CARLOTTA, poi MARTINO dal fondo. Detti.
Carl. ― C'è un operaio della sua fabbrica di Belmonte.
Carlo. ― Venga. (moto di dispetto in Anna: Martino dal fondo) Voi qui, Martino?
Mart. (guardando Carlotta, con accento ligure). ― (Che bella morettina!) Signor principale, sono venuto a dirle che il capo-fabbrica, con licenza parlando, è malato.
Carlo. ― Che sento! Ammalato gravemente?
Mart. ― No; si è fatto male ad una mano, e non sarebbe stato nulla, se non l'avesse avuta piena di brignoni... di tignuole, via!
Carlo. ― Ma che tignuole, nelle mani?
Egisto. ― Nei panni, negli armadi stanno le tignuole.
Mart. ― Negli armadi? Sarà; ma al capo-fabbrica questo inverno sono venute nelle mani.
Carlo. ― Ah! i geloni! Vuol dire i geloni!
[83] Egisto.― (Che barbari!)
Mart. ― Geloni, brignoni e tignuole..... non è questione che di pronunzia... Intanto ha la febbre, e il medico ha detto che per due o tre settimane non potrà dirigere l'officina.
Carlo. ― Andate in cucina: Carlotta, dagli da colezione, e poi subito a farmi la valigia; partiamo col primo treno. Guarda se Cesarino è già tornato. Finchè non abbia trovato un altro capo-fabbrica, mi converrà stare a Belmonte. (raccoglie delle carte sul tavolino a sinistra)
Mart. ― (Che tocco!) (salutando) Gli auguro! (esce con Carlotta dal fondo)
Egisto. ― (Altrettanto!)
Agnese. ― Carlo, io vengo con quest'abito. Già lassù si starà in libertà.
Anna. ― Adagio! Adagio! Spero che Carlo non avrà la pretesa di portarti lassù in questa stagione.
Carlo. ― Con vostra licenza, Agnese è mia moglie!
Anna. ― Certo; ma anzi tutto deve obbedire a sua madre. Si partirà quando farà più caldo, quando lo dirò io.
Egisto. ― (Ecco che cominciano a bisticciarsi dal bel mattino!)
Carlo (ad Agnese). ― Vieni o no, Agnese?
Agnese. ― Io verrei subito, ma... Abbi pazienza per qualche giorno... (Che stizza mi fa mia madre!)
Carlo. ― Fa come ti pare; ma in questo momento io sperava che tu avessi un pochino più di cuore per me. (chiama) Carlotta! (Carlotta dal fondo) Vuoi venire con me a Belmonte? Qui resterà Giulietta.
Carl. ― (E il damo? Oh! me ne farò uno lassù). Scusi, c'è mercato a Belmonte?
Anna (seccamente). ― È inutile il saperlo. Partirai quando te lo dirò io che ti ho fissata.
Carlo (contenendosi). ― Guarda se è giunta Giulietta, che dia un bacio a Cesarino... (Carlotta esce dalla destra; ad Agnese) se questo almeno mi è ancora permesso, bene inteso!
Agnese. ― Carlo!
Carlo. ― Mi è permesso? Da tutti? Sia lodato il cielo! (esce dalla destra colle carte)
[84] Agnese.― Senti, Carlo... Madre mia, fin qui non mi hai parlato che del pericolo che corre il nostro avere, e sta bene; ma che per la sola questione del denaro debba non solo ricusare di soccorrerlo colla mia dote...
Anna (con vivacità). ― Ma, quand'anche tu lo volessi, la dote non si può toccare.
Agnese. ― E sia; ma che io mi separi da lui, che lo lasci mortificare dinanzi ai servitori, e partire solo; che mi debba sentir dire che io, la madre del suo Cesarino, la moglie che ha sempre rispettato ed amato, non ho cuore, oh! chiedimi qualunque sacrifizio, ma questo no, perchè sento che sarebbe al disopra delle mie forze!
Egisto. ― Quest'altra ci mancava ora!
Anna. ― Quando si ha fede nella sollecitudine della madre, signora figliuola, non si cerca di più, si obbedisce...
Egisto. ― E si sta tranquilla!
Agnese. ― Ma io debbo pur sapere se faccio bene o male a trattarlo così; e finora, malgrado la fiducia che ho in te, il cuore mi dice che faccio male, e molto male!
Anna. ― Senti, fratello, senti come mantiene le sue promesse?
Egisto. ― Ma dille tutto una volta, che sia finita: era carità fiorita il tacerlo; ma dal momento che lo vuole, vuota il sacco, sorella!
Agnese. ― Sono moglie e madre, e nessuna cosa che riguardi la famiglia mi deve essere ignota.
Anna. ― Ebbene, poichè lo vuoi, sappi qual sorte attende gli uomini pari al tuo Carlo; sappi come è finito suo padre, e poi lagnati che io faccia il possibile per svegliare tuo marito da un sogno che finisce in modo tanto crudele! Tu hai sentito dire che nostro cugino Pietro Valori è morto vittima dello scoppio d'una caldaia a vapore della sua officina a Piombino.
Agnese. ― So anche che tu lo assistesti pietosamente nei suoi ultimi momenti.
Anna. ― Ora ti dirò ciò che non sai. Pietro era il babbo nato dei credenzoni. Per lui tutti galantuomini; e i galantuomini gli vendevano di nascosto il materiale, il carbone, gli utensili; lo screditavano sui mercati, lo minacciavano pei [85]pagamenti, sia che fossero debitori o creditori. Volergli aprire gli occhi? Fiato sprecato. Ma un bel giorno, alla presentazione di alcune cambiali, dopo di aver telegrafato invano alle case di commercio con cui era in maggior relazione, si accorse di aver perduto quasi tutto il suo avere, peggio, di non aver più credito. Che cosa abbia allora sofferto, egli che non credeva al male, lo sa solo Iddio! E suo figlio era all'estero e noi a Livorno! Il disgraziato si senti perduto e solo; andò nell'officina mentre gli operai erano a desinare, e un'ora dopo era raccolto spirante sotto un mucchio di rovine!
Agnese. ― Dio! Ma chi può assicurare che egli si sia ucciso?
Anna. ― Raccolti i pezzi della caldaia scoppiata, si trovarono chiuse le valvole di sicurezza!
Agnese. ― E se fosse stato per sbaglio, per dimenticanza?
Anna. ― Tutti lo credettero e lo crede ancora lo stesso tuo marito; ma non io che ho assistito lo sventurato in quella sua eterna agonia!... Che notte orribile! «Non dir nulla a Carlo,» mi susurrava, «forse egli non mi perdonerebbe!» Dopo ventiquattr'ore di strazio, spirò, e tutti lo dissero martire del lavoro, e lo era, ma in ben altro modo! (facendosi forza per non soffocare dal pianto) E tuo marito, che io combatto, ma non disprezzo, anzi in fondo al cuore ammiro, è della stessa razza che sa di monte e di macigno; è di quella stessa gente che muore e non si arrende! Ora che sa tutto, mi dica la signora figliuola se c'è più cuore ad incoraggiarlo nella sua illusione, come vorrebbe far lei, o ad impedire in ogni modo, come faccio io, ch'egli precipiti, come suo padre, nell'abisso del fallimento e della disperazione!
Agnese. ― (Carlo corre lo stesso pericolo, ed io l'abbandonerò solo?)
Anna. ― Ma non temere, figlia mia; io conosco il mio dovere e vi amo troppo tutti e due per cedere, e non cederò!..
Egisto. ― Non cederemo, per Diana!
Anna. ― È lui. Silenzio!
Egisto. ― Io non parlo, vai sicura... Ma intanto che bella casa è questa, che bella vita! Lui coll'Italia, tu col dovere, lei coll'amore... una galera!
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