SCENA VIII.

FAUSTINI e CARLO dalla destra. CARLOTTA dal fondo viene a prendere il vassoio, ed esce. Gli altri si raccolgono presso il pianoforte in contegno di gente occupata a guardare musica.

Carlo. ― ... Perchè le cinquantamila lire che mi offre per essere mio socio comproprietario, non sono neanche proporzionate al costo dell'impianto della sola officina senza le macchine.

Faust. ― Oh bella; si sa bene che chi impianta non si arricchisce.

Carlo. ― Grazie dell'augurio, e tronchiamola. Non glie l'ho offerta la società alla fin fine!

Faust. ― No, ma io ho sentito che si trovava in bisogno di un capitale...

Carlo. ― Oh! se lei avesse ad offrire la sua società a tutti quelli che hanno bisogno di un capitale!

Faust. ― Ebbene, senta: la scadenza delle sue cambiali non è lontana; io le darò ventimila lire in contanti e straccio le cambiali... Pensi che ella potrebbe anche non avere il capitale alla loro scadenza.

Carlo (con uno sguardo ad Egisto). ― È quasi trovato, spero, e ad interesse onesto.

Faust. ― Come sarebbe a dire, onesto?

Carlo. ― Onesto... come disse Dante, per dir cortese.

Faust. ― Sia come vuole... ma io credeva...

Carlo. ― Di trovarmi senza credito, addirittura disperato, e mi offriva questa sua bella società... Grazie tante! Ma il piano di sopra non l'ho spigionato; distinguo ancora il cuore dal calcolo, per quanto sublime.

Faust. (avviandosi). ― Bene! bene! Non le fa? Amici come prima.

[76] Carlo.― Bravo, come prima. (escono dal fondo parlando)

Egisto. ― Io sudo freddo! Anche delle cambiali in giro? Come potrà pagarle?

Anna. ― Pigliando ad imprestito, tal quale suo padre, di qua per pagar là, e di là per pagar qua; finchè un bel giorno i nodi arrivano al pettine: disperazione, fallimento! E per suo padre fu anche peggio!

Agnese. ― Madre mia, tu mi spaventi, e se non sapessi di essere amata, molto amata da te...

Anna. ― Non mi crederesti? Ma io amo te e amo anche lui, e perciò voglio che da noi tre si prenda un partito decisivo, immutabile.

Egisto. ― E prendiamolo, che si possa una volta stare in pace, dormire fin che si vuole, e mangiare un po' per bene ad un'ora fissa!

Anna. ― Dunque attenti, e pensiamo che si tratta dello avvenire della famiglia. Tu, fratello, non hai che a fare una cosa.

Egisto. ― Per carità che non sia troppo difficile. Mi chiamo Vespucci, ma sento che l'America non l'avrei neanche saputa battezzare.

Anna. ― Carlo sa che tu tieni il patrimonio parte in cartelle dello Stato, e parte disponibile nel tuo portafoglio...

Egisto. ― Vorresti forse che io mettessi quest'ultima a sua disposizione?

Anna. ― Ma si tratta appunto di negargliela!

Egisto. ― Meno male, e questo è facile.

Anna. ― Non quanto credi. Tu non sai l'eloquenza che dà il bisogno e l'illusione a quella sorta d'uomini.

Egisto. ― Ma se non me ne ha mai parlato!

Anna. ― Te ne parlerà. Non hai notato lo sguardo che ti diede parlando col Faustini del capitale ad interesse onesto? Eccolo; entriamo nella tua camera; là vi dirò quanto deve fare ciascuno di noi.

Egisto. ― Mi rincresce che troverete tutto in disordine.

Anna. ― Si tratta appunto di disordine. (via dalla sinistra)

Egisto. ― Coraggio, Agnese, siamo in tre! (le porge il braccio e s'avvia a sinistra)

[77] Agnese.― Eppure, mentre obbedisco a mia madre senza fiatare, sento una voce che mi suggerisce, non di osteggiare il mio povero Carlo, ma di confortarlo.

Egisto. ― Ma che ti gira? Se, dopo la mia invenzione, avessi ascoltato le voci, in casa non si mangerebbe altro che asparagi croccanti! Ma se Carlo non può proprio stare senza inventare qualche cosa, m'inventi degli altri figliuoli; saranno sempre più belli delle sue macchine.

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