CAPITOLO VII IN LOTTA

La nostra Repubblica, per Decreto messo in carta, deve essere «Una e indivisibile»; ma a che giova questo quando si verificano certi fatti? Nel Senato vi sono Federalisti, nell'Esercito rinnegati, traditori dappertutto! La Francia, tutta dedita a un reclutamento disperato fin dal Dieci di Marzo, non vola alle frontiere, e perde tempo di qua e di là. Questa defezione dell'altero e diplomatico Dumouriez ricade su quei bei parlatori e superbi Hommes d'État suoi consorti; forma una seconda epoca nei loro destini.

O forse potremmo dire più precisamente che la seconda epoca Girondina, quantunque poco notata allora, cominciasse proprio quel giorno quando, per via di questa defezione, i Girondini si ruppero con Danton. Era il primo d'Aprile; Dumouriez non s'era ancora immerso nelle paludi per recarsi da Coburg, ma evidentemente aveva il proposito di farlo, e i nostri Commissarî si recavano ad arrestarlo; quando il Girondino Lasource non fa altro che alzarsi e gesuiticamente domandare con insinuazione, dopo un giro di parole, se il complice principale di Dumouriez non fosse stato – probabilmente – Danton! La Gironda vi consente con un ghigno sardonico, la Montagna trattiene il respiro. La figura di Danton, dice Levasseur, durante questo discorso, era degna di nota. Egli sedeva diritto con una specie di convulsione interna, sforzandosi di restare immobile; il suo occhio ha di tratto in tratto un bagliore più selvaggio; il suo labbro s'increspa in un titanico sprezzo. Lasource, con un bel modo di porgere da accusatore, procede: nella sua mente v'è questa o quella probabilità; probabilità che s'impongono penosamente su lui, e gettano sul Patriottismo di Danton un'ombra penosa; – la quale egli, Lasource, vuole sperare che non riesca impossibile a Danton di dissipare.

«Les Scélérats», grida Danton, scattando col pugno teso, quando Lasource ha finito; e discende dalla Montagna come un torrente di lava: la sua risposta è pronta. Le probabilità di Lasource volano come mera polvere; ma si lasciano dietro una traccia. «Voi avevate ragione, o amici della Montagna», comincia Danton, «ed io avevo torto: non è possibile la pace con questi uomini. E sia allora la guerra! Essi non vogliono salvare la Repubblica con noi: ebbene la Repubblica sarà salvata senza di loro; salvata loro malgrado». Un vero scoppio di rude Eloquenza Parlamentare, questo; che è ancora degno d'esser letto nell'antico Moniteur. Con parole di fuoco l'esasperato Titano, fuori di sè, bolla, percuote quei Girondini; e ad ogni colpo la Montagna s'allieta e fa coro; Marat, come un bis musicale, ripete l'ultima frase. Le probabilità di Lasource sono scomparse; ma il guanto di sfida di Danton resta a terra.

Una terza epoca o scena nel Dramma Girondino, o piuttosto nient'altro che il completamento della seconda epoca, noi lo contiamo dal giorno in cui la pazienza del virtuoso Pétion traboccò; e i Girondini, per così dire, raccolsero il guanto di sfida di Danton, e misero sotto accusa Marat. Era il giorno undici dello stesso mese di Aprile, e per un tumulto verificatosi, come spesso se ne verificavano, il Presidente s'era coperto, e non regnava che Bedlam: la Montagna e la Gironda si precipitavano l'una contro l'altra coi pugni chiusi e magari con delle pistole in mano; quando ecco che il Girondino Duperret tira fuori una spada! Si levò un grido d'orrore che d'un subito spense ogni altra effervescenza, alla vista del luccicante acciaio omicida; e Duperret lo ripose nel fodero, – confessando che l'aveva tirato fuori eccitato da una specie di sacro furore, «sainte fureur», e sotto la minaccia delle pistole puntate contro di lui; ma che se a lui da parricida fosse toccato di produrre la menoma scalfittura alla Rappresentanza Nazionale, sfiorandone appena la pelle, anch'egli aveva indosso delle pistole, e si sarebbe fatto saltare le cervella sul posto.

Ora, in questa condizione di cose, sorse il virtuoso Pétion il mattino seguente, per lamentare queste escandescenze, questa smoderata Anarchia che invadeva fino il Santuario Legislativo; e a questo punto, crescendo il mormorio e gli urli della Montagna, la sua pazienza da lungo tempo stanca, come dicevamo, ebbe uno scatto; ed egli parlò con veemenza, in tono alto, con la spuma sulla bocca; «onde io conchiusi», dice Marat, «che fosse stato colto dalla rage», dalla rabbia o follia canina. La rabbia si comunica agli altri; così vi è chi con la spuma alla bocca chiede che tutti gli Anarchici siano estinti, e specialmente che Marat sia messo sotto accusa. Mandare un Rappresentante innanzi al Tribunale Rivoluzionario? Violare la inviolabilità d'un Rappresentante? Badate, o amici! Questo povero Marat ne ha di colpe; ma contro la Libertà o l'Uguaglianza, qual colpa potete addebitargli? Che egli l'ha amata e ha combattuto per essa, se non saviamente, strenuamente. Nei sotterranei, nelle cantine, esposto alla povertà più desolante, sotto l'anatema degli uomini; e per questa lotta è divenuto così squallido, cisposo; la sua testa è divenuta quella d'uno Stilita! Colui volete voi colpire con la vostra Spada affilata, mentre Coburg e Pitt s'avanzano contro di noi, vomitando fuoco?

La Montagna rumoreggia, la Gironda rumoreggia ed è sorda; tutte le labbra sono spumanti. Con una «Seduta durata ventiquattr'ore», con una votazione per appello nominale e con degli sforzi mortali la Gironda vince: Marat è rinviato innanzi al Tribunale rivoluzionario per rispondere di quel Paragrafo di Febbraio relativo ai Monopolisti appiccati all'architrave delle porte, e per altre offese; e dopo una breve esitazione, egli obbedisce.

Così il guanto di sfida di Danton è raccolto; e vi è, come egli aveva detto, «guerra senza tregua nè composizione, ni trève ni composition». Perciò ora la Formula e la Realtà, avvinte in una stretta mortale lottano corpo a corpo. Voi non potete vivere entrambe; una sola di voi deve restar viva!

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