SCENA VI.

CHÉNIER preceduto da BATTISTINO, dal fondo. Detti.

Batt. (annunziando). — Un amico: Chénier!

Chén. (in fondo, a Battistino). — Addirittura la miseria?

Batt. — Sì, e se non fate presto, lo libererà la morte!

Chén. (abbracciando Goldoni). — Mio povero amico!

Gold. — È Dio che ti manda a levarmi una spina dal [258] cuore. Questo mio antico compagno d'arte, senza pensione come me, è senza tetto e senza mezzo di guadagnarsi un pane, in mezzo alla strada!... e io..... tu ci vedi meglio di me e basta, senza che ti dica altro!

Chén. (scrive due parole sopra una carta che ha tratto dal suo taccuino e la porge con un assegnato a Susanna). — Questo al Direttore dell'Ospizio di Bicêtre, e questo per arrivarvi.

Sus. — Voi fareste amare la rivoluzione; ma voi siete un poeta!

Nicol. — Un vero amico! — (agli altri) Non sarà detto che partiate senza aver preso qualche ristoro. Favorite di qua... (verso la destra). Andiamo, Balletti?

Batt. — Coraggio!

Ball. — All'ospedale... un artista!

Batt. — Son fatti apposta gli artisti per gli ospedali... cioè gli ospedali per gli artisti; ma già torna il medesimo.

Ball. — Ma se riaprono i teatri...

Batt. — Tornerai a fare l'amoroso, è inteso.

Nicol. (a Battistino). — Se si desse loro i pasticci di Pierina?

Batt. — Nulla di meglio: pasticci e comici, va da sè. (escono tutti dalla destra, mentre Chénier siede accanto a Goldoni)

Gold. (con una mano di Chénier fra le sue, affettuosamente). — Il mio ultimo amico!

Chén. — Se non ho più potuto vederti, non è stato senza occuparmi di te, e ora sono lieto di dirti che all'ordine del giorno d'oggi c'è la mia interpellanza che ti riguarda. Non meravigliarti che io non abbia potuto in più di quattro mesi mettere una parola di pace, d'arte e di giustizia in quel vortice farragginoso: come se non bastasse la violenza delle passioni e degli avvenimenti, noi dobbiamo anche subire gli stolti capricci della tribuna pubblica, ogni dì più minacciosa e soverchiatrice!

Gold. — Grazie, grazie con tutta l'anima... Ma non dirmi altro di questi tempi...

Chén. — Si può dimenticare molti eccessi e sperare nell'avvenire quando si vede che in mezzo alla coalizione straniera la Francia improvvisa un milione di soldati!

[259] Gold. — E tu hai forse ragione; ma che vuoi, io sono d'un'altra epoca, d'un'epoca spensierata ma disciplinata, allegra ma rispettosa, e perciò guardo dalla riva su cui rimango abbandonato da tutti i miei coetanei questa vostra gran corrente torbida e rovinosa, senza avere il coraggio d'imbarcarmi, quasi certo che dopo di avere ammazzato il buon umore finirete per togliere all'uomo tutti i sostegni più sicuri della vita!

Chén. — E io ti compatisco: alla tua età non si rifà tutta un'abitudine di sentire e di pensare.

Gold. — Ma se rimpiango la gioventù, abbi pazienza, non è per fare della politica, no; ma per lavorare, per tratteggiare nuovi tipi, nuove commedie, per usare tutta la libertà di scegliere i miei argomenti dove mi pare, non come il Goldoni d'una volta che non poteva mettere in scena nè governanti, nè nobili, nè magistrati, nè preti e soldati. Ma poichè io non posso comprendere, e quel ch'è peggio, non posso fuggire la tua rivoluzione, lasciami morire in pace e fedele alle mie convinzioni.

Chén. — Eppure è indispensabile che tu mi autorizzi a dichiarare oggi alla Convenzione che ti glorii di essere cittadino francese...

Gold. — Sempre!

Chén. — ... e repubblicano.

Gold. — A Venezia; ma qui, finchè vive il Re Luigi, mai! (si alza)

Chén. — Ma disgraziato amico, il Re Luigi è morto da due settimane!

Gold. — Morto! Morto d'angoscia e di patimenti, in prigione?

Chén. — Peggio!

Gold. (colpito). — Peggio? Ci può essere di peggio?

Chén. — In piazza della Rivoluzione.

Gold. (non comprendendo sulle prime). — In piazza?... Ah! no, no, non è possibile, come un assassino, lui! (un cenno di Chénier) È stato possibile? E la Regina? E la principessa Adelaide, il Delfino?

Chén. — Aspettano in carcere il loro giudizio.

Gold. — Giudizio! E Luisa Savoia di Lamballe? Voglio saper tutto!

[260] Chén. — Da più di un mese stracciata a pezzi dalla plebe.

Gold. (con ribrezzo). — Oh! La donna più bella, gentile e generosa!! Ed è questa la rivoluzione di cui mi vuoi far complice? La morte, mille volte la morte... che non può più essere nè amara, nè lontana!

Chén. — La morte... Ma tua moglie?

Gold. — Mia moglie?! (con un grido disperato) Oh come sono infelice! (si abbandona con uno scoppio di pianto sopra una seggiola)

Chén. — Via, Carlo, non smarrire il coraggio che ti sostenne in tante prove!

Gold. — Hai ragione... Va pure a dire quello che vuoi... Fra tante menzogne infami questa almeno sarà pietosa!

Chén. — Scusami se t'ho fatto soffrire...

Gold. — Come non soffersi mai! Ma tu l'hai fatto per il mio bene; meglio, l'hai fatto per quello della mia povera Nicoletta! (si è alzato e accompagna Chénier al fondo) Va... non perder tempo e ritorna con una buona notizia... (Chénier esce) ... e presto!

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