SCENA X.

CARLO dalla destra. Detti.

Carlo. ― Silenzio! (ad Egisto) Vattene. (Egisto esce dalla destra con premura) La campana è suonata da un pezzo, la macchina è accesa: a lavorare.

Bobi (s'avanza sfacciatamente verso Carlo, tenendo a sè dinanzi, come a difesa, or l'uno or l'altro dei compagni). ― S'è finito di lavorare!

Carlo. ― Voi comandate in casa mia?

Bobi. ― Un po' per uno; oggi tocca a me.

Carlo. ― Ed io vi caccio all'istante, perchè dei mascalzoni pari vostri non ho che a guardare nelle bettole lungo la strada per trovarne a centinaia.

Bobi. ― Dei pari miei a centinaia? La gli gira!

Carlo. ― Ma Cencio, Gennaro, Martino, ditemi voi se io sogno, se è vero che voi lasciate bestemmiare così questo avanzo di prigione.

Bobi (respingendo gli altri). ― Con me deve aggiustare i conti, con me solo!

Carlo. ― Io parlerò a voi lavoratori, perchè, a farlo con lui, lo schifo che ne sento potrebbe rendermi ingiusto. Non vi parlo da padrone, vi parlo da amico. In poche officine si paga il lavoro come da me; in nessuna come da me vi si dà un tanto per cento sugli utili. Quale pretesa potete avere?

Bobi. ― Quando ce la saremo intesa coi compagni delle fabbriche Faustini e Ramaccini, la saprà; intanto bisogna crescere la paga e scemare di molto l'orario.

Carlo. ― Siete pazzi? Se vi cresco la paga non posso più lottare cogli stranieri che hanno in casa metallo e combustibile! Quanto a scemare l'orario vi ricordo che non è mezz'ora che m'avete promesso di crescere il lavoro!

Bobi. ― E ora non si vuole più, oh! Che cosa è alla fin fine il vostro capitale senza di noi?

Carlo. ― Nulla.

Voci (ed applausi di fuori). ― Bravo!

Carlo. ― L'ho detto io e lo ripeto: non è nulla! Ma voi, mano d'opera, ditemi un po', che cosa diverreste se il capitale [125]facesse contro di voi lo sciopero che credete profittevole e giusto per voi soli? E dal momento che non deve essere stimato altro che l'operaio, perchè dovrà solamente contare quello che lavora colla mano e non anche quello che lavora coll'ingegno e lo studio? Forse per creare un nuovo tiranno più cieco e brutale di quelli che ci hanno oppresso?

Bobi. ― Tutte parole buttate: a noi la sua aria di professore non può farci nè caldo nè freddo, perchè alla fin fine lavoranti e principali, tutti eguali ora!

Molte voci (dalla piazza con applausi). ― Bene! Bravo! Bis!

Carlo. ― Poveri figliuoli; vi hanno gonfiato il capo di parolone che non capite, e me le lanciate come una minaccia e una condanna! Siamo tutti eguali dinanzi al diritto di vivere ed alla legge: così è, e così deve essere. Ma dinanzi alla scienza, ma dinanzi al lavoro, quello che tira il mantice sarà eguale a me che so, e invento? Se è così, su, mastro Bobi, venite a mettervi al mio posto nell'officina e allo scrittoio; e se i vostri calcoli e i vostri disegni saranno migliori dei miei, voi sarete il principale ed io l'artigiano. Ah! cieco, che mi vuoi essere uguale in tutto fuorchè nella fatica, te lo mostro io il modo di essermi eguale, il segreto per diventar principale: lavoro, temperanza, risparmio! E tu disgraziato, invece di cercare nella temperanza la forza, nel risparmio l'indipendenza, nel lavoro la vera nobiltà, non desideri che di far nulla, affidando il tuo avvenire agli avvocati del disordine, od al Monte di pietà, al lotto ed all'ospedale! Ma guarda che miseria è la tua: sei miserabile fino nel desiderare!

Bobi. ― Tu l'ha a vedere!

Carlo. ― Allora fuori dei piedi te ed i poltroni che ti vorranno seguire! (movimento degli operai per uscire)

Genn. ― Eccellenza, se non ci date la chiave!...

Carlo (atterrito). ― Tutti uscite?... Tutti, quando la vostra diserzione può costarmi l'avvenire? Cencio, Martino, Gennaro, Ambrogio, fuori dalla cerchia dannata! Accusatemi, parlate, dite che cosa vi ho fatto io per essere tradito in questo momento?

Cencio. ― Sono più di duecento fuori, ed hanno già ferito Martino.

[126] Mart.― Io sono bell'e guarito, padrone; ma sono più del doppio di noi.

Ambr. ― Sor Carlo, non si comprometta... Anche lei è padre di famiglia.

Carlo. ― Ah se non è che questo! Savelli? Dov'è Savelli? (scoprendolo) Francesco, se ci attaccano... (fischi ed urli al di fuori) Fischiate; a Custoza ne ho sentiti dei più terribili senza impallidire... (si rompono altri vetri) Buon augurio: è un vetraio che cerca lavoro... Animo, Savelli, venite con me...

Bobi. ― Savelli non si muove.

Carlo. ― Savelli?

Franc. ― Sull'onor mio non si può!

Carlo (smarrito). ― Savelli, voi sapete che cosa sarebbe di me se non potessi terminare a tempo il lavoro e pagare le cambiali!

Franc. ― Ma non capisce che io non posso far nulla?

Carlo. ― (O Dio! Dio!) Ma figliuoli, v'ho da scongiurare in ginocchio?

Operai (che bevono in fondo). ― Alla sua salute!

Carlo (indignato). ― Ah! Li ha ubbriacati l'infame, e poi li ha comprati! Ebbene io vi discaccio tutti, sì, tutti; e te per il primo, serpente che ho raccolto nel fango e che ora ti schieri coi miei nemici!

Franc. ― Ah! non una parola di più!...

Carlo. ― Sì, ti ho confidato il mio segreto, la mia invenzione, e tu mi vendi ad un Faustini! Vile traditore, più vile di Giuda!

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