Capitolo V IL GIORNO DEI PUGNALI

Ma, intanto, che vuol dire questa riparazione visibile del Castello di Vincennes? Le altre Carceri son tutte piene di prigionieri e occorre dell'altro spazio; questa è la ragione che adduce il Municipio. Poichè in quel mutare di Giudicature, aboliti i Parlamenti e costituitesi Nuove Corti, i prigionieri s'erano accumulati. Senza tener conto che in quei tempi di discordia in cui prevaleva il più forte, i reati e i mandati d'arresto erano comunque più numerosi. E la ragione addotta dal Municipio non è forse bastevole a spiegare il fenomeno? Sicuro, la riparazione del Castello di Vincennes era di tutte le intraprese cui potesse dedicarsi l'illuminato Municipio, la più innocente.

Senonchè, il vicino Saint-Antoine non la pensa così; per Saint-Antoine quelle torricelle a picco e quei ridotti sinistri, così vicini alle sue abitazioni oscure, sono per sè stesse un'offesa. Non era forse Vincennes una specie di Bastiglia minore? Il gran Diderot e dei filosofi hanno scontata qui la prigionia; il gran Mirabeau v'è stato, in una disastrosa eclissi, per quarantadue mesi. E ora che la vecchia Bastiglia è divenuta un luogo ove si danza (dato che qualcuno si senta in vena di danzare), e le sue pietre sono servite a edificare il Ponte Luigi XVI, si può permettere che questa Bastiglia minore, insignificante a confronto dell'altra, si circondi di nuovi rinforzi, e distenda le sue ali tiranniche, minacciando il Patriottismo? Un nuovo spazio pei prigionieri: quali prigionieri? Un d'Orléans coi principali Patrioti, in cima alla Sinistra? Si dice che interceda un «passaggio sotterraneo», di qui alle Tuileries. Chi sa? Parigi, minata da cave e da catacombe, è sospesa stranamente sull'abisso; Parigi doveva una volta saltare in aria, – quantunque la polvere, quando venimmo a cercarla, fosse stata tolta. Delle Tuileries vendute all'Austria e a Coblenz non dovrebbero avere passaggio sotterraneo. Uscendo di là qualche mattina, Coblenz o l'Austria, con un cannone di lunga portata, potrebbero «foudroyer» il patriottico Saint-Antoine, spargendovi l'incendio e la rovina!

A tale meditazione s'abbandona l'anima ottenebrata di Saint-Antoine, nel vedere gli operai in grembiule, affaccendati intorno a quelle torri, all'inizio della primavera. Una Municipalità che parla il linguaggio difficile, un Sieur Motier con le sue legioni di mouchards, non meritano alcuna fiducia. V'era a dir vero, il Patriota Santerre qual Comandante! Ma il birraio comanda solo il nostro battaglione; e poi di questi segreti egli non può spiegare nulla, non sa nulla, forse sospetta tante cose. E così il lavoro procede, e Saint-Antoine, con l'animo afflitto e ottenebrato dallo strepito dei martelli, vede le pietre sospese in aria.

Saint-Antoine abbattè la prima grande Bastiglia: vorrebbe ora esitare innanzi a questa Bastiglia insignificante al paragone? Amici, se noi prendessimo le picche, i fucili, i martelli, e ci servissimo da noi! – Non v'è rimedio più pronto, nè più sicuro. Il 28 Febbraio Saint-Antoine viene fuori, come ormai ha fatto spesso; e in un tumulto in apparenza superfluo, muove verso l'Est, diretto a quel Vincennes, la cui vista l'addolora. Con voce grave e autorevole, senza grida e senza minaccie, Saint-Antoine significa agli interessati in quel luogo, che è suo intento vedere quella fortezza sospetta messa al livello del suolo generale del paese. Possono farsi delle rimostranze, con zelo, ma a nulla valgano. Le porte esterne sono strappate, i ponti levatoi precipitano; le serrature delle finestre, atterrate a colpi di martello, servono da stanghe di ferro; cade una pioggia d'oggetti, di massi di pietra, d'ardesia: in un fracasso caotico la Demolizione precipita tutto al suolo strepitosamente. Ed ora rapide staffette attraversano di corsa le vie agitate, per informare Lafayette e le Autorità Municipali e Dipartimentali; il Rumore mette sull'avviso l'Assemblea Nazionale, le Reali Tuileries, e tutti quelli che si curano di sapere come Saint-Antoine s'è sollevato; come Vincennes, e probabilmente l'ultima Istituzione del Paese, che ancora sussiste, è sul punto di precipitare.

Presto, dunque! Che Lafayette accorra a suon di tamburi verso l'Est; poichè, per ogni Patriota Costituzionale, queste sono cattive notizie. E voi, Amici della Regalità, date di piglio ai vostri pugnali di modello perfezionato, fatti espressamente, ai vostri bastoni a stocco, alle armi segrete, ai biglietti d'entrata; presto pei passaggi segreti, raccoglietevi intorno al rampollo di Sessanta Re. Un'effervescenza probabilmente partita dai d'Orléans e Compagnia per rovesciare il Trono e l'Altare; si dice che S. M. la Regina debba esser messa in prigione, per potersene sbarazzare; che diverrà, allora S. M. il Re? Argilla pel Vasaio Sanculotto! Non sarebbe possibile fuggire oggi, mentre una brava Nobiltà subitamente si raggruppa? Il pericolo minaccia, la speranza invita; il Duca de Villequier, il Duca de Duras, i Gentiluomini della Camera danno biglietti e udienza; una brava Nobiltà d'un subito si va ricollegando. Ora sarebbe il momento di «piombare con la spada in pugno su quella plebaglia», e si potrebbe farlo con successo.

L'Eroe di Due Mondi è sul bianco cavallo da guerra; i Nazionali bleus, a cavallo e a piedi, accorrono in direzione dell'Est; Santerre col Battaglione di Saint-Antoine è già sul luogo, apparentemente non disposto ad agire. O angosciato Eroe dei Due Mondi, che còmpiti sono mai questi! Gli schermi, gli sberleffi provocati da quel Patriottico Sobborgo, che ora è tutto sparso per le strade, sono insopportabili; Patrioti non lavati che scherniscono abbandonandosi a un amaro trastullo; un Patriota non lavato «afferra il Generale per lo stivale», tentando di levarlo di sella. Ricevuto l'ordine di far fuoco, Santerre risponde in maniera evasiva: «Questi sono gli uomini che presero la Bastiglia»; e non si muove un solo grilletto. Nè la Magistratura di Vincennes rilascia mandati d'arresto, o dà il più piccolo appoggio; onde il Generale «prenderà su sè stesso la responsabilità degli arresti». Con prontezza, capacità volenterosa, pazienza, e un valore ardimentoso e senza limiti, il tumulto può essere sedato ancora senza spargimento di sangue.

Frattanto il resto di Parigi, con più o meno indifferenza, può badare agli altri suoi affari: giacchè non è questa forse un'effervescenza di cui ora ve ne sono tante? L'Assemblea Nazionale, in una delle sue maniere più tempestose, sta discutendo una Legge contro l'Emigrazione; Mirabeau dichiara a voce alta: «Io giuro in anticipazione che non mi sottoporrò ad essa». Si vede spesso Mirabeau alla Tribuna quel giorno, con infiniti impedimenti dall'esterno e con la sua antica e indomabile energia entro di sè. Che mai possono fare a quell'uomo i mormorii e i clamori, della Destra o della Sinistra, a lui irremovibile come Teneriffa o Atlante? Con un pensiero chiaro, con una poderosa voce di basso, quantunque in principio debole e incerta, costringe all'attenzione, domina la tempesta degli uomini; di tanto in tanto quella voce si fa più alta, più dolce, si eleva ad una lungisonante melodia di forza, trionfante, che soggioga tutti i cuori. Il suo volto rude, deturpato, triste, solcato dal fuoco, diviene splendente come il fuoco, radioso: una volta ancora gli uomini sentono, in queste miserevoli epoche, quale è la potenza e l'onnipotenza della parola umana sull'anima degli uomini. «Io voglio trionfare o esser fatto a brani», fu udito a dire una volta; «Silenzio», grida ora, in tono poderoso di comando, con una imperiale consapevolezza della sua forza, «Silenzio alle trenta voci, Silence aux trente voix!» – E Robespierre e le Trenta Voci si estinguono con un mormorio; e la Legge è una volta ancora quale la vuole Mirabeau.

Come è diversa nello stesso tempo l'eloquenza di strada del Generale Lafayette, mentre disputa con i sonori Birrai e con un Saint-Antoine sgrammaticato! Come ancora molto diverse dall'una e dall'altra sono la eloquenza del Café-de-Valois e le fanfaronate represse di questa moltitudine dai biglietti d'entrata, che inonda i corridoi delle Tuileries! Tali cose possono verificarsi simultaneamente in una sola Città. Quanto più in un Paese; in un Pianeta, con le sue discrepanze, dove ogni giorno vi è una schioppettante infinità di discrepanze, – che pur danno qualche prodotto coerente e netto, quantunque infinitesimale!

Ma, si voglia come si voglia, Lafayette ha salvato Vincennes; e marcia di ritorno con una dozzina di demolitori arrestati. La Regalità non è ancora salva; – nè a dir vero trovasi in ispeciale pericolo. Ma per la Guardia Costituzionale del Re, per quelle antiche Gardes Françaises o Centre Grenadiers, questa affluenza di persone coi biglietti d'entrata comincia a divenire sempre più inesplicabile. Deve Sua Maestà realmente andare a Metz, dunque, trasportata da quegli uomini, nell'eccitazione del momento? La rivolta di Saint-Antoine servirebbe di pretesto ai traditori Realisti? Voi, Centre Grenadiers di guardia, siate avveduti: il bene mai viene dagli «uomini in nero». Inoltre essi portano mantelli, redingotes; alcuni di loro pantaloni di cuoio e stivali, – come se fossero sul punto di montare a cavallo! Ma che cosa è mai quello che sporge dal rovescio dell'abito dello Chevalier de Court? È qualche cosa che troppo somiglia al manico di qualche strumento tagliente o acuminato! Egli sguiscia e va avanti, e sempre l'arma sporge dal suo abito al lato sinistro. «Fermatevi, Signore!» Un Centre Grenadier lo afferra; afferra l'arma sporgente, la strappa fuori, mostrandola a tutti: giusto Cielo, proprio un pugnale, un coltello da caccia, o come vorrete chiamarlo, fatto per versare il sangue del Patriottismo.

Ecco quel che capitò allo Chevalier de Court, il mattino di buon'ora, e il fatto non fu scevro di rumore o di commenti. Ed ora, a notte chiusa, che vuol dire questa moltitudine sempre crescente? Hanno anch'essi dei pugnali? Purtroppo, dopo aspri battibecchi, si è cominciato a palparli e a frugarli, e tutti quegli uomini, in nero, malgrado i loro biglietti d'entrata, son presi pel colletto e perquisiti. Quando si ripensa, che scandalo! Sempre che a qualcuno si trovava indosso qualcosa come un pugnale, un bastone animato, o magari un punteruolo da sarto, con molto sdegno gli veniva strappato via, e il disgraziato uomo in nero era gettato con tutta rapidità giù dalle scale. Gettato; e ignominiosamente discende col capo in avanti; sempre più celeremente per i colpi ignominiosi che riceve dalle sentinelle l'una dopo l'altra; di più, com'è scritto, fatto segno a percosse, a spintoni, – a pedate a posteriori, che non è il caso di menzionare. In questo modo affrettato vengono fuori, non si sa con quali estremità in avanti, uomini in nero dopo uomini in nero, per tutte le uscite, nel Giardino delle Tuileries. Vengono a cadere, purtroppo, nelle braccia d'una moltitudine irata che si è raccolta e si va raccogliendo quivi, nell'ora del crepuscolo, per vedere quel che accade e se il Rappresentante ereditario è portato via oppur no. Disgraziati uomini in nero, accusati d'aver pugnali fatti espressamente, qualificati «Chevaliers del Pugnale»! All'interno è come un bastimento che brucia; all'esterno è come un mare profondo. All'interno non v'è da sperare nulla; Sua Maestà, guardando per un momento dal suo riposto santuario, freddamente intima a tutti i visitatori «di consegnare le loro armi»; e di nuovo chiude la porta. Le armi consegnate formano un mucchio: i Cavalieri detentori dei pugnali discendono alla rinfusa, con velocità impetuosa; e alle estremità di tutte le scalinate la moltitudine mista li riceve sballottandoli, tirando loro dei pugni, poi li scaccia e li disperde.

Tale spettacolo si presenta a Lafayette nel crepuscolo della sera, mentr'egli ritorna dopo un successo pieno di difficoltà da Vincennes; vinto appena il Sanculotto Scilla, ecco che l'Aristocratico Cariddi gli si para dinanzi! Il paziente Eroe di Due Mondi perde quasi la calma. Egli accelera, non ritarda, la fuga dei Cavalieri; libera, a dir vero, uno o un altro Realista di qualità perseguitato, ma lo rimprovera con parole amare quali erano ispirate dal momento; parole che nessun salone potrebbe perdonargli. Egli era un Eroe mal divinizzato, sospeso, per così dire, nell'aria; odiato dalle Ricche Divinità Superiori, odiato dagli Indigenti Mortali Inferiori! Il Duca di Villequier, Gentiluomo della Camera, è fatto segno a tali contumelie, in presenza di tutto il popolo, che trova opportuno, prima, di scolparsene sui Giornali; poi, non riuscendovi, di ritirarsi di là dalle Frontiere, mettendosi a complottare a Bruxelles. Il suo appartamento resterà vuoto; più utilmente, a noi sembra, di quando era occupato.

Così fuggono i Cavalieri dal Pugnale, inseguiti vergognosamente dai Patrioti nel crescente crepuscolo. Fatto meschino e miserabile, nato dalle tenebre, andato a finire nel crepuscolo crescente e nell'oscurità. Intanto, in mezzo a tutto questo, il Lettore può discernere nettamente una figura che fugge per salvarsi la vita: – Crispin Catiline d'Espréménil, – discernerlo per l'ultima volta, o per la penultima. Non sono ancora trascorsi tre anni da che questi stessi Centre Grenadiers, allora Guardie Francesi, marciavano con lui verso l'Isola di Calypso, in un grigio mattino di Maggio; ed egli ed essi sono andati tanto lontano. Percosso, atterrato, liberato dal popolare Pétion, egli potrebbe ben rispondere amaramente: «Anch'io, signore, sono stato trasportato sulle spalle dal Popolo». Un fatto su cui il popolare Pétion potrebbe meditare se gli talentasse.

Ma, fortunatamente, in una maniera o in un'altra, l'avanzarsi celere della notte copre questo ignominioso Giorno dei Pugnali; e i Cavalieri riescono a fuggire, benchè maltrattati, cogli abiti a brandelli e coi cuori gonfi, verso le loro rispettive dimore. La rivolta è stata due volte sedata; poco sangue si è sparso, se si eccettua quello insignificante uscito dal naso; Vincennes resta, non demolita, riparabile; il Rappresentante Ereditario non è stato rubato, nè la Regina cacciata clandestinamente in prigione. Giorno di cui si serberà a lungo memoria, commentato con alte esclamazioni di gioia e profondi mormorii; con lo sprezzo amaro del trionfo, e con l'amaro rancore della sconfitta. Il Realismo, come di consueto, imputa il fatto a D'Orléans e agli Anarchici desiderosi d'insultare la Maestà; il Patriottismo, come di solito, l'imputa ai Realisti ed anche ai Costituzionalisti, che intendevano d'involare Sua Maestà per condurla a Metz: noi, come di solito, l'imputiamo al Sospetto Soprannaturale, a Febo Apollo, essendosi egli reso simile alla Notte.

Per tal modo, il Lettore ha visto, in una arena inaspettata, l'ultimo giorno di Febbraio del 1791, i Tre elementi della Società Francese da lungo tempo contendenti, scagliati in una strana collisione tragicomica, in un'aperta azione e reazione, sotto i suoi occhi. Il Costituzionalismo, che di repente doma la rivolta sanculottica, a Vincennes, e il tradimento Realista alle Tuileries, è grande in questo giorno e prevale su tutto. Quanto al povero Realismo, sbalzato su e giù a quel modo, coi suoi pugnali abbandonati in un mucchio, che cosa se ne può pensare? Ogni cane, dice l'adagio, ha il suo giorno: lo ha; lo ha avuto; o lo avrà. Per ora, il giorno è di Lafayette e della Costituzione. Nondimeno la Fame e il Giacobinismo, quasi divenendo fanatici, lavorano sempre; il loro giorno, divenuti che siano fanatici, verrà. Finora, in tutte le tempeste, Lafayette, come qualche Divinità Marina, alza il suo capo sereno: i più alti soffî di Eolo volano di ritorno alle loro caverne, come venti folli non chiamati; i marosi sottomarini, che essi avevano suscitati spumanti, si calmano da sè stessi. Ma se, come spesso abbiamo scritto, le Titaniche Potenze del fuoco sottomarino volessero entrare in giuoco, così che scoppiasse il letto dell'Oceano dalle sue profondità? Se essi lanciassero nello spazio il Poseidone Lafayette e la sua Costituzione, e nella Titanica mischia il mare si confondesse col cielo?

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