osando, pranzano. Fu in questi posti, in questi mesi che l'epiteto di Sansculotte fu per la prima volta applicato al Patriottismo indigente; nel secolo scorso avemmo Gilbert Sansculotte, il Poeta indigente. Mancante di calzoni: triste Mancanza; se non che, essendo condivisa da Venti Milioni, può divenire più efficace che molte possessioni!
Frattanto, tra questo vago e fosco turbine di fanfaronate, progetti campati in aria, pugnali lavorati per ordinazioni, balza fuori un punctum saliens di vita e d'attualità: il dito di Mirabeau! Mirabeau e la Regina di Francia si sono incontrati; si sono separati con una reciproca fiducia! È un fatto strano; segreto come i Misteri, ma indubitabile. Mirabeau montò una sera a cavallo e si diresse, inatteso, verso l'Occidente, – per vedere l'Amico Clavière, nella sua casa di campagna. Prima di giungere da Clavière, il cavaliere meditabondo andò a picchiare ad una porta di dietro del Giardino di Saint-Cloud; un Duca D'Aremberg, o qualcosa di simile, era là per introdurlo; la Regina non era lontano; su un poggio, rond point, il più alto del Giardino di Saint-Cloud, «egli guardò in viso la Regina, parlò con lei, soli sotto la vuota cupola della Notte». Quale intervista! Fatalmente segreta per noi, malgrado tutte le ricerche; al pari dei colloquî degli Dei! Ella lo chiamò «un Mirabeau»; leggiamo altrove che ella fu «entusiasta di lui», il selvaggio titano sottomesso; e invero ora una delle qualità che onoravano quell'alto e malaugurato cuore, che nessuna mente intellettuale, nessun Mirabeau, o Barnave o Dumouriez, potesse trovarsi alla presenza di lei, senza che ella si sentisse tratta a riconoscerne il merito, ad avvicinarsi con confidenza, malgrado ogni prevenzione. Alto cuore imperiale, dotato d'una attrazione istintiva verso tutto ciò che era alto. «Voi non conoscete la Regina», disse una volta in confidenza Mirabeau; «la sua forza d'animo è prodigiosa; è un uomo per coraggio». E così, nel vuoto della Notte, a cavaliere di quel poggio, essa aveva parlato con un Mirabeau; il quale le aveva fedelmente baciato la mano, dicendole con entusiasmo: «Madame, la Monarchia è salva!» Le Potenze estere, misteriosamente scandagliate, davano caute risposte favorevoli; Bouillé è a Metz e potrebbe trovare quarantamila Tedeschi sicuri. Con un Mirabeau per testa e un Bouillé per braccio, qualche cosa è veramente possibile, – se il Fato non interviene.
Ma figuratevi in quale viluppo dalle mille pieghe, in quale tenebroso mantello, la Regalità deve involgersi meditando queste cose. Vi sono persone che hanno «biglietti d'entrata», vi sono consulti cavallereschi, complotti misteriosi. Pensate ancora, se, avviluppata come si voglia, la Regalità che cospira può sfuggire allo sguardo del Patriottismo, all'occhio di lince dei Diecimila, fissato su di essa, e che vede nelle tenebre! Il Patriottismo sa tante cose: sa dei pugnali fatti per ordinazione, e può specificarne le botteghe; conosce le legioni di mouchards del Sieur Motier; i biglietti d'Entrée, gli uomini in nero, e come un piano d'evasione succede all'altro, – o può supporsi che succeda. Immaginate poi i couplets che si cantano al Théâtre de Vaudeville; o peggio, i bisbigli, lo scrollar del capo dei traditori in moustaches. Pensate d'altra parte all'alto grido d'allarme che veniva dai Centotrenta Giornali; all'orecchio di Dionisio di ognuna delle Quarantotto Sezioni, vigile notte e giorno.
Il Patriottismo tollera tante cose, ma non tollera poi tutto. Il Café de Procope ha mandato, apertamente per le strade, una Deputazione di Patrioti, «per lagnarsi coi cattivi Editori con parole fiduciose: cosa singolare a vedere e a udire. I cattivi Editori promettono di emendarsi, ma non lo fanno. Le Deputazioni pel cambiamento del Ministero erano molte. Il Maire Bailly si è unito fino al Cordelier Danton in questo; e ci sono riusciti. Con quale profitto? Di ciarlatani per elezione o costretti ad esser tali la razza è sempiterna; i Ministri Duportail e Dutertre, dovranno maneggiarsi, precisamente come facevano i Ministri Latour-du-Pin e Cicé. Così galleggia il mondo in confusione.
Ma ora sopraffatta senza tregua da tali influenze e evidenze insolubili e contradittorie, in che cosa può mai credere e a che mai può attenersi il Patriota Francese indigente, in questi giorni malaugurati? Tutto è Incertezza, eccetto che egli è un disgraziato, un indigente; una gloriosa Rivoluzione, meraviglia dell'Universo, non ha finora apportato nè il Pane nè la Pace, essendo corrotta dai traditori, che difficilmente si possono scoprire. Traditori che si nascondono nelle tenebre, rendendosi invisibili, – o lasciandosi vedere a momenti in un pallido e incerto crepuscolo, nel quale poi si dileguano di soppiatto! Il Sospetto Soprannaturale ancora una volta guida le menti degli uomini.
«Nessuno qui», scrive Carra negli Annales Patriotiques non più tardi del Primo Febbraio, «può conservare un dubbio circa il costante e ostinato progetto che ha questa gente di far andar via il Re; e della perpetua successione di manovre che impiegano all'uopo». Nessuno: la vigile Madre del Patriottismo manda due suoi Membri deputati alla sua Figlia di Versailles, per esaminare come procedono le cose ivi. Bene, e poi? Il Patriottico Carra continua: «poi tutti udimmo con le nostre orecchie il rapporto di questi due Deputati, sabato scorso. Essi vennero con altri di Versailles ad ispezionare le stalle del Re, ed anche le stalle delle già Gardes-du-Corps; e trovarono colà da sette ad ottocento cavalli che avevano sempre sella e briglia, pronti ad avviarsi al primo cenno. Gli stessi Deputati videro inoltre coi propri occhi parecchie Vetture Reali, che anche in quel momento degli uomini si affacendavano a caricare d'un grosso bagaglio di sacchi bene imbottiti, quelli propriamente che noi chiamiamo vacche di cuoio, vaches de cuir; le Armi Reali «erano quasi completamente cancellate dagli sportelli. Fatto importante. Nello stesso giorno tutta la Maréchaussée, o Polizia a cavallo, si riunì con le armi, i cavalli e il bagaglio, e poi si disperse. Essi hanno bisogno che il Re passi la frontiera, perchè l'Imperatore Leopoldo e i Principi Tedeschi, le cui truppe sono pronte, possano avere un pretesto per cominciare; questo», soggiunge Carra, «è il motto dell'enimma; questa è la ragione per cui i nostri Aristocratici fuggitivi reclutano uomini oltre le frontiere, attendendo che una di queste mattine il Supremo Magistrato Esecutivo sia condotto fino a loro e cominci la guerra civile».
Oh, se il Supremo Magistrato Esecutivo, imballato in una di quelle vacche di cuoio, fosse una volta portato salvo fino a loro! Ma la più strana cosa è che il Patriottismo, sia che abbai alla ventura, sia che lo faccia guidato da qualche istinto di sagacia soprannaturale, questa volta abbaia a proposito; per qualche cosa, non per niente. La Corrispondenza Segreta di Bouillé, da che è divenuta pubblica, attesta questo fatto.
Inoltre è innegabile, è a tutti visibile, che Mesdames, le zie del Re, fanno i preparativi per la partenza, chiedendo i passaporti al Ministero, salvacondotti al Municipio; e Marat ammonisce tutti di stare all'erta. Esse porteranno via dell'oro, «queste vecchie beghine»; anzi trasporteranno il piccolo Delfino, «avendo allevato apposta un fanciullo per lasciarlo in cambio di questo!» E poi esse sono come una sostanza leggera, lanciata in aria per provare come spira il vento; una specie di cervo volante di prova, che voi lanciate lontano per accertarvi se il gran cervo volante di carta, l'Evasione del Re, può montare!
In queste circostanze allarmanti, il Patriottismo non vien meno a sè stesso. Il Municipio manda deputati al Re; le Sezioni al Municipio; un'Assemblea Nazionale presto si riscuoterà. Frattanto, ecco che il 19 Febbraio 1791, Mesdames lasciano Bellevue e Versailles, e in tutta segretezza si allontanano. Si dirigono a Roma, pare, o non si sa dove. Ad esse non mancano passaporti del Re, contrassegnati; e quel che è più, sono fornite d'una scorta servizievole. Il Patriottico Sindaco o Sindacotto del Villaggio di Moret cercò di trattenerle; ma il gagliardo Louis de Narbonne, che faceva parte della Scorta, si allontanò a briglia sciolta; presto fu di ritorno con trenta dragoni, e vittoriosamente le trasse d'impaccio. E così le povere vecchie possono proseguire; con terrore della Francia e di Parigi, la cui eccitazione nervosa ha raggiunto il limite estremo. E che altro avrebbe potuto impedire alla povera Loque e alla povera Graille, già così vecchie, e capitate in circostanze così inaspettate, in un tempo in cui fin la ciarla, divenuta materia di terrore e d'orrore, più non allieta lo spirito, e non è più possibile ottenere in pace un confessore ortodosso – che altro avrebbe potuto impedir loro d'andare in qualche posto ove potessero trovare la pace e qualche sollievo?
Esse vanno, le povere vecchie signore, – che i cuori più duri non potrebbero a meno di compatire; vanno trepidanti, con non melodiosi gridi di paura repressi; mentre tutta la Francia grida e schiamazza, rivelando a voce alta un non represso terrore, seguendole, dietro di loro ed accanto, dall'un lato e dall'altro: tale è il mutuo sospetto che regna fra gli uomini. Ad Arnay le Duc, circa metà strada verso le frontiere, un Municipio Patriottico e della Plebaglia di nuovo si fanno coraggio e le fermano. Louis Narbonne deve questa volta tornare a Parigi e consultare l'Assemblea Nazionale. L'Assemblea Nazionale risponde, non senza uno sforzo, che Mesdames possono andare. A seguito di ciò, Parigi s'eccita peggio che mai, urlando quasi da folle. Le Tuileries e i loro dintorni son piene di donne e d'uomini, mentre l'Assemblea Nazionale discute questa questione delle questioni. A sera occorse l'intervento di Lafayette per disperderli, e si dovettero illuminare le strade. Il Comandante Berthier, un Berthier innanzi al quale vi sono grandi cose sconosciute, è per ora bloccato a Bellevue in Versailles. Nessuna tattica valse a far partire il bagaglio di Mesdames da quelli Corti; frenetiche donne versagliesi lo circondano gridando; le sue stesse truppe tagliarono le tirelle del carro; egli «si ritirò nell'interno», aspettando tempi migliori.
In queste stesse ore in cui Mesdames, a mala pena liberate a fil di spada da Moret, procedono rapidamente per l'estero, e innanzi che fossero arrestate ad Arnay, il loro augusto Nipote, il povero Monsieur, a Parigi, si rifugia in fondo alle sue cantine del Lussemburgo; e, secondo Montgaillard, difficilmente si può persuaderlo a risalire. Moltitudini urlanti circondano il suo Lussemburgo, attratte dalla notizia della sua partenza; ma nel vedere e nell'udire Monsieur, diventano una folla schiacciante, e scortano lui e Madame fino alle Tuileries, accompagnandoli con evviva. È uno stato d'eccitazione nervosa quale poche nazioni hanno provato.